L EDUCAZIONE DEI SORDI

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1 DIRETTORE RESPONSABILE Maria Gennaioli (Firenze) COMITATO DI REDAZIONE David Busato (Castelnuovo Berardenga) Cristiano Chesi (Siena) Bruno De Capua (Siena) Catia Guidi (Poggibonsi) Stefania Oddi (Siena - Segreteria) Pierangela Parrini (Siena) Federica Pea (Torino) Alberto Rossi (Siena) Franco Zatini (Firenze) COMITATO SCIENTIFICO Maurizio Carnasciali (Firenze) Giuseppe Gitti (Firenze) Vincenzo Di Blasio (Roma) Salvatore Lagati (Trento) Sira S. Macchietti (Siena) Renato Pigliacampo (Porto Recanati) Elena Radutzky (Roma) Virginia Volterra (Roma) L EDUCAZIONE DEI SORDI Rassegna fondata nel 1872 da Tommaso Pendola SEGRETERIA Via T. Pendola, Siena Tel. 0577/ Fax 0577/ isttpendola@virgilio.it COLLABORAZIONE Aperta a tutti, secondo le norme stabilite per gli autori e in piena autonomia, senza riferimento a diversi orientamenti espressi nella Rivista (serie IX, VOL. CXIV)

2 L EDUCAZIONE DEI SORDI TRIMESTRALE DELL ISTITUTO <T. PEDNOLA> SIENA

3 SOMMARIO Editoriale.. pag. 92 Studi e ricerche - Sintesi intesi e adattamento della tesi di laurea dal titolo: Segni per iscritto. Analisi e riflessioni sui sistemi di scrittura e trascrizione proposti per le Lingue dei Segni (a.a. 2006/2007) di Lara Mantovan e Pietro Celo.. pag Sul Bilinguismo (Disabili dell udito e in genere) di F. Grosjean e F. Fabbro. pag La Cultura Sorda ovvero la forma dell acqua di Roberta Vasta pag Mia figlia sente perfettamente con l impianto cocleare di Salvatore Lagati..... pag La Comunità Sorda e l Integrazione di Veronica Vargiu pag. 132 Per la Storia dell'educazione dei Sordi - Lettere varie del P. Tommaso Pendola a cura di Stefania Oddi e Alberto Rossi pag

4 EDITORIALE In questo secondo numero del 2013 mi preme fare una breve riflessione sul problema della comunicazione dei sordi evidenziando che in loro esiste una lingua vera e propria. Dato per acquisito che la lingua dei segni è lingua vera e propria, il problema che si pone è quello di stabilire come e quando intervenire sul bambino sordo con tale lingua. Seguendo le tappe di sviluppo del linguaggio orale del bambino udente, risulta evidente che anche per il linguaggio segnino l uso deve essere precoce, deve iniziare ai tre mesi nel rapporto madre-figlio. Ribadito che la lingua orale per il sordo di qualsiasi nazione è la seconda lingua, si pone il problema di come sviluppare e diffondere la lingua dei segni, in Italia molto poco conosciuta né dagli educatori della scuola comune né dagli operatori sociosanitari. L integrazione scolastica non deve essere emarginazione nascosta, per cui i sordi chiedono di essere accolti come minoranza linguistica e di salvaguardare la loro lingua e la loro cultura. In correlazione con quanto detto sopra, la ricerca di Lara Mantovan e Pietro Celo pone un importante interrogativo ai numerosi ricercatori sulla correlazione fra la lingua dei segni e le forme di rappresentazione scritta. L adozione di un sistema ufficiale di scrittura potrebbe comportare molti risvolti nell ottica delle lingue dei segni e in chiave socio-culturale, i segnanti potrebbero godere di nuovi contesti comunicativi, registrare il proprio pensiero e conservare aspetti culturali nel tempo. Nella ricerca successiva il lettore troverà uno studio sulle varie forme di bilinguismo di quei sordi che comunicano il pensiero in modalità diversa rispetto all acustico-verbale. In Studi e Ricerche, vengono poi presentati al lettore due approfondimenti, il primo affronta il problema inerente l identità culturale della comunità sorda, mentre il secondo evidenzia le problematiche nell incontro di una corsista LIS con il mondo sconosciuto dei sordi. Sempre in Studi e Ricerche, come ogni anno, l amico Prof. Salvatore Lagati ci invia un indagine sugli impianti cocleari,

5 mono e bilaterali 2013, che volentieri pubblichiamo, conoscendo la serietà e la professionalità del ricercatore. Continua anche in questo numero la pubblicazione dello scambio epistolare fra il Pendola e personaggi vari. IL DIRETTORE Maria Gennaioli La Redazione chiede a tutti, sordi e udenti, di collaborare alla Rivista, inviando ogni materiale ritenuto adatto alla pubblicazione. Anche per il 2013 vogliamo proporre la rubrica, La voce degli ex alunni, siate certi che risponderemo a tutti. ( isttpendola@virgilio.it) Tutti i lettori potranno inviare loro proposte e giudizi particolari. Sede del Comitato di Redazione: Struttura Pendola Via T. Pendola, 35/ Siena. Tel ; Fax ; isttpendola@virgilio.it

6 Studi e ricerche l educazione dei sordi, (Serie IX - CXIV) SINTESI E ADATTAMENTO DELLA TESI DI LAUREA DAL TITOLO: SEGNI PER ISCRITTO. ANALISI E REFLISSIONI SUI SISTEMI DI SCRITTURA E TRASCRIZIONE PROSPOSTI PER LE LINGUE DEI SEGNI (a.a. 2006/2007). Lara Mantovan Laureata in Lingue e Scienze del Linguaggio e attualmente allieva nel corso in Teoria e Tecniche di Interpretazione Italiano/Lingua dei Segni Italiana presso l'università Ca' Foscari di Venezia. Pietro Celo Docente dei corsi di Lingua dei Segni Italiana 1 e Cultura dei Sordi 1 presso l'università Ca' Foscari di Venezia. LINGUE DEI SEGNI E FORMA SCRITTA Che rapporto c'è tra le lingue dei segni e le forme di rappresentazione scritta? È possibile scrivere i segni o comunque fissarli per iscritto? Cosa è stato finora proposto e attuato? Questi sono alcuni degli interrogativi a cui ho cercato di dare risposta nella mia tesi di laurea. Ciò che ha fatto scattare il mio interesse per tutto questo è la rilevanza che tale questione sta ottenendo nella comunità dei ricercatori e la personale necessità di registrare nero su bianco i segni della LIS. Quest'ultima, come tutte le altre lingue dei segni, fa parte del cospicuo gruppo di lingue che non possiede una forma ufficializzata di rappresentazione scritta. Sebbene la scrittura costituisca una tra le prime conquiste dell'umanità (IV millennio a.c.), pare che, tuttora, oltre il 90 % delle lingue esistenti al mondo disponga unicamente della forma orale. In questi casi la comunicazione risulta limitata all'interazione faccia a faccia: gli interlocutori devono essere piuttosto vicini ed il messaggio non

