San Camillo e Forlanini

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1 ANNALI DEGLI OSPEDALI San Camillo e Forlanini Volume 11, Numero 4, Ottobre - Dicembre 2009 Direttore FRANCO SALVATI Comitato di Redazione ALFONSO ALTIERI, FRANCESCO BELLI (Redattore capo), MAURO CALVANI, GIUSEPPE CARDILLO, PAOLO MATTIA, GIOVANNI MINARDI (Coordinatore), MAURIZIO MORUCCI, FABRIZIO NESI, BRUNO NOTARGIACOMO, SERGIO PILLON, ELIO QUARANTOTTO, PIETRO SACCUCCI, MICHELE SCOPPIO, GIANDOMENICO SEBASTIANI, ALESSANDRO SEVERINO Segreteria di Redazione: RITA VESCOVO, ALMERINDA ILARIA Comitato Scientifico-Editoriale Coordinatore ROBERTO CANOVA LOREDANA ADAMI, MARIO GIUSEPPE ALMA, CATERINA AMODDEO, DONATO ANTONELLIS, GIANLUCA BELLOCCHI, FRANCO BERTI, FRANCO BIANCO, ELSA BUFFONE, PIO BUONCRISTIANI, ALESSANDRO CALISTI, ILIO CAMMARELLA, ALBERTO CIANETTI, ENRICO COTRONEO, FRANCESCO CREMONESE, ALBERTO DELITALA, FILIPPO DE MARINIS, SALVATORE DI GIULIO, CLAUDIO DONADIO, VITTORIO DONATO, GIUSEPPE MARIA ETTORRE, ALDO FELICI, LAURA GASBARRONE, CLAUDIO GIANNELLI, EZIO GIOVANNINI, LUCIA GRILLO, MASSIMO LENTINI, ANNA LOCASCIULLI, IGNAZIO MAJOLINO, CARLO MAMMARELLA, LUCIO MANGO, EMILIO MANNELLA, LAURO MARAZZA, MIRELLA MARIANI, MASSIMO MARTELLI, ANTONIO MENICHETTI, GIOVANNI MINISOLA, CINZIA MONACO, FRANCESCO MUSUMECI, REMO ORSETTI, PAOLO ORSI, GIOVACCHINO PEDICELLI, VINCENZO PETITTI, LUCA PIERELLI, ROBERTO PISA, LUIGI PORTALONE, GIOVANNI PUGLISI, SANDRO ROSSETTI, ENRICO SANTINI, EUGENIO SANTORO, GIOVANNI SCHMID, CIRIACO SCOPPETTA, CORA STERNBERG, GIUSEPPE STORNIELLO, PIERO TANZI, ROBERTO TERSIGNI, ANNA RITA TODINI, CLAUDIO TONDO, MIRELLA TRONCI, ROBERTO VIOLINI Segreteria: GIOVANNA DE PAOLA ROMA Società Editrice Universo

2 Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini Roma Direttore Generale: Luigi Macchitella Direttore Sanitario: Diamante Pacchiarini Direttore Amministrativo: Antonino Giliberto ROMA Società Editrice Universo Abbonamenti 2009 Italia: istituzionali 100,00; privati 73,00 Estero: istituzionali 200,00; privati 146,00 Il prezzo di ogni fascicolo (solo per l'italia) è di 20,00, se arretrato 40,00 Per la richiesta di abbonamenti e per la richiesta di inserzioni pubblicitarie rivolgersi a Società Editrice Universo s.r.l., Via G.B. Morgagni, 1, Roma, Italia Tel ; Fax ; amministrazione@seu-roma.it Garanzia e riservatezza per gli abbonati L editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione scrivendo a: Società Editrice Universo s.r.l., Via G.B. Morgagni, 1, Roma, Italia Le informazioni custodite nell archivio elettronico della Società Editrice Universo s.r.l., verranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati vantaggiose proposte commerciali (legge 675/96). Direttore responsabile: Franco Salvati Iscrizione al registro della Stampa n. 176/98 con ordinanza del Tribunale di Roma in data 6/5/1998 Copyright Società Editrice Universo s.r.l., Finito di stampare nel mese di Dicembre 2009 dalla Tipostampa s.rl. - Lama di S. Giustino (PG) I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), in lingua italiana, sono riservati per tutti i paesi.

3 ANNALI DEGLI OSPEDALI San Camillo e Forlanini Volume 11, Numero 4, Ottobre - Dicembre 2009 Contenuto EDITORIALE Il cammino di una idea ambiziosa "I Primi tre anni " F. SALVATI 195 An ambitious idea in progress "The first three years " ARTICOLI ORIGINALI Basi biologiche ed applicazioni terapeutiche delle cellule "cytokine-induced killer" A. PERILLO, G. BONANNO. G. SCAMBIA, L. PIERELLI 197 Biological bases and therapeutic applications of "cytokine-induced killer cells" Il trapianto di cellule staminali da sangue di cordone ombelicale M.B. PINAZZI, B. MONTANTE, A. LOCASCIULLI, I. MAJOLINO 203 Umbilical cord blood stem cell transplantation Genetica della emocromatosi ereditaria S. MAJORE, F. BINNI, P. GRAMMATICO 214 Genetic hereditary hemochromatosis FOCUS: SARCOIDOSI Introduzione C. RAIMONDI 224 La sarcoidosi: quadri radiologici F. QUAGLIARINI 225 Aspetti istopatologici della sarcoidosi polmonare P. GRAZIANO 229 La sarcoidosi: ruolo della fisiopatologia respiratoria F. ARIENZO 231 Sarcoidosi polmonare: la diagnostica broncoscopica G. GALLUCCIO, G. LUCANTONI, P. BATTISTONI, S, BATZELLA, V. LUCIFORA, R. DELLO IACONO 232 Il BAL nello studio della sarcoidosi R. GASBARRA, A. DI LORENZO, M. BRONZINI 237 Esperienza di un ambulatorio per la sarcoidosi C. RAIMONDI, A.M. ALTIERI, M. CICCARELLI, S. D'ANTONIO, M.G. ALMA 240 Terapia della sarcoidosi con anti-tnfα P. ROTTOLI, C. OLIVIERI, E. BARBAGLI 244 GESTIONE E ORGANIZZAZIONE SANITARIA Salute globale: i determinanti della salute e le conclusioni del rapporto dell'oms a cura della Commissione sui determinanti sociali della salute C. RESTI 250 Global health: health determinants and the final report by who's Commission on social determinants of health

4 La Rivista è stata selezionata da ELSEVIER BV BIBLIOGRAPHIC DATABASES per l indicizzazione nei databases EMBASE, SCOPUS, COMPEDEX, GEOBASE, EMBIOLOGY, ELSEVIER BIOBASE, FLUIDEX E WORLD TEXTILES

5 ANNALI DEGLI OSPEDALI San Camillo e Forlanini Volume 11, Numero 4, Ottobre - Dicembre 2009 Editoriale IL CAMMINO DI UNA IDEA AMBIZIOSA I Primi tre anni AN AMBITIOUS IDEA IN PROGRESS The first three years FRANCO SALVATI* Sotto svariati profili è stato di grande rilevanza per l Azienda Ospedaliera San Camillo- Forlanini il triennio e ben lo delinea il Volume ad esso dedicato, curato da Alberto Bersani (marzo 2009, pagg. 84). Nella Presentazione del Dott. Luigi Macchitella, Direttore Generale, viene resa con grande chiarezza la filosofia e le strategie ispiratrici del percorso che ha portato - tra l altro - alla riformulazione del Atto Aziendale e alla ridefinizione sia degli assetti organizzativi che delle regole e delle procedure. Nel Volume questo percorso si snoda attraverso 16 capitoli in cui vengono illustrati i dettagli relativi ai singoli settori. In particolare nel capitolo Formazione e Governo Clinico: anni viene sottolineato l impegno nel campo dell aggiornamento, della formazione e dell educazione continua ed al riguardo viene rimarcata altresì la funzione della Biblioteca dell Azienda soprattutto per quel che concerne l obbiettivo di creare una rete di servizi che siano di supporto alla ricerca, alla didattica ed alla crescita della vita culturale degli Operatori della Sanità, trattandosi di Biblioteca specializzata in campo biomedico e dotata di materiale periodico con la finalità di facilitare l accesso all informazione scientifica. In questo contesto è da sottolineare che la Biblioteca è sede della Direzione della Rivista Scientifica Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini (nata nel 1999) e del Comitato di Redazione della Rivista stessa la quale nell arco temporale ha ricevuto e pubblicato (attualmente edita dalla prestigiosa Società Editrice Universo S.E.U.) numerosi lavori scientifici molti dei quali nella parte dedicata a Gestione e Organizzazione Sanitaria, lavori tutti provenienti anche da Autori stranieri e da Autori esterni all Azienda operanti in qualificate Istituzioni sia Ospedaliere che Universitarie dislocate per quanto concerne quelle italiane su tutto il territorio nazionale ma anche rivolti con visus internazionale alle attività di Cooperazione Ospedaliera ai Paesi in via di sviluppo. Il percorso degli Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini nel triennio in questione ha in un certo qual modo accompagnato parallelamente, di pari passo, tutte le numerose realizzazioni che sono state puntualmente dettagliate nel Volume, tra le quali quelle relative al Bilancio Sociale (Curare prendendosi cura, Le Giornate dell etica della cura, Dialogo e Solidarietà, ecc.). Un altro capitolo di grande rilievo è quello nel cui ambito va collocato il Numero Unico della Rivista dedicato esclusivamente all istituzione ed all attività del Centro per i Trapianti d Organo. Inserita nel circuito internazionale dell ELSEVIER BV Bibliographic Databases e pertanto indicizzata nei databases EMBASE,SCOPUS,COMPEDEX, GEOBA- SE, EMBRIOLOGY, ELSEVIER BIOBASE, * Primario Pneumologo Emerito, Direttore della Rivista Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini

6 196 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 11, 4, 2009 FLUIDEX, WORLD TEXTILES, la Rivista si integra pienamente con quegli obbiettivi dell Azienda Ospedaliera che hanno come prima sottolineato la finalità di promuovere l aggiornamento e di favorire la crescita culturale in ambito sanitario multiprofessionale corrispondendo in tal modo all auspicio espresso, come pubblicato sulla Rivista stessa, dal Dott. Luigi Macchitella al momento del suo insediamento quale Direttore Generale:realizzare anche attraverso gli Annali e all impegno di quanti vi collaborano la idea ambiziosa di fare dell Azienda un prestigioso edificio, centro propulsore e polo di attrazione. La pubblicazione, che qui segue di articoli sulle cellule staminali, in cui è riportata l esperienza e la progettualità di altrettanti gruppi di ricerca della nostra Azienda, a valenza internazionale, sono una ulteriore testimonianza di quanto sopra auspicato.

7 ANNALI DEGLI OSPEDALI San Camillo e Forlanini Volume 11, Numero 4, Ottobre- Dicembre 2009 Articoli originali BASI BIOLOGICHE ED APPLICAZIONI TERAPEUTICHE DELLE CELLULE CYTOKINE-INDUCED KILLER BIOLOGICAL BASES AND THERAPEUTIC APPLICATIONS OF CYTOKINE-INDUCED KILLER CELLS ALESSANDRO PERILLO 1, GIUSEPPINA BONANNO 1,2, GIOVANNI SCAMBIA 1, LUCA PIERELLI 2* 1 Dipartimento per la Tutela della Salute della Donna e della Vita Nascente, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma; 2 Dipartimento di Medicina Trasfusionale, Laboratorio Cellule Staminali e Terapie Cellulari, Az. Osped. S.Camillo-Forlanini, Roma Parole chiave: Cellule CIK. Terapia cellulare. Immunoterapia Key words: CIK cells. Cell-therapy. Immunotherapy Riassunto Le cellule cytokine-induced killer (CIK) rappresentano una popolazione di cellule T citotossiche con caratteristico fenotipo CD3 + CD56 +, identificata in tessuti sia umani che murini, da Lanier et al. nel Tali cellule sono dotate di notevole attività citotossica contro un ampia varietà di cellule tumorali. La loro azione citotossica non è ristretta per il sistema maggiore di istocompatibilità (MHC) né è il risultato di una citotossicità cellulare anticorpo-dipendente (ADCC), ma dipende dal contatto cellula CIK/cellula bersaglio, coinvolgendo le molecole di adesione e l esocitosi del contenuto di granuli citotossici. Le cellule CIK possono essere derivate da sangue periferico umano dopo espansione ex vivo in presenza di interferon-γ, di anticorpi monoclonali diretti contro il CD3, e di interleuchina-2. Le cellule CIK hanno dimostrato in studi preclinici e clinici promettenti effetti antitumorali contro diverse neoplasie, come le leucemie, l epatocarcinoma, il cancro polmonare, renale, gastrico, ovarico e cervicale. Abstract Cytokine-induced killer (CIK) cells are a population of cytotoxic T cells with typical CD3 + CD56 + phenotype, identified in both human and murine tissues by Lanier et al. in These cells are endowed with a high cytotoxic activity against a wide variety of cancer cells. Their cytotoxicity is not major histocompatibility complex (MHC)-restricted, neither antibody-dependent cellular cytotoxicity (ADCC)-dependent, but is due to CIK cell/target cell contact with the involvement of adhesion molecules and exocytosis of cytotoxic granules. CIK cells can be derived from human peripheral blood after ex vivo expansion with interferon-γ, anti-cd3 antibodies and interleukin-2. CIK cells showed promising antitumor effects against various cancers, including leukemia, hepatic, lung, renal, gastric, ovarian and cervical cancer, in preclinical and clinical studies. Aspetti biologici Negli ultimi 20 anni, sono state esplorate varie strategie per attivare cellule effettrici del sistema immune in grado di distruggere cellule tumorali residue o resistenti dopo trattamenti oncologici convenzionali. In questo contesto, i linfociti con fenotipo CD3 - CD56 + coltivati in presenza di alte con- centrazioni di interleuchina-2 (IL-2) danno origine a cellule lymphokine-activated killer (LAK). Tuttavia le cellule LAK presentano una bassa attività citotossica antitumorale, ed una difficoltà di espansione per poter essere utilizzate in ambito clinico; inoltre la loro attività necessita una somministrazione continua in vivo di IL-2 alla quale è associata tossicità.

8 198 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 11, 4, 2009 Un altra possibilità è quella basata sui linfociti che infiltrano le neoplasie, denominati tumor-infiltrating lymphocytes (TIL), con fenotipo CD3 + CD8 + CD56 +, che esercitano una citotossicità contro le cellule tumorali autologhe ristretta per il sistema maggiore di istocompatibilità (MHC). Tali cellule possono essere espanse in vitro con concentrazioni medio-basse di IL-2 per poi essere infuse nel paziente. I TIL riconoscono il tumore attraverso meccanismi mediati dal T-cell receptor (TcR); tuttavia risulta difficile la loro espansione in vitro e non possono essere isolati da tumori di piccole dimensioni. Alte dosi di TIL possono essere infuse senza tossicità, ma la loro efficacia è legata alla contemporanea somministrazione di alte dosi di IL-2 alla quale è invece associata una significativa tossicità 1. Una strategia alternativa è invece basata sulla possibilità di espandere cellule mononucleate di sangue periferico in presenza di interferon-γ (IFN-γ), IL-2 ed un anticorpo monoclonale contro l antigene di superficie CD3 (OKT3). Come risultato, si ottiene una popolazione cellulare con fenotipo e proprietà sia delle cellule T che delle cellule natural killer (NK). Tali cellule sono state denominate cytokine-induced killer (CIK) da Schmidt-Wolf e Negrin 2,3 per distinguerle da quelle NK. Le cellule CIK rappresentano dunque una popolazione di cellule T con caratteristico fenotipo CD3 + CD56 + ; esse costituiscono circa il 3% dei linfociti circolanti e sono state identificate in tessuti sia umani che murini da Lanier et al. nel Tali cellule, alla colorazione di Giemsa, sono morfologicamente simili ai grandi linfociti: hanno un diametro di 16-20μ, abbondante citoplasma e numerosi granuli citoplasmatici. Le cellule CIK sono dotate di notevole attività citotossica e sono in grado di lisare un ampia varietà di cellule tumorali. La loro citotossicità non è MHC-ristretta e, dal momento che non esprimono il CD16 (recettore Fcγ), non sono in grado di attivare una antibody-dependent cellular cytotoxicity (ADCC). La loro citotossicità è invece mediata dal contatto cellula CIK/ cellula bersaglio, coinvolgendo le molecole di adesione con esocitosi del contenuto di granuli citotossici 5. Tali granuli citotossici contengono: (i) proteine pore-forming, denominate perforine o citolisine; (ii) granzimi (una famiglia di serin-esterasi); (iii) enzimi lisosomiali; (iv) molecole di proteoglicano. Le cellule CIK effettrici riconoscono le cellule tumorali bersaglio e rilasciano i loro granuli citotossici nello spazio extracellulare nel punto di contatto con le cellule bersaglio stesse; a questo punto le perforine lisano le cellule bersaglio e i granzimi ne inducono l apoptosi. Sono stati descritti due meccanismi di degranulazione. Il primo, mediato dal lymphocyte function-associated antigen (LFA-1), determina una citolisi indotta dai granuli. Il secondo, TcR-dipendente, agisce invece attraverso la stimolazione dei recettori CD3 e CD3-simili sulle cellule CIK, determinando una citolisi mediata dai granuli. Entrambi i meccanismi sono sensibili agli aumenti intracellulari dei livelli di cyclic adenosine monophosphate (camp). Il primo meccanismo è dominante; infatti gli anticorpi anti-lfa-1 e anti- intercellular adhesion molecule 1 (ICAM-1) bloccano la lisi delle cellule tumorali mediata dalle cellule CIK, mentre gli anticorpi diretti contro le molecole del sistema human leukocyte antigen (HLA) di I e II classe, espresse dalle cellule bersaglio, o quelli diretti contro TcRα/β, CD3, CD4, CD8 e CD56 non bloccano l attività citolitica delle cellule CIK. Le cellule CIK posseggono anche un alto livello di attività citotossica contro linee cellulari tumorali resistenti agli agenti chemioterapici e, per tale motivo, possono essere utili nell aggredire malattie caratterizzate da resistenza farmacologica. Infatti anticorpi monoclonali contro la glicoproteina-p (Pgp), responsabile della multi-drug resistance, non bloccano la lisi, da parte delle cellule CIK, di cellule tumorali resistenti alla chemioterapia. Questo indica che la Pgp, non è direttamente coinvolta nell interazione fra cellula bersaglio tumorale e cellule CIK effettrici. Recentemente è stato dimostrato che l azione citotossica delle CIK è mediata anche dal recettore NK di gruppo 2D (NKG2D); infatti anticorpi che bloccano l espressione del NKG2D inibiscono la citotossicità delle cellule CIK. Le cellule CIK hanno attività antitumorale, sia in vitro che in vivo, nei riguardi di un ampio spettro di linee cellulari neoplastiche: OCI-Ly8, SU- DHL-4 (due differenti linee di linfoma umano a cellule B), K562, blasti di leucemia mieloide cronica di origine sia autologa che allogenica, e linee cellulari multidrug resistant. Nello stesso tempo, non è stato dimostrato alcun effetto tossico delle cellule CIK sui normali progenitori emopoietici CD34 +.

