Immagini di risonanza magnetica

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1 Immagini di risonanza magnetica Sara Barbiero Trattamento di immagini biomediche A.A. 2009/2010 La Risonanza Magnetica Nucleare (NMR) è una tecnica basata sulle proprietà magnetiche dei nuclei dell'atomo, usata per ottenere informazioni fisiche e chimiche sulle molecole. Il termine risonanza indica il risultato che consegue all applicazione di uno stimolo di frequenza uguale a quella caratteristica di un altro sistema che ne riceve l energia imposta. L effetto è massimo quando i due sistemi hanno la stessa frequenza di oscillazione. La scoperta di tale principio si deve a Felix Bloch ed Edward Purcell, che, nel 1946, scoprirono questo fenomeno indipendentemente l'uno dall'altro e ad entrambi, venne assegnato il premio Nobel per la Fisica nel Tramite l NMR si possono produrre immagini di tipo tomografico digitale utilizzando campi magnetici e radiofrequenze (non utilizzando quindi, radiazioni ionizzanti). La Risonanza Magnetica per Imaging (MRI) è una tecnica, multiparametrica e multiplanare, utilizzata principalmente in campo medico per produrre immagini ad alta definizione dell'interno del corpo umano, che permette di acquisire immagini su piani sagittali, dorsali o trasversali senza spostare il paziente. Anche se nella denominazione della tecnica è presente il termine "nucleare", la RM non va confusa con le metodiche di Medicina Nucleare. Per questo, comunemente, si preferisce omettere il termine nucleare e utilizzare solo "Risonanza Magnetica". La Risonanza Magnetica ha esordito come modalità di imaging tomografico per produrre immagini di una sezione del corpo umano: basta immaginare di suddividere il distretto anatomico in esame in sezioni di spessore Thk (dall'inglese Thickness) (Fig.1) e, con questo tipo di tecnica, si è in grado di produrre un risultato equivalente all'eliminazione dell'anatomia al di sopra e al di sotto della sezione in esame (Fig.2). Ciascuna sezione è composta da vari elementi tridimensionali o voxel (volume element) (Fig.3); il cui volume è di circa 3 mm 3. L'immagine di risonanza magnetica risulterà, invece, composta da un insieme di elementi bidimensionali chiamati pixel (Fig.4) e l'intensità di un pixel è proporzionale all'intensità del segnale RM del voxel corrispondente. Inizialmente, quindi, le immagini prodotte con la RM erano solo bidimensionali, l'evoluzione delle tecniche di imaging consentono oggi di ottenere anche immagini di volume (in particolare, di mezzi di contrasto). Figura 1 Figura 2 Figura 3 Figura 4

2 L'imaging a risonanza magnetica è basato sull'assorbimento e l'emissione di energia nel range delle frequenze radio dello spettro elettromagnetico, da cui ne deriva il nome. Il problema iniziale, che ha impedito un veloce sviluppo di questo tipo di imaging è che non era possibile produrre immagini di oggetti più piccoli della lunghezza d'onda corrispondente all'energia usata dal sistema, un limite che venne superato producendo immagini sulla base di variazioni, in fase e frequenza, dell'energia assorbita ed emessa dall'oggetto esaminato. Brevi accenni storici Nel periodo tra il 1950 e il 1970 l RM fu sviluppata ed usata principalmente per analisi molecolari chimiche e fisiche. Solo nel 1971 che Raymond Damadian dimostrò, con esperimenti su cavie da laboratorio, che i tempi di rilassamento magnetico-nucleari dei tessuti sani erano differenti da quelli dei tessuti tumorali, stimolando così i ricercatori a prendere in considerazione la risonanza magnetica in ambito diagnostico. Hounsfield, nel 1973 introdusse la tomografia computerizzata a raggi X (TAC) e nello stesso anno, Paul Lauterbur sperimentò per primo, e con successo, la possibilità di fare imaging con risonanza magnetica in cui, per ricostruire l'immagine, usò una tecnica di retroproiezione simile a quella usata nella TAC. Solo dopo due anni, Richard Ernst propose l'utilizzo di un processo di codifica di fase e frequenza e l'impiego della trasformata di Fourier, elementi, questi, ancora oggi alla base delle moderne tecniche di RM. Nel 1977, Peter Mansfield ideò la tecnica di imaging eco-planare (EPI) che, negli anni successivi, fu ulteriormente sviluppata per produrre immagini a frequenza video (30 ms/immagine). Nel 1980, Edelstein ed i suoi collaboratori sperimentarono l'imaging del corpo usando la tecnica di Ernst tramite la quale si riusciva ad acquisire una singola immagine in circa cinque minuti. A partire dal 1986, il tempo richiesto per produrre immagini venne ridotto a circa cinque secondi, senza significativi cambiamenti della qualità dell'immagine. Nello stesso anno, alcuni studiosi svilupparono il microscopio a RM in grado di raggiungere una risoluzione prossima ai 10 μm su campioni di circa un centimetro. Nel 1987 l'epi fu utilizzata per effettuare l'acquisizione di immagini di un singolo ciclo cardiaco in tempo reale, mentre Charles Dumoulin perfezionava l'angiografia a risonanza magnetica (MRA), grazie alla quale diventava possibile ottenere immagini del flusso sanguigno senza l'utilizzo di un mezzo di contrasto. Nel 1991 Richard Ernst riceveva il premio Nobel per la Chimica per i suoi risultati sulla spettroscopia NMR con l'uso della trasformata di Fourier. Il 1992 segnò l'inizio dello sviluppo dell'mri funzionale (fmri), una tecnica che permette di costruire una mappa delle funzioni delle varie regioni del cervello umano. Solo cinque anni prima molti clinici ritennero che le applicazioni primarie dell'imaging eco-planare dovessero riguardare l'imaging cardiaco in tempo reale. Lo sviluppo della fmri rivelò invece una nuova applicazione per l'epi nel costruire una mappa delle regioni del cervello responsabili del controllo del pensiero e del movimento. Nel 2003 Paul C. Lauterbur dell'università dell'illinois e Sir Peter Mansfield dell'università di Nottingham ricevettero il premio Nobel per la Medicina per le loro scoperte nel campo dell'imaging con risonanza magnetica. Si potrebbe concludere quindi, con questa rapida cronologia, che l'mri è una scienza giovane, ma in rapida evoluzione.