7 permane nel tempo ma si dissolve all'istante. D'altra parte, fissare per iscritto una lingua rende possibile una comunicazione al di là dei limiti di spazio e di tempo: infatti, un messaggio scritto può raggiungere luoghi anche molto distanti e permane nel tempo. Se da una parte nessun tipo di rappresentazione scritta è stata abbracciata all'unanimità dalle comunità Sorde del mondo, dall'altra le proposte non sono di certo mancate. Più volte si è proposto di scrivere i segni. La scrittura è uno strumento che permette di comunicare e trasmettere messaggi. Inoltre, consente di registrare il pensiero umano e quindi di arricchirsi culturalmente. L'adozione di un sistema ufficiale di scrittura potrebbe comportare molti risvolti nell'ottica delle lingue dei segni. Queste, innanzitutto, otterrebbero un nuovo status e maggiore risalto. In chiave socio-culturale, i segnanti potrebbero godere di nuovi contesti comunicativi, registrare il proprio pensiero e conservare aspetti culturali nel tempo. La possibilità di scrivere i segni andrebbe poi a rendere più completa l'educazione bilingue degli alunni Sordi offrendo loro più modalità per costruire il proprio bagaglio di conoscenze. Infine, dal punto di vista linguistico, la scrittura dovrebbe contribuire a diffondere segni in uso in aree diverse e dovrebbe così stimolare il processo di standardizzazione della lingua. Da non confondere con la scrittura è la trascrizione. Quest'ultima non è indirizzata tanto alla comunità di segnanti quanto ai ricercatori che si occupano di linguistica. La trascrizione dei segni offre una rappresentazione quanto più fedele possibile della lingua. Quindi lo scopo non è più la comunicazione in sé, bensì l'analisi linguistica. I ricercatori possono trascrivere i segni per creare raccolte di dati, per confermare alcune teorie linguistiche, per condividere con i colleghi i risultati ottenuti. PROPOSTE PER LE LINGUE DEI SEGNI Le proposte sinora fatte per scrivere e trascrivere i segni sono molte ed eterogenee. Risalgono a diversi momenti degli ultimi duecento anni, provengono da varie parti del mondo e inquadrano la questione da più punti di vista. La carrellata di

8 metodi presentata in questo lavoro segue l'ordine cronologico per mettere in maggior evidenza come la problematica si sia evoluta nel tempo. Per meglio cogliere i contenuti delle singole proposte è possibile vedere come il segno in LIS per il pronome soggetto di prima persona singolare viene scritto o trascritto secondo i vari metodi. La panoramica parte con Roch-Ambroise Bébian, un insegnante francese specializzato nella didattica rivolta ad alunni sordi. Nel 1825, a fini prettamente didattici, pubblica la celebre Mimographie. Si tratta della raccolta di circa 200 segni della Langue des Signes Française con le relative tavole di disegni. Quest'opera è una pietra miliare poiché rappresenta il primo tentativo documentato di mettere i segni nero su bianco in modo sistematico. Perché la problematica venga rispolverata bisogna aspettare molti anni a causa delle disposizioni del Congresso di Milano del 1880, che mette a tacere gli studi relativi alle lingue dei segni. Nel 1960, William Stokoe dimostra per la prima volta che l'asl è una vera lingua: ogni segno non è un blocco monolitico bensì è scomponibile in unità minime. Ad ognuna di queste Stokoe associa un simbolo: così nasce il suo celebre sistema di notazione, che conta 12 possibili luoghi di articolazione, 19 configurazioni manuali e 24 tipi di movimento. I simboli selezionati da Stokoe si dispongono secondo un preciso ordine lineare, da sinistra verso destra, e si rifanno all alfabeto manuale e al sistema numerico dell American Sign Language. Nel 1974 nasce in Danimarca un famoso sistema di scrittura: SignWriting. La sua ideatrice, Valerie Sutton, in gioventù era una ballerina interessata a registrare movimenti e passi della danza. Il suo metodo subisce numerosi cambiamenti negli anni sino a trovare una discreta applicazione in campo editoriale, didattico e culturale. I circa 600 simboli, che rappresentano iconicamente sia le componenti manuali sia le componenti non manuali dei segni, vengono disposti in modo tale da formare unità grafiche. Questo tipo di

9 struttura, accostabile agli ideogrammi cinesi, consente al lettore di procedere per unità di significato e quindi da un segno all'altro. Attualmente questo sembra essere il sistema di scrittura più diffuso e utilizzato nel mondo proprio per la sua quasi immediata comprensione. Rimanendo all'interno dei confini nazionali si ricordi il lavoro del Sign Language Laboratory a Roma. Le sue attività si concentrano sulla sperimentazione di testi scritti in LIS nel rispetto delle convenzioni di SignWriting. Con HamNoSys si ritorna a parlare di trascrizione. Questo sistema tedesco vine messo a punto negli anni '80 con l'obiettivo di rivedere e ampliare la proposta di Stokoe. Pur mantenendo la disposizione lineare, gli autori decidono di creare ex novo più di 200 simboli iconici. Inoltre, mettono in particolare evidenza l'aspetto dinamico del segno poiché illustrano dapprima la posizione iniziale della mano e in seconda battuta il tipo di movimento che caratterizza il segno stesso. Rispetto al modello di riferimento, l'aggiunta del parametro dell'orientamento e delle componenti non manuali costituisce una novità. Qualche anno più tardi nasce il Movement- Hold Model, un sistema che permette di trascrivere i segni rispettando le teorie dei linguisti Liddell e Johnson. Il loro metodo, che tiene conto della dinamicità del segno, si presenta come una tabella. Da una parte compare la struttura segmentale, che è data da momenti in cui le mani sono in movimento e/o da momenti di pausa ovvero di arresti nell'esecuzione del segno stesso. Dall'altra si studia la posizione della mano in sé (la sua configurazione, il punto di contatto, il fronte e l'orientamento). Un tentativo volto ad adattare la proposta di Stokoe alla LIS è il sistema di trascrizione ideato da Elena Radutzky. Questo trova applicazione nel Dizionario bilingue elementare della lingua italiana dei segni del 1992, dove vengono raccolti oltre significati