9 A. Perillo et al.: Immunoterapia con cellule CIK 199 Le cellule CIK possono essere espanse in vitro 6000 volte dopo 21 giorni di coltura in presenza di IFN-γ. Quest ultimo stimola i monociti a produrre IL-12, che porta le cellule ad esprimere il fenotipo Th1, e ha un azione sinergica con l anticorpo monoclonale anti- CD3, inducendo la proliferazione delle cellule T. L anticorpo monoclonale anti-cd3 agisce inoltre come stimolo mitogenico per tutte le cellule T, che possono espandersi in presenza di IL-2. Dopo tre settimane di coltura, le cellule T si differenziano in due popolazioni: cellule CD3 + CD56 + e CD3 + CD56 - che possono essere ottenute da pazienti con varie patologie emopoietiche, e, per la loro attività in vivo dopo trapianto, non necessitano di somministrazione esogena di IL-2. Nel contesto allogenico, le cellule CIK, grazie alla produzione di IFN-γ, hanno dimostrato di determinare, a fronte di un attività graft-versus-leukemia (GvL), scarso o assente effetto graft-versus-host disease (GvHD) 6. Applicazioni terapeutiche: l immunoterapia adottiva Per alcune tipologie di tumore, l uso della chemioterapia e della radioterapia convenzionali, insieme alla resezione chirurgica, non sempre garantiscono un efficacia terapeutica. Per tale motivo, nell ultimo decennio, la ricerca oncologica ha concentrato il suo interesse anche sullo studio delle interazioni che intercorrono tra il sistema immunitario e la neoplasia, con l obiettivo di identificare un meccanismo che possa essere adeguatamente sfruttato per eliminare specificamente le cellule neoplastiche, in particolare quelle esprimenti antigeni immunogenici sulla loro superficie. Infatti, nonostante gli straordinari progressi registrati nel trattamento delle malattie tumorali, sia nella chirurgia radicale che nella chemioterapia e radioterapia, l insorgenza della resistenza ad ognuna delle ultime due, o ad entrambe, rappresenta ancor oggi uno dei problemi di più difficile gestione nella cura del paziente oncologico. Uno degli strumenti più efficaci per evitare o attenuare lo sviluppo della farmacoresistenza, oltre a potenziare l attività citotossica di nuovi chemioterapici, e, in ultima analisi, migliorare la risposta terapeutica, è quello di esaltare le competenze del sistema immunitario del paziente che viene così messo in grado di eliminare completamente le cellule tumorali che comunque residuano. Tuttavia, sia a causa della malattia stessa che per l azione di molte delle molecole ad attività antineoplastica, il sistema immunitario del paziente oncologico risulta depresso. Lo sviluppo attuale delle conoscenza della moderna immunologia consente oggi di intravedere la concreta possibilità di prevenire e curare le neoplasie con gli stessi criteri che hanno condotto con successo alla cura e prevenzione delle malattie infettive, sviluppando metodologie terapeutiche in grado di uccidere la cellula tumorale senza indurre effetti collaterali incidenti sulla qualità di vita. È opinione concorde che il sistema immunitario non riesce a combattere efficacemente lo sviluppo dei tumori perché questi ultimi mettono in atto una serie di meccanismi di elusione che solo da poco tempo si riesce a definire e comprendere con sufficiente chiarezza nella loro complessità 7. Infatti, nonostante esista una chiara evidenza che la progressione della malattia nei pazienti neoplastici avvenga sotto il diretto controllo del sistema immunitario, è ugualmente evidente che le cellule neoplastiche sono in grado, a loro volta, di selezionare raffinati meccanismi per sfuggirne il controllo tra cui la crescita del tumore in spazi privilegiati, la secrezione di fattori immunosoppressivi, la selezione di varianti neoplastiche resistenti e l induzione di tolleranza immunitaria. È quindi necessario adottare strategie in grado di aggirare le difese messe in atto dal tumore e rendere quest ultimo suscettibile all azione antitumorale. Una di queste strategie consiste nell utilizzare contro il tumore cellule del sistema immunitario dello stesso paziente educate a combattere le cellule tumorali fuori dall organismo. Questa procedura, variamente definita come immunoterapia adottiva o immunoterapia cellulare fa parte del più vasto quadro delle terapie cellulari. L immunoterapia (cellulare) adottiva (detta anche passiva) si pratica infondendo direttamente nel paziente gli effettori cellulari specifici dell immunità antitumorale generati ex vivo. A differenza di quanto avviene nell immunoterapia attiva, il vantaggio dell immunoterapia adottiva risiede nella possibilità di evitare gli impedimenti generati dalla parziale immuno-incompetenza dei pazienti portatori

