RADIOTERAPIA.

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1 RADIOTERAPIA L uso delle radiazioni a scopo medico nei diversi ambiti ha dimostrato con il passare degli anni i loro effetti collaterali, sarà perciò opportuno chiarire qualche concetto sulla radiopatologia e sulla radioprotezione. Fondamentale è il principio di giustificazione: per richiedere un esame radiologico deve esserne chiarita la motivazione. Le radiazioni ionizzanti sono quelle radiazioni che posseggono energia sufficiente (>33 ev) a provocare la ionizzazione della materia irradiata con allontanamento di un elettrone orbitale. Nella pratica clinica utilizziamo radiazioni corpuscolate (soprattutto elettroni anche se ci sono centri che utilizzano protoni, neutroni e ioni carbonio) e radiazione elettromagnetiche o fotoniche di tipo x e non più di tipo γ (prodotte da unità del cobalto60) per motivi di radioprotezione. Quando effettuiamo un trattamento radiante dobbiamo caratterizzare l energia della radiazione che viene espressa in ev: 1eV è l energia che acquista un elettrone sottoposto ad una differenza di potenziale di 1 Volt. Le misure più utilizzate sono i KeV (KV per i fotoni) e i MeV (MV per i fotoni); in radioterapia siamo nell ambito dei MeV per gli elettroni e dei MV per i fotoni. Generalmente utilizziamo fotoni di energia compresa trai 6 MV e i 15/18 MV per somministrare una determinata dose e l unità di misura della dose assorbita è il Grey (1Gy = 1 joule / Kg) che corrisponde all energia ceduta alla materia per unità di massa. Nel corso di un trattamento radiante per esempio somministrerò 2Gy al giorno per 5 giorni consecutivi per X settimane. La radioterapia è la disciplina che utilizza radiazioni ionizzanti a scopo curativo generalmente per le neoplasie (Radioterapia Oncologica) ma può essere utilizzata anche per il trattamento di patologie benigne come gli adenomi ipofisari, le malformazioni arterovenose, l esoftalmo legato a un Basedow, e altre patologie benigne. La radioterapia è una disciplina che si avvale di strumentazioni altamente tecnologiche ma èanche una disciplina clinica: il radioterapista oncologo è un clinico, quello che lo differenzia dall oncologo medico è la modalità del farmaco utilizzato. In oncologia medica vengono utilizzate terapie sistemiche (chemioterapia, ormonoterapia, immunoterapia), mentre il radioterapista oncologo utilizza invece le radiazioni e deve indirizzarle su un determinato volume per cui deve conoscere dove è localizzata la neoplasia o dove era localizzata prima dell asportazione e le vie di diffusione delle neoplasie per poterle adeguatamente comprendere nel volume bersaglio proprio come fa un chirurgo che deve asportare la neoplasia rispettando i margini di resezione e asportando le stazioni linfonodali potenzialmente interessate. Si tratta di una disciplina clinica che prevede la gestione del paziente per quanto riguarda la scelta del trattamento che deve tener conto di terapie mediche concomitanti (in alcuni distretti corporei è il radioterapista oncologo che somministra il trattamento sistemico) e degli effetti collaterali del solo trattamento radiante o associato ad altre terapie (ad esempio le mucositi causate dall associazione Cetuximab /RT nel distretto testa-collo). Ci sono anche altre figure professionali in ambito radioterapico che si stanno inserendo nei centri di radioterapia come ingegneri fisici per la gestione delle apparecchiature e matematici che realizzano modelli prognostici complessi. La radioterapia oncologica agisce localmente ad eccezione della TBI (Total Body) utilizzata nel trapianto di midollo osseo. Può essere utilizzata con intento. radicale/curativo: tumore della prostata per esempio, a seconda dello stadio della malattia, il trattamento radiante può rappresentare un alternativa alla chirurgia per le neoplasie intracapsulari o l unica soluzione per le forme extra-capsulari associata o meno all ormonoterapia. adiuvante dopo un intervento chirurgico (prostatectomia, mastectomia, isterectomia) in presenza di fattori di rischio per recidiva. neo-adiuvante prima dell intervento chirurgico (per esempio tumore del retto in forma avanzata è indicato il trattamento RT +/- ChT per ridurre il rischio di recidiva) sintomatico-palliativo, in pazienti con malattia metastatica a cui posso attenuare i sintomi.

2 L irradiazione può essere utilizzata da sola o in associazione ad altre modalità terapeutiche (chirurgia, terapie sistemiche). Il trattamento del paziente oncologico deve sempre essere multidisciplinare e comprende: il chirurgo, il radioterapista oncologo, l oncologo medico; per l approccio migliore al paziente è inoltre fondamentale il contributo di altri specialisti: il radiologo, il medico nucleare, l anatomopatologo (pensate al problema dei margini di resezione chirurgica), il fisioterapista (per esempio paziente con k mammario sottoposto a svuotamento del cavo ascellare deve sollevare il braccio per il trattamento radiante dunque è opportuna l esecuzione di esercizi di recupero funzionale), il dietologo (pazienti irradiati a livello del distretto testa-collo, addome o pelvi: consulti dietetici e monitoraggio del peso), l odontoiatria (trattamento radiante del cavo orale), lo psico-oncologo e il counselor (sono tutte figure che danno un supporto importante al paziente). RADIOBIOLOGIA E la disciplina che studia la sequenza di eventi successivi all assorbimento delle radiazioni ionizzanti; i diversi tessuti sani e neoplastici rispondono in maniera diversa alle radiazioni. Abbiamo due tipi di tessuti sani: tessuti early responders tessuti late responders. I tessuti early responders sono quelli che rispondono acutamente e che hanno un elevata attività replicativa: cute, mucose, epitelio intestinale, midollo osseo. I tessuti late responders rispondono in maniera tardiva e hanno bassa attività replicativa: midollo spinale, encefalo. La maggior parte dei tessuti neoplastici è equiparabile ai tessuti normali early rsponders anche se è stato dimostrato recentemente che ci sono tumori ad attività replicativa molto lenta equiparati ai tessuti sani late responders (parliamo di melanomi, tumori renali, tumori prostatici, tumori della mammella) e questo naturalmente impatta sulla scelta del trattamento. La risposta alla radiazione dipende non solo dal tipo di tessuto ma anche dal tipo di radiazione. I vari tipi di radiazioni, pur producendo effetti analoghi sulla materia vivente, differiscono per efficacia in quanto l effetto radiobiologico dipende: dalla dose assorbita dalla micro-distribuzione spaziale dei processi di ionizzazione lungo il percorso delle particelle ionizzanti primarie e secondarie (quando le radiazioni colpiscono un tessuto determinano delle