10 con relativi disegni, traduzioni in Italiano e trascrizioni. Per queste ultime, la ricercatrice sceglie un set di simboli adattati alle convenzioni linguistiche della LIS (56 configurazioni, 16 luoghi, 48 movimenti e 20 posizioni manuali). La struttura rimane lineare sebbene sia articolata in tre diversi livelli: uno principale per configurazione e luogo di articolazione, uno inferiore per la posizione delle mani ed uno superiore per il movimento. Il Berkeley Transcription System è frutto del lavoro di un gruppo di ricercatori californiani. Questa proposta di inizio millennio ha l'obiettivo di trascrivere le prime produzioni dei bambini in lingua dei segni. La trascrizione, di tipo lineare, mira all'analisi del discorso e si concentra soprattutto su aspetti morfosintattici, semantici e pragmatici. Per questo motivo non vengono date informazioni sulla struttura interna dei singoli segni. Inoltre, si ricorre anche all'uso di parole della lingua parlata per assicurarsi che il significato del segno sia chiaro. Un'altra proposta italiana è quella di Vincenzo Valeri, professore de L'Orientale di Napoli. Nel saggio Per una scrittura della Lingua dei Segni Italiana, edito nel 2004, l'autore presenta le convenzioni del suo metodo di scrittura. Il set di simboli utilizzato è del tutto simile a quello del metodo Radutzky sebbene venga apportata qualche piccola modifica. Ma la vera novità è costituita non tanto dai caratteri in sé, piuttosto dalla loro particolare disposizione: ogni segno viene rappresentato da un'unità grafica (così come accade per gli ideogrammi cinesi). La parte più interna viene occupata dalla configurazione, quella intermedia da orientamento e movimento, quella più esterna dal luogo. Risale allo stesso anno il sistema di trascrizione ideato dal professore statunitense David J. Peterson, lo SLIPA. L'autore di questo metodo in parte prende spunto da simboli utilizzati in altre proposte, in parte introduce qualche cambiamento (tra cui i diacritici giustapposti alle lettere). Ma la particolarità che caratterizza principalmente lo

11 SLIPA è la sua compatibilità con i moderni strumenti informatici. Infatti, la struttura risulta lineare e quindi facilmente processabile dai computer ed i caratteri ASCII sono facilmente reperibili in una comune tastiera. Infine, non si può fare a meno di menzionare le glosse, uno strumento diffuso tra molti ricercatori. Questo, tuttavia, non è un vero sistema di trascrizione perché, di fatto, si sostituisce un segno con una parola di una lingua parlata. Si tratta, piuttosto, di un atto di traduzione dal momento in cui si vuole rappresentare una certa lingua per mezzo di una lingua altra. Ciò non dà la possibilità al lettore di risalire ai segni veri e propri. Nonostante questo limite intrinseco, le glosse rimangono tra gli strumenti maggiormente usati all'interno della comunità scientifica. Questo può dipendere dalla semplicità del loro utilizzo o dallo stato ancora embrionale della ricerca in questo campo. Certo, sarebbe necessaria una maggiore consapevolezza sul reale valore di queste etichette linguistiche. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Nell'ultima parte del lavoro ho voluto indagare in maggiore profondità cosa significa mettere nero su bianco i segni. Quali sono le peculiarità delle lingue dei segni che non si possono trascurare ai fini della scrittura e della trascrizione? Cosa si può ancora fare in chiave futura? Sulla base di alcune produzioni in LIS ho confrontato alcuni dei metodi appena illustrati. A partire da questo raffronto sono arrivata alle seguenti conclusioni. Per rappresentare adeguatamente le frasi segnate occorre render conto anche di quei fenomeni che alterano i segni (come l'accordo verbale e le flessioni aspettuali) e delle componenti non manuali (tra cui le espressioni facciali, i movimenti della testa, la direzione dello sguardo e la postura). Queste ultime agiscono sia a livello lessicale sia a livello frasale. Alcuni dei metodi prima menzionati non ne tengono conto. Ciò significa inevitabilmente perdere una serie di informazioni linguistiche molto importanti. Inoltre, un approccio multilineare o bidimensionale è forse da preferire alla struttura lineare poiché

12 le lingue dei segni contemplano la possibilità di articolare i segni anche in modo simultaneo, utilizzando entrambe le mani. Infine, occorre sottolineare che nessuno dei metodi presentati considera in particolare le Componenti Orali Prestate, ovvero la labializzazione. La scrittura e la trascrizione di questa componente potrebbe permettere di disambiguare quei segni che condividono la stessa componente manuale e chiarire il significato di alcuni neologismi. Allo stato attuale sembra che la maggior parte dei progressi si segnali nel campo della trascrizione. Sebbene la proposta di Stokoe vada per la maggiore, i ricercatori non cessano di ideare nuovi metodi e nuovi adattamenti. Di volta in volta vengono presi in considerazione nuovi punti di vista o determinati aspetti linguistici da altri trascurati. È quasi come se rappresentare i segni in forma scritta interessasse più ai linguisti e un po' meno ai reali fruitori della lingua dei segni, ai segnanti. Il rischio è che tutto questo rimanga una questione puramente accademica. Ecco perché un sistema come SignWriting potrebbe avvicinare maggiormente i Sordi a questa problematica. Tale sistema propone di rappresentare i segni iconicamente e in una veste ideografica: questa è una scelta che rende agevole la lettura. È proprio questo uno dei motivi che ha permesso a SignWriting di trovare applicazione in campo comunicativo e didattico. Sembra che la sua diffusione stia raggiungendo sempre più paesi sebbene ci siano ancora indugi e alcuni pareri contrastanti. Comunque sia resta difficile prevedere quali potranno essere gli sviluppi futuri. Le proposte sinora fatte sono molte, forse fin troppe. Affinché la questione non diventi troppo dispersiva, si auspica che i vari gruppi di lavoro abbiano la possibilità di aprirsi ad un sano confronto e trovino così dei punti d'intesa. Chiaro è che gli studi della comunità scientifica non potranno fare a meno di considerare anche le reali esigenze della comunità dei segnanti. Una collaborazione tra le due parti potrà portare a interessanti spunti futuri. Ci si augura anche che metodi di scrittura e trascrizione ufficializzati possano dare maggiore risalto alle lingue dei segni, specialmente a quelle che ancora risiedono nella città invisibile

