Come reintervenire sul patrimonio esistente

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1 C E N S I S 1 Seminario strategico Censis-Ance Come reintervenire sul patrimonio esistente Bologna, 19 maggio 2011

2 INDICE Premessa: gli obiettivi del seminario Pag. 1 1.Il patrimonio esistente: risorsa o onere? Una ricchezza diffusa La difficile eredità degli anni del boom 7 2. Le dinamiche di contesto Gli effetti della dispersione residenziale La crescente diversificazione della condizione abitativa La valorizzazione dell esistente come chiave di un nuovo paradigma Qualità e sostenibilità ambientale: la necessità di una svolta Lavorare alle diverse scale Risparmio energetico: ragionare in termini di risultato Mobilità urbane e virtù (dimenticate) della città compatta Sostituzione e densificazione: due tabù da superare Obiettivo mix sociale: diversificare l offerta I fattori di successo del progetto urbano: regia pubblica ed incentivi Appendice/Gli esempi 39

3 PREMESSA: GLI OBIETTIVI DEL SEMINARIO Con questo primo seminario strategico Censis e Ance si pongono l obiettivo di avanzare una riflessione a tutto campo sul tema fondamentale dell intervento sul patrimonio abitativo esistente, individuando per il futuro delle strategie di fondo aderenti alla realtà dei problemi concreti e dei bisogni. Quella che si vuole tratteggiare è una visione ancorata ad una lettura delle dinamiche di cambiamento della domanda, ma anche attenta ai grandi obiettivi collettivi che la società si sta dando nella direzione di una maggiore sostenibilità dello sviluppo. Il presente dossier ha quindi la funzione di stimolare una discussione interna su un tema di sicura rilevanza per il futuro: del resto le quantità in gioco suscettibili di riqualificazione negli ambiti urbani sono tali da richiedere la definizione di priorità e l elaborazione di strategie che riguardino l organismo urbano nel suo complesso. Negli scorsi decenni, a fronte della realizzazione di un parco residenziale numericamente consistente nonché di una notevole diffusione del godimento della casa in proprietà, l incremento qualitativo, specie nei grandi contesti urbani, è essenzialmente rimasto circoscritto all'ambito delle unità edilizie senza un parallelo sviluppo del complesso sistema di funzioni e di relazioni che connotano la vita delle città. Reintervenire sulla parte qualitativamente più scadente dell esistente innalzandone le performances tecnologiche, ambientali ed urbanistiche, è sulla carta un opzione che riscuote ampi consensi. Di fatto, tranne eccezioni interessanti ma quantitativamente limitate, lo sviluppo urbano degli ultimi anni è andato nella direzione opposta, incrementando il consumo di suolo ed esasperando le già preoccupanti disfunzioni del modello di crescita per proliferazione: congestione veicolare, innalzamento dei consumi energetici, banalizzazione ed impoverimento della qualità urbana. Sul fronte del patrimonio esistente ci si è limitati alla logica, pur giusta in molti casi, dei piccoli interventi di manutenzione. Per questo si tratta di un inversione di rotta che rappresenta ancora in gran parte una sfida tutta da affrontare, e che richiede peraltro il superamento di alcuni veti ideologici e l adozione di una logica operativa e progettuale molto attenta alla complessità delle questioni in gioco: da quelle ambientali a quelle sociali. 1