ionizzazioni e gli elettroni espulsi dagli orbitali hanno un energia tale da ionizzare altri atomi). Questi principi sono importanti per capire il concetto di LET (Trasferimento Lineare di Energia) che indica l energia trasferita per unità di lunghezza del tragitto del fascio di radiazioni nel materiale assorbito, l unità di misura è il KeV/micron. Il LET dipende dal tipo di radiazione: Radiazione a BASSO LET (fotoni, elettroni) utilizzate nella pratica clinica. Hanno un alto potere di penetrazione nei tessuti in quanto gli elettroni secondari depositano la loro energia ad ampie distanze nel tessuto Radiazioni ad ALTO LET (protoni, neutroni, ioni) non hanno una diffusione capillare; in tutta Italia abbiamo 2 centri che utilizzano i protoni e un solo centro che utilizza gli ioni carbonio. Hanno, però, più basso potere di penetrazione dipendente dalla loro massa e gli elettroni si depositano a distanze più brevi per cui la probabilità di colpire il bersaglio biologico (cellula) è maggiore Per cui dosi uguali di radiazioni a differente LET non determinano la stessa risposta biologica. L efficacia biologica relativa (EBR) indica la capacità che radiazioni a differente LET hanno di produrre lo stesso effetto biologico oppure indica, a parità di dose fisica, il diverso effetto biologico di diverse radiazioni. L efficacia biologica relativa è in funzione diretta con il LET. La EBR delle

3 radiazioni a BASSO LET (elettroni, fotoni) è posta uguale ad 1. Per le radiazioni ad ALTO LET (protoni, neutroni, ioni) la EBR è maggiore: 1.1 protoni, 3 neutroni, oltre 8 per particelle α. Esiste una relazione tra la dose della radiazione e le cellule sopravviventi, questa relazione assume l andamento di una curva che è la curva di sopravvivenza cellulare, fondamentale in radioterapia. Da precisare che per morte cellulare non s intende scomparsa della cellula ma l incapacità da parte della cellula di originare cloni cellulari figli. Quando si irradiano cellule di mammifero con RI ad ALTO LET ogni incremento di dose uccide una frazione costante di cellule; si ha una curva esponenziale semplice, con andamento negativo; su scala semi-logaritmica: una retta. Per radiazioni a BASSO LET (raggi X e γ, fotoni, elettroni) l andamento delle curve di sopravvivenza cellulare può essere spiegato secondo due modelli: modello multitarget, che si basa essenzialmente sul processo di recupero (vedi dopo) modello lineare quadratico. In radiobiologia sono stati descritti dei fenomeni che sono stati chiamati le 4R della radiobiologia per cui l effetto finale biologico della radiazione ionizzante dipende da 1. Recupero o riparazione 2. Ripopolazione 3. Ridistribuzione 4. Riossigenazione Il bersaglio critico delle radiazioni è il nucleo e i danni da radiazione sono divisi in: danno letale: irreversibile, irreparabile, che porta a morte cellulare danno subletale: può essere riparato a meno che un 2 insulto non provochi la morte cellulare danno potenzialmente letale: dipende dalle condizioni ambientali post-irradiatorie. Molti dei danni indotti dalle radiazioni a livello cellulare possono essere riparati nelle prime ore dopo l esposizione ed è l accumulo del danno che determina la morte cellulare; quando il danno ha raggiunto il limite di tollerabilità (danno subletale), la somministrazione di una dose ulteriore sarà sufficiente a provocare l effetto letale. Per danno subletale intendiamo quindi che il danno si deve accumulare per produrre un effetto letale; le cellule a livello delle quali si manifesta il danno subletale hanno ricevuto un numero tale di insulti, di danni, capaci di ucciderle. In genere dosi piccole sono scarsamente efficaci per ottenere la morte cellulare, ma quando una certa dose di radiazione è divisa in 2 frazioni, separate da un certo intervallo di tempo, si osserva un aumento della sopravvivenza cellulare rispetto a quando la stessa dose viene data in un unica somministrazione proprio perché le cellule irradiate possono recuperare il danno subletale. I fenomeni di recupero devono essere studiati sulla base dell effetto di una dose singola paragonato a quello di due dosi dimezzate separate da vari intervalli di tempo. Nel caso di un irradiazione frazionata, se gli intervalli sono molti lunghi l entità del recupero può essere notevole. E stato stimato che quando l intervallo di tempo tra una frazione e l altra è pari a 5/6 ore abbiamo un recupero del danno; se invece è inferiore allora non abbiamo recupero (danno subletale) e quindi l esposizione alla seconda dose di radiazione può determinare morte cellulare. Il recupero è costante dopo ogni dose, per cui quanto maggiore sarà il frazionamento, tanto maggiore sarà il recupero e minore l effetto biologico. Il recupero del danno subletale è stato anche osservato nel caso di esposizione unica, ma somministrata ad una bassa intensità di dose (per intensità di dose intendo la dose somministrata nell unità di tempo). Un esempio: ho citato prima l irradiazione total body nei pazienti che devono essere sottoposti a trapianto di midollo osseo, la radioterapia si è dimostrata efficace nell indurre un effetto immuno-soppressivo (riduce dunque il rischio di rigetto) e mielo-ablativo (crea spazio a livello delle lacune ossee facilitando l impianto delle cellule staminali periferiche trapiantate). Negli anni abbiamo assistito a diverse modalità di somministrazione della dose total body, all inizio

4 veniva somministrata in dose singola poi è stato dimostrato che con il frazionamento si raggiungevano gli stessi obiettivi senza però gli effetti collaterali della mono-dose. E stato anche dimostrato che se l irradiazione avveniva in maniera continua a bassa intensità di dose l effetto era sovrapponibile a quello ottenuto con frazionamento. Infatti, un irradiazione continua (18/20 ore) ad un basso dose-rate può essere considerata equivalente ad un numero infinito di frazioni infinitamente piccole con recupero dal danno subletale. Il danno potenzialmente letale (DPL) ci interessa fino a un certo punto: è un danno che in circostanze normali determina la morte cellulare, il recupero del DPL è favorito da condizioni postirradiatorie sub ottimali, che possono influenzare la proporzione di cellule che sopravvive ad una determinata dose. In realtà non è stato dimostrato il suo reale impatto clinico per cui non ci soffermeremo. CURVE DI SOPRAVVIVENZA CELLULARE Tornando al modello multitarget, quando si irradiano cellule di mammifero eucariotiche con RI a basso LET la mortalità cellulare è espressa da una curva esponenziale con spalla. Il tratto iniziale presenta una curvatura caratteristica (la spalla ) seguita da una parte rettilinea, esponenziale. In questa condizione si ha mortalità prevalente da colpi multipli ; la spalla rappresenta una minor mortalità per le basse dosi, l entità della spalla è inoltre correlata con la capacità di riparazione del danno subletale. Le cellule in grado di recuperare dal danno subletale sono quei tessuti che hanno scarsa attività proliferativa come le cellule polmonari e le cellule renali, mentre le cellule del midollo osseo, della cute, delle mucose avranno una spalla stretta. L ampiezza della spalla è indicata dal parametro Dq, ovvero la dose quasi soglia intersezione fra il prolungamento della parte esponenziale, rettilinea della curva e la linea orizzontale passante per il 100% della sopravvivenza. Per dose soglia si intende la dose al di sotto della quale non c è effetto. Poiché non esistono dosi di radiazioni che non possono determinare alcun effetto, in realtà una dose soglia non esiste. Per questo Dq è indicata con il nome di dose quasi soglia. Il numero di estrapolazione (n) si ottiene estrapolando il tratto rettilineo della curva sull asse di sopravvivenza: n è grande (10/12) quando la spalla è larga, n è piccolo (1/5) quando la spalla è stretta. n è correlato con la capacità della cellula di accumulare e riparare il danno subletale e rappresenta il n di bersagli da colpire. La pendenza della parte rettilinea della curva è determinata dalla D0: è una costante che indica l incremento di dose capace di ridurre la sopravvivenza cellulare di un fattore 1/e pari a Questa è anche indicata come dose letale media ed esprime l incremento di dose che riduce la popolazione al 37% del suo valore iniziale nel tratto rettilineo della curva di sopravvivenza. La curvatura nella zona corrispondente alle dosi più basse (spalla): indica una minore efficienza di effetti letali a basse dosi e rappresenta l accumulo del danno subletale riparabile (funzione della dose somministrata e del tipo di tessuto). La linea retta del grafico o pendenza esponenziale indica una progressiva riduzione della capacità riparativa cellulare e successivo danno cellulare. Ora dobbiamo considerare i fattori che influenzano la sopravvivenza cellulare: qualità delle radiazioni: l effetto biologico delle radiazioni è in funzione del loro LET, ricordiamo come radiazioni ad alto LET hanno minor capacità di penetrazione e maggior probabilità ci colpire il bersaglio biologico per cui è prevalente il danno non riparabile. La spalla della curva di sopravvivenza risulta ridotta o abolita e il tratto rettilineo è spesso più ripido. tensione di ossigeno: le cellule trattate con radiazioni a basso LET in presenza di aria sono 3 volte più sensibili di quelle irradiate in assenza di ossigeno. Nelle cellule ipossiche la mortalità cellulare aumenta con la tensione di O2, per poi stabilizzarsi in presenza di una normale po2. In carenza di ossigeno la radiolisi dell acqua produce meno radicali liberi. Per

5 le RI ad alto LET l influenza dell O2 è minima. L effetto ossigeno è dovuto ai radicali liberi la cui vita è di microsecondi che portano a rottura di legami chimico-molecolari ed iniziano la catena di eventi che del danno biologico. Poiché i sistemi biologici sono prevalentemente costituiti da acqua la maggior parte delle ionizzazioni si manifestano a livello delle molecole di H2O: H2O H2O + e - ; e - + H2O H2O - Le molecole di H2O che hanno perso o acquistato un e - sono altamente reattive, si rompono rapidamente e producono uno ione e un radicale libero non carico: H2O+ OH + H ; H2O- H + OH-. I radicali OH e H sono molecole che normalmente non esistono in natura, sono frammenti di molecola, altamente reattivi. I radicali liberi possono a questo punto reagire con altre molecole di H2O : OH + H2O H + H2O2 ; H + H2O H2 + OH. L O2 ha un elevata affinità per i radicali liberi (R ). La reazione tra O2 e R produce radicali perossidi, che possono reagire con il DNA alterandolo e determinando danno e morte cellulare. R + O2 RO2 L O2 fissa il danno prodotto dalle radiazioni rendendolo permanente (inibizione dei meccanismi di riparazione del DNA) radiosensibilità intrinseca: esiste una significativa variabilità di mortalità da RI alla medesima dose fisica tra i vari tipi di cellule sane eucariotiche. Le cause principali di questa variabilità sono: - diversa capacità di recupero dal danno riparabile - diversa suscettibilità alla morte per apoptosi Diversi tipi di tumori presentano livelli diversi di radiosensibilità: maggiori per linfomi, mielomi, seminomi, neuroblastomi (la dose per un linfoma è pari a 20/30 Gy; per i sarcomi, i melanomi arriviamo a dosi molto più elevate, tra i più radioresistenti c è il k prostatico per cui arriviamo a somministrare dosi di 80 Gy; anche il glioblastoma richiederebbe dosi elevate di radiazioni ma devo considerare la tossicità cerebrale) intermedie per i carcinomi (squamosi, adenocarcinomi), minori per sarcomi, melanomi, glioblastomi. frazionamento della dose: a parità di dose fisica, riduce l effetto della RT. Nelle curve si ha la ricomparsa della spalla la cui entità è in funzione del tempo fra le due frazioni. Si riduce la pendenza complessiva della curva. Il frazionamento aumenta le differenza di mortalità fra popolazioni con diversa radiosensibilità intrinseca. Le curve di sopravvivenza secondo il modello multitarget si sono dimostrate molto utili nel descrivere la relazione dose-risposta per linee cellulari di mammifero ad alte dosi, al di fuori di quelle corrispondenti alla spalla. Purtroppo non descrivono con precisione la relazione dose-risposta per dosi basse, quali quelle impiegate nella pratica clinica. Per questo, negli anni è stato formulato un altro modello che è il modello lineare quadratico: è il secondo modello utilizzato per descrivere l andamento delle curve di sopravvivenza cellulare ed è quello che viene attualmente considerato di scelta. In questa modello la frazione di cellule sopravviventi è rappresentata da S = e αd-βd2, dove D è la dose, α e β sono 2 costanti: α rappresenta il log e delle cellule uccise per Gy β il log e delle cellule uccise per Gy 2. α = costante di proporzionalità che lega la letalità cellulare al danno per colpo singolo, in modo lineare, proporzionale alla dose somministrata β = costante di proporzionalità che lega la letalità cellulare al danno per la somma di danni subletali, in modo quadratico α/β = una dose in Gy in cui si osserva ugual letalità per danno singolo e per somma di danni subletali. Il rapporto α/β è caratteristico per ogni popolazione cellulare. In radioterapia oncologica facciamo riferimento soprattutto a questo rapporto. Alle dosi comunemente impiegate in clinica predomina la morte cellulare dovuta al meccanismo proporzionale alla dose, lineare (α). Il contributo lineare e quadratico alla morte cellulare sono uguali alla dose che corrisponde al rapporto α/β :