13 Bibliografia essenziale Di Renzo, A., Lamano, L., Lucioli, T., Pennacchi, B., Pizzuto, E., Ponzo, L., Rossini, P. (2006). Scrivere e trascrivere il discorso segnato: primi risultati da sperimentazioni con il sistema SignWriting in Scrittura e sordità, a cura di Fabbretti D. e Tomasuolo E. (2006), Carocci, [s.i.l.] Miller, C. (2001). Some reflections on the need for a common sign notation in Sign language & Linguistics (special issue on sign transcription and database storage of sign information), volume 4, numero ½. Pizzuto, E., Rossini, P., Russo, T. (2006). Representing signed languages in written form: questions that need to be posed. Atti del convegno 2 nd Workshop on the representation and processing of sign language: lexicographic matters and didactic scenarios, Genova, 28 maggio Radutsky, E. (2001). Dizionario bilingue elementare della lingua dei segni italiana, Edizioni Kappa, Roma. Rosenberg, A. (1999). Writing signed languages. In support of adopting an ASL writing system. Master's Degree Thesis, University of Kansas. Valeri, V. (2004). Per una scrittura della Lingua dei Segni Italiana, Aracne

14 Studi e ricerche l educazione dei sordi, (Serie IX - CXIV) SUL BILINGUISMO (DISABILI DELL UDITO E IN GENERE) di F. Grosjean e F. Fabbro Quando paliamo di bilinguismo dei sordi, dobbiamo fare molta attenzione a che cosa ci riferiamo. Il motivo principale è solare perché bisogna distinguere tra «acquisizione» di una lingua in un ambiente naturale attraverso il coinvolgimento della memoria acustico-verbale e «apprendimento» di una lingua che avviene per mezzo dello studio di regole applicate intenzionalmente. François Grosjean è uno psicologo svizzero che ha studiato il bilinguismo dei sordi, vale a dire di quei sordi che comunicano il pensiero in una modalità diversa rispetto all acustico-verbale. Ciò conduce a porsi molte domande (cfr Noam Chomsky, 1981) persino sul termine lingua che non è una definizione chiara. Infatti un alta percentuale di logopediste, ancora oggi osa rivolgersi alle madre degli ipoacusici con definizioni tipiche «Porta tuo figlio alla scuola di linguaggio»; le insegnanti «Tuo figlio necessita di apprendere il linguaggio verbale». Sono definizioni farraginose e delimitanti nello studio e ricerca dei processi psicolinguistici. Claude Hagège (1989), linguista francese che ha studiato le interrelazioni fra lingua e potere, scrive in un suo libro «la lingua è un bene politico. Qualsiasi politica della lingua fa il gioco del potere. ( ) perché l unità della lingua interessa al potere. La variazione lo disturba». Non è un caso che in Italia la lingua dei segni non è ancora approvata (fine anno 2008) come lingua minoritaria di una comunità, sebbene durante il governo Prodi il consiglio dei ministri avesse acconsentito un DL. Il bilinguismo dei sordi si fonda sulla capacità (cfr D. Buovet, tr. it. 1986) di saper spiegare i concetti in una modalità differente che implica tuttavia esperienza percettiva nella stessa modalità del soggetto che sperimenta ogni giorno la prima lingua. Un esempio esplicativo: l insegnante sebbene conosca la LIS non significa che sia bilingue, bensì in occasioni diverse potrà utilizzare due lingue per favorire i

15 processi cognitivi dello studente sordo. Comunque sia, conviene essere docente bilingue quando insegniamo ai sordi o ipoacusici perché permette al docente udente di comprendere il suo allievo. Il bilinguismo dei sordi induce l insegnante a farsi domande, a controllare la programmazione didattica. Gli studi in genere sul bilinguismo ci conducono a distinguerne diverse forme. 1. Il bilinguismo compatto quando un individuo ha appreso due lingue contemporaneamente prima dei 6 anni perché già parlata dal papà o dalla mamma. 2. Il bilinguismo coordinato è considerato quando la seconda lingua è stata appresa perfettamente prima della pubertà, in un ambiente che non è la famiglia (per es. quando il bambino si è trasferito con la famiglia in un altro paese). 3. Il bilinguismo subordinato quando una delle due lingue rimane lingua base e la seconda è utilizzata come intermediaria della prima. Il soggetto prima pensa ciò che vuole esprimere nella prima lingua e poi la traduce nella seconda lingua. 4. Il bilinguismo precoce allorché le due lingue sono state acquisite in tenera età. 5. Il bilinguismo tardivo quando la seconda lingua è stata acquisita molto tempo dopo la prima. 6. Il bilingue bilanciato è l individuo che conosce le due lingue allo stesso livello. Quando è più fluente in una lingua o, per motivi d empatia, ne preferisce una è definito bilingue dominante. Le classificazioni divengono utili per delimitare gruppi di bilingui durante le valutazioni di psicolinguistiche e neurolinguistiche. Però bisogna fare attenzione alla dinamica delle migrazioni, all età in cui un individuo si sposta verso un altro paese, alla scolarizzazione e alla frequenza di gruppi locali. Per esempio se un soggetto bilingue di lingua madre francese e di seconda lingua inglese si trasferisce dalla Francia negli Stati Uniti per quindici anni, è molto probabile che l inglese diverrà la lingua domina