3 Il fenomeno fisico di risonanza magnetica I principi fisici della risonanza magnetica possono essere derivati sia classicamente che quantisticamente ed entrambe le trattazioni portano allo stesso risultato. Dal punto di vista classico il nucleo atomico ruota attorno al proprio asse ed essendo carico elettricamente avrà un momento di dipolo magnetico pari a: µ = γj ; dove J è il momento angolare. Entrambi i momenti sono grandezze vettoriali e sono direttamente proporzionali sulla base di un fattore di proporzionalità γ detto rapporto giromagnetico e che è una costante caratteristica del sistema. Il momento delle forze L è associato all interazione tra il momento magnetico µ ed un campo magnetico applicato esterno B 0 tramite la relazione: Utilizzando la seconda legge della dinamica:, si ottiene: che indica che il vettore µ ha un moto di precessione attorno al campo magnetico con frequenza: ω 0 = γb 0 Legge di Larmor dove ω 0 rappresenta la frequenza di Larmor (MHz), γ il rapporto giromagnetico (MHz/Tesla) e B 0 l'intensità del campo magnetico (Tesla). Ogni elemento ha un unico rapporto giromagnetico che ci permette di discriminare anche il singolo isotopo rispetto ad un altro, basandoci appunto sulla frequenza di precessione in un dato campo magnetico. In altre parole, la scelta della frequenza ci permette, tramite il fenomeno della risonanza, di selezionare uno specifico elemento. Per esempio, la costante di Larmor, che è diversa per ogni isotopo, per i nuclei di idrogeno è pari a 42 MHz/T. Ciò significa che in presenza di un campo magnetico da 1.0 Tesla gli atomi di idrogeno ruotano a 42 MHz (42 milioni di giri/rivoluzione al secondo). Le risonanze usate nella diagnostica, generalmente, hanno un campo magnetico compreso tra 0,2 e 1,5 Tesla. Nella pratica, non si osserva mai un singolo nucleo o il singolo momento magnetico, ma l effetto combinato di tutti i nuclei del campione. Quello che si osserva, perciò, è la magnetizzazione totale M, data dalla somma vettoriale dei singoli momenti magnetici: M = Σµ, come mostrato in figura 6. Figura 6. Rappresentazione grafica del vettore magnetizzazione totale M

4 All equilibrio c è solo una componente lungo B0, dovuta al fatto che i momenti magnetici tendono ad allinearsi al campo magnetico esterno. Dal punto di vista quantistico invece, il momento angolare di un nucleo sottoposto ad un campo magnetico è quantizzato e si parla solitamente di spin, il quale può assumere il valore di ±½ nel caso di protoni e neutroni. All interno del nucleo, gli spin positivi e negativi di due neutroni o due protoni, possono compensarsi dando origine ad un numero netto di spin del nucleo I uguale a zero. Lo spin, a stretto rigore, rappresenta il momento angolare intrinseco del nucleo ed è, come tale, una grandezza vettoriale e quantizzata. Proprio perché quantizzato, assume solo determinati valori, multipli interi o semi-interi di (dove h = 6.626*10-34 Js è la costante di Planck). Il valore assunto dallo spin dipende dalla massa atomica e dal numero atomico del nucleo. In particolare: I Massa Numero Atomica Atomico Frazione Dispari Dispari o Pari Intero Pari Dispari Zero Pari Pari Esempi 1 H (½), 13 C (½) 2 D (1), 14 N (1) 12 C (0), 16 O (0) Il momento magnetico associato a uno spin è dato dalla relazione: dove m z è l autovalore del momento angolare lungo la direzione del campo magnetico esterno. Infatti, applicando un campo esterno, lo spin può essere solo parallelo o antiparallelo al campo. Da ciò deriva che nuclei con spin nullo (I = 0) hanno un momento magnetico nucleare nullo e per questo motivo non potranno essere osservati attraverso la spettroscopia di risonanza magnetica nucleare. Nella diagnostica RM sono importanti solo i nuclei con spin semi-intero. Tra tutti ( 1 H, 31 P, 19 F, 13 C, 23 Na) il più importante è sicuramente il nucleo dell idrogeno, precisamente il prozio (l acqua la molecola più abbondante - 63% - del nostro organismo è formata da due soli elementi: idrogeno e ossigeno; tra i due solo l idrogeno ha spin semi-intero); ed è ad esso che rivolgeremo la nostra attenzione. Tabella 1. Elementi biologicamente rilevanti, candidati per produrre immagini MR

5 Il nucleo dell idrogeno - costituito da un solo protone - avendo spin semi-intero e carica elettrica positiva, ha un momento magnetico ( ) (parallelo allo spin) diverso da zero. L orientazione del momento magnetico di ciascun protone di un nucleo di idrogeno, ha una distribuzione casuale e quindi, la loro somma vettoriale è nulla. In questo caso si dice che i nuclei sono degeneri (posseggono cioè, la stessa energia). Applicando un campo magnetico statico esterno B 0, si impone al sistema un ordine che porta la popolazione nucleare a distribuirsi su due o più livelli energetici, i quali sono associati a diverse orientazioni dei momenti magnetici nucleari rispetto al campo magnetico applicato (Fig. 7). I protoni, essendo infatti dei piccoli magneti, risentiranno dell azione del campo magnetico (B 0 ) e si orienteranno (come l ago di una bussola nel campo magnetico terrestre), alcuni parallelamente e altri con verso opposto alle linee di forza di quest ultimo. Figura 7. Distribuzione nei livelli energetici e orientazione degli spin, una volta applicato B 0 Quindi, se un nucleo, con un momento angolare P ed un momento magnetico viene posto in un campo magnetico B o, il momento angolare assume un orientazione tale che la sua componente P z lungo la direzione del campo è un multiplo intero o un mezzo multiplo di. dove m I viene definito come numero quantico magnetico e può assumere i valori che vanno da +I, (+I-1),..., a I. In totale si avranno (2I+1) differenti valori di m I, e di conseguenza un ugual numero di possibili orientamenti del momento magnetico e del momento angolare rispetto al campo magnetico applicato. Questo comportamento dei nuclei in un campo magnetico viene definito come quantizzazione direzionale. Ad esempio, per il protone che ha un valore di I = ½, saranno possibili 2 valori di m I : m I = +½ e m I = -½ e quindi due possibili orientazioni (Fig.8). (1.4) Figura 8.