6 αd = βd2 D = α/β. La dose alla quale il log di uccisione cellulare dovuto alle due componenti, lineare e quadratica, è uguale, è indicata dal rapporto α/β. Le due componenti (α e β) coesistono anche se con diverso peso relativo. Il rapporto α/ β sta a testimoniare l impatto delle due componenti sulla mortalità cellulare. Il punto in cui la curva flette è diverso per i tessuti late e acute responders e dipende dal loro rapporto α/ β: per i tessuti acute responders il rapporto α/ β è pari a circa 10 Gy; le curve dose-risposta si flettono solo a dosi elevate (le cellule ad alta attività replicativa muoiono per cui sarà maggiore la componente lineare, flettono più tardi) per i tessuti late responders il rapporto α/ β è compreso tra 2 e 4 Gy; le curve dose risposte si flettono fin dall inizio (abbiamo una maggiore componente quadratica perché stiamo parlando di tessuti che recuperano il danno subletale, è minore l effetto dovuto alla morte per colpo singolo) Un valore elevato del rapporto α/ β è caratteristico di popolazioni cellulari con elevato turn-over cellulare, early responders, in cui è relativamente importante la mortalità per danno letale singolo -mucosa digiunale α/ β 13 -epitelio cutaneo α/ β 10 -midollo emopoietico α/ β 9 -mucosa colica α/ β 7 Un valore basso del rapporto α/ β è tipico di popolazioni cellulari a scarso turn-over, late responders, in cui prevale nettamente la letalità per somma di danni subletali -midollo spinale α/ β connettivo e cartilagine α/ β osso α/ β polmone α/ β Il valore del rapporto α/ β dei tumori è molto variabile ed in genere elevato (da 6 a 25) ad eccezione di alcuni tumori a bassa attività replicativa per es. tumore prostatico stimato pari a 1.5, tumore della mammella pari a 4. La loro attività replicativa è equiparata a quella dei tessuti sani che hanno la capacità di recuperare dal danno subletale late responders.i tumori possono dunque essere equiparabili ai due tipi di tessuti sani early o late responders. Questo comporta che è diversa la tossicità del trattamento radiante a livello dei diversi tipi di tessuti. I tessuti ad elevata attività replicativa sono quelli dove si manifesta tossicità acuta; tuttavia in radioterapia ci preoccupano di più i danni tardivi delle radiazioni. Le reazioni acute si osservano in quei tessuti organizzati in cellule staminali, compartimenti maturativi e funzionali, tessuti caratterizzati da un rapido rinnovamento cellulare (cute, mucose, midollo osseo). I danni acuti si manifestano durante il trattamento radiante o entro 3 mesi dal termine della terapia. (Esempi di danni acuti: leuco-piastrinopenia, mucosite, proctite, cistite, epidermolisi). L intensità della reazione acuta riflette il bilancio tra la percentuale di cellule uccise dall irradiazione e la velocità di rigenerazione delle cellule staminali sopravviventi. Questo bilancio dipende prevalentemente dall accumulo della dose. Un altro fattore importante nel determinare la severità delle reazioni acute è il valore della dose (singola o totale), la grandezza della frazione. Quando una reazione acuta ha raggiunto un picco, una ulteriore distruzione di cellule staminali non può produrre un aumento di intensità ma si manifesterà come un aumento del tempo necessario per ottenere la guarigione della lesione. Se un numero sufficiente di cellule staminali non sopravvive per ottenere la guarigione di una reazione acuta, questa può progredire, trasformarsi in danno cronico chiamato effetto tardivo consequenziale. Questo concetto è molto importante per reazioni come quelle acute che dipendono essenzialmente da parametri quali tempo e dose e si manifestano prevalentemente con l impiego di schemi iperfrazionati e accelerati che determinano l esacerbarsi di queste reazioni. Danni tardivi: si osservano in tessuti caratterizzati da un lento turn-over cellulare e sono proprio questi i danno che maggiormente ci preoccupano in radioterapia perché non c è possibilità di recupero. In questi tessuti la deplezione cellulare non si manifesta prima che il ciclo di radioterapia

7 sia terminato, non c è possibilità che durante il trattamento si possano manifestare fenomeni di rigenerazione. L accumulo di dose e la durata totale del trattamento non sono significativi nel determinare la severità delle reazioni tardive. Si manifestano dopo 3 mesi o dopo anni dalla terapia radiante. I late responders tissues sono risparmiati dal frazionamento della dose e sono estremamente sensibili al valore della dose singola impiegata, affinché questi possano essere risparmiati dal frazionamento della dose è essenziale che l intervallo di tempo tra le diverse frazioni sia sufficientemente lungo per permettere il recupero del danno subletale. Infatti se l intervallo è troppo breve i danni non riparati si accumulano e ogni dose successiva aumenta l entità del danno. Esempi di danno tardivo: fibrosi, teleangectasie cutanee, danno alle parotidi con iposcialia, comparsa di fistole, un danno tardivo fortunatamente non molto frequente è la cancerogenesi, secondi tumori radio-indotti, specialmente nei pz che sopravvivono a lungo. FRAZIONAMENTO Prima di parlare del frazionamento della dose, verranno analizzati i principi radiobiologici che giustificano diverse modalità di somministrazione del trattamento radiante. I fenomeni che si verificano con il frazionamento della dose sono le 4 R della radiobiologia: 1. riparazione o recupero 2. ripopolazione 3. ridistribuzione 4. riossigenazione 1- Della riparazione si è già parlato, trattando delle curve di sopravvivenza cellulare, e si è visto come i tessuti che hanno la capacità di recupero del danno subletale (non è un danno letale perché in quel caso non c'è recupero) sono prevalentemente quelli a lenta attività replicativa. La capacità di recupero del danno subletale è variabile anche nei tumori, come nei tessuti sani; in genere, però, è minore rispetto a quella dei tessuti sani di origine. 