4 1. IL PATRIMONIO ESISTENTE: RISORSA O ONERE? 1.1. Una ricchezza diffusa Il Paese dispone di un vasto patrimonio edilizio, in gran parte fatto di case. Basti ricordare che le unità immobiliari censite al catasto nelle categorie A, B, C, D ed E sono risultate pari a 57,8 milioni (tab. 1). Una dimensione senza dubbio ingente, senza contare gli immobili non registrati o quelli oggetto di interventi edilizi per i quali non è stata effettuata la registrazione (secondo l'agenzia del territorio sono oltre 2 milioni di particelle del Catasto Terreni, su cui sono stati identificati immobili non presenti negli archivi del Catasto Edilizio Urbano). Il 56,3% delle unità immobiliari registrate sono abitazioni ed un ulteriore 35,8% è costituito da unità immobiliari riferibili in larga massima alle pertinenze residenziali (cantine e locali di deposito, box e posti auto). In sostanza solo il 7,8% delle unità immobiliari non appartiene al settore residenziale. Per quanto concerne gli immobili residenziali la distribuzione della proprietà tra persone fisiche e persone non fisiche è nettamente a favore delle prime che detengono infatti, oltre il 90% delle abitazioni. Del resto la casa è sempre stata un tema molto sentito dalle famiglie italiane che in passato hanno indirizzato ad essa gran parte dei loro risparmi: la progressiva crescita del benessere delle famiglie è stata accompagnata, anche per effetto delle politiche pubbliche, da una diffusione della proprietà immobiliare che fatta eccezione per la Spagna, non ha avuto eguali in Europa. Ciò è ancora vero benché nella maggior parte dei paesi europei a partire dagli anni 80 si sia verificato un progressivo e generale riorientamento delle politiche, improntato ad un significativo ridimensionamento dell intervento pubblico, sempre meno centrato sull impegno diretto dello Stato a costruire un offerta abitativa, e sempre più diretto a sostenere il progressivo espandersi dell accesso all abitazione in proprietà (fig. 1). Gli immobili rappresentano la principale componente della ricchezza delle famiglie. Secondo Banca d Italia (che ha utilizzato i dati dei prezzi degli immobili dell Osservatorio del Mercato Immobiliare dell Agenzia del Territorio e di proiezioni della superficie media e del numero complessivo di abitazioni), alla fine del 2009 la ricchezza in abitazioni detenuta dalle 2

5 famiglie italiane ammontava a circa miliardi di euro, corrispondenti a circa euro in media per famiglia. Sempre secondo la Banca d Italia, la quota di attività reali in abitazioni risulta dunque pari a oltre l 82% del totale delle attività reali e quella in fabbricati non residenziali a meno del 6%. Le attività reali detenute alla fine del 2008 dalle famiglie italiane erano pari a 5,4 volte il reddito disponibile, un valore di poco inferiore a quello della Francia (5,7), in linea con quello del Regno Unito (5,2), ma superiore a quello degli Stati Uniti (2,2), del Canada (3,3) e del Giappone (3,4). Si conferma per l Italia una maggiore propensione all investimento immobiliare, che riflette tra l altro una struttura del sistema produttivo che vede la preponderanza delle microimprese familiari, per le quali gli immobili sono anche capitale d impresa. La casa è un anche un importante voce di spesa per le famiglie italiane: la quota della spese ordinarie imputabili all abitazione, pur con delle evidenti differenze territoriali, è in crescita. Complessivamente si attesta tra il 33% del sud ed il 39% del centro Italia (tab. 2). Naturalmente, alle spese ordinarie si deve sommare l eventuale impegno economico legato alla manutenzione dei beni immobili. Dall indagine sui consumi delle famiglie dell Istat risulta che nel 2009 nel trimestre considerato quasi il 5% delle famiglie italiane ha sostenuto una spesa di questo tipo, per un importo medio, nel trimestre, di 820 euro (tab. 3). Infine il legame col patrimonio è segnalato anche dalla forte stanzialità delle famiglie: a fronte di una media di 21 anni, nello stock in proprietà il numero di anni medio di permanenza della famiglia nella stessa abitazione è di ben 24 anni, che salgono a 27 nei casi di usufrutto (fig. 3). 3

6 Tab. 1 - Patrimonio edilizio registrato al Catasto per tipologia di proprietario Tipologia Totale immobili Di proprietà di persone fisiche Di proprietà di persone non fisiche Numero unità immobiliari % Numero unità immobiliari % Numero unità immobiliari % Abitazioni , , ,1 Pertinenze , , ,5 Non residenziale , , ,0 Totale , , ,6 Fonte: elaborazione Censis su dati Agenzia del Territorio, 2010 Fig. 1 - Quota di abitazioni godute in proprietà o in usufrutto gratuito in alcuni paesi europei: confronto Fonte: elaborazione Censis su dati Housing Statistics in the EU

7 Fig. 2 - Valore della ricchezza dovuta ad attività reali in rapporto al reddito disponibile: confronto internazionale Fonte: elaborazione Censis su dati Banca d Italia, 2010 Tab. 2 - Quota della spesa familiare mensile destinata alla casa (val.%) Nord Centro Sud Abitazione 26,5 27,7 27,7 28,8 29,0 29,3 22,7 22,9 23,2 Energia e combustibili 5,1 4,7 5,3 4,9 4,7 5,1 4,9 4,6 5,3 Elettrodomestici e arredamenti 5,9 5,9 5,8 5,6 5,0 4,9 6,2 5,9 5,4 Totale 37,5 38,3 38,8 39,3 38,7 39,3 33,8 33,4 33,9 Fonte: elaborazione Censis su dati Istat "I consumi delle famiglie,