6 Dalle equazioni (1.2) ed (1.4) si può ricavare la componente del momento magnetico lungo l asse z: h B m 0 I 2 I due orientamenti sono su livelli energetici differenti, la cui differenza di energia è: ΔE = γћb 0 = ћω e lo stato di allineamento favorito, perché più stabile, è quello al quale compete meno energia, ossia quello parallelo. A temperatura ambiente, il numero di protoni allo stato energetico minore (orientamento del momento magnetico totale μ parallelo a B) è solitamente di poco maggiore del numero di protoni allo stato energetico maggiore (orientamento del momento magnetico totale μ antiparallelo a B). La statistica di Boltzmann ci permette di rappresentare la distribuzione dei nuclei di idrogeno tra il livello energetico inferiore e superiore in funzione della differenza di energia tra questi due stati. Avremo infatti che: dove N + e N - sono rispettivamente i nuclei allo stato energetico inferiore e superiore, k è la costante di Boltzmann (k = 1, JK -1 ) e T la temperatura assoluta. Possiamo dunque dire che, a temperatura ambiente, N + N. Definiamo ora la Magnetizzazione Netta Totale, o Magnetizzazione Macroscopica, come la somma vettoriale dei momenti magnetici associati ai nuclei di idrogeno, ossia: in cui i singoli momenti magnetici μ i sono dunque sommati considerando il loro orientamento nello spazio. È importante notare che, per una popolazione di nuclei di idrogeno, la componente di M perpendicolare a B risulta nulla. Mentre i singoli μ i possono avere solo due possibili orientamenti rispetto alla direzione parallela a B ( nell'ipotesi di B 0 ), non esiste alcuna restrizione per il loro orientamento rispetto alla direzione perpendicolare a B. Quando dunque si va a calcolare Σ i μ i, la componente parallela a B, essendo soggetta alla quantizzazione, sarà M z 0 in funzione del rapporto N + / N -, mentre la componente perpendicolare a B sarà M x,y = 0 per motivi di simmetria: infatti, a causa dello sfasamento dei singoli μ i durante il moto di precessione dei nuclei intorno all'asse del campo B, la somma delle loro componenti perpendicolari a B risulta nulla. Con Magnetizzazione Netta Totale si indica dunque in realtà la componente M z. A temperatura ambiente e in assenza di un campo esterno applicato, essendo vero che N + N si può dire che anche M z 0. Vediamo ora in dettaglio cosa succede quando si applica un campo magnetico esterno. Abbiamo visto che la differenza numerica tra le popolazioni di protoni nei due stati energetici è funzione del valore dell'energia di transizione. Se dunque ΔU aumenta, aumenta anche il numero di nuclei nello stato energetico inferiore rispetto a quelli nello stato energetico superiore, data la maggiore difficoltà di passaggio spontaneo verso quest'ultimo. Ricordando che il valore di ΔU dipende sia dal rapporto giromagnetico γ che dall'intensità del campo B in cui sono immersi i nuclei, si deduce che è possibile modulare l'ampiezza ΔU agendo sia su γ che su B. Si possono dunque combinare questi due elementi in modo tale da ottenere una buona separazione tra i due stati energetici. In pratica, essendo il valore del rapporto giromagnetico quello dell'idrogeno, ossia γ = MHz/T, si agisce solo sull'intensità del campo B in modo da ottenere N + >> N. Il corrispondente valore della Magnetizzazione Macroscopica sarà quindi:

7 Per esempio, se si applica un campo magnetico B 0 =1 esla e T=300ºK, si ha un eccesso di qualche protone per milione nello stato up rispetto allo stato down. Sebbene questo non sembri significativo, un tipico voxel NMR contiene, pero, circa protoni e quindi protoni in piu nello stato up rispetto ai protoni nello stato down. Questo numero di protoni produce una magnetizzazione osservabile quando vengono tutti sommati.

8 Impulsi a radio frequenza (RF) Per rivelare la magnetizzazione totale è necessario perturbare in qualche modo il sistema che si trova nel suo stato di equilibrio e costringere M ad allontanarsi da B 0. L impulso di eccitazione è dato dall applicazione di un secondo campo magnetico B 1, perpendicolare a B 0 e rotante attorno a B 0 alla frequenza ω, esattamente uguale alla frequenza di precessione dei nuclei. Il campo B 1 causa lo spostamento di M dalla posizione di riposo parallela a B 0 e lo costringe ad eseguire una traiettoria a spirale (Fig.9). Figura 9. Effetto dell eccitazione a radio frequenza. In un sistema di riferimento rotante solidarmente con B 1 a) si evidenzia l inclinazione di M e la nascita di una sua componente trasversale in un sistema fisso; b) il vettore M descrive un moto a spirale su una superficie sferica con velocità angolare ω Quando B 1 viene spento, M continua a precedere descrivendo un cono ad un angolo α da B 0. La grandezza di questo angolo, denominato angolo di flip, dipende dall ampiezza di B 1 e dal tempo della sua applicazione. Infatti: dove δt è il tempo per cui l impulso B 1 è rimasto acceso. Se B 1 è applicato per un tempo opportuno, si può causare il posizionamento di M a 90 rispetto a B 0 e in questo caso l applicazione di B 1 è chiamata impulso a 90. Si può causare anche il posizionamento di M in direzione -B 0 e questo è un impulso a 180 o impulso di inversione. B 1 è anche detto campo magnetico a radiofrequenza perché ω/2π è normalmente compreso tra 1 MHz e 500 MHz, frequenze che corrispondono alle onde radio; quindi gli impulsi B 1 sono chiamati anche impulsi a radiofrequenza (RF). Dopo l applicazione dell impulso a 90, il vettore di magnetizzazione M genera esso stesso un campo magnetico oscillante a radiofrequenza. Questo può essere rivelato perché capace di indurre una corrente alternata in una bobina, la stessa bobina che è usata per applicare il campo B 1. Il segnale indotto dal vettore di magnetizzazione aumenta durante Figura 10. Segnale di decadimento libero successivo all impulso di 90

9 l impulso a 90 e dopo tale impulso decade a zero a causa del rilassamento che fa tornare M alla sua posizione di equilibrio, M 0, parallela a B 0. Questo tipo di segnale di decadimento, ottenuto in assenza di B 1, è chiamato segnale di decadimento libero ed in inglese è detto FID (Free Indunction Decay) oppure FIS (Free Indunction Signal), (Fig.10). Chiameremo il FIS segnale RM.

