Conferenza stampa di presentazione del Rapporto Intervento di Antonio Marchesi

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1 Conferenza stampa di presentazione del Rapporto Intervento di Antonio Marchesi 1) Il Rapporto , che presentiamo oggi, contiene informazioni sulla situazione dei diritti umani in 160 paesi. E' il consueto "Atlante" delle violazioni dei diritti umani che Amnesty International mette a disposizione ormai da parecchi decenni che, a partire da quest'anno, esce con qualche mese di anticipo rispetto al passato. Mi fa piacere segnalare come il Rapporto di Amnesty International venga tradotto in Italiano sin dalla fine degli anni '70, praticamente da quando è stata fondata la sezione italiana, di cui quest'anno ricorre il 40esimo anniversario. E mi piace anche segnalare come quest'anno l'italiano sia l'unica lingua "non internazionale" in cui esce, grazie anche all'editore Castelvecchi, in versione integrale. Non è possibile fare ora, a voce, una vera e propria sintesi dei contenuti del Rapporto. Questa la affidiamo a voi, fornendovi, oltre al Rapporto, una serie di materiali utili a tal fine. Quello che vorremo fare noi è, invece, proporvi una o più chiavi di lettura, facendo alcune considerazioni sulle novità del contesto in cui le violazioni avvengono, che è in evoluzione; sui rischi che vediamo all'orizzonte - un orizzonte molto ravvicinato; e su ciò che la comunità internazionale sta facendo (o meglio, non sta facendo) e ciò che invece dovrebbe fare, a nostro avviso, per evitare un aggravamento ulteriore di una situazione che, per quanto riguarda le violazioni dei diritti fondamentali delle persone, è già oggettivamente catastrofica. 2) Nel 2014 milioni di persone sono rimaste intrappolate nella violenza. Gli scenari sono diversi: da Gaza alla Siria, dall'ucraina all'iraq, ma anche la Nigeria e la Repubblica Centrafricana. E la risposta globale ai conflitti e alle violazioni commesse sia da stati che da gruppi armati è stata vergognosa e inefficace. Di fronte all aumento degli attacchi barbarici di gruppi armati, ma anche della repressione indiscriminata da parte di alcuni governi, la comunità internazionale non ha saputo dare risposte. Si deve constatare - ed è triste doverlo fare - come proprio nell'anno, il 2015, in cui cade il 70 esimo anniversario della nascita delle Nazioni Unite, istituite per assicurare che gli orrori della Seconda guerra mondiale non si sarebbero mai più ripetuti, si sia costretti ad assistere a una 1

2 violenza su scala così massiccia, la quale ha prodotto a sua volta una crisi dei rifugiati dalle dimensioni enormi; e di assistere a un clamoroso fallimento nella ricerca di soluzioni efficaci per risolvere le necessità più pressanti dei nostri tempi. Noto a parte come sia da attribuire alle Nazioni Unite - ma all'assemblea generale non al Consiglio di sicurezza - uno dei pochi buoni risultati che segnaliamo rispetto al 2014: l'adozione di una risoluzione contro la pena di morte, che è stata approvata con una maggioranza più ampia che in passato. Un giorno in cui le Nazioni Unite si segnalano per uno sviluppo positivo non cancella tuttavia lo sconforto per la circostanza che gli altri 364 siano trascorsi assistendo, senza riuscire a o volere intervenire, a ciò che accade nel mondo. Il 2014, dunque, si caratterizza: a) in generale, per il numero delle atrocità commesse sia da governi che da gruppi armati; b) più specificamente, per la crescita del potere di gruppi armati che assumono il controllo di territori assai ampi usando tattiche barbariche (ma che allo stesso tempo, vale la pena ricordarlo, sanno usare in modo efficace i social media, anche per reclutare nuovi adepti); c) per un numero di rifugiati e sfollati di enorme dimensione; d) infine, anche per i segnali di ritorno a tensioni da guerra fredda in Europa. Tutto ciò - ed è quel che più preoccupa - ha costi umani elevatissimi: centinaia di migliaia di persone uccise o ferite, milioni di persone in fuga dalla violenza a cui vengono negate protezione e assistenza e che a volte vengono lasciate morire; pulizia etnica e violenze sessuali diffuse nel contesto di conflitti armati. 3) Se la situazione attuale è questa, e se le risposte (o quantomeno le risposte giuste) per il momento non arrivano, il timore è che nel biennio la situazione possa ulteriormente peggiorare per l'effetto combinato di tre fenomeni. In primo luogo, come conseguenza dell'ulteriore estensione dell influenza di gruppi come Boko haram, il c.d. Stato islamico e Al Shabaab oltre i confini nazionali. Ciò potrà comportare che sempre più civili saranno costretti a vivere sotto un controllo quasi statale da parte di questi gruppi - senza diritti, sottoposti a persecuzione e discriminazione. Già nel 2014, del resto, gruppi 2