8 Tab. 3 - Famiglie che hanno effettuato, negli ultimi tre mesi, spese di manutenzione straordinaria dell'abitazione principale e relativa spesa media, per epoca di costruzione - Anno 2009 (val.% e valore medio in euro) % famiglie che hanno effettuato un intervento di manutenzione straordinaria Spesa media (in ) Tipo di fabbricato Unifamiliare 4,9 915 Plurifamiliare 4,8 779 Epoca di costruzione abitazione Prima del , dal 1919 al ,5 808 dal 1946 al ,6 758 dal 1962 al ,9 906 dal 1972 al ,4 787 dal 1982 al , Dopo il ,0 459 Totale 4,8 820 Fonte: elaborazione Censis su dati Istat, "I consumi delle famiglie, 2009" Fig. 3 - Numero di anni medi di permanenza nell alloggio per titolo di godimento dello stesso Fonte: elaborazione Censis su dati Istat, I consumi delle famiglie

9 1.2. La difficile eredità degli anni del boom edilizio Tuttavia questa ricchezza diffusa rischia di perdere valore nel tempo, dato che il patrimonio residenziale esistente è stato in buona parte costruito rapidamente nell arco di anni, cioè negli anni della ricostruzione e poi del boom edilizio spesso con disegni urbanistici poveri, caratteristiche architettoniche e costruttive sovente di scarsa qualità, carenza di reti infrastrutturali. Si tratta di un dato che ci distingue da paesi come Francia e Regno Unito che hanno conosciuto un forte sviluppo urbano già nell Ottocento e nei primi del Novecento. Da questo punto di vista, un po paradossalmente, si può dire che le nostre città, pur conservando più di altre un cuore antico ad alta stratificazione, il centro storico, sono relativamente giovani : si sono sviluppate cioè soprattutto negli anni del secondo dopoguerra, anni in cui, a fronte di una popolazione urbana in forte crescita, è stato tumultuosamente realizzato un vasto patrimonio abitativo in tempi molto ristretti. In questo quadro, fatta eccezione per la Germania che in relazione alle enormi distruzioni belliche ha dovuto ricostruire gran parte delle proprie città, il nostro paese con 10 milioni di abitazioni realizzate tra il 1946 ed il 1971 (il 36,8% del totale al Censimento 2001) è in cima alla classifica europea per quota del patrimonio realizzato negli anni 50 e 60 (tab. 4). Un dato che caratterizza in particolare le città maggiori: la percentuale di abitazioni realizzate nel secondo dopoguerra rappresenta in molte di queste oltre il 50% del patrimonio (fig. 4). Anche per tale ragione quello realizzato negli anni e 60 è un segmento di stock caratterizzato, rispetto alla produzione più recente, da un maggior peso relativo dell affitto e da un maggiore incidenza di tipologie edilizie intensive (tab. 5). Si tratta evidentemente di quantità in gioco enormi: gli ambiti urbani suscettibili di riqualificazione hanno estensioni tali da non poter essere metabolizzabili nell arco di una sola generazione, richiedono tempi lunghi, la definizione di priorità e la presenza di strategie che riguardino l'organismo urbano nel suo complesso. All interno di questo vasto stock esistono naturalmente tipologie insediative tra loro diverse, quali: 7