16 Programmazione dell educazione bilingue Tutti i genitori ricevono gratificazioni nel parlare col figlio. L obiettivo dell educazione bilingue del sordo è raggiungere questa meta di comunicare con una diversa modalità che avverrà quando il piccolo è accettato come sordo, senza che tale accoglienza diventi marchio spregiativo. Accettare significa prendo su di me il tuo vissuto sensoriale facendo quanto è necessario perché la mia vita e la tua si sviluppino secondo le tue necessità, arricchendoti e interagendo con i simili, in pratica con coetanei ipoacusici o sordi adulti. Troppi genitori pensano di normalizzare il figlio tenendolo all oscuro dagli adulti col medesimo deficit sensoriale. Se la lingua dei segni è lingua valida a esprimere idee ed emozioni è allora opportuno, dico indispensabile, che il sordo la utilizzi nelle stesse esperienze relazionali del coetaneo udente. E grave ignoranza dei cosiddetti esperti dell educazione del sordo, e denigratori della lingua dei segni, affermare che il loro bambino non conosce i segni se non che quelli convenzionali. Questo è ovvio (!) se il bambino non è esposto alla lingua dei segni, adeguata all età, segnerà in modo meccanico, rifugiandosi nel gesto convenzionale o nella mimica. (cfr R. Pigliacampo, 2007). La definizione di soggetto bilingue è confusa ai linguisti persino per i soggetti cosiddetti normodotati, figuriamoci per il sordo! A. Martinet (tr. it. 1977, p.168) scrive «l idea che il bilinguismo implichi due lingue di rango identico è tanto diffusa e radicata che certi linguisti hanno proposto il termine diglossia per designare una situazione in cui una comunità utilizzi, secondo le circostanze, un idioma più familiare e di minore prestigio, oppure uno più dotto e ricercato. Il bilinguismo sarebbe un fatto individuale, mentre la diglossia riguarderebbe comunità intere». Per quanto riguarda il bilinguismo del sordo si rifletta che sperimenta un approccio linguistico bilingue contraddittorio rispetto all udente. Il sordo è letteralmente lingua visiva sia nella prima che nella seconda lingua, perciò il suo linguaggio ha genesi da uno stimolo principalmente visivo; il bambino sordo si trova a comunicare con individui familiari, insegnanti, coetanei - tutti udenti che sviluppano e sperimentano il linguaggio per mezzo di processi psicolinguistici afferenti

17 all acustico-verbale. La migliore via, per sviluppare tutte le potenzialità psicolinguistiche, è far convivere i bambini sordi sia a scuola che nell attività ludica. Molte deficienze d apprendimento e la carenza del profitto scolastico sono imputabili alla mancata conoscenza e strutturazione dei lessemi segnici. Il docente che ha in carico il sordo segna a modo suo, per lo più adopera gesti goffi, inadeguati a veicolare contenuti, tramiti i quali il sordo possa conseguire, dapprima l informazione e poi elaborare il ragionamento, sino alla ritenzione. La forma più corretta o consigliabile è che docente e allievo dialoghino in lingua dei segni con termini precisi e il vocabolario segnico sia arricchito secondo i bisogni d apprendimento. L obiettivo principale non è solo la comprensione di ciò che dice l insegnante, ma anche come gli è detto! E che cosa e come l alunno o lo studente memorizza. Quando il docente rinuncia a conoscere o ad utilizzare la lingua dei segni perché afferma che è tempo sprecato, optando alla consueta definizione «tanto mi legge bene le labbra», dimostra d aver capito poco dei processi psicolinguistici del sordo. Rinuncia, a priori, a capire la lingua visuomanuale, a predisporre un programma didattico ad hoc con fondamento tale lingua. Oggi non siamo i soli nello affermare che molti sordi sono cresciuti in una forma di pidgin che rende impossibile il bilinguismo perché costretti a convivere, volenti o no, con la lingua verbale di maggioranza, che influenza (ogni) loro agire e, alla fine, si rivela un vero e proprio coattismo linguistico stressante, nel quale non si trovano a loro agio (cfr R. Pigliacampo, 2007, p.72-74). Il sordo non può rimanere, per sviluppare al massimo le potenzialità linguistiche visive, nel pidgin. Se rimane in questa zona neutra andrà da solo a ricercare le parole cinestetiche ( i segni ) per compensare i propri processi mentali: e raramente ci riuscirà perché se la lingua è mettere insieme codici, il linguaggio li veste di contenuti grazie alle esperienze di ciascuno di noi nel mondo delle interazioni con le persone e le cose. Ci vuole sempre un input guidato che il sordo avrà difficoltà ad individuare da solo perché finirà di miscelare una comunicazione composta di parole verbali e di gesti convenzionali, rendendo difficile la comprensione dei contenuti,

18 vale a dire la sua lingua dei segni, perché non si è evoluta, restata pidgin. La proposta bilingue può essere sintetizzata nel seguente schema. Lingua vocale (2ª lingua del sordo) Lingua dei segni (1ª lingua del sordo) Lingua dei segni italiana a) prima verbale e b) poi scritta (Il bambino sordo deve essere esposto alla LIS secondo un vocabolario appropriato all età) 1a. La lingua verbale (LV) poche volte è appresa o conosciuta dal sordo secondo l'etnolinguistica locale (per. esempio il dialetto, specificità di lessemi caratteristici del luogo,ecc.). 2b. La lingua scritta è appresa attraverso un idonea didattica che implica, nel docente di sostegno, la conoscenza della LIS per comprendere la modalità percettiva visiva dalla quale il sordo elabora la sua lingua visuomanuale che dovrà tradurre, nel nostro caso, nella lingua italiana scritta. Educazione bilingue coscienziale (E.B.C.) L educazione bilingue coscienziale favorisce il bambino sordo nell accesso primariamente alla propria identità linguistica, al Sé chomiskiano che lo spinge a pensare nei codici visuomanuali. Egli deciderà, una volta adulto, d essere persona nella sua lingua dei segni senza emarginare la lingua verbale della maggioranza, che sposerà seconda lingua. Come se dovesse vivere (in questo in parte è reale) in due mondi che utilizzano due lingue diverse ma ugualmente efficaci. Quando il sordo non raggiunge la coscienza linguistica si barcamena tra l una e l altra lingua senza provare gratificazione in nessuna delle due. Oggi molte logopediste (L. Gisoldi, 2000) lavorano su un programma bilingue per venire incontro alla necessità di comunicazione spontanea del piccolo sordo. Il bilinguismo felice Il XIX e il XX secolo dell istruzione dei sordi italiani sono stati caratterizzati dal cosiddetto oralismo o verbalismo, senza che il piccolo avesse intrinseci significati della parola utilizzata. Perché un fatto è pronunciare i segni vocali, appresi tramite il senso della vista, comandandoli con la stessa nell emissione dell apparato fonatorio, e un altro elaborarli