10 Parametri di interazione tessuto - Risonanza Magnetica Il contrasto nelle immagini di risonanza magnetica nucleare dipende dalle diverse proprietà magnetiche dei tessuti. Sebbene ci siano molti parametri che influenzano il segnale proveniente dal campione sotto osservazione, i parametri comunemente usati sono: la densità protonica, T1 e T2, rilevabili dal segnale RM emesso dal materiale. Questi parametri possono avere valori diversi per tessuti diversi e anche valori diversi per uno stesso tessuto che si trovi in uno stato normale o patologico. Densità protonica Il termine densità protonica si riferisce semplicemente al numero di protoni per unità di volume ed è proporzionale alla densità di acqua nei tessuti. Ad esempio, l osso ha una densità d acqua molto bassa, il fegato alta ed il sangue molto alta. Figura 11. Effetto della diversa densità protonica sul vettore M e sull ampiezza del segnale. La densità protonica del tessuto osservato è semplicemente proporzionale all ampiezza iniziale del segnale RM immediatamente dopo la fine dell impulso di eccitazione a 90 (Fig. 11): più è alta la densità protonica, maggiore è l ampiezza del segnale. Rilassamento Il rilassamento degli spin è causato dallo scambio di energia tra uno spin e l altro e tra lo spin e l ambiente che lo circonda. Queste interazioni danno origine a due tipi di decadimento del vettore M, chiamati rilassamento spin-spin e rilassamento spin reticolo rispettivamente. Il risultato finale del rilassamento è il ritorno di M nel suo stato iniziale parallelo a B 0. Il rilassamento spin-spin, detto anche tempo di rilassamento trasversale, o T2, è causato dall interazione tra i momenti magnetici nucleari. Il campo magnetico sperimentato istantaneamente da ciascun nucleo è certamente dominato dal campo esterno applicato B 0, ma c è anche un contributo al campo locale proveniente dai nuclei più vicini. Queste interazioni spin-spin provocano una debole variazione della frequenza di precessione di ciascun nucleo. Il risultato di ciò è una perdita della coerenza della fase dei nuclei tra loro, cosicché la componente trasversale del vettore di magnetizzazione M (M xy ), cioè la componente perpendicolare al campo

11 B 0, si riduce e di conseguenza anche il segnale RM (Fig. 12). La costante di tempo del rilassamento trasversale M xy è data da T2, cioè il tempo necessario affinché lo sfasamento dei nuclei determini la riduzione della componente trasversale M xy del 63%. Figura 12. Il rilassamento Spin-Spin causa la precessione dei momenti magnetici nucleari a velocità diverse. La perdita della coerenza di fase provoca il decadimento esponenziale della magnetizzazione trasversale con costante di tempo T2. Il rilassamento trasversale, infatti, segue le leggi del decadimento esponenziale e l equazione matematica che mette in relazione la magnetizzazione trasversale in funzione del tempo è: M t = M 0 (e t/t2 ) dove M t è la magnetizzazione (trasversale) residua al tempo t, M 0 la magnetizzazione iniziale (al termine dell impulso) e T 2 la costante di tempo che regola il fenomeno. T 2 è una grandezza dipendente esclusivamente dalle caratteristiche chimico-fisiche dei tessuti (il suo valore è determinato, in pratica, dalla libertà di movimento delle molecole contenenti i nuclei di idrogeno). E possibile, grazie alla sua misura (detta pesatura delle immagini), riconoscere (cioè contrastare) i diversi tessuti in esame. La rappresentazione grafica della variazione della magnetizzazione trasversale (ordinate) rispetto al tempo (ascisse), dopo l interruzione dell impulso RF, dà luogo ad una curva definita curva T 2. I tessuti caratterizzati da una costante T 2 lunga (ad esempio i liquidi) perdono la magnetizzazione trasversale molto lentamente e daranno, di conseguenza, segnali elevati. I tessuti caratterizzati, invece, da una costante di tempo T 2 breve (ad esempio i grassi) perdono la magnetizzazione trasversale più velocemente.

12 Il pseudo rilassamento, detto anche tempo T2*, è legato alla presenza di una disomogeneità del campo magnetico applicato all interno del campione. Ciò causa inevitabilmente un ulteriore defasamento relativo dei nuclei tra loro, tanto che è necessario definire un altro tempo di rilassamento, T2* appunto, esprimendo la velocità di decadimento trasversale osservata, 1/T2*, come la somma di due contributi: il contributo del rilassamento spin-spin; il contributo del rilassamento dato dalla disomogeneità di campo magnetico E quindi: 1/ T2 * = 1/ T2 + 1/ T2 disom dove: 1/ T2 disom = γ ΔB0 in cui ΔB0 è l ampiezza della variazione di campo magnetico, nella regione occupata dal campione. Il rilassamento spin-reticolo detto anche tempo di rilassamento longitudinale, o T1, causa il graduale riallineamento dei momenti magnetici con B 0, (Fig.13). Questo fenomeno dipende dalle proprietà intrinseche del nucleo ma anche dal microambiente in cui si trova immerso, detto reticolo (nuclei circostanti, temperatura, presenza di molecole di grandi dimensioni o/e di molecole paramagnetiche come quelle dei mezzi di contrasto, etc.) e per questo si parla di interazione spinreticolo. Durante il fenomeno del rilassamento, infatti, i protoni cedono l energia precedentemente attinta dall impulso RF al reticolo. T 1, in particolare, è tanto più breve quanto più facile e rapida è la suddetta cessione di energia. Quindi la componente di M parallela a B 0, ossia la componente longitudinale, torna al valore di equilibrio M 0 in un tempo caratteristico T1. Figura 13. Il rilassamento Spin-Reticolo causa il ritorno della componente longitudinale del vettore di magnetizzazione al suo valore M 0 di equilibrio, con costante di tempo T1. Ogni protone ha una sua probabilità di transizione e quindi non tutti fanno contemporaneamente questo, e ciò porta ad un incremento sequenziale, sino ai valori originari, della magnetizzazione longitudinale. Il ripristino della magnetizzazione longitudinale segue le leggi dell incremento esponenziale, secondo l equazione: M l = M 0 (1 e t/t1 )

13 dove M l è la magnetizzazione (longitudinale) presente al tempo t, M 0 la magnetizzazione iniziale (al termine dell impulso) e T1 la costante di tempo che regola il rilassamento longitudinale. T1 è quindi il tempo necessario affinché il 63% dei nuclei riacquisti il loro stato di equilibrio dopo che un impulso a RF ne ha modificato la posizione di 90 rispetto alla posizione di riposo. Il T1 dei tessuti è in genere dell ordine di 1 secondo. I liquidi hanno, a causa della scarsa interazione fra le molecole, un lungo T1. I tessuti, invece, le cui molecole sono provviste di moti molecolari con frequenza uguale a quella di precessione (cessione energetica protone/reticolo facilitata) come ad esempio il grasso sono caratterizzati da un T1 breve. Una volta che il vettore di magnetizzazione M è tornato al suo valore di equilibrio M 0 parallelo a B 0, non c è nessuna possibilità di avere una magnetizzazione traversa diversa da zero. Per questo motivo T2 è sempre minore o al limite uguale a T1. Il segnale NMR, come già precedentemente affermato, dipende dai parametri T1, T2, e dal numero totale di nuclei per unità di volume (densità protonica). L' intensità del FID è infatti direttamente correlabile con la densità protonica attraverso la sua ampiezza e al T2* attraverso il suo tempo di decadimento. La misura di T1 non è invece diretta e dipende dalle tecniche adottate per l'acquisizione.