2- Per quanto riguarda il ripopolamento cellulare, la popolazione cellulare irradiata può rispondere al danno radioindotto aumentando la proliferazione cellulare. Il ripopolamento, quindi, è più evidente in quei tessuti sani che hanno una più alta attività replicativa e riduce l'entità del danno. La ripopolazione è scarsa invece nei tessuti a lenta proliferazione. Ovviamente, il processo di ripopolazione cellulare ha un effetto benefico se si considera la possibilità di recuperare un danno acuto, infatti le mucositi o le tossicità cutanee, per esempio, possono recuperare grazie ad un ripopolamento cellulare, fenomeno che ha invece un effetto negativo nel momento in cui si verifica a livello delle cellule neoplastiche. Il ripopolamento cellulare, in genere, è più evidente verso la fine del trattamento radiante nel momento in cui si utilizzino degli schemi frazionati. Quindi, quello che bisogna evitare in radioterapia è il protrarsi della durata del trattamento rispetto a quanto è stato pianificato, ma è anche importante evitare delle interruzioni del trattamento, almeno in alcune neoplasie, perché se da un lato potrebbero ridurre l'entità di un effetto collaterale acuto insorto, dall'altro possono impattare negativamente sul risultato globale, ossia sul controllo della malattia; ciò è riferito soprattutto ai tumori del distretto testa-collo, poiché nel momento in cui viene trattato un tumore di tale distretto, è impossibile non avere una mucosite, per cui in passato si tendeva ad interrompere il trattamento per consentire un recupero del danno e consentire ai pazienti di avere una migliore qualità di vita, in quanto una mucosite importante determina problemi di alimentazione e dolore. Adesso è però stato dimostrato che le interruzioni hanno un effetto negativo sul controllo di malattia, tanto che è importante utilizzare una serie di presidi (es. norme dietetiche come detto nella scorsa lezione) per ridurre l'entità del danno, e nel momento in cui questo dovesse verificarsi sarebbe utile trattare il paziente con antidolorifici, arrivando fino alla somministrazione di morfina, alimentare il paziente con un sondino nasogastrico oppure prevedere il posizionamento

8 di una stomia gastrica, e tutto ciò per evitare di interrompere il trattamento radiante ed evitare questo processo di ripopolazione cellulare. 3- La terza R è rappresentata dalla ridistribuzione. Nel momento in cui una popolazione cellulare viene irradiata, non tutte le cellule si trovano nella stessa fase del ciclo e non sono ugualmente radiosensibili: una maggiore radiosensibilità si osserva nelle fasi G2 ed M, una minore radiosensibilità, o addirittura una radioresistenza, nelle fasi G1 ed S. Quindi, nel momento in cui si utilizzano schemi frazionati, possiamo pensare che la somministrazione di una dose di radioterapia vada a distruggere le cellule in una fase del ciclo radiosensibile, pertanto una seconda frazione possa trovare le cellule oramai radioresistenti, avendo avuto un'azione su quelle radiosensibili. In realtà, questo non accade, in quanto nell'intervallo tra le frazioni vi è una ridistribuzione delle cellule in una fase di radioresistenza e in una fase di radiosensibilità, per cui la seconda dose di radiazioni troverà cellule in fase di radioresistenza e in fase di radiosensibilità, ossia nelle diverse fasi del ciclo cellulare, ed andrà ad esercitare la sua azione su quelle che si trovano in fase G2 ed M. La seguente curva indica come la dose per ottenere una determinata riduzione della frazione di cellule sopravviventi è necessario aumentare la dose, man mano che si passa da cellule in fase di radiosensibilità (G2 e M) a cellule in fase S. 4. L ultima R è la riossigenazione: l ossigeno determina la formazione di radicali perossido, rendendo i tessuti più sensibili, in quanto impedisce che il danno indotto dalle radiazioni possa essere riparato. Nei tumori vi è circa il 20-30% di cellule ipossiche; questo dipende da due meccanismi, uno acuto e uno tardivo: una prima causa sembra essere l eccessiva distanza dei vasi sanguigni o alterazioni del flusso ematico. Questo determina, nella parte centrale del tumore, che appunto è la più distante dai vasi, una mancata irrorazione che determina ipossia e quindi necrosi. Il frazionamento tende a ridurre l ipossia del tumore, riducendo la popolazione sopravvivente e quindi la massa, migliorando il flusso ematico in quella zona precedentemente ipossica. Le cellule possono essere ipossiche anche trovandosi in vicinanza di un vaso, che può essere occluso. L irradiazione può quindi anche andare a disostruire il vaso determinando una riossigenazione acuta del tessuto. L immagine mostra questo processo. Aree ipossiche sono state ritrovate prevalentemente nei tumori del distretto testa-collo, ma non sono dimostrabili con la radiodiagnostica convenzionale. La TC e la risonanza possono individuare aree di necrosi soprattutto in tumori molto voluminosi. La PET con particolari traccianti come 18 F- Misonidazolo e il 64 Cu-ATSM. Nella pratica clinica si può ridurre la radioresistenza determinata dall ipossia in vari modi: ad esempio per il k della cervice, quando la malattia infiltra il parametrio (stadio IIB) e diviene inoperabile, il ttt standard è una radiochemioterapia ed è dimostrato come in queste situazioni sia importante che vi siano elevati livelli di emoglobina (per lo meno pari a 12), in quanto bassi valori di emoglobina determinano una ridotta risposta al trattamento radiante. Per cui bisogna garantire che vi siano livelli di emoglobina tali da ottenere i massimi risultati, e questo tramite trasfusioni ematiche (metodo più rapido per aumentare l'emoglobina) e poi il mantenimento dei livelli di emoglobina tramite eritropoietina. - Il nitroimidazolo ha avuto, ed ha tuttora, la sua diffusione nei Paesi Scandinavi, in cui è molto utilizzato, ottenendo in realtà risultati equiparabili a quelli del trattamento convenzionale (ci si riferisce a tumori del distretto testa-collo), che nella malattia avanzata prevede un trattamento di chemio-radioterapia oppure una radioterapia associata a cetuximab. - L'impiego dell'ipertermia si sta molto diffondendo, ad esempio, nel trattamento di neoplasie superficiali; ad esempio, in pazienti trattate con mastectomia che hanno importanti recidive a livello della parete toracica, è stato dimostrato un miglior controllo locale di malattia associando l'ipertermia alle radiazioni. Esistono, però, anche apparecchiature per l'ipertermia profonda: ad esempio, riconsiderando pazienti con tumori della cervice uterina, si stanno conducendo degli studi che stanno valutando l'impatto dell'esposizione al calore del tumore nel migliorare i risultati del trattamento. Quindi, si è visto come i fenomeni di recupero e ripopolazione abbiano un effetto