19 percependone tutta la doviziosità. Nella prima potrebbe esservi anche un imitazione meccanica del morfema, nella seconda ipotesi s innesta sempre (ma talvolta in molti, confessiamolo, è l'opposo) un processo inconscio che rivela e/o solleva in chi ci ascolta una tempesta di emozioni. Nel bilinguismo il bambino sordo potrà accedere alla sua porzione di felicità, facendosi comunità tra gli eguali perché s appropria dei segni visuomanuali che sono i propri: e li manipola, grazie alla vista che guida le mani che danno forma al segno. I sordi non ricevono più sofferenza (D. Bouvet, 1986) dalla società di maggioranza perché ne creano un altra altrettanto valida, soprattutto gratificante nell interrelazione, che parla in modo appropriato ed efficacissimo secondo le esigenze e caratteristiche espressive visuomanuali ( ). E opportuno preparare una classe bilingue. Questa predisposizione e integrazione deve iniziare subito, sin dalla scuola materna. - Presentazione del bambino nella classe della scuola ordinaria nella quale siano inseriti due e più bambini sordi coetanei. - Presenza di un educatore sordo segnante o udente per almeno tre o quattro ore al giorno. - Estendere la conoscenza della LIS all insegnante comune e a tutti i bambini con cui il piccolo sordo interagisce. - Estendere la conoscenza della LIS agli operatori scolastici a mente delle loro esigenze operative nell ambito scolastico (bidelli, terapisti, dirigente scolastico, impiegati...). - Favorire e stimolare il bambino a comunicare con i coetanei tramite i segni appropriati all età. Lo stesso i bambini udenti nei suoi confronti. - Favorire l apprendimento della dattilologia, partendo dal proprio nome, ed insegnandola a tutti i bambini della classe. - Caratterizzare con un segno personale di riconoscimento ogni bambino affinché il bambino sordo possa rievocarlo per scambi dialogici ed emozionali. - Caratterizzare, con un segno personale di riconoscimento, tutti coloro che hanno un occupazione entro la scuola (dirigente scolastico, insegnanti, bidelli, impiegati, autista dello scuolabus, ecc,.)

20 - Favorire l accoglimento della LIS prima a livello ludico poi come lingua vera e propria programmandola sull orario delle lezioni. - Non utilizzare segni complicati sia nel significato sia nell esecuzione. - Intervenire correggendo l erronea esecuzione del segno allo stesso modo con cui correggiamo la pronuncia sbagliata di una parola. L ausilio di eseguire il segno è un atto d esercitazione fondamentale per il sistema neurale che dovrà correggere l erroneo comando delle mani per riformare il codice cinetico. - Gratificare il bambino sordo nei suoi scambi internazionali coi compagni di classe e con tutti coloro che abitano la scuola. E l atto di segnare e d essere visto a favorire l amore della lingua scelta dal nostro bambino ricordando sempre che non ode ma vede! - Gratificare il bambino con i segni al di fuori della sua realtà percettiva, ossia introdurlo, sin da piccolo, all astrazione. Per esempio: Dio, amore, bontà, gioia, eccetera. La lingua dei segni è il principio del farsi e disfarsi del linguaggio, già valutato da Jakobson per i bambini udenti. Esperienza che ciascun bambino deve vivere per appropriarsi del mondo linguistico. Il nostro piccolo accederà al linguaggio con difficoltà senza il possesso dei fondamenti del segno, vale a dire: vedo ed elaboro secondo un preciso codice visivo e cinetico, memorizzo, penso e ragiono, richiamo il codice che veicolo nel segno-forma pregno di emozioni, idee e propositi. Il bilinguismo è l educazione a due lingue, entrambe sfruttando, ripeto, il canale visivo. Così preparato alla vita non sarà mai emarginato nella comunità. Avrà sempre da giocare due carte: da una parte la «lingua dei segni» della comunità nella quale si esplica la massima funzione di relazione linguistica emozionale e informativa; dall altra userà la «lingua verbale» come strumento di conoscenza critica e di partecipazione in quella comunità. Egli si troverà pertanto in una situazione di privilegio, decidendo liberamente su quale società scommettere per il futuro. (cfr Renato Pigliacampo, pp )

21 Bibliografia essenziale Fabbro Franco, Il cervello bilingue, Astrolabio, Roma Pigliacampo Renato, Parole nel movimento. Psicolinguistica del sordo, Armando, Roma, Pigliacampo Renato, Dizionario della disabilità, dell handicape della riabilitazione, Armando, Roma 2008, 2. Fabbretti Daniela, Tomasuolo Elena, Scrittura e sordità, Carocci,Roma Bagnara Caterina ed altri, I segni palano. Prospettive di ricerca sulla Lingua dei Segni Italiana, Franco Angeli, Milano Scuola di Silenzio, Lettera a una Ministro (e dintorni), Armando, Roma

22 Studi e ricerche l educazione dei sordi, (Serie IX - CXIV) LA CULTURA SORDA OVVERO LA FORMA DELL ACQUA 1 di Roberta Vasta In molti continuano a chiedersi che cosa sia la cultura dei sordi, qual'è il concetto e come si può definirlo, ma ogni volta non si riesce mai a trovare una risposta soddisfacente. Vorrei tentare di spiegarne il perché e provare a chiarire alcuni punti fondamentali per affrontare la questione. Innanzi tutto rispondere alla domanda qual'è il concetto di cultura sorda è come voler rispondere alla domanda qual'è la forma dell acqua? L acqua prende la forma del contenitore nel quale è messa e quindi per parlare della forma dell acqua non possiamo fare a meno di parlare del contenitore che vogliamo usare, parallelamente parlare di cultura sorda significa parlare del contenitore definizione del concetto di cultura che vogliamo usare. Gli studi di Stokoe alla fine degli anni '60 hanno dimostrato che il sistema comunicativo su base visivo-gestuale usato da molte persone sorde è una vera e propria lingua [Caselli, Maragna, Volterra; 2006], considerando che l omogeneità linguistica è stata spesso assunta da etnologi e glottologi come indicatore di omogeneità culturale, sociale ed etnica [Fabietti, 2000; 73], ciò ha alimentato negli Stati Uniti i primi studi sulla cultura dei sordi orientati verso la ricerca di sistemi culturali circoscritti da descrivere come elenco di tratti, seguendo la logica teorica che ad una lingua corrisponde necessariamente una cultura, una razza o un etnia. Le definizioni-contenitore di cultura a carattere descrittivo ispirate al principio una lingua-una cultura non funzionano nel nostro caso, sono contenitori bucati che lasciano sempre 12/02/201512/02/ Omaggio ad Andrea Camilleri