10 - i complessi di edilizia sociale pubblica, spesso dotati di un disegno unitario ma penalizzati da un edilizia a basso costo e da scarsi livelli di manutenzione; - i grandi quartieri della speculazione edilizia, sovente caratterizzati da densità edilizie elevatissime e dalla forte carenza di spazi pubblici e verdi; - gli insediamenti abusivi (a Roma e nel sud del paese) caratterizzati da reti stradali e tecnologiche inadeguate, e da un disegno urbanistico povero. Un fenomeno di vaste proporzioni in quegli anni: secondo le indagini relative alla prima sanatoria edilizia (anni compresi tra il 1942 e il 1983), si tratta di 2,5 milioni di alloggi interamente abusivi, pari a circa 7,5 milioni di stanze edificate (ma già all epoca alcune valutazioni ritenevano che, scontando una quota fisiologica di mancata adesione alla sanatoria, i dati più realistici dell abusivismo edilizio riguardavano 3,2 milioni di alloggi interamente abusivi). - un vasto stock di seconde case, soprattutto nelle aree costiere. Per le modalità con cui è stato realizzato, il patrimonio esistente non solo non rispetta quelle qualità tecnologiche che oggi si richiedono ad un immobile, ma, in ragione della sua avanzata obsolescenza, rischia di perdere parte del suo valore. La quota di edifici con più di 40 anni, soglia temporale oltre la quale si rendono indispensabili interventi di manutenzione e/o di sostituzione di gran parte dei componenti edilizi dei fabbricati (pena la caduta stessa del loro grado di efficienza strutturale e funzionale), sta crescendo progressivamente: basti ricordare che oggi quasi il 55% delle famiglie occupa un alloggio realizzato prima del 1971 (fig. 5). Peraltro va ricordato che fino a metà degli anni 70 in Italia non è stata varata alcuna norma relativa al risparmio energetico, e che gli edifici sono una importante voce del consumo di energia ed una delle principali cause di spreco. Nel 2009 il 35,2% dell energia impiegata in Italia è stata destinata agli usi civili legati agli edifici (riscaldamento, luce, acqua calda, energia per cucinare): è un volume stimabile in 46,9 milioni di tonnellate di petrolio equivalente. Un consumo in crescita del 18,1% negli anni

11 Tab. 4 - Quota del patrimonio residenziale totale realizzato nei primi anni del secondo dopoguerra (dati al 2005 salvo *) Periodo Considerato Quota % dello stock realizzata nel periodo Quota % dello stock realizzata in media annualmente nel periodo Germania (29 anni) 47,4% 1,6 Italia* (26 anni) 36,8% 1,4 Danimarca (19 anni) 24,5% 1,3 Svezia (30 anni) 37,8% 1,3 Spagna* (25 anni) 33,5% 1,3 Grecia* (25 anni) 31,8% 1,3 Belgio (25 anni) 29,0% 1,2 Finlandia (25 anni) 30,6% 1,2 Regno Unito (20 anni) 21,0% 1,1 Ungheria (25 anni) 27,2% 1,1 Olanda (25 anni) 28,4% 1,1 Austria (26 anni) 28,5% 1,1 Polonia (26 anni) 26,9% 1,0 Portogallo (29 anni) 22,9% 0,8 Francia (25 anni) 18,0% 0,7 Irlanda (25 anni) 15,9% 0,6 * Dati 2001 Fonte: elaborazione Censis su dati Housing Statistics in the EU,

12 Fig. 4 - Quota percentuale di abitazioni realizzate tra il 1946 ed il 1971 nelle principali città italiane (al Censimento 2001) Fonte: elaborazione Censis su dati Istat Tab. 5 - Il diverso profilo della condizione abitativa per epoca del patrimonio (val.%) Epoca di costruzione dell edificio Dopo il 1991 Famigli residenti in abitazione in affitto Famiglie residenti in abitazione in edificio plurifamiliare 20,6% 16,5% 16,4% 73,2% 75,1% 69,5% Fonte: elaborazione Censis su dati Istat, Indagine sui consumi delle famiglie

13 Fig. 5 - Famiglie per epoca di costruzione dell abitazione occupata Fonte: elaborazione Censis su dati Istat, Indagine sui consumi delle famiglie

14 2. LE DINAMICHE DI CONTESTO Due grandi dinamiche di trasformazione vanno considerate per comprendere il ruolo futuro del patrimonio edilizio esistente, ed in particolare di quello che costituisce la città compatta frutto della ricostruzione e degli anni del boom edilizio e della grande espansione urbana degli anni 50 e 60: - da un lato le dinamiche territoriali legate alla dispersione residenziale; - dall altro le dinamiche sociali di diversificazione e frammentazione della domanda abitativa e della stessa composizione sociale dei tessuti urbani Gli effetti della dispersione residenziale Il patrimonio realizzato per dare risposta alla domanda abitativa della fase dell inurbamento costituisce il tessuto principale delle vecchie periferie urbane che per una lunga fase sono state caratterizzate da alte densità abitative e da una generale carenza di servizi ed infrastrutture. Oggi il quadro è in gran parte mutato quelle vecchie periferie, ormai parte integrante della cosiddetta città consolidata, hanno in genere colmato il gap: si pensi nel caso delle grandi città, alla realizzazione, certo tardiva rispetto alle altre città europee, delle linee di metropolitana. Inoltre, in relazione alla notevole estensione degli ambiti urbani, la loro posizione è divenuta assai meno periferica, e la qualità generale dell ambiente di vita è in parte migliorata. Ciò ha fatto sì che in molti casi i relativi valori immobiliari hanno subito un forte incremento, mentre, anche per effetto dei processi di invecchiamento, la loro densità abitativa è diminuita. A mutare il ruolo delle vecchie periferie hanno contribuito i processi di redistribuzione della popolazione a scala metropolitana. Se si considerano le dinamiche demografiche delle prime 12 città italiane negli ultimi due decenni ( ), si nota come il saldo positivo di 1,2 milioni di abitanti sia la risultante di una perdita di popolazione di 461mila abitanti nei capoluoghi, cui ha corrisposto un incremento di ben 1,66 milioni di residenti nei comuni esterni, cioè nel resto della provincia. Una fenomenologia che si riscontra in tutte le maggiori città, ad eccezione di Genova, dove pesa il declino demografico del capoluogo (fig. 6). 12