9 positivo per quanto riguarda la riduzione della tossicità, tardiva, per quanto concerne il recupero, e acuta, per quanto riguarda la ripopolazione. Però, se si considera l'effetto antineoplastico, ovviamente, creano un minor controllo della malattia, per cui bisogna valutare a livello di quali tessuti questi processi si manifestino. La ridistribuzione e la riossigenazione hanno un effetto positivo a livello di controllo di malattia, in quanto rendono i tumori più radiosensibili. Accanto a queste classiche 4 R della radioterapia (recupero, ripopolazione, ridistribuzione e riossigenazione), bisogna considerare la quinta R, che è la radiosensibilità, la quale non è altro che la misura della risposta del tumore alle radiazioni, descrive quindi il grado e la velocità di regressione del tumore durante e immediatamente dopo la radioterapia. Ovviamente, non tutti i tumori hanno la stessa radiosensibilità, la quale riflette la radiosensibilità del tessuto dal quale la neoplasia deriva. Vi sono, quindi, dei tumori altamente radiosensibili (come linfomi, mielomi, seminomi), tumori radioresistenti (tumori del sistema nervoso centrale, tumore della prostata) e tumori con una radiosensibilità intermedia (come, ad esempio, i carcinomi). Ne deriva che i tumori radiosensibili necessitano di una dose inferiore rispetto a quella utilizzata nei tumori radioresistenti. Però, la radiosensibilità non è sinonimo di radiocurabilità, in quanto quest'ultima indica la possibilità di eradicare una malattia e riflette l'effetto dell'irradiazione, però, se si considerano alcuni tumori estremamente radiosensibili, come ad esempio il microcitoma, non necessariamente sono radiocurabili, in quanto, come il microcitoma stesso, molto spesso recidivano, per cui si può ottenere una scomparsa della malattia al termine del trattamento radiante (ma ciò dipende anche dalle dimensioni e tanti altri parametri), però la malattia è difficilmente radiocurabile. ERADICAZIONE TUORALE Nel momento in cui si effettua un trattamento radiante, non con intento sintomatico-palliativo, ma con intento radicale-adiuvante, si vuole cercare di eradicare la malattia. L'eradicazione di un tumore dipende: 1. dalla dose somministrata, che a sua volta dipende da quanto quel tumore è radiosensibile e dallo scopo del trattamento, nel senso che se per esempio si considera un tumore della prostata, finché esso è intracapsulare può essere operato ed irradiato, e se si va a trattare un tumore della prostata con intento radicale si darà una certa dose, mentre se si va a irradiare un paziente operato per neoplasia della prostata perché ci sono fattori di rischio di recidiva e con la radioterapia si vuole ridurre tale rischio si utilizzerà una dose significativamente inferiore; tra l'altro, è argomento di discussione in letteratura se sia indicata l'effettuazione della radioterapia in pazienti che abbiano subito prostatectomia immediatamente dopo l'intervento (entro 6 mesi) o se sia meglio attendere una ripresa di malattia, ciò perché non tutti i pazienti con fattori di rischio svilupperanno una recidiva di malattia. Vi è, quindi, una certa fetta di pazienti con fattori di rischio che non svilupperà recidiva che, se irradiata, viene esposta ad un trattamento potenzialmente tossico, che però non avrebbe nessun impatto sui risultati. Di contro, i sostenitori dell'effettuazione della radioterapia sostengono che sia più facile controllare una malattia solo con fattori di rischio, ma senza recidiva, e che le dosi da somministrare immediatamente dopo l'intervento chirurgico in presenza di fattori di rischio sono inferiori rispetto a quelle da somministrare in presenza di una recidiva, per cui anche il rischio di tossicità legata al trattamento radiante sarebbe inferiore. 2. dal volume di malattia, 3. dalla radiosensibilità del tumore stesso. Però, nel valutare quei fattori che possono impattare sull'eradicazione della malattia, bisogna anche considerare un effetto importante della relazione dose-tempo. La sopravvivenza di una popolazione cellulare irradiata in modo frazionato dipende dai parametri con cui la dose viene somministrata, ossia da: valore della dose singola (i tumori radioresistenti, equiparabili a tessuti late responding, sono quelli più sensibili a valori di dosi singole elevate, rispetto ai tumori caratterizzati da un'elevata attività replicativa), dose totale somministrata, tempo in cui tale dose

10 totale viene somministrata (soprattutto nelle neoplasie del distretto testa-collo se invece di impiegare 30 giorni se ne impiegano , quindi si hanno interruzioni, si riduce la possibilità di controllo di malattia, perché in quell'allungamento di tempo sono facilitati processi di ripopolazione cellulare, tanto che sono state descritte modalità di somministrazione della dose che cercano di ridurre la durata del trattamento radiante). Gli stessi valori di fattori dose-tempo di un trattamento possono provocare diversi effetti biologici e clinici sui diversi tipi di tessuto, sano e neoplastico. ORGANIZZAZIONE IN SERIE E IN PARALLELO Parlando di tossicità del trattamento, è necessario considerare non solo il tipo di tessuto che viene irradiato, ma anche come quell'organo o tessuto è organizzato dal punto di vista dell'architettura. Si tenga presente che i diversi organi sono composti da subunità funzionali, quali, ad esempio, i nefroni a livello renale, gli alveoli a livello polmonare, e la risposta alle radiazioni delle diverse subunità funzionali dipende dalle caratteristiche delle cellule, la radiosensibilità delle cellule, ma anche dall'organizzazione strutturale dei diversi organi, che possono essere organizzati in serie o in parallelo. Un organo seriale è rappresentato, ad esempio, dal midollo spinale : se si provoca un danno a causa del superamento della dose (45-50Gy) c è rischio di mielite attinica. Il danno si manifesterà però a valle del distretto irradiato, come paralisi. Un organo in parallelo è invece il polmone o il rene: sono organi in cui in un volume limitato si può superare il limite di dose, senza rischio di incorrere in un insufficienza di quell organo in quanto il resto del parenchima sarà in grado di vicariare la parte lesionata. FRAZIONAMENTO DELLA DOSE Il principio del frazionamento della dose nasce in Francia intorno agli anni 30, che hanno permesso di definire le 4R. consistevano nell irradiazione di testicoli di montone al fine di provocare sterilità. Quando l irradiazione avveniva in dose singola, determinava anche dei danni ampi al sacco scrotale. Con il frazionamento si otteneva invece lo stesso effetto risparmiando lo scroto. SCHEMI DI FRAZIONAMENTO Esistono diversi modelli per il frazionamento, isoefficaci, equivalenti dal punto di vista di somministrazione della dose: Standard : prevede la somministrazione 1,8 2 Gy al giorno (il Gy è l'unità di misura della dose assorbita) per 5 giorni a settimana, per un totale di settimane che dipende dalla dose che si vuole somministrare, quindi si può andare, ad esempio, dalle 3 alle 6-7 settimane. Questo è quel frazionamento che consente di bilanciare il controllo della malattia e il rischio di tossicità associato al trattamento radiante. Iperfrazionato: somministrazione di una dose ridotta di radiazioni (inferiore a 1,5 Gy), somministrata, però, più volte al giorno (in genere 2, massimo 3, non di più, in quanto nell'intervallo tra le frazioni è necessario attendere almeno 5-6 ore, perché l'intervallo consente il recupero del danno subletale, quindi la riduzione del rischio di tossicità tardiva). Con l'iperfrazionamento, poiché non viene incrementato il rischio di tossicità tardiva, è possibile anche aumentare il valore della dose totale, aumentando quindi anche il numero delle frazioni, mentre la durata del trattamento è la stessa dello schema standard. Schemi iperfrazionati sono utili nel trattamento di tumori caratterizzati da una elevata attività proliferativa; ad esempio, tale schema è stato studiato nei tumori del distretto testa-collo, in cui il vantaggio dell'iperfrazionamento è anche quello di favorire una ridistribuzione delle cellule nelle fasi più radiosensibili del ciclo nell'intervallo tra le frazioni, ossia aumentano gli intervalli, per cui ci sono più cellule in fase di radiosensibilità. Non c'è rischio di aumento della tossicità tardiva pur aumentando il valore della dose totale, perché il valore della dose singola è ridotto rispetto ai 2 Gy dello schema standard. L'iperfrazionamento si è

11 dimostrato vantaggioso per trattare i tumori del distretto testa-collo, soprattutto se somministrato come unica modalità terapeutica; ad oggi nelle forme inoperabili lo standard prevede una radio-chemioterapia e in realtà l'iperfrazionamento della dose non è così utilizzato. Invece, rappresenta ancora uno standard terapeutico nel microcitoma polmonare, che è una neoplasia estremamente aggressiva, caratterizzata da un'elevata attività proliferativa, e che prevede un trattamento di chemio-radioterapia, con radioterapia somministrata con schema iperfrazionato, ossia 1,5 Gy due volte al giorno, fino alla dose totale di 45 Gy. Tale schema si è rivelato più efficace rispetto dello schema standard, in quanto, come già detto, si riduce il rischio di ripopolamento cellulare e si favorisce la ridistribuzione cellulare nelle diverse fasi del ciclo. In realtà, nei centri di radioterapia non sono facilmente utilizzabili schemi iperfrazionati, perché impatta sull'organizzazione del reparto, per cui anche nel microcitoma, nella maggior parte dei centri, si utilizza un frazionamento convenzionale, magari incrementando il valore della dose totale, per cui non 45 Gy, ma 50 o addirittura 60 Gy. Accelerato : non viene modificata la dose di radioterapia (quindi sempre 1,8 2 Gy) e la somministrazione avviene due volte al giorno, per cui si riduce in maniera significativa la durata del trattamento. Questo si è rivelato particolarmente efficace nei tumori del distretto testa-collo, in cui riducendo la durata del trattamento viene meno la ripopolazione, però c'è un rischio importante di tossicità acuta, tanto che questo schema di frazionamento può richiedere anche degli intervalli nella somministrazione del trattamento stesso, andando ad inficiare il beneficio dell'accelerazione della dose. Esistono addirittura degli schemi che non prevedono nemmeno interruzioni nel fine settimana, per cui le tossicità sono elevatissime. Ipofrazionato : si somministra una dose per singola frazione più elevata (superiore a 2 Gy), però è necessario ridurre il valore della dose totale, per cui si riducono il numero delle frazioni e la durata del trattamento. Il valore della dose totale deve essere ridotto perché, se ciò non venisse fatto, aumentando il valore della singola si rischierebbe l'insorgenza di effetti collaterali tardivi (magari anche acuti, ma quelli più preoccupanti sono i tardivi). per anni si è utilizzato l'ipofrazionamento solo nella palliazione, mentre adesso può essere utilizzato in maniera tranquilla, purché si vada a calcolare il valore esatto di dose totale da somministrare. Il valore della dose singola ha un impatto su quei tessuti caratterizzati da bassa attività proliferativa, ossia con rapporto α-β basso. Quindi, l'ipofrazionamento della dose può essere utile per quei pochi con suddetto rapporto basso (es. melanoma, tumore della prostata, tumore della mammella). TRATTAMENTO RADIANTE Lo scopo di un trattamento radiante è quello di somministrare una dose precisamente misurata di radiazioni ad un determinato volume bersaglio di un determinato target creando un minimo danno ai tessuti circostanti, quindi lo scopo è quello di ottenere l'eradicazione del tumore, ma anche ridurre il rischio di recidiva, ridurre il volume della malattia, migliorare i sintomi in caso di un trattamento a scopo sintomatico-palliativo in una malattia metastatica, migliorare la qualità di vita dei pazienti, ma soprattutto la sopravvivenza, indipendentemente dal fatto che un trattamento venga somministrato con intento radicale o palliativo. Il processo radioterapico è costituito da una serie di fasi, vi sono fasi generali valide per ogni disciplina ed altre specifiche per la radioterapia: ovviamente, la valutazione clinica iniziale viene fatta in qualunque disciplina medica ed essa consente di prendere una decisione terapeutica, tenendo però presente che un paziente difficilmente giunge in un centro di radioterapia senza una diagnosi. Bisogna quindi valutare le indicazioni al trattamento radiante, ossia decidere se effettuare o meno tale trattamento e lo scopo dello stesso (curativo o sintomatico). Però, a volte, nel decidere se effettuare o meno un trattamento, possono essere richiesti esami o accertamenti che non erano presenti nella documentazione presentata; ad esempio, nei pazienti con tumori del distretto testa-collo, spesso viene posta diagnosi basandosi

12 sulla TC, che però non basta per disegnare i volumi di irradiazione, per cui sono necessari approfondimenti diagnostici quale è, ad esempio, una risonanza magnetica. Di contro, specifico del processo radioterapico è l'identificazione e localizzazione del volume bersaglio e la tecnica da impiegare, oltre che la preparazione del paziente alla radioterapia e la somministrazione della stessa. Però, la valutazione del paziente durante il trattamento, per verificare l'insorgenza o meno di effetti collaterali e le fasi di follow up possono essere in qualsiasi altro centro. Ovviamente, è necessario porre sul piatto della bilancia il risultato che si vuole ottenere, la dose che si vuole somministrare e il rischio di tossicità, considerando che a volte il rischio di danno ai tessuti sani può essere anche un fattore dose-limitante. Per quanto concerne le modalità di somministrazione del trattamento radiante, nella maggior parte dei casi, si ricorre ad una radioterapia a fasci esterni, utilizzando delle unità di terapia chiamati acceleratori lineari, i quali possono produrre sia fotoni x sia elettroni di diverse energie (Sia i fotoni sia gli elettroni sono radiazioni a basso LET; i fotoni possono essere x o gamma). Può essere utilizzata anche la brachiterapia, che utilizza sorgenti radioattive sigillate, generalmente Indio 192, che può essere posto nell'interstizio dell'organo da trattare, detta brachiterapia interstiziale (es. tumore della prostata), all'interno di cavità naturali, detta brachiterapia endocavitaria (es. vagina, utero), oppure effettuare brachiterapia endoluminale (es. trachea, bronchi) o anche brachiterapia da contatto (es. cute). Un'altra forma di trattamento radiante è la radioterapia intraoperatoria. Gli effetti biologici della radioterapia dipendono dalla distribuzione della dose nel volume target, dal volume trattato, dall'intensità di dose, dal frazionamento della dose e dalla durata del trattamento. Quindi, quando si effettua un trattamento radiante bisogna considerare dove la malattia è localizzata, l'estensione e quali sono i rapporti con gli organi a rischio di tossicità, per cui decidere se trattare il pz con rt a fasci esterni o con brachi, nel primo caso se usare fotoni o elettroni, l energia delle radiazioni. L energia è importante in quanto se ad esempio si usano elettroni per neoplasie superficiali, tanto maggiore è l energia, tanto maggiore sarà la profondità raggiunta. Infine un ultima cosa importante è il modo in cui i fasci raggiungono il target. Un acceleratore lineare è un unità di terapia caratterizzata da una sezione nella quale vengono prodotti elettroni che vengono accelerati in una sezione acceleratrice e urtando poi contro un target generano fotoni. A livello della testata sono presenti collimatori che comprimono e sagomano il fascio. Durante il ttt il pz è posizionato sul lettino che può muoversi in senso craniocaudale, trasversale o verticale e la testata dell acceleratore, a seconda di come il fascio debba incidere, ruota e si posiziona secondo una determinata angolazione. Il pz deve essere, per tutte le sedute, nella stessa posizione, che deve essere confortevole e riproducibile. Se necessario si possono usare sistemi di immobilizzazione. L energia utilizzata, tuttavia, decade, man mano che si scende in profondità. Per determinare la profondità raggiunta si utilizzano le curve di isodose: ogni curva rappresenta l area all interno della quale arriva la stessa percentuale di energia. Per questo, a seconda della profondità dell organo da irradiare si scelgono differenti energie. PIANI DI TRATTAMENTO E MARGINI I piani di ttt in D si basavano su immagini radiografiche, tramite l uso di simulatori, che mimavano le proprietà ottiche e geometriche dell unità di terapia, e con essi veniva definita l estensione dei campi di irradiazione, basandosi su reperi ossei. Era inizialmente una tecnica a 2 campi contrapposti anteroposteriori. Tuttavia, per irradiare un organo pelvico, si è passati a una tecnica a 4 campi detta box technique, con cui si otteneva una buona conformazione di dose nell area anatomica da

13 irradiare. Con questa tecnica si irradia più tessuto sano rispetto a quella a 2 campi, ma la doseè notevolmente minore. Al simulatore venivano definiti i reperi ossei, si individuava il V da irradiare e i tessuti sani da risparmiare e, se possibile, venivano schermati con schermi di piombo o leghe a basso punto di fusione. La tecnica 2D è ormai poco usata, se non in campo palliativo, se si deve irradiare ad esempio un femore o un omero, dove non ci sono strutture rischio di tossicità. Attualmente lo standard è la 3D conformazionale, che si basa su immagini radiologiche TC, dove si va a definire il target contornando l area anatomica da irradiare; si contornano anche gli organi a rischio di tossicità e si inviano queste immagini a sistemi per piani di trattamento, che sono sistemi computerizzati dotati di particolari algoritmi di calcolo. Si va poi a studiare la geometria di irradiazione, ovvero il peso dei singoli fasci e se è necessario usare modificatori del fascio per migliorare la geometria di irradiazione e la distribuzione di dose. Quindi con questa tecnica si conforma la dose al target riducendo la dose ai tessuti sani circostanti. Quindi in radioterapia si definisce la posizione del pz, anche con sistemi di immobilizzazione, si effettua la TC e si inviano le immagini al TPS (Therapy Planning System). Qui si va a contornare e definire il V da irradiare e si dà un espansione, che serve per irradiare non solo la distribuzione microscopica (quindi non visibile) del tumore, ma tiene anche conto dei movimenti dell organo e degli errori di set up. Il margine dipenderà dalla sede da irradiare. Si vanno così a definire diversi volumi di irradiazione: GTV: gross tumor volume, tumore visibile su un immagine strumentale CTV: clinical target volume, che tiene conto dell estensione micro di malattia PTV. Planning target volume, che tiene conto degli errori di set up e dei movimenti dell organo; è un concetto geometrico, non clinico,fondamentale, in quanto determina le appropriate dimensioni di irraggiamento che consentono di assicurare che la dose prescritta raggiunga il CTV Treated volume: volume contenuto all interno di un isodose scelta e specificata dal radioterapista come dose appropriata a raggiungere lo scopo del ttt irradiated volume: è un volume che riceve una dose considerata significativa in relazione alla tolleranza dei tessuti Una volta che il piano di ttt è messo a punto le info vengono trasferite all unità di terapia. Qui il fascio di radiazioni viene sagomato da collimatori multilamellari i quali posizionano le lamelle in maniera differente. Strumenti importanti per balutare l efficacia del ttt sono la visualizzazione della distribuzione di dose e l istogramma dose-volume, una curva che correla la dose somministrata a un determinato volume del target o degli organi a rischio di tossicità. Il 95% del target deve ricevere il 95% della dose. Inoltre da vari studi si sa che un certo V di vescica o retto nonn deve ricevere più di una determinata dose. Sapendo questo si va a decidere se accettare o meno il piano terapeutico elaborato. Se ciò non avviene, si andranno a studiare geometrie di irradiazione diverse. Quindi rispetto alla 2D la 3D permette di migliorare la distribuzione di dose, ridurre il rischio di tossicità, aumentare la dose e migliorare il ratio terapeutico. L IMAGING NELLA DEFINIZIONE DEL V BERSAGLIO La TC è una tecnica diagnostica estremamente utile, anche in oncologia: prima della terapia per la diagnosi, per la stadiazione (permettono di vedere quanto la malattia è estesa), per la definizione del volume del bersaglio, la distribuzione dei tessuti a rischio di tossicità e quindi per la pianificazione del trattamento. Durante la terapia, una volta pianificato il trattamento: è possibile che ci siano delle modifiche del volume del target durante la terapia, e con nuove tecniche oggi è possibile

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