10 200 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 11, 4, 2009 di tumore, che potrebbero ostacolare la generazione di una efficace risposta antitumorale in vivo. È noto infatti che nel paziente oncologico la sorveglianza del sistema immunitario sul tumore è stata soppressa o elusa a seguito dell incapacità dell ospite di riconoscere gli antigeni tumorali, della tolleranza verso il self, della produzione di sostanze immunosoppressive, della generazione di varianti da parte del tumore primitivo, od altro. Aspetti critici sono la necessità di isolare ed espandere un numero di cellule effettrici sufficiente ad indurre una risposta efficace e persistente nel tempo, e l adozione di terapie adiuvanti mirate a migliorare la funzione e la sopravvivenza delle cellule reinfuse o a promuovere l induzione di un milieu (es: infiammatorio) favorente l attivazione delle cellule stesse. E comunque, anche l immunoterapia cellulare adottiva non è esente dall influenza negativa di fattori di immunosoppressione (es: le cellule T-regolatorie). In ultima analisi, l immunoterapia cellulare adottiva è una strategia terapeutica che ha come obiettivo il riconoscere le cellule tumorali ed indurre una risposta immune specifica in grado di causare la lisi delle cellule neoplastiche; il suo potenziale effetto antitumorale è stato già ampiamente documentato in studi condotti su modelli animali ed in sperimentazioni cliniche 2,3,8,9. In questo contesto, le cellule CIK hanno dimostrato in studi preclinici e clinici promettenti effetti antitumorali contro diverse neoplasie ematologiche, come le leucemie 10, o solide quali l epatocarcinoma 11, il cancro polmonare 12, renale 13, gastrico 14 e ovarico 15. Un recente studio ha inoltre evidenziato un effetto inibitorio delle cellule CIK sulla crescita del cervicocarcinoma umano sia in vitro che in vivo dopo xenotrapianto nel modello murino 16. Sono inoltre disponibili in letteratura dati clinici preliminari ottenuti utilizzando cellule CIK in casistiche ancora limitate di pazienti. Per quanto riguarda i risultati ottenuti mediante utilizzo di cellule CIK di derivazione allogenica, in pazienti affetti da neoplasie ematologiche recidivanti dopo trapianto allogenico (leucemie, linfomi, mielodisplasie), Introna et al. hanno dimostrato che la produzione di cellule CIK è fattibile e la loro reinfusione ben tollerata ed in grado di contribuire ad una risposta clinica. In particolare, su 11 pazienti arruolati, sono state osservate 1 stabilizzazione di malattia, 1 miglioramento ematologico e 3 risposte cliniche complete 6. Per quanto riguarda invece l uso di cellule CIK autologhe, i risultati di un recente studio pilota di Olioso et al. hanno evidenziato che l immunoterapia adottiva con tali cellule è, anche in questo caso, sicura e dotata di un promettente livello di efficacia terapeutica sia in neoplasie ematologiche avanzate (6 casi di linfoma) che in tumori solidi metastatici (5 casi di carcinoma renale e 1 caso di epatocarcinoma). Su un totale di 12 pazienti arruolati sono state ottenute 3 risposte complete (in 1 linfoma, 1 carcinoma renale e 1 epatocarcinoma) e 2 stabilizzazioni di malattia con una mediana di follow-up di 33 mesi 5. Progetto di studio Nell ambito dei tumori solidi ginecologici, il carcinoma della cervice uterina è caratterizzato, in caso di diagnosi precoce, da una buona prognosi dopo trattamento con chirurgia radicale o radiochemioterapia. La radiochemioterapia concomitante è fortemente consigliata nei casi di carcinoma localmente avanzato; tuttavia, le pazienti con malattia metastatica o recidivante ottengono risultati terapeutici scadenti con opzioni di trattamento limitate. Nelle recidive di cervicocarcinoma, sono ragionevolmente candidate ad un secondo tentativo di cura solo quelle pazienti con malattia a localizzazione centrale nella pelvi e che non mostrino segni clinici di metastatizzazione linfonodale o a distanza. Tranne rare eccezioni, in tutti gli altri casi si può realisticamente parlare solo di terapie palliative. Prescindendo dalla modalità di trattamento, le pazienti con carcinoma cervicale recidivante mostrano globalmente una sopravvivenza a 24 mesi del 10-15%, la quale scende drammaticamente al di sotto del 5% a 5 anni. Il trattamento suggerito per le pazienti con recidiva pelvica dopo chirurgia radicale è la radioterapia o, in particolari circostanze, l eviscerazione pelvica. Globalmente, i risultati terapeutici sono comunque insoddisfacenti con tassi di cura generalmente inferiori al 5%. I migliori risultati si rilevano nei casi di recidiva pelvica isolata di piccolo volume, con sopravvivenze a 5 anni comunque non superiori al 20-30%. Gli studi sull efficacia della chemioterapia nella

11 A. Perillo et al.: Immunoterapia con cellule CIK 201 malattia recidivante o metastatica con farmaci citotossici a dosi standard, da soli o in combinazione, condotti su un numero adeguato di pazienti, sono concordi nell indicare basse percentuali di attività terapeutica e percentuali di risposta molto variabili (10-25%), che solo in alcune casistiche superano il 40%. Raramente si sono registrate risposte complete, che sono comunque di breve durata. Fino ad oggi non è stato ancor identificato un trattamento innovativo in grado di migliorare ulteriormente la sopravvivenza nel cancro metastatico o recidivante della cervice uterina, ed in questo contesto sono necessari nuovi approcci terapeutici per diminuire la mortalità e la morbidità nelle pazienti. A tale scopo, nell ambito di una Convenzione stipulata tra l Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini e l Università Cattolica del Sacro Cuore, che prevede una diversificata gamma di collaborazioni scientifiche e cliniche tra il Dipartimento di Medicina Trasfusionale (DMT) Roma Ovest Direttore il prof. Luca Pierelli, il Dipartimento Materno Infantile Direttore il prof. Claudio Donadio, dell Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini e il Dipartimento Tutela della Salute della Donna e della Vita Nascente Direttore prof. Giovanni Scambia dell Università Cattolica del Sacro Cuore è stato elaborato un progetto di studio. Tale progetto di fase I/II si propone di valutare la fattibilità e l attività di una immunoterapia adottiva con cellule CIK autologhe in tumori ginecologici a prognosi molto sfavorevole quali i carcinomi metastatici o recidivanti della cervice uterina non responsivi ai trattamenti convenzionali. La produzione delle cellule CIK avverrà presso il laboratorio Cellule Staminali e Terapie Cellulari sito nel Dipartimento di Medicina Trasfusionale dell Azienda San Camillo-Forlanini, in seguito all autorizzazione ottenuta dall Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), che ha riconosciuto alla Struttura i requisiti richiesti per la produzione di medicinali per terapia cellulari e al direttore del Dipartimento suddetto i titoli e l esperienza per svolgere tale attività sotto la propria responsabilità e direzione tecnica (in base al Decreto Legislativo 6 novembre 2007, n. 200). L espansione delle cellule CIK verrà effettuata a partire da linfociti raccolti, mediante procedura di leucoaferesi, dalla stessa paziente che riceverà il trattamento. La terapia con cellule CIK verrà effettuata su singole pazienti in mancanza di valida alternativa terapeutica, nei casi di urgenza ed emergenza che pongono la paziente in pericolo di vita o di grave danno alla salute, nonché nei casi di grave patologia a rapida progressione. Tale terapia cellulare sarà effettuata sotto la responsabilità professionale del medico, in esecuzione di una prescrizione medica individuale per un prodotto specifico destinato ad un determinato paziente, in ottemperanza al Regolamento (CE) N. 1394/2007 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 13 novembre Le preparazioni cellulari saranno effettuate nel rispetto dei requisiti di qualità farmaceutica approvati dall Istituto Superiore di Sanità. I materiali utilizzati per la produzione ed espansione delle cellule CIK dovranno essere prodotti in good manufacturing practice (GMP); le citochine utilizzate (IFN-γ, IL-2, OKT3) saranno quelle per utilizzo clinico, fornite dalla farmacia ospedaliera di appartenenza della paziente. La procedura di raccolta ed espansione, con relativo cambio di terreno di coltura e aggiunta delle citochine, avverrà in un sistema chiuso mediante l utilizzo di apposite sacche. Ogni settimana verrà effettuata la conta emocromocitometrica, l analisi citofluorimetrica del fenotipo cellulare, i controlli microbiologici per endotossine e batteri, e lo studio citogenetico per la valutazione di alterazioni cromosomiche. Alla paziente verranno somministrate 1x10 7 cellule CIK per kg, ad intervalli di 3 settimane, e verrà valutata la tossicità locale e sistemica durante e dopo il trattamento. Prima del trattamento e durante il follow-up verranno effettuate le opportune valutazioni clinico-strumentali. Bibliografia 1. Leemhuis T, Wells S, Scheffold C, et al. A phase I trial of autologous cytokine-induced killer cells for the treatment of relapsed Hodgkin disease and non-hodgkin lymphoma. Biol Blood Marrow Transplant 2005; 11: Schmidt-Wolf IG, Negrin RS. Use of a SCID mouse/human lymphoma model to evaluate cytokine induced killer cells with potent antitumor cell activity. J Exp Med 1991; 174: Schmidt-Wolf IG, Lefterova P, Mehta BA, et al. Phenotypic characterization and identification