14 Sequenze di eccitazione Scegliendo opportunamente la sequenza di impulsi a RF è possibile imporre al sistema di spin una dinamica prescelta, per ottenere successivamente l'informazione fisica voluta dal segnale NMR in funzione del tempo. Parametro caratteristico di tutte le sequenze e il tempo di ripetizione TR (Repetition Time), che è il tempo che intercorre tra due impulsi RF uguali. In figura 14 è mostrato, a titolo di esempio su tre tessuti con tre diversi valori di T1, come il parametro TR può essere opportunamente fissato, al fine di enfatizzare il contrasto tra i diversi tessuti. Figura 14. Contrasto tra tessuti con diverso T1, in funzione di diversi valori di TR Esistono numerose tipologie di sequenze di eccitazione ed una di queste è la Saturation Recovery Sequence. Questa sequenza consiste in una successione di impulsi di 90, distanziati di un tempo TR (Fig.15). Figura 15. Saturation Recovery Sequence

15 Per effetto dell'impulso di 90, scompare la componente Mz, mentre risulta Mo=M xy (Fig.16b). Il sistema si riporterà all'equilibrio non appena cessa l'eccitazione (Fig.16c-d-e). Figura 16. (a) situazione di equilibrio; (b) l effetto dell impulso a RF è quello di rendere M z =0 e M xy =M 0 ; (c)-(d)-(e) incremento della componente longitudinale (con tempo di rilassamento T1) e decremento della componente trasversale (con tempo di rilassamento T2) L ampiezza S del segnale è proporzionale a : T S k 1 exp T r 1 La differenza fra due tessuti, in questo caso, dipende dal valore della componente longitudinale, ovvero da TR. Infatti, osservando la Fig.17, se il tempotr è breve, l'intensità del vettore di magnetizzazione trasversale (e quindi del FID) sarà sensibilmente diversa per i due tessuti. Figura17. Tempi di rilassamento longitudinale per due diversi tessuti

16 Si ottiene quindi un' immagine il cui contrasto è dovuto al parametro T1 (T1-weighted image). Se il tempo TR è lungo, il vettore longitudinale avrà recuperato interamente il suo valore iniziale per entrambi i tessuti (saturazione), e la differenza nel segnale ottenuto sarà da attribuire alla diversa densità protonica. Un altro tipo di sequenza di eccitazione è la Spin echo sequence (SE). Con la sequenza spin-echo non misuriamo il FID ma un segnale simile chiamato echo che si ottiene inviando due impulsi di RF: il primo a 90, il secondo a 180. Figura 18. illustrazione schematica della spin echo pulse sequence Il primo impulso di RF a 90 ha lo scopo di ruotare la magnetizzazione longitudinale sul piano trasversale x-y. Inizia così, da quest istante, la perdita della coerenza di fase (con decadimento della magnetizzazione trasversale) dei momenti magnetici. Dopo l intervallo t (pari a TE/2), dell ordine di alcuni millisecondi dall impulso di RF a 90, inviamo un secondo impulso di RF (a 180 ) che ribalta, sullo stesso piano, i momenti magnetici. L inversione del senso di marcia dei momenti magnetici determina, al TE (tempo di echo), il ripristino, con conseguente emissione del segnale (echo), della coerenza di fase. Figura19. a)-(b) per effetto dell impulso a 90 il vettore M ruota sul piano xy; (c) M perde coerenza(sfasamento degli spins); (d) rifasamento degli spins in seguito al l impulso a 180 o ; (e) segnale di echo. In pratica: i momenti magnetici che precedono a velocità maggiore e che si trovano, quindi, in una fase successiva rispetto ai più lenti, dopo l inversione del senso di marcia si troveranno dietro a questi ultimi; sono però sempre i più veloci, perché sottoposti a campi magnetici locali più intensi.

17 Trascorso lo stesso intervallo (TE/2) dall impulso di RF a 180 raggiungeranno i più lenti, ristabilendo la coerenza di fase. In questo momento (TE) la magnetizzazione trasversale è ristabilita e questo coincide con l emissione del segnale (eco). (Ripetendo l'impulso di 180 è possibile ottenere diversi segnali di eco, tuttavia questi risulteranno via via attenuati). La sequenza SE è caratterizzata da due parametri (operatore-dipendenti) fondamentali: TR e TE. La scelta oculata dei due parametri determina le caratteristiche (ossia il contrasto) delle immagini finali. Il TR (o tempo di ripetizione) è l intervallo che separa due impulsi RF a 90 (o due sequenze successive); il TE (o tempo di echo) è, invece, l intervallo che separa il primo impulso a 90 dalla raccolta dell echo. Il motivo per cui si misura l echo e non il FID consiste nel fatto che gli impulsi di RF sono prodotti, nella pratica clinica, inviando particolari correnti alternate nella bobina che circonda la parte anatomica da studiare (bobina trasmittente). La stessa bobina, non appena cessa l impulso RF, è commutata in antenna ricevente per rilevare il segnale emesso dalla struttura in esame. Il passaggio dalla fase trasmittente alla fase ricevente necessita, naturalmente, di alcuni millisecondi, tempo durante il quale perderemmo per la sua vicinanza temporale con l impulso di eccitazione parte del segnale FID (il segnale FID, infatti, massimo subito dopo l impulso RF a 90 decade, con legge esponenziale, in funzione di T2). La SE consente con opportune modifiche del TR e del TE di ottenere immagini pesate, rispettivamente, in T1, T2 e DP (parametri intrinseci tessutali). Infatti, se TE<<TR, l ampiezza S del segnale e proporzionale a: S T k 1 exp T T exp T R E 1 2 Figura20. Segnale RM Più precisamente: le immagini con TR e TE brevi (300 < TR < 600 ms; 10 < TE < 30 ms) - TR T1 e TE<<T2 - sono T1 pesate; Il segnale sarà influenzato dal parametro T1, mentre, essendo breve TE, non saranno evidenti e quindi significative le differenze di T2 (T1-weighted), (Fig. 21). Figura 21. un tempo TR corto fa sì che le differenze nel tempo T1 siano significative