15 Considerando un intervallo temporale più recente ( , fig. 7), si nota il parziale recupero di popolazione nei comuni capoluogo del centronord, determinato unicamente da un saldo migratorio positivo legato all apporto dell immigrazione. Tuttavia resta forte il differenziale di crescita con le aree esterne, che a fronte di una generale pressione della domanda, sono state quelle che hanno assorbito maggiormente nuova popolazione. In sostanza nelle grandi aree urbane l esistenza di una offerta abitativa quasi unicamente fondata sulla casa in proprietà e sempre meno accessibile dalle fasce medio-basse, ha alimentato un esodo continuo verso le prime e ormai soprattutto le seconde cinture urbane, ma complessivamente verso il resto della provincia, dove i valori immobiliari sono più accessibili. Questo processo di redistribuzione residenziale ha peraltro alimentato in gran parte l esplosione del pendolarismo quotidiano verso le città, che continuano a concentrare gran parte dei posti di lavoro soprattutto nei servizi. Proprio il Censis ha misurato nel 2008 le dimensioni di questo fenomeno, decisamente impressionanti: in Italia dal 2001 al 2007 il numero di coloro che si spostano quotidianamente per lavoro/studio al di fuori del proprio comune è passato infatti da 9,6 a 13,1 milioni (fig. 8). Una mobilità di scala metropolitana che rimane fortemente legata, anche per gli spostamenti sistematici, all uso del mezzo privato, soprattutto per i residenti dei comuni esterni al comune centrale capoluogo. In questo caso la scelta dell auto riguarda addirittura i ¾ degli spostamenti quotidiani per lavoro (tab. 7). Le conseguenze sono note a tutti: aumento della congestione, incremento della produzione di polveri sottili e di CO2, allungamento dei tempi di spostamento. Secondo l Aci a Roma, ogni anno, un automobilista trascorre 503 ore in auto, di cui ben 252 bloccato in mezzo al traffico. La durata media di uno spostamento di un romano è di 60 minuti a viaggio. Molto simili i dati relativi a Milano con 498 ore annue trascorse da un automobilista in auto, di cui ben 237 nel traffico, e 58 minuti in media per ogni spostamento, mentre è leggermente al di sotto Torino, dove ogni anno la media annuale è di 450 ore al volante, di cui 180 nel traffico. Per arginare tale insostenibile deriva, si programmano investimenti infrastrutturali spesso chiamati ad un impossibile inseguimento dei processi insediativi. Di fatto gli interventi sulla mobilità sostenibile realizzati in questi anni, ed in particolare quelli relativi alla rete del ferro, hanno seppur tardivamente migliorato la dotazione delle vecchie periferie, che tuttavia nel frattempo hanno in parte perso popolazione, ma non hanno intercettato se non in parte la popolazione fuoriuscita negli hinterland. 13

16 Se si guarda al caso romano (tab. 8) si nota ad esempio come in anni recenti (periodo ): - la città consolidata esterna alla città storica ma dentro l anello ferroviario, cioè al momento probabilmente la zona maggiormente servita dalla rete dei trasporti, ha perso circa 22mila abitanti (-6%); - l area esterna all anello ferroviario e compresa all interno del raccordo anulare, cioè la gran parte della periferia storica, ha registrato una perdita di oltre 100mila abitanti, con un decremento pari a circa il 6%; - infine l area esterna al Gra, la periferia ancora in formazione, è cresciuta nello stesso periodo di oltre 170mila abitanti (una dimensione maggiore della popolazione di Reggio Emilia), registrando un incremento rilevantissimo, pari a circa il 30%. Ravvicinando ancora lo sguardo, è interessante analizzare i trend del settore nord della Capitale, dove è in avanzata fase di realizzazione la nuova linea B1 della metropolitana che attraverserà il II Municipio attestandosi con il capolinea nel IV, nella zona di Montesacro-Valmelaina. Ebbene il II Municipio nel periodo ha perso ben il 9% della popolazione, registrando una percentuale di popolazione over 65 anni pari quasi al 25%, mentre il IV Municipio, all interno del quale ricadono i nuovi insediamenti della centralità Porta di Roma, ha registrato anch esso un decremento, ma contenendo maggiormente le perdite (-1,4%). Nel frattempo i comuni confinanti a nord con quello di Roma, ben più lontani e mal collegati con il centro città, sono cresciuti del 20% (tab. 9). La composizione sociale delle diverse zone riflette inevitabilmente queste dinamiche: la percentuale di anziani decresce spostandosi all esterno, verso le aree meno servite e con valori immobiliari meno elevati, e simmetricamente aumenta la quota della fascia di età 0-14 anni. Ragionamenti analoghi possono essere fatti analizzando le dinamiche del Sud-ovest milanese: si vede bene come zone della città un tempo periferiche, come l asse Lorenteggio-Vigevanese, oggi servito dalla metropolitana, registrino un fase di declino demografico e di invecchiamento, mentre i comuni esterni, certo caratterizzati da servizi di minor livello, sono più giovani e dinamici (tab. 10). Di fatto, se si fa eccezione per le aree industriali dismesse del nord-ovest, il modello espansivo basato sul consumo di suolo è rimasto dominante. Anzichè trasformare le aree interne già urbanizzate si è costruito soprattutto nei comuni esterni, dove i piani urbanistici erano più permissivi, i costi delle aree più bassi, con tipologie edilizie più vicine ai desideri dell utenza. 14

17 E mancata la città, certamente, ciò anche perché le difficoltà procedurali e operative hanno finora bloccato la ripianificazione e trasformazione dei tessuti urbani esistenti. Lo spreco di suolo degli ultimi decenni testimonia la crisi di questo modello. Se gli anni di più rapida dilatazione delle città italiane sono stati quelli del dopoguerra e del boom economico, in cui il forte inurbamento e il conseguente fabbisogno abitativo hanno determinato la rapida urbanizzazione di vaste aree agricole intorno alle città storiche, in anni recenti, pur ormai chiaramente in assenza di una spinta demografica di quella forza, il consumo di suolo ha ripreso a crescere in modo rilevante. La città contemporanea si è dimostrata grande divoratrice di spazi: ciò sia in relazione al fenomeno dello sprawl urbano, con gli insediamenti residenziali a bassa densità della cosiddetta città diffusa, sia in relazione alle megastrutture per il consumo e l intrattenimento di massa. Si è realizzata una nuova offerta abitativa quantitativamente rilevante e quasi unicamente in proprietà, legata in parte a reali fattori di domanda: il forte incremento del numero delle famiglie e degli stranieri, la ricerca di migliori condizioni abitative, l espansione di un economia dei servizi a forte carattere urbano. L innalzamento dei valori immobiliari nelle aree centrali, caratterizzate da migliore qualità dell ambiente urbano e dei servizi, e da un più elevato livello di accessibilità, ha alimentato un ulteriore esodo di popolazione verso i comuni esterni. Comuni caratterizzati da un ampia offerta di nuova edilizia residenziale (basata su tipologie a bassa densità) a prezzi più accessibili. Di qui i processi di dispersione insediativa tipici della città diffusa, che hanno prodotto un ulteriore consumo di suolo agricolo. Sull entità del fenomeno permane una notevole carenza informativa, sebbene i pochi studi approfonditi in grado di identificare i reali termini quantitativi di questo processo siano estremamente preoccupanti. La mancanza di dati ufficiali forniti con adeguata periodicità all'elaborazione statistica limita anche la possibilità di valutare gli effetti di piani e normative. In ogni caso secondo stime del Censis in Italia nel periodo il consumo medio di suolo vergine (non più riconvertibile una volta sigillato e impermeabilizzato dagli usi urbani) per nuovi insediamenti, è stato in media pari a 53,2 ha/giorno, cioè 194 Kmq l anno, al netto dello spazio consumato per infrastrutture ed altre attrezzature (centrali energetiche, discariche, cave ecc.) (fig. 9). L andamento del consumo di suolo appare legato, più che alle dinamiche demografiche, al volume degli investimenti in costruzioni e alle scelte della 15

18 pianificazione urbanistica ed edilizia. Ed infatti, quando il consumo di suolo è diminuito, come nella recente crisi, ciò è avvenuto sostanzialmente per effetto della congiuntura negativa, e non per un indirizzo legislativo e di governo. Tab. 6 - Confronto tra variazione della popolazione residente nei comuni capoluogo e nel resto della provincia nelle principali città italiane (v.a) Variazione della popolazione nel comune capoluogo Variazione della popolazione nel resto della provincia Variazione della popolazione nella provincia Torino Milano Genova Venezia Verona Bologna Firenze Roma Napoli Bari Palermo Catania Totale Fonte: elaborazione Censis su dati Istat,

19 Fig. 6 Confronto tra variazione della popolazione residente nei comuni capoluogo e nel resto della provincia nelle principali città italiane (val. %) Fonte: elaborazione Censis su dati Istat Fig. 7 - Confronto tra variazione della popolazione residente nei comuni capoluogo e nel resto della provincia nelle principali città italiane (val. %) Fonte: elaborazione Censis su dati Istat 17

20 Fig. 8 - Andamento del pendolarismo in Italia nel periodo Valori assoluti in migliaia ,2 18,9 17,0 15, Valori % Fonte: Censis, 2008 Pendolari (migliaia) Incidenza sulla popolazione residente (%) Tab. 7 - Spostamenti sistematici per motivi di studio o di lavoro: confronto ripartizione della modalità tra gli abitanti del centro e quelli della periferia delle aree metropolitane, 2008 (val. %) Residenza Motivazione dello spostamento A piedi o in bici Treno Modalità dello spostamento Corriera, pullman aziendale o scolastico Tram, bus, metropolitana Auto (conducente o passeggero) Moto Comune centro area metropolitana Lavoro 16,2 2,6 1,9 28,1 53,8 11,3 Studio (persone fino a 34 anni) 37,3 1,8 1,1 29,9 31,6 8,4 Periferia area metropolitana Lavoro 11,4 6,3 4,7 8,5 76,1 4,3 Studio (persone fino a 34 anni) Fonte: elaborazione Censis su dati Istat, indagine multiscopo ,2 8,7 19,4 14,0 44,7 2,3 18

21 Tab. 8 Comune di Roma, variazione della popolazione per aree concentriche Zona Popolazione Variazione (v.a.) (val. %) Centro storico (mura aureliane) ,0% ,6% Città consolidata Dentro l anello ferroviario, ma fuori dalle mura aureliane ,0% Vecchia periferia Tra l anello ferroviario e il Gra A Totale Comune di Roma entro il Gra ,3% Comune di Roma fuori dal Gra (escluso XIII municipio) ,8% Fonte: elaborazione Censis su dati Istat e Comune di Roma, 2010 Tab. 9 - Roma Nord, variazione della popolazione per municipi (val.%) Variazione pop % popolazione over 64 % popolazione 0-14 anni Roma, II Municipio -9,0 24,4 11,9 (Linea B e linea B1) Roma, IV Municipio -1,4 21,1 11,8 Comune di Fontenuova (confinante) +21,1 17,7 14,6 Comune di Guidonia +20,0 14,2 16,8 Fonte: elaborazione Censis su dati Istat e Comune di Roma 19

22 Tab Milano Sud-ovest, confronto tra periferia milanese e comuni confinanti Variazione % pop % Popolazione over 64 % Popolazione 0-14 anni % Stranieri Milano, zona 6 Barona-Lorenteggio Linea rossa e futura linea 4 Corsico (11 km da Piazza Duomo) Abbiategrasso (26 Km da Piazza Duomo) -2,6 25,9 11,7 11,1 +0,9 23,6 12,2 8,9 +9,9 20,7 13,7 7,2 Fonte: elaborazione Censis su dati Istat e Comune di Milano Fig. 9 - Stima dell andamento del consumo medio di suolo (in ettari/giorno) nel periodo in Italia al netto delle infrastrutture Fonte: Censis,

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