12 202 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 11, 4, 2009 of effector cells involved in tumor cell recognition of cytokine-induced killer cells. Exp Hematol 1993; 21: Lanier LL, Phillips JH, Hackett J Jr, et al. Natural killer cells: definition of a cell type rather than a function. J Immunol 1986; 137: Olioso P, Giancola R, Di Riti M, et al. Immunotherapy with cytokine induced killer cells in solid and haematopoietic tumours: a pilot clinical trial. Hematol Oncol 2009; (Epub ahead of print) 6. Introna M, Borleri G, Conti E, et al. Repeated infusions of donor-derived cytokine-induced killer cells in patients relapsing after allogeneic stem cell transplantation: a phase I study. Haematologica 2007; 92: Dunn GP, Bruce AT, Ikeda H, et al. Cancer immunoediting: from immunosurveillance to tumor escape. Nat Immunol 2002; 3: Rosenberg SA, Lotze MT, Muul LM. Observations on the systemic administration of autologous Lymphokine-activated killer cells and recombinant IL-2 to patients with metastatic cancer. N Engl J Med 1985; 313: Rosenberg SA, Spiess PS, Lafreniere R. A new approach to the adoptive immunotherapy of cancer with tumor infiltrating lymphocyte. Science 1986; 233: Kornacker M, Moldenhauer G, Herbst M, et al. Cytokine-induced killer cells against autologous CLL: direct cytotoxic effects and induction of immune accessory molecules by interferon-gamma. Int J Cancer 2006;119: Takayama T, Sekine T, Makuuchi M, et al. Adoptive immunotherapy to lower postsurgical recurrence rates of hepatocellular carcinoma: a randomised trial. Lancet 2000; 356: Kim HM, Lim J, Park SK, et al. Antitumor activity of cytokine-induced killer cells against human lung cancer. Int Immunopharmacol 2007;7: Schmidt-Wolf IG, Finke S, Trojaneck B, et al. Phase I clinical study applying autologous immunological effector cells transfected with the interleukin-2 gene in patients with metastatic renal cancer, colorectal cancer and lymphoma. Br J Cancer 1999; 81: Sun S, Li XM, Li XD, Yang WS. Studies on inducing apoptosis effects and mechanism of CIK cells for MGC-803 gastric cancer cell lines. Cancer Biother Radiopharm 2005; 20: Kim HM, Kang JS, Lim J, et al. Inhibition of human ovarian tumor growth by cytokine-induced killer cells. Arch Pharm Res 2007; 30: Kim HM, Lim J, Kang JS, et al. Inhibition of human cervical carcinoma growth by cytokineinduced killer cells in nude mouse xenograft model. Int Immunopharmacol 2009; 9: Corrispondenza e richiesta estratti: Prof. Luca Pierelli, lpierelli@scamilloforlanini.rm.it

13 ANNALI DEGLI OSPEDALI San Camillo e Forlanini Volume 11, Numero 4, Ottobre- Dicembre 2009 IL TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI DA SANGUE DI CORDONE OMBELICALE UMBILICAL CORD BLOOD STEM CELL TRANSPLANTATION MARIA BEATRICE PINAZZI, BARBARA MONTANTE, ANNA LOCASCIULLI 1, IGNAZIO MAJOLINO Unità Operativa di Ematologia e Trapianto di Cellule Staminali, 1 Unità Operativa di Pediatria ed Ematologia Pediatrica, Azienda Ospedaliera S.Camillo-Forlanini, Roma Introduzione Le cellule staminali emopoietiche (CSE) sono elementi presenti nel midollo osseo capaci di riprodurre interamente l emopoiesi dopo trapianto e dotate pertanto di capacità di auto-rinnovamento e di differenziazione 1. Il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche (HSCT: hematopoietic stem cell transplantation) rappresenta il trattamento di scelta per numerose condizioni neoplastiche e non, sia ematologiche che non-ematologiche. Esso consiste nell infondere al ricevente, solitamente per via endovenosa, un numero adeguato di CSE precedentemente prelevate da un donatore sano HLA-compatibile. L HSCT è preceduto da un trattamento immuno-mieloablativo (regime di condizionamento) ed è seguito da una terapia immunosoppressiva che ha il fine di favorire l attecchimento e di prevenire la complicanza più frequente: la graft-versus-host disease (GVHD, malattia da trapianto contro l ospite) nelle sue forme acuta e cronica. Gli scopi del trapianto sono: 1. sostituire con un tessuto ematologicamente ed immunologicamente normale il midollo osseo del paziente 2. sfruttare l effetto graft-versus-leukemia (GvL: reazione del trapianto contro la leucemia), sostenuto dai linfociti T del donatore. L effetto GvL si basa sull alloreattività nei confronti dei tessuti del ricevente e quindi anche della popolazione leucemica e rappresenta la terapia immuno-mediata peculiare del trapianto allogenico. Le cellule staminali sono residenti nel midollo osseo ma possono essere spinte a migrare nel torrente circolatorio sotto appropriati stimoli; si trovano normalmente anche nel cordone ombelicale del neonato come espressione di una fase precoce (fetale) dell emopoiesi. Col tempo si è giunti ad impiegare correntemente le seguenti sorgenti di cellule staminali emopoietiche: a. midollo osseo b. sangue venoso periferico c. sangue di cordone ombelicale caratteristiche e vantaggi sono riassunti nella tabella 1. Le principali indicazioni all HSCT sono rappresentate da: a. Malattie ematologiche acquisite: leucemia acuta, anemia aplastica, leucemia mieloide cronica, mieloma multiplo e patologie linfoproliferative in fase avanzata. b. Malattie congenite ematologiche e non: anemia di Fanconi, anemia di Blackfan- Diamond, talassemia, drepanocitosi, osteopetrosi, errori congeniti del metabolismo. c. Tumori solidi: neuroblastoma e sarcoma dei tessuti molli. Il limite principale che si pone all esecuzione del trapianto è rappresentato dalla disponibilità di un donatore HLA-compatibile. Nella pratica quotidiana, più di un terzo dei pazienti in cui vi sarebbe indicazione al trapianto non

14 204 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 11, 4, 2009 Tabella 1. Confronto tra le sorgenti di cellule staminali Midollo Osseo PBSC mobilizzate con G-CSF Cordone Ombelicale raccolta in anestesia generale numero di cellule raccolte: N. medio di MNC: 2 x10^8 /kg N. medio CD34+: 2x10^6 /kg N. medio linfociti T: 2.2x10^7 /kg Raccolta semplice, non anestesia generale Possibili effetti collaterali del fattore di crescita granulocitario (G- CSF) numero di cellule raccolte: N. medio di MNC: 9 x10^8 /kg N. medio CD34+: 7 x10^6 /kg N. medio di linfociti T: 27 x10^7 /kg Raccolta semplice e senza rischi Immediata disponibilità dell unità e basso rischio di malattie trasmissibili Parziale mismatches HLA: consentito numero di cellule raccolte: N. medio MNC: 0.3 x10^8 /kg N. medio CD34+: 0.2x10^6 /kg N. medio di linocitif T: 0.4 x10^7 /kg dispone di un donatore familiare. In questi casi si può ricorrere ai registri internazionali di donatori volontari ma, a causa del polimorfismo del sistema HLA, la ricerca non porta all identificazione di un potenziale donatore in una percentuale dei casi superiore al 30%. Oltre a ciò i tempi di ricerca sono spesso troppo lunghi in rapporto all urgenza del trapianto: la mediana è infatti di 3-4 mesi dall avvio della procedura 2. Per ovviare a questo inconveniente si può ricorrere all impiego di donatori con una compatibilità solo parziale, sia consanguinei che non; tali trapianti sono però gravati da una più elevata mortalità trapianto-correlata (transplant related mortality, TRM). Il trapianto di cellule staminali da cordone ombelicale (UCB, umbilical cord blood) non correlato rappresenta una possibile soluzione ad alcune di queste limitazioni. Le cellule staminali di UCB trapiantate in soggetti di basso peso corporeo, cioè sostanzialmente in età pediatrica, sono in grado di ricostituire l emopoiesi dopo terapia di condizionamento mieloablativo e, essendo immunologicamente meno mature di quelle adulte, rendono accettabile una maggiore disparità HLA tra donatore e ricevente. Con gli anni, dopo i primi successi clinici e le numerose esperienze di laboratorio, l uso del cordone è andato estendendosi da una popolazione costituita esclusivamente da pazienti pediatrici 3 anche a pazienti adulti. Occorre precisare tuttavia che nell adulto l utilizzo di UCB è reso problematico dal basso contenuto di cellule emopoietiche e progenitori staminali in relazione al peso corporeo. Per ovviare a questo problema si è ricorsi a due modalità innovative: 1. l uso di due o più UCB per uno stesso paziente 2. l infusione di UCB direttamente nelle cavità midollari delle creste iliache. Il cordone ombelicale come sorgente di cellule staminali emopoietiche Il primo trapianto di CSE da cordone è stato eseguito con successo nel 1988 in un bambino affetto da anemia di Fanconi utilizzando sangue di cordone ombelicale del neonato fratello HLA-identico 4. Da allora si sono susseguite numerose segnalazioni in letteratura, prevalentemente in ambito pediatrico, che hanno sancito l efficacia e la fattibilità della procedura utilizzando cordoni da donatori familiari HLA-identici, familiari HLA-mismatched e donatori non consanguinei e l utilizzo di questa sorgente di CSE è andato aumentando nel corso degli ultimi anni 5 (Tabella 2). Nel 1992 sono sorte le prime banche di cordone ombelicale a New York, Parigi, Milano e Düsseldorf, ed altre se ne sono aggiunte successivamente. Attualmente vi sono nel mondo 46 banche in 23 paesi, e 33 di queste contribuiscono al data-base mondiale BMDW (Bone Marrow Donors Worldwide). Secondo dati IBMDR (Italian Bone Marrow Donor Tabella 2. Trapianti da donatore non familiare e sorgente di cellule staminali, anni (dati IBMDR Italian Bone Marrow Donor Registry) anno Sorgente di CSE per trapianto Cordone 10% 13% 19% Sangue venoso periferico 4% 42% 49% Midollo osseo 86% 45% 32%

15 M.B. Pinazzi et al.: Il trapianto di cellule staminali da sangue di cordone ombelicale 205 Registry), aggiornati al 31 dicembre 2008, nel mondo le unità cordonali criopreservate sono circa e vengono raccolte circa unità all anno. In Italia abbiamo 18 banche con unità bancate di cui sono state tipizzate ed inserite nel data-base IBMDR. Di queste ne sono state rilasciate 887 a scopo di trapianto, distribuite come segue: Italia 34%, Europa 32%, USA 24%, Sud America 4%, Canada 2%, Australia 2%, Israele 1%, Asia 1%. (Dati IBMDR/istituto Superiore di Sanità 31/12/2008, La ricerca e l identificazione di una UCB per un potenziale trapianto hanno tempi piuttosto brevi dal momento che le unità di cordone vengono sistematicamente tipizzate per i loci HLA -A, -B a bassa risoluzione e -DRB1 ad alta risoluzione prima della criopreservazione: in uno studio è stato calcolato che per l identificazione e la disponibilità di un cordone occorrono in media 13,5 giorni 6. Anche le modalità di consegna delle unità selezionate dal centro richiedente sono veloci e ben programmabili; tutto questo si traduce nel vantaggio di limitare l attesa per il trapianto, fattore di primaria importanza in pazienti senza un donatore familiare HLA-identico e con malattia ad alto rischio di recidiva. Caratteristiche del sangue cordonale I vasi placentari e del cordone ombelicale contengono elementi cellulari staminali con caratteristiche simili a quelle del soggetto adulto, ma con alcune importanti differenze che le rendono del tutto peculiari anche per la finalità del trapianto: il sangue placentare contiene un numero di progenitori sufficienti a determinare la ricostituzione emopoietica nell animale letalmente irradiato; anche nel sangue placentare umano sono presenti progenitori emopoietici capaci di formare colonie in vitro (CFU, CFU-Bl e LTC-IC) 7, 8, esse sono in numero superiore al midollo osseo e al sangue periferico 9 ed hanno una maggiore capacità di auto-rinnovamento ed una maggiore capacità proliferativa 10. Il loro livello di immaturità e la ridotta reattività immunologica comportano una ridotta incidenza e severità della GvHD 11. Le cellule staminali cordonali possono essere considerate delle cellule somatiche unrestricted in quanto non solo sono in grado di ricostituire il compartimento emopoietico ma possono dare origine ad altri tessuti. Infatti il sangue cordonale contiene: cellule staminali mesenchimali, cellule staminali endoteliali, cellule CD34+ CD11b+ che hanno capacità differenziativa verso cellule endoteliali, ed infine cellule VEGF-R3+ CD34+ che hanno elevata capacità di espansione e mantenimento della funzione angiogenetica in vivo 12. Processazione e criopreservazione del sangue cordonale Il sangue placentare e cordonale viene prelevato dalla vena ombelicale, che subito dopo la nascita viene incannulata con apposito ago; viene raccolto in una sacca con anticoagulante, vengono prelevate le aliquote per gli esami di legge e si procede a centrifugazione del campione con separazione del supernatante ricco di leucociti che viene trasferito in una sacca più piccola. I leucociti sedimentati sono risospesi nel plasma ottenendo un volume totale di circa 20 ml che viene sottoposto a criopreservazione in azoto liquido con aggiunta di dimetilsulfossido 13. La procedura non comporta rischi né per la madre né per il neonato (Fig. 1). Selezione dell unità di sangue cordonale Tre importanti caratteristiche distinguono il trapianto di cellule staminali da cordone da quello di cellule staminali da midollo e da sangue periferico (Tabella 3): Fig. 1. Raccolta del sangue del cordone ombelicale

16 206 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 11, 4, 2009 Tabella 3. Benefici e limiti del trapianti di CSE da cordone ombelicale Vantaggi Rapida disponibilità Minore compatibilità HLA richiesta GVHD meno frequente e meno severa Nessun rischio per il donatore per le minoranze etniche: maggiore probabilità di trovare UCB con identità HLA almeno 4/6 e con dose cellulare adeguata Svantaggi Bassa cellularità Possibile variabilità nella qualità dell UCB allo scongelamento Ritardato attecchimento Ritardato recupero immunologico Aumentato rischio infettivo 1. il minor grado di compatibilità HLA richiesto; 2. il minor numero di cellule staminali; 3. la disponibilità pressoché immediata dell unità selezionata. La selezione dell unità cordonale avviene in primo luogo sulla base del grado di compatibilità per il sistema HLA. Lo standard attuale per la selezione di un unità è rappresentato dalla tipizzazione a bassa o intermedia risoluzione per i loci A e B e ad alta risoluzione (livello allelico) per il DRB1. Il grado di disparità consentito, che nei trapianti standard di midollo è (massimo) di 1 antigene, in questo caso può essere anche di 3 (consigliato max 2). Secondo gli standard IBMDR una UCB viene considerata utilizzabile quando le disparità antigeniche sono al massimo due in prima classe (HLA A,B) ovvero una in classe I (HLA A,B) e una al locus DRB1 a livello allelico. Ciò consente una maggiore frequenza di assegnazione delle UCB al potenziale candidato rispetto a quanto avviene per i campioni di midollo osseo 6. Il fattore limitante più importante per l assegnazione di un UCB è rappresentato dal numero totale delle cellule mononucleate (CMN): la dose adeguata, calcolata sulla base del peso corporeo, è difficile da raggiungere quando il ricevente è un soggetto adulto 14 o comunque di peso superiore a 40 kg. Sebbene il potenziale rigenerativo e la capacità di ripopolare il compartimento emopoietico da parte delle CSE di cordone siano più spiccati rispetto alle CSE da sangue midollare o periferico, rimane il fatto che il numero totale di CMN di un unita di sangue cordonale è mediamente 10 volte (1 log) inferiore a quello contenuto in un campione di midollo osseo. Gluckman e coll. hanno dimostrato un recupero più rapido della conta dei polimorfonucleati neutrofili quando l UCB infusa conteneva un numero di CMN > 3.7 x 10 7 /kg 5. In generale il numero minimo di CMN per effettuare un trapianto da cordone dovrebbe essere > x 10 7 /kg 15. Anche il numero di progenitori emopoietici CD34+ (cellule staminali emopoietiche pluripotenti determinabili in citometria a flusso) ha un impatto significativo sull attecchimento e sulla sopravvivenza globale (overal survival, OS): OS a 5 anni del 60% nei pazienti che hanno ricevuto una dose di cellule CD34+ >2.3 x 10 5 /kg a confronto con un OS a 5 anni del 30% nei pazienti che hanno ricevuto una dose inferiore (p 0.010) 16. Le raccomandazioni EUROCORD per la scelta di una unità di sangue cordonale sono attualmente: I. nelle malattie neoplastiche: 2 differenze HLA e cellule nucleate >2.5x10 7 /kg o CD34 2x10 5 /kg II. nelle malattie non-neoplastiche (dove è maggiore il rischio di rigetto, la dose cellulare dovrebbe essere incrementata e migliorata la compatibilità HLA) dovrebbero essere escluse le unità con incompatibilità HLA 2 e cellule nucleate < 3.5x10 7 /kg III.se non ci sono singole unità di sangue cordonale con queste caratteristiche ci si può orientare verso l utilizzo di due unità provenienti da donatori diversi che non presentino possibilmente più di 1 differenza HLA tra loro e con il paziente e con una dose totale di cellule nucleate 3x10 7 /kg 17. Effetto della compatibilità HLA Da un analisi delle casistiche emerge che la maggior parte delle unità di sangue cordonale trapiantate presentava delle disparità HLA tra donatore e ricevente di grado variabile da 1 a 2 loci. Non vi è concordanza di opinioni relativamente all effetto di tali disparità su attecchimento ed outcome del trapianto. L analisi del National Cord Blood Program al New York Blood Center (NYCB) che esamina pazienti che hanno ricevuto UCB con grado di compatibilità variabile da 6/6 a 3/6 dimostra un effetto avverso del grado di incompatibilità

17 M.B. Pinazzi et al.: Il trapianto di cellule staminali da sangue di cordone ombelicale 207 su attecchimento, incidenza di GVHD, TRM, e sopravvivenza libera da malattia (DFS: disease free survival) indipendentemente dalla dose cellulare; mentre la dose cellulare non ha nessun impatto nel trapianto con compatibilità 6/6 può significativamente compensare l impatto negativo del mismatch nei trapianti con compatibilità inferiore a 6/ Secondo i dati riportati da Gluckman e coll. 6 nel 2004, l incompatibilità HLA sembra non avere impatto sulla sopravvivenza, mentre ha impatto negativo sull attecchimento in concordanza con i risultati del NYCB L analisi dell Eurocord del dimostra che sebbene una maggiore incompatibilità HLA abbia un effetto avverso sull attecchimento, può comportare una riduzione del rischio di recidiva nelle malattie neoplastiche (effetto GvL). La sopravvivenza al contrario è ridotta nelle malattie non-neoplastiche. Le tabelle 4 e 5 illustrano i risultati riportati relativamente all attecchimento e alla sopravvivenza. Nel trapianto da cordone non correlato l incidenza di GVHD acuta varia complessivamente tra il 33% e il 44% (grado II-IV) e tra l 11% ed il 22% per il grado severo (III-IV), mentre l incidenza di GVHD cronica complessiva (forma limitata + estesa) viene riportata tra lo 0 e il 25% 15. Si consideri che la maggior parte delle UCB trapiantate presenta almeno una singola disparità sui loci HLA. Nello studio pediatrico COBLT 23, l incidenza di GVHD acuta era significativamente superiore nei riceventi di UCB con compatibilità 4/6 a confronto con 5/6 o 6/6. L influenza della disparità HLA sull incidenza di GVHD dopo trapianto con UCB è comunque inferiore rispetto a quanto riportato nel trapianto di cellule midollari da donatore volontario 20. Ricostituzione immunologica e rischio infettivo La ritardata ricostituzione immunologica rimane una delle più importanti cause di morbidità e mortalità del trapianto da cordone ombelicale in quanto associata a rischio infettivo soprattutto nelle prime fasi post-trapianto. In uno studio del gruppo spagnolo 24 di confronto tra CSE da cordone, sangue periferico e midollo si è evidenziato per il cordone una più elevata e significativa frequenza di infezioni severe nei primi 3 anni che giunge all 85% rispetto al 67-69% (p 0.009), con un trend di maggiore incidenza nei primi 30 giorni. Le infezioni sono per il 55% batteriche, 14% fungine, 32% virali. L uso del siero antilinfocitario (ATG) per la profilassi della GVHD e la linfopenia correlano con il maggior rischio di sviluppare infezione da citomegalovirus (CMV), che comunque ha una maggiore incidenza nei pazienti CMVsieropositivi prima del trapianto. La GVHD aumenta il rischio di malattia da CMV in tutti i gruppi, e di infezioni fatali anche dopo i primi 100 giorni. Tuttavia, proprio il basso rischio di GVHD cronica (cgvhd) nel trapianto da cordone può spiegare il minor rischio di infezioni tardive specialmente fungine 24. Tabella 4. HLA: effetto del mismatch sull attecchimento (definito come Neutrofili 500) HLA-A,B,DRB1: grado di compatibilità Attecchimento Rubinstein Gluckman Eapen Kurtzberg /6 100% 83% 85% Favorevole p /6 78% Ridotto 80% 4/6 82% Ridotto 76% Sfavorevole 3/6 69% p % p <0.01 NV Tabella 5. HLA: effetto del mismatch sulla sopravvivenza HLA-A,B,DRB1 match Sopravvivenza Rubinstein 1998 Wagner2002 Gluckman 2004 Eapen 2007 Kurtzberg /6 Ridotto ridotto Nessun effetto ridotto Non valutabile 4/6 Ridotto ridotto Nessun effetto ridotto ridotto

18 208 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 11, 4, 2009 L analisi della ricostituzione immunologica mostra che nelle fasi successive al condizionamento il numero di linfociti-t CD4+ e CD8+ è ridotto ed il normale rapporto CD4+/CD8+ è invertito. Viceversa, il numero assoluto dei linfociti-b (CD19+) è normale ed il numero di linfociti-nk (CD16+/56+) è lievemente aumentato 25. A 30 giorni dal trapianto il numero di CD4+/CD8+ è ancora estremamente basso e tale si mantiene per almeno 6 mesi, dopo di che si assiste ad un aumento del loro numero assoluto fino a valori normali ad 1 anno dal trapianto; tuttavia già dopo i primi 100 giorni vi è la capacità, da parte dei linfociti naive (linfociti che non hanno mai incontrato l antigene) di avviare una precoce risposta immune primaria ai patogeni. Il deficit della timopoiesi caratterizza la ricostituzione immunologica post-trapianto di cordone ed è associato ad un ritardato recupero dell attività T-memoria 26. Pur in presenza di queste alterazioni, l effetto GVL non appare compromesso; non è stato osservato un aumentato rischio di recidiva dopo trapianto di cordone e, come per il trapianto con CSE adulte, l incidenza di recidiva correla più con il tipo e lo stato della malattia al momento del trapianto che con l immaturità immunologia del cordone. Trapianto di CSE da cordone e da midollo a confronto In letteratura non vi sono studi prospettici di confronto tra trapianto di cellule staminali cordonali e trapianto di cellule staminali adulte da donatore non-consanguineo. Gli studi retrospettivi più recenti di confronto sono dell International Bone Marrow Transplant Registry (IBMTR/NYCB) 27 e dell EBMT 28,oltre ad uno studio monocentrico giapponese 29. Il confronto mostra un attecchimento più lento nel gruppo che riceve cordone, mentre non vi sono differenze significative in termini di GVHD acuta (agvhd) nonostante la maggior parte delle unità di cordone trapiantate presenti almeno 1 incompatibilità. Anche l incidenza di recidiva e l OS a 2 anni sono sovrapponibili nei due gruppi (Tabella 6). Una migliore sopravvivenza globale è stata registrata dopo trapianto di cordone nella popolazione giapponese: ciò è verosimilmente in relazione al basso peso corporeo ed alla maggiore omogeneità genetica. Anche nei pazienti pediatrici affetti da leucemia acuta e sottoposti a trapianto di CSE da cordone (N=99 di cui 89% con disparità HLA da 1 a 3 loci) a confronto con quelli di CSE da midollo (N=416, di cui 262 hanno ricevuto midollo non manipolato e 180 midollo T-depleto), i risultati evidenziano un aumento del tempo di attecchimento della linea mieloide e piastrinica nel gruppo cordone. Nello stesso gruppo appaiono ridotte sia l incidenza di GVHD acuta (33% CB vs 56% BM senza T-deplezione) che cronica (25% CB vs 46% BM senza T-deplezione). Inoltre la velocità di recupero di neutrofili e piastrine correla con la dose totale di cellule infuse (cut-off 3.7 x 10 7 /kg) ma non Tabella 6. Studi di confronto: trapianto da cordone e da donatore non correlato nell adulto Autore Laughlin (IBMTR+NYBC) Periodo di osservazione Rocha (Eurocord + EBMT) Takahashi Sorgente di CSE Cordone Midollo Cordone Midollo Cordone Midollo N pazienti Compatibilità 6/6 0 5/6 23 % 4/6 77% No mismatch 100% 6/6 6% 5/6 51% 4/6 39% 3/6 4% No mismatch 100% 6/6 0 5/6 21 % 4/6 54% 3/6 25% No mismatch 87% 1 mismatch 13% CNT x10 7 /kg 2,2 24 2,3 29 2,5 33 PMN 27 (25-18 (18-19) 26 (14-80) 19 (5-72) 22 (16-41) 18 (12-33) >500/mm 3 (giorni) 29) agvhd II-IV 40% 48% 26% 39% 50% 66% cgvhd 50% 35% 30% 46% 77% 74% TRM 63% 46% 44% 2 aa 38% 2aa 9% 1-2 aa 29% 1-2 aa OS 26% 3 aa 35% 3 aa 36% 2 aa 42% 2 aa 74% 2 aa 44% 2 aa Recidiva 2 aa n.a. n.a. 23% 23% 16% 25%

19 M.B. Pinazzi et al.: Il trapianto di cellule staminali da sangue di cordone ombelicale 209 con la disparità HLA, come invece osservato per il trapianto da donatore non correlato di CSE, la sopravvivenza a 2 anni è comparabile fra i diversi gruppi 40.Questi risultati sono stati confermati dal recente studio IBMTR/ NYCB, in cui 503 bambini affetti da leucemia acuta sono stati trapiantati con cordone (221) o con midollo (282). La TRM nel gruppo che ha ricevuto cordone con 1 o 2 differenze indipendentemente dalla dose cellulare, appare maggiore nei pazienti che ricevono meno di 3 x 10 7 /kg cellule mononucleate. La sopravvivenza libera da leucemia (leukemia free survival, LFS) non è significativamente differente nel gruppo che ha ricevuto cordone con 1 o 2 mismatch rispetto al gruppo che ha ricevuto midollo HLA-genotipicamete identico 20. In nessuno degli studi riportati è stato osservato un aumento del rischio di recidiva dopo HSCT con cordone, al contrario è stato ipotizzato che l elevata frequenza di disparità HLA tra donatore e ricevente possa giocare un ruolo, potenziando l attività anti-leucemica delle cellule implicate nell effetto GVL (T-linfociti e NK). Trapianto di CSE da CB nell adulto Il limite principale per l applicazione del trapianto da CB nell adulto è costituito dalla bassa dose di progenitori emopoietici in rapporto al peso corporeo del ricevente. Tuttavia vari studi hanno dimostrato che la procedura è fattibile anche nell adulto. Dati recenti dell Eurocord Registry 30 in 171 pazienti adulti con malattie ematologiche neoplastiche trapiantati dopo il 1997, mostrano che la DFS a 2 anni dal trapianto è significativamente influenzata dalla fase di malattia. La TRM a 2 anni è del 51% ma raggiunge il 68% nei primi 100 giorni. Le principali cause di morte sono rappresentate da infezioni (36%), recidiva (23%) e GVHD (11%). Il numero di cellule mononucleate alla raccolta o al congelamento e l uso del fattore di crescita granulocitario (G-CSF) a partire da una settimana dopo l infusione sono i fattori associati al recupero dei neutrofili. L incidenza cumulativa di agvhd a 100 giorni è 32% (grado I 21%, II 16%, III 9%, IV 7%), mentre la cgvhd è stata rilevata nel 36% dei pazienti a 2 anni. La TRM si è ridotta rispetto al periodo precedente al 1997, verosimilmente a causa di una migliore selezione delle UCB in termini di compatibilità e di cellularità. La TRM elevata nei primi 100 giorni è verosimilmente da attribuire al più lento attecchimento rispetto al trapianto di cellule staminali adulte. I migliori risultati sono stati registrati nei pazienti che hanno ricevuto una dose di cellule mononucleate > 2x 10 7 /kg 6,30. Trapianto di due o più unità di sangue cordonale I risultati sono riportati prevalentemente in studi del gruppo dell Università del Minnesota che per primo ha sperimentato la possibilità di inoculare nello stesso paziente due UCB allo scopo di migliorare l attecchimento. In uno di questi studi 31 venivano selezionate unità di sangue cordonale con una compatibilità 4-6/6 verso il ricevente e con compatibilità 5-6/6 delle UCB tra loro. A confronto con il gruppo storico di controllo che aveva ricevuto una singola unità, l attecchimento era più precoce con doppio cordone, con mediana di 23 giorni (range 15-41) rispetto a 27 giorni del gruppo storico, si osservava una bassa frequenza di fallimento (0-22%), una maggiore incidenza di agvhd (44-65% grado II-IV, 13% III-IV rispetto al 40% grado II-IV del gruppo storico) ma cgvhd sovrapponibile (21-25%). La sopravvivenza libera da malattia ad 1 anno dal trapianto era del 72% nei pazienti trapiantati in remissione completa. È interessante osservare che di regola una delle due unità cordonali infuse predomina sull altra. Con lo studio del chimerismo si osserva come, dopo una fase in cui si evidenzia l attecchimento di ambedue le unità, approssimativamente dal giorno +100 il paziente mostra un emopoiesi che deriva solo da una delle due unità trapiantate; la ragione di questo fenomeno non è nota né si conoscono fattori predittivi della predominanza di una unità sull altra. L unico fattore significativo sembra il numero di linfociti T CD3+: attecchisce definitivamente l unità che ne contiene il maggior numero. Questo avvalora l ipotesi che il meccanismo di prevalenza di un unità sull altra sia di tipo immuno-mediato e che lo stesso meccanismo sostenga nel tempo l attecchimento dell unità predominante 31. La procedura è fattibile e sicura, l attecchimento precoce e la bassa incidenza di GVHD acuta severa (III-IV) comportano una relativa riduzione della mortalità trapianto-correlata.

20 210 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 11, 4, 2009 Trapianto di cellule staminali emopoietiche per via intra-ossea Nel trapianto di cellule cordonali la percentuale di fallimenti per mancato o ritardato attecchimento si avvicina al 20%. Dopo inoculazione per via endovenosa una larga parte dei precursori emopoietici viene catturata dai filtri fisiologici (fegato e polmone). Nel topo solo il 20% delle cellule staminali ematopoietiche inoculate si insedia stabilmente nel midollo osseo 32. L inoculo per via intraossea sembra dunque un interessante alternativa a quello per via sistemica. Nel modello NOD/SCID il confronto tra l inoculo di CSE cordonali per via intrafemorale rispetto a quella endovenosa mostra un grado di attecchimento dopo inoculo intraosseo da 6 a 12 volte superiore a quello ottenuto per via endovenosa 33. Le altre sedi di emopoiesi fisiologica presentano un grado di attecchimento di poco inferiore a quello osservato in sede femorale, confermando la capacità delle CSE di migrare attraverso il torrente circolatorio anche dopo infusione per via intraossea. Uno stesso livello di ripopolamento del midollo emopoietico può essere ottenuto con un numero di progenitori emopoietici 10 volte inferiore a quello richiesto per via endovenosa 34. In uno studio pioneristico del Karolinska Institut 35 venivano arruolati pazienti candidati a trapianto allogenico HLA-identico o con un singolo antigene mismatched da donatore familiare dopo condizionamento mieloablativo. Trentotto pazienti con diverse patologie ematologiche venivano randomizzati in tre bracci per ricevere rispettivamente: cellule staminali da midollo osseo di cui metà del volume endovena e metà per via intra-ossea (gruppo 1); l intero volume di midollo osseo per via intra-ossea (gruppo 2); infine l intero volume di midollo osseo endovena (gruppo 3). Il midollo osseo trapiantato per via intra-ossea attecchiva in tutti con tempi e modalità sovrapponibili senza differenze significative in termini di mortalità correlata al trapianto, GVHD acuta e cronica, sopravvivenza libera da malattia e recidiva. In particolare nel gruppo 2 non venivano osservati episodi infettivi locali o sistemici riconducibili alla procedura. La somministrazione di cellule staminali midollari per via intra-ossea si dimostra pertanto fattibile, sicura ed efficace ma non superiore alla convenzionale somministrazione per via endovenosa. Diversi sembrano i risultati se si impiegano cellule cordonali: un recente studio dell Eurocord 36 confronta un gruppo selezionato di adulti trapiantati con cordone per via endovenosa con 50 pazienti che hanno ricevuto cordone per via intraossea. Non vi erano differenze tra i due gruppi in termini di diagnosi, numero di cellule, regime di condizionamento, precedente autotrapianto, stato di malattia. I risultati mostrano un vantaggio della somministrazione intraossea: in particolare un attecchimento delle piastrine più precoce (piastrine >20000/mm 3 a 60 giorni nell 82% vs il 40%), minore incidenza di agvhd grado II-IV (12% vs 38%) e di agvhd grado III-IV (2% vs 18%), mortalità correlata al trapianto a 90 giorni inferiore (27% vs 34%) e migliore sopravvivenza globale a 1 anno (67% vs 43%) (Tabella 7). L attecchimento dei neutrofili tuttavia era sovrapponibile nei due gruppi. Un follow-up più lungo è necessario per valutare con certezza i vantaggi di questa modalità di somministrazione. Impiego delle cellule staminali da cordone nelle malattie non ematologiche Nel sangue cordonale sono presenti anche cellule staminali non emopoietiche. Grazie ad una grande plasticità esse possono differenziare secondo diverse linee maturative dando origine a tessuti diversi. Tuttavia il potenziale terapeutico di queste cellule è tutto da esplo- Tabella 7. Studio comparativo eurocord: confronto tra infusione intraossea ed endovena di cellule staminali cordonali PMN+60 PLT +60 agvhd II-IV agvhd III- IV TRM +90 OS +365 UCB I.O 70% 82% 12% 2% 27% 67% UCB e.v. 80% 40% 38% 18% 34% 43% p 0.27 < < <0.07

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