18 quelle con TR e TE lunghi (TR > 1800 ms; TE > 80 ms) - TR>>T1 e TE T2 - sono dipendenti dal T2; L immagine risultante è essenzialmente influenzata dal parametro T2 (T2-weighted), (Fig. 22). Figura22. un tempo TE lungo fa sì che le differenze nel T2 abbiano abbastanza tempo per diventare significative quelle con TR lungo (TR > 1800 ms) e TE breve (10 < TE < 30 ms) - T R >>T 1 e T E <<T 2 - dipendono dalla densità protonica (DP). quelle con TR breve e TE lungo: per entrambi i parametri si ottiene un segnale troppo debole per avere informazioni. Questa tecnica è la più utilizzata attualmente negli esami diagnostici e permette di ottenere informazioni su tutti e tre i parametri di interesse: T1, T2 e la densità protonica. In generale, il comportamento del vettore di magnetizzazione in ogni sua condizione viene descritto dalle equazioni di Bloch: dm x M x M ybz M zby dt T2 dm y M y M zbx M xbz dt T2 dm z M z M 0 M xby M ybx dt T Infatti, se opportunamente integrate, forniscono le tre componenti del vettore magnetizzazione M in funzione del tempo, calcolate rispetto al sistema di riferimento rotante attorno all'asse z alla frequenza di Larmor (questo sistema più conveniente viene distinto rispetto quello del laboratorio mettendo gli apici agli assi x e y). 1

19 Mezzi di contrasto I mezzi di contrasto impiegati in RM, comunemente detti magnetofarmaci, sono composti di coordinazione del gadolinio (Gd 3+ -DTPA). Il catione gadolinio (Gd 3+ ) è un elemento paramagnetico. Sono detti paramagnetici alcuni atomi caratterizzati da un numero elevato di elettroni di valenza non appaiati, dotati quindi di uno spin elettronico e di un momento magnetico diverso da zero. La configurazione elettronica del gadolinio (atomo neutro) è la seguente: [Xe] 4f 7 5d 1 6s 2 Lo ione gadolinio (che ha perso i tre elettroni di valenza più esterni) possiede, per il principio di Hund (detto volgarmente della massima comodità ), sette elettroni non appaiati nei sette orbitali iso-energetici 4f. Allo scopo di assicurarne il tropismo biologico e di eliminarne la tossicità, il gadolinio è somministrato in forma chelata (all interno di grandi molecole organiche) al DTPA (acido dietilentriamino pentacetico). I mezzi di contrasto paramagnetici, a differenza dei mezzi di contrasto iodati, non possiedono un segnale proprio; modificano, bensì, il segnale dei tessuti in cui si localizzano. Per la precisione: giocano il ruolo di accettori energetici e di disomogeneizzanti del campo magnetico (accorciano T 1 e T 2 ). Figura 23. Effetto di un mezzo di contrasto Il comportamento biologico dei mezzi di contrasto paramagnetici è, tuttavia, simile a quello dei mezzi di contrasto iodati a somministrazione endovenosa: enhancement tumorale, visualizzazione delle lesioni vascolarizzate e della barriera emato-encefalica lesa, differenziazione lesione/edema perilesionale etc I mezzi di contrasto paramagnetici trovano impiego, pressoché esclusivo, nelle sequenze pesate in T1, nelle quali le formazioni captanti il contrasto assumono un segnale iperintenso.

20 Risonanza magnetica funzionale I cambiamenti dell attività neurale del cervello sono associati ai cambiamenti delle richieste energetiche: quanto maggiore è l attività funzionale di un distretto cerebrale, tanto maggiore sarà il suo metabolismo e conseguentemente, le sue richieste energetiche aumenteranno. Una delle tecniche non invasive e più sofisticate che sfruttano le variazioni emodinamiche prodotte dall attività neuronale per identificare le aree attivate del cervello è la risonanza magnetica funzionale (fmri). Questo metodo di indagine si basa sul cambiamento del segnale MRI, in seguito alla risposta emodinamica e metabolica in una regione in cui si ha un attivazione neuronale indotta da stimoli interni o esterni. Il segnale fmri. L aumento dell attività elettrica neuronale ha come conseguenza una maggiore richiesta da parte dei neuroni di energia con conseguente maggior necessità di ossigeno. Questo fenomeno causa una variazione del segnale MRI attorno ai vasi che irrorano la corteccia. Durante un aumento dell attività cerebrale, quindi, si ha un aumento localizzato del flusso sanguigno, con conseguente aumento locale della quantità di ossigeno. La molecola trasportatrice dell ossigeno è l emoglobina (Hb). Nello stato inattivo, le cellule nervose prelevano una certa quantità di ossigeno dall emoglobina ossigenata (ossiemoglobina, HbO 2 ), che quindi diviene emoglobina deossigenata (deossiemoglobina, Hbr). Nello stato attivo la richiesta, da parte dei neuroni, di ossigeno aumenta e quindi il flusso sanguigno porterà una quantità di emoglobina ossigenata maggiore rispetto allo stato inattivo; nelle aree attivate, quindi, ci sarà un netto aumento della concentrazione di ossiemoglobina. (In altre parole, quando un tessuto nervoso è in attività, il suo metabolismo richiede un aumento di flusso sanguigno e un maggiore consumo di ossigeno: però l'aumento del flusso ematico non corrisponde sempre al solo fabbisogno di ossigeno, ma può essere di gran lunga superiore e in questo caso si ha un aumento locale della concentrazione di ossiemoglobina assieme ad una diminuzione della concentrazione di desossiemoglobina (che è paramagnetica): la variazione nei rapporti tra ossi e desossiemoglobina è la base della risonanza magnetica funzionale). Sebbene l aumento regionale del flusso sanguigno sia un indicatore dell aumento dell attività elettrica cerebrale, non è ancora chiaro il meccanismo legato al controllo della richiesta di un maggiore flusso sanguigno. Le ipotesi più probabili sono: il rilascio di fattori chimici come l ossido nitrico, l adenosina, gli ioni idrogeno o potassio; una stimolazione nervosa diretta della muscolatura vascolare.