23 fuoriuscire qualcosa. Usando tali definizioni si cade nell'errore di creare categorie che poi non si riesce a riempire, così si dice che i sordi hanno i loro usi, costumi e tradizioni e poi nessuno riesce a definirli o a farne un elenco. Inoltre quello che diciamo essere valido in un dato momento storico non lo è più dopo pochi anni [Corazza, Volterra,; 2008]; ad esempio l'affermazione che il cuore della cultura sorda si trova nei circoli o nei pub ora suona come anacronistica. Nel giro di pochi anni la realtà sociale è cambiata ed è sempre in continuo cambiamento, dunque non esiste più il cuore della cultura sorda? Come risolvere queste questioni? E' chiaro che il contenitore che è stato usato finora per dare forma alla differenza culturale che hanno messo in scena i sordi non funziona adeguatamente. Non solo non descrive, ma sembra addirittura negare la possibilità stessa dei sordi di rivendicare una loro appartenenza al gruppo in termini di cultura altra in quanto non riesce ad essere esplicativo, ossia dice che esiste una cultura ma poi non la spiega e descrive. E' importante allora partire da un altro contenitore ossia da un altra possibilità di definire la cultura sorda. Ci appoggiamo in questo agli studi sulle relazioni interetniche che analizzano le forme culturali in termini di relazione tra gruppi. Le teorie di Fredik Barth, che non si è mai occupato di sordi, sui gruppi etnici possono offrirci dei chiarimenti. Partendo da un discorso di destrutturazione delle vecchie teorie l'autore propone un'altra visione sugli studi dei gruppi etnici. Barth parte appunto da una critica delle teorie classiche sui gruppi etnici, i quali vengono considerati come "una popolazione che a) si perpetua biologicamente con successo; b) condivide i valori culturali fondamentali, realizzati in aperta unità nelle forme culturali; c) produce un campo di comunicazione e di interazione; d) ha un insieme di membri che identifica se stesso ed è identificato dagli altri, in quanto costituisce una categoria distinguibile dalle altre categorie dello stesso ordine" [Barth; 1994; 35]. Secondo l autore, critico soprattutto relativamente al punto a) e al punto b), una tale concezione dà troppo valore alla condivisione di caratteristiche culturali comuni, rischiando così di riproporre un modello di gruppo etnico dove i confini con altri gruppi sono delineati in

24 funzione dell'isolamento e le differenze tra loro si riducono a un elenco di tratti culturali distinti. Anche in queste teorie ritorna l'idea di spiegare un gruppo etnico nei termini di un elenco di tratti culturali da ricercare come caratteristiche condivise dal gruppo. Nel caso degli studi sui sordi, Johnson e Erting fanno riferimento ai sordi in termini di gruppo etnico [Fontana, Zuccalà; 2009] riprendendo le teorie di Fishman per i concetti di patrimonio e paternità e di Barth per quello dei confini. A proposito di gruppo etnico adottano tale definizione: J. Fishman identifica il concetto di continuità biologica in un gruppo etnico come paternità, la quale è relativa ad una reale o supposta continuità biologica tra generazioni. La paternità è a sua volta legata ad un altro concetto fondamentale chiamato patrimonio che si riferisce ai modi in cui i membri di un gruppo etnico si comportano e come manifestano la loro appartenenza al gruppo1 [Johnson, Erting; 1989: 45] Quindi affermano che la paternità è legata al dato biologico della sordità, considerato involontario, visto che la maggior parte dei bambini con un deficit sensoriale nasce da genitori udenti. Il patrimonio invece, volontario, sarebbe rappresentato da comportamenti e attitudini di appartenenza al gruppo [Johnson, Erting; 1992]. A livello teorico già lo stesso Barth aveva messo in discussione la visione di gruppo etnico che si perpetua biologicamente (la critica al punto a). Questo è ancora più evidente per il gruppo dei sordi: non solo si può nascere senza udito in parte o totalmente, ma lo si può perdere anche nei primi anni di vita per cause diverse. Potenzialmente e teoricamente ogni bambino potrebbe diventare sordo. Già questo spezza l idea di continuità biologica che rimane una variabile arbitraria. La condizione biologica di vita di un individuo di assenza o limitazione della percezione uditiva, sia innata che acquisita, non 12/02/201512/02/ J. Fishman (1977) identifies the concept of biological continuity in an ethnic group as paternity, which relates to real or putative biological connections between generations. Paternity in turn is linked to another primary concept called patrimony, which concerns the ways in which members of ethnic collectivities behave and what they do to express membership

25 rappresenta un fattore di determinazione culturale o etnico. Essa viene messa in gioco nella definizione e nella percezione del gruppo, ma non ne rappresenta un fattore di continuità biologica, tanto meno il dato biologico determina automaticamente l'appartenenza al gruppo in termini di gruppo etnico o alterità culturale. Una persona può perdere l udito a 70 anni e non percepire se stesso come appartenente al gruppo dei sordi, non interessarsi alla lingua dei segni, e a sua volta difficilmente verrebbe percepito come un sordo, piuttosto verrebbe considerato come una persona con problemi di udito. Il dato biologico entra in causa perché, nei primi anni di vita di una persona, determina una predisposizione spontanea all uso della percezione visiva e dell esperienza visuale, facendo di una lingua visivo gestuale come la lingua dei segni il campo di comunicazione e relazione privilegiato nell interazione con gli altri [Caselli, Maragna, Volterra; 2006]. Esso diventa significativo solo se investito di valore simbolico dagli stessi attori sociali e qui entra in gioco la definizione di Barth di gruppo etnico, che ci offre delle spiegazioni. Il nodo centrale della questione è infatti "la caratteristica dell'autoattribuzione e dell'attribuzione da parte degli altri. Una attribuzione a una categoria è un'attribuzione etnica quando classifica una persona nei termini della sua identità di base, più in generale, che si presume determinata dalla sua origine e dal suo background. Nella misura in cui i soggetti stessi usano l'identità etnica per mettere loro stessi e gli altri in una categoria ai fini dell'interazione, essi formano gruppi etnici in questo senso organizzativo. [...] Sebbene le categorie etniche tengano conto delle differenze culturali, non possiamo presumere un semplice rapporto uno-a-uno tra unità etniche e somiglianze e differenze culturali. I tratti di cui si tiene conto non sono la somma delle differenze «obiettive», ma solamente quelli che i soggetti stessi considerano significativi. [...] Alcuni

26 tratti culturali sono usati dai soggetti stessi come segnali ed emblemi delle differenze, altri sono ignorati, e in alcuni casi differenze radicali sono minimizzate e negate."[barth; 1994: 39]. E' il dato dell'attribuzione e autoattribuzione di un individuo ad un gruppo, sulla base di quelle caratteristiche riconosciute come emblemi e segni della differenza, che crea i confini tra sordi e udenti in un processo dialettico di interazione tra gruppi. I confini che si delineano fanno sì che ciascun individuo possa essere identificato come membro interno o esterno del gruppo. Barth prende in esame i fattori attraverso i quali si attua questa separazione-collocazione: "I contenuti culturali delle dicotomie etniche parrebbero a livello analitico essere di due ordini: a) segnali o segni manifesti: caratteri diacritici che le persone cercano ed esibiscono per mostrare la loro identità, spesso caratteri come l'abbigliamento, il linguaggio, forma delle abitazioni o stile di vita in generale, e b) fondamentali orientamenti di valore: gli standard di moralità e merito con cui un atto è giudicato. Poiché l'appartenere a una categoria etnica implica l'essere un certo tipo di persona, avere quell'identità di base, implica anche la richiesta di essere giudicati, e di giudicare se stessi, secondo quegli standard che sono rilevanti per quell'identità" [Barth; 1994: 39-40]. I caratteri distintivi diacritici, che i sordi esibiscono, sono in primo luogo la conoscenza e l'uso della lingua dei segni come mezzo privilegiato di comunicazione: i sordi vedono nella lingua dei segni la possibilità di comunicare naturalmente, spontaneamente; possibilità offerta dall utilizzo del canale integro, quello visivo-gestuale. Come si crea il confine lo dimostra la risposta che molto spesso mi è capitato di avere quando in contesti particolari (alcuni seminari e lezioni ai corsi di LIS) ho posto questa

27 domanda, che in apparenza sembra banale: qual'è la differenza tra sordi e udenti?. La maggior parte delle persone quasi sempre udenti ha risposto: i sordi non sentono, gli udenti sentono. Alla stessa domanda molte persone sorde, anche di differenti livelli socio culturali, hanno risposto: gli udenti parlano, i sordi segnano. La differenza culturale dunque si delinea sull'uso o no di una lingua, la lingua dei segni. Per comodità e convenzione chiameremo il gruppo degli udenti le persone che hanno sottolineato l aspetto della percezione sensoriale, mentre gruppo dei sordi quelle che hanno dato importanza alla modalità comunicativa, anche se ribadisco essere riconosciuto come membro dell'uno o dell'altro gruppo non ha a che fare con l'essere biologicamente sordi o udenti. Il deficit sensoriale in sé non sembra per gli stessi sordi essere così significativo: le differenze nel grado di sordità o nella possibilità di recupero del residuo uditivo con le protesi sembrano essere distinzioni non rilevanti, anche se poi oggettivamente possono esserlo nella vita di un individuo. Il dato biologico entra in causa in quanto permette la naturalità dell'uso della lingua dei segni, e gli orientamenti di valore sembrano essere appunto la padronanza e la capacità di giocare a livello linguistico con questa lingua da parte del segnante [Volterra, Russo; 2007]. Porre l'accento sull'attribuzione come nodo centrale nella questione della definizione dei gruppi etnici per Barth chiarisce anche alcuni punti riguardanti l attestazione dei confini: "a) Una volta definito il gruppo etnico come gruppo di attribuzione ed esclusivo, la natura della continuità delle unità etniche è chiara: dipende dal mantenimento di un confine. I tratti culturali che segnalano il confine possono cambiare, e le caratteristiche culturali dei membri possono parimenti essere trasformate, di fatto, e anche la forma organizzativa del gruppo può cambiare: eppure il fatto di mantenere la dicotomizzazione tra membri esterni ed interni ci permette di specificare la natura della continuità, e di indagare la forma e il contenuto culturali mutanti

28 b) Solamente i fattori di rilevanza sociale diventano distintivi dell'appartenenza dei membri, non le differenze manifeste, «oggettive», che sono generate da altri fattori" [Barth; 1994: 40]. Nel caso dei sordi la continuità del gruppo-unità etnica e l esclusività dell attribuzione, sono fattori legati anche alla variabilità e contingenza delle quotidiane interazioni tra attori sociali. Proviamo a fare un esempio. Immaginiamo di passare una giornata insieme a Monica, un personaggio di fantasia, ma abbastanza verosimile. Monica è udente, laureata, vive a Roma, e la mattina lavora in una scuola superiore dove ci sono alcuni studenti sordi, è un'assistente alla comunicazione. Nella scuola lei è percepita come un membro interno al gruppo dei sordi dai docenti della scuola, anche gli studenti sordi quando sono in classe le percepiscono come membro interno. Finito di lavorare si reca presso l'istituto Statale per Sordi, dove partecipa a una riunione per il programma di studio sulla lingua dei segni al quale collabora insieme a colleghi sordi e udenti. In questo caso si trova su un territorio di confine, in una zona di frontiera, dove la divisione tra i due gruppi è molto sfumata. Magari è percepita come membro esterno al gruppo dei sordi se il lavoro in quella riunione è analizzare un testo in LIS e lei, rispetto ai sordi, ha competenze minori. Potrebbe però essere percepita come appartenente al gruppo se nella riunione si sta presentando ad altri studiosi esterni, che non conoscono la LIS, il programma di studio. Nel pomeriggio poi va alla sede centrale dell'ente Nazionale Sordi, perché c'è un interessante seminario sulla storia dei sordi al quale vuole partecipare. Qui è chiaramente collocata all'esterno del gruppo dei sordi. Nell'arco di una stessa giornata, in contesti e situazioni diverse, Monica è stata riconosciuta come membro interno ed esterno al gruppo. Tutto questo significa che non possiamo parlare dei sordi in termini di gruppo culturalmente differente? Non proprio. Secondo Barth è rilevante che comunque ci sia sempre la percezione dell'esistenza di un confine, di due gruppi in relazione tra loro e che gli individui di fronte a questa demarcazione percepiscano se stessi e gli altri come membri

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