3 armati (anche se non tutti analoghi, sotto il profilo del controllo del territorio, a quelli che ho citato) hanno commesso gravi abusi in ben 35 paesi. In secondo luogo, rischia di peggiorare ulteriormente la crisi dei rifugiati che già vede milioni e milioni di persone in fuga dalla guerra e dalla persecuzione, quattro dei quali solo dalla Siria (la grandissima maggioranza dei quali si trova ora nei paesi confinanti, e non in Europa). È terribile vedere come i paesi ricchi considerino prioritario lasciare le persone fuori dai propri confini piuttosto che tenerle in vita. I leader mondiali hanno il potere di alleviare la sofferenza di milioni di persone, destinando impegno politico e risorse economiche all assistenza e alla protezione di coloro che fuggono dai pericoli, fornendo aiuti umanitari con maggiore generosità e organizzando il reinsediamento dei rifugiati più vulnerabili. Ma occorre un cambio significativo di atteggiamento. Continuare a perseguire l'obiettivo esclusivo di impedire l'arrivo di chi fugge dalla violenza attraverso la chiusura delle frontiere è non soltanto non risolutivo (solo un'opinione pubblica male informata, spesso volutamente, può essere indotta a crederlo). Soprattutto, ha e continuerà ad avere, inevitabilmente, un costo inaccettabile in termini di sofferenza e di perdita di vite umane. Il terzo fenomeno che potrebbe contribuire a un peggioramento della situazione è dato - occorre sottolinearlo - dalle risposte sbagliate. Nel 2014 diversi governi hanno adottato tattiche draconiane e repressive. Per fare solo qualche esempio, in Nigeria comunità già terrorizzate da Boko haram sono state sottoposte alla violenza delle forze di sicurezza, che hanno compiuto uccisioni extragiudiziali, arresti arbitrari di massa e torture; in Russia e in Asia Centrale, persone accusate di reati di terrorismo o sospettate di militare in gruppi islamisti sono state torturate dagli agenti della sicurezza nazionale; in Turchia, la legislazione antiterrorismo, formulata in modo generico, ha continuato a essere usata per criminalizzare il legittimo esercizio della libertà d espressione; anche le nuove norme antiterrorismo in discussione in Francia e Spagna (ma anche in altri paesi europei) hanno elementi di vaghezza inaccettabili per una norma penale. La necessità di mantenere sicuro il mondo non può essere usata come giustificazione - o come pretesto - per giustificare violazioni dei diritti umani. Stiamo vedendo, in sostanza, alcuni pessimi segnali, che comprendono anche la previsione di un ingiustificata sorveglianza di massa. Queste reazioni impulsive spesso creano un ambiente repressivo nel quale l estremismo può crescere. Insomma, non vorremmo che qualcuno volesse rispolverare soluzioni alla Guantanamo o alla Abu Ghraib e pensasse di riproporre quella ricetta, già rivelatasi fallimentare e controproducente dopo 3

4 l'11 settembre, e pensasse che possa essere quella la via per superare il difficile momento che l'umanità sta vivendo. 4. Nel tratteggiare questo quadro complessivo, alquanto tetro, dello stato dei diritti umani nel mondo non vogliamo esimerci dal formulare qualche raccomandazione. Pensiamo infatti che non sia impossibile invertire la tendenza e creare le premesse per riprendere il cammino verso un mondo più sicuro, in cui i diritti e le libertà siano protetti. E', molto banalmente, una questione di volontà politica, di tutti gli stati (anche se in maniera più determinante di quelli più potenti). Una richiesta precisa di Amnesty International, che viene formulata oggi e sarà rilanciata in tutte le sedi, è quella di rinunciare al potere di veto ogni volta che una proposta di risoluzione abbia per oggetto misure per porre fine ad atrocità di massa e la punizione di queste. Il Consiglio di sicurezza non ha saputo affrontare adeguatamente le crisi in Siria, Iraq, Gaza, Israele e Ucraina, neanche quando sono stati commessi crimini orrendi contro la popolazione civile da parte degli stati o dei gruppi armati, perché non era nel proprio interesse politico. Il 22 febbraio, due giorni fa, è caduto il primo anniversario dell'adozione della risoluzione 2139 sulla Siria: il conflitto era iniziato tre anni prima. Ci sono voluti tre anni perché si trovasse un accordo politico nel Consiglio per chiedere in sostanza la fine degli attacchi indiscriminati - che sono tuttavia continuati senza sosta. Amnesty International ora chiede ai cinque membri permanenti del Consiglio di rinunciare formalmente e preventivamente al loro diritto di veto nei casi di genocidio o di altri gravi crimini. Un atto di questo tipo potrebbe segnare un cambio importante di atteggiamento, oltre a essere uno strumento utile alla difesa di vite umane. Così facendo, i cinque grandi attribuirebbero alle Nazioni Unite un margine d azione più ampio per tutelare i civili in caso di gravi rischi per le loro vite e invierebbero un segnale importante che il mondo non resterà a guardare passivamente. Una seconda richiesta è che tutti gli stati ratifichino il Trattato sul commercio delle armi, la cui entrata in vigore, anche grazie a una lunga campagna di Amnesty International e di altre organizzazioni, è una delle non molte buone notizie dello scorso anno. Ora devono ratificarlo, tra gli altri, Stati Uniti d America, Cina, Canada, India, Israele e Russia. Nel 2014, enormi forniture di armi sono state inviate in Iraq, in Siria, in Sud Sudan, nonostante la probabilità assai elevata che sarebbero state usate contro i civili intrappolati nei conflitti. Quando lo Stato islamico ha conquistato ampie parti dell Iraq, ha trovato arsenali pronti all uso. E poco importa, a questo 4

5 punto, che il nemico di turno di coloro che avevano permesso l'afflusso di armi fosse cambiato: non più il regime di Assad ma l'isis. L irresponsabile flusso di armi che, una volta presenti sul territorio, vengono usate ora dall'uno ora dall'altro per colpire soprattutto la popolazione civile, deve cessare. Una terza richiesta è quella di non rispondere al terrore dei gruppi armati, come in una passato ancora recente, con misure inaccettabili e controproducenti. Mi sono già soffermato su questo aspetto e quindi non lo riprendo. Infine, ed è una richiesta che abbiano ripetuto ossessivamente per tutto il 2014, i paesi ricchi devono fornire aiuti a chi fugge e non voltarsi dall'altra parte. E' inaccettabile che uno stato, attraverso le proprie scelte politiche e operative, metta a repentaglio la vita di chi ad esso si rivolge proprio per chiedere di avere salvata la vita propria e dei propri familiari. 5