21 Figura24. Aumento regionale del flusso sanguigno dovuto ad un aumento dell attività neuronale-sinaptica regionale, con conseguente aumento locale della concentrazione di ossiemoglobina (risposta emodinamica). Stato basale: Flusso normale; Livello basale [Hbr]; Volume del sangue (CBV) basale; Segnale MRI normale; Stato attivato: Aumento del flusso; Diminuzione di [Hbr]; Aumento di CBV; Aumento del segnale MRI. L emoglobina ossigenata e la non ossigenata hanno proprietà magnetiche diverse, in particolare l ossiemoglobina è diamagnetica e la deossiemoglobina è paramagnetica. La presenza della Hbr paramagnetica causa la distorsione del campo magnetico statico B 0 ; gli spin in un campo magnetico non uniforme (disomogeneo) precessano a frequenze diverse causando una maggiore dispersione di fase e perciò un decadimento trasversale più rapido del segnale MRI. Questo effetto, responsabile delle variazioni dei segnali MRI, è detto BOLD (blood oxygenation level dependent). La variazione dell ossigenazione nel sangue causa una variazione del parametro T2* (costante di tempo che tiene conto del decadimento trasversale della magnetizzazione dovuta sia al campo magnetico non omogeneo che all interazione spin-spin) che a sua volta porta ad una variazione dell intensità dell immagine T2*-weighted (Fig. 24).

22 Figura25. Rappresentazione grafica dell effetto BOLD. La fmri non produce immagini dirette di quello che avviene nel cervello. Questo succede non solo perché queste immagini raffigurano un effetto indiretto (risposta emodinamica) dell attività neuronale (che è molto più rapida), ma anche perché, più che delle istantanee, sono in realtà delle mappe di distribuzione statistica di questo effetto indiretto su tutto il cervello. In un esperimento di fmri con un campo di 1.5 T, l effetto BOLD (Fig. 25) determina, infatti, una variazione del segnale dell ordine del 5-8%, ancora troppo debole perché si possa essere sicuri di riconoscerlo nell evento singolo (il segnale BOLD non fornisce una misurazione assoluta dell attività neurale, ma relativa). Figura26. Andamento temporale del segnale BOLD. Durante una sessione d esame, perciò, vengono acquisite immagini funzionali in assenza di stimoli, che serviranno come immagini di confronto (livello basale, di riposo del segnale BOLD); inoltre, durante il periodo di acquisizione, vengono presentati degli stimoli che possono essere: sensoriali, motori o task cognitivi. Lo stesso task viene ripetuto periodicamente in modo da fare una media

23 statistica di tutti i valori delle immagini relativi all attivazione. L immagine finale si ottiene facendo una sottrazione mediata tra l immagine acquisita durante l assenza di stimoli e l immagine acquisita durante la presentazione dello stimolo. In questo modo si ottiene un immagine statistica parametrica, che va poi sovrapposta all immagine anatomica (Fig. 26). Figura27. Rappresentazione grafica di come si ottiene la mappa dei parametri statistici, cioè l immagine statistica parametrica (sottrazione mediata tra l immagine acquisita durante l assenza di stimoli e l immagine acquisita durante la presentazione dello stimolo), che viene poi sovrapposta all immagine anatomica per ricavare l immagine finale. Ricostruzione di immagini di risonanza magnetica L'MRI è una modalità di imaging usata principalmente per costruire immagini a partire dal segnale RM proveniente dal prozio presente nell'oggetto esaminato. Nell'MRI per scopi di diagnostica medica i radiologi "osserveranno" dunque il segnale RM principalmente proveniente da acqua e grasso, essendo questi i costituenti del corpo umano che contengono le maggiori quantità di idrogeno. Il principio su cui è basato l'imaging MRI è l'equazione di risonanza, che lega con una relazione di proporzionalità la frequenza di risonanza ω di uno spin al campo magnetico B o cui questo è sottoposto: ω = γ B o. dove γ è il rapporto giromagnetico. Per esempio, se si assume che una testa umana contenga solo tre piccole regioni distinte in cui c'è densità di spin di idrogeno (è chiaramente una schematizzazione poiché nella realtà l'intera testa genererebbe un segnale RM) (Fig. 1a). Quando queste regioni di spin subiscono la stessa intensità di campo magnetico, nello spettro NMR ritroviamo un solo picco (Fig. 1b). Per riuscire ad individuare la posizione di ciascuna regione nello spazio è necessario trovare un modo che ci permetta di "codificare" nel segnale l'informazione sulla posizione. Un gradiente di campo magnetico è quello che ci permetterà di fare questo.

24 Figura 1a). Figura 1b). Gradienti di campo magnetico Un gradiente di campo magnetico è una variazione del campo magnetico rispetto alla posizione: un gradiente mono-direzionale è una variazione rispetto ad una direzione, mentre un gradiente bidirezionale è una variazione rispetto a due direzioni. Il tipo di gradiente più utile nell'mri è un gradiente di tipo lineare mono-direzionale. Se per esempio lo si prende lungo l'asse x, in un campo magnetico B o, significa che il campo andrà aumentando lungo la direzione x e la lunghezza dei vettori rappresenterà l'intensità del campo magnetico (Fig.2). Il gradiente di campo magnetico nelle direzioni x, y, z verrà indicato rispettivamente con G x, G y e G z. Figura2.

25 Codifica in frequenza Il punto al centro del magnete in cui (x,y,z) = (0,0,0) è chiamato isocentro e in questo punto il campo magnetico è B o e la frequenza di risonanza è ω o (Fig.3a). Se un gradiente di campo magnetico lineare viene applicato all ipotetica testa iniziale, con sole tre regioni contenenti spin, le tre regioni subiranno campi magnetici diversi (Fig.3b). Figura3a). 3.b) Il risultato è uno spettro RM con più di un segnale, la cui ampiezza è proporzionale al numero degli spin in un piano perpendicolare al gradiente. Questa procedura è chiamata codifica in frequenza e fa sì che la frequenza di risonanza sia proporzionale alla posizione dello spin: Questo principio è alla base dell'imaging MRI.

26 Imaging tomografico con retroproiezione Per poter generare un'immagine da uno spettro NMR, una tecnica utilizzata è quella di imaging con retroproiezione. La retroproiezione è una estensione della procedura di codifica in frequenza descritta precedentemente. In questo tipo di tecnica l'oggetto viene inizialmente posizionato in un campo magnetico, a cui viene poi aggiunto un gradiente di campo mono-dimensionale a diverse angolazioni e, per ciascuna delle quali, viene registrato lo spettro RM. Supponiamo ad esempio, di voler produrre l'immagine di un oggetto nel piano YZ: all'oggetto viene applicato prima un gradiente di campo magnetico nella direzione +Y e ne viene registrato lo spettro RM (Fig.4a) ed in seguito viene registrato un secondo spettro con il gradiente lungo una direzione che forma con l'asse +Y un angolo di un grado. Il processo è ripetuto per i 360 angoli compresi tra 0 o e 359 o (Fig. 4b) e una volta registrati tutti i dati nella memoria del computer, questi possono essere retroproiettati nello spazio (Fig. 4c.). Figura4 a) b) c) Infine, soppressa l'intensità di fondo, l'immagine diventa visibile (Fig.5). Figura 5.

27 In una sequenza di imaging convenzionale 90-FID questa procedura può essere applicata con l'aiuto della seguente sequenza di impulsi (Fig.6). La variazione dell'angolo ϑ del gradiente è realizzata mediante l'applicazione di combinazioni lineari di due gradienti. Per ottenere il gradiente G f di codifica in frequenza richiesto, vengono applicati dei gradienti lungo Y e X nelle seguenti proporzioni: G y = G f sin ϑ G x = G f cos ϑ Il gradiente G z dell'ultimo grafico serve a selezionare i soli spin di un sottile strato (fetta), in modo tale da rendere la tecnica di retroproiezione una tecnica di imaging tomografico attuabile. Figura 6.

28 Selezione del piano immagine La selezione del piano immagine in MRI è la selezione degli spin appartenenti ad un piano che seziona l'oggetto (piano di imaging o piano immagine). Il principio alla base della selezione del piano di imaging (fetta) è contenuto nell'equazione di risonanza. La selezione è realizzata applicando un impulso RF a 90, in presenza di un gradiente di campo magnetico (lineare monodimensionale) in direzione perpendicolare al piano da acquisire ed in questo modo, gli spin che sono localizzati in una fetta dell'oggetto, ruoteranno. L'immagine seguente mostra cosa questo voglia dire se consideriamo un cubo di piccoli vettori di magnetizzazione netta (Fig. 7). Figura 7. Figura 8. Se si esamina il contenuto in frequenza di un impulso a 90 o, per esempio un impulso squadrato a 90 o, esso contiene un intervallo di frequenze: basta guardare la trasformata di Fourier dell'impulso che ha la forma di una funzione sinc (Fig.8). L'ampiezza della funzione sinc è massima alla frequenza della RF attivata; questa frequenza sarà ruotata di 90 o mentre le altre frequenze minori e maggiori saranno ruotate di angoli inferiori. Infatti la frequenza di eccitazione corrisponde alla frequenza di Larmor di un solo piano e quindi eccita soltanto gli spin di quel piano. A causa del gradiente di campo statico tutti gli altri piani, anche quelli vicini, hanno una frequenza di eccitazione diversa. L'applicazione di questo impulso a 90 o, con un gradiente di campo magnetico nella direzione x, ruoterà di 90 o alcuni degli spin in Figura 9.

29 un piano perpendicolare all'asse x. Si è usato il termine "alcuni" perchè alcune delle frequenze hanno un B 1 minore di quello richiesto per una rotazione di 90 o e di conseguenza, gli spin selezionati non costituiscono effettivamente una fetta (Fig.9). Una soluzione alla scarsa definizione del profilo della fetta consiste nel modellare l'impulso a 90 o secondo la forma di un impulso sinc che ha una distribuzione in frequenza a onda quadra (Fig.10) e in modo tale che si possa eccitare allo stesso modo e allo stesso tempo tutti gli spin dei piani appartenenti ad un certo spessore (fetta).. Figura 10. Un'immagine tomografica di retroproiezione può essere ottenuta con l'applicazione dei seguenti impulsi (Fig. 11). Un impulso a 90 o, modellato come impulso sinc, è applicato in congiunzione con un gradiente di selezione della fetta (G z ). Una volta spento G z, viene applicato un gradiente di codifica in frequenza che è composto, in questo esempio, da una coppia di gradienti G x e G y. I FID sono trasformati secondo Fourier per produrre gli spettri nel dominio delle frequenze che retroproiettati produrranno l'immagine. Figura11. Impulsi necessari per un immagine tomografica

30 Sebbene altamente istruttiva, la tecnica di retroproiezione non viene di fatto mai utilizzata al giorno d'oggi. Vengono invece usate le tecniche basate sulla trasformata di Fourier. Principi di imaging con la trasformata di Fourier Una terza categoria di gradienti di campo magnetico sono i gradienti di codifica di fase e che, uniti ai gradienti di selezione della fetta e ai gradienti di codifica in frequenza, sono al giorno d'oggi usati nell'imaging tomografico di risonanza magnetica basato sulla trasformata di Fourier. Il gradiente di codifica di fase è un gradiente del campo magnetico B o usato per impartire al vettore di magnetizzazione trasversale un angolo di fase specifico, il quale dipende dalla localizzazione, in un determinato istante di tempo, del vettore di magnetizzazione trasversale. Per esempio, se si immagina di avere tre regioni con spin e il vettore di magnetizzazione trasversale relativo a ciascuno di essi sia stato ruotato ad una certa posizione rispetto all'asse delle X (Fig.12). Ora, i tre vettori sono in un campo magnetico uniforme e avranno la stessa frequenza di Larmor. Se applichiamo un gradiente di campo magnetico lungo la direzione X, i tre vettori ruoteranno lungo la direzione del campo magnetico applicato ad una frequenza data dall'equazione di risonanza: Figura12. Stessa fase e stessa frequenza ω = γ (B o + x G x ) = ω o + γ x G x Mentre il gradiente di codifica di fase è acceso, ciascun vettore di magnetizzazione trasversale ha la sua propria (unica) frequenza di Larmor (Fig.13). Finora, la descrizione della codifica di fase è la stessa di quella della codifica in frequenza. Vediamo ora le differenze. Se il gradiente nella direzione X viene spento, il campo magnetico esterno subito da ciascuno spin è, per tutti gli scopi pratici, identico; perciò la frequenza di Larmor di ciascun vettore di magnetizzazione trasversale è identica (Fig. 14). Figura13. Frequenze diverse Figura14. Diversa fase, stessa frequenza L'angolo della fase di ciascun vettore, d'altra parte, non è identico. Infatti, l'angolo della fase è l'angolo che il vettore di magnetizzazione forma con un asse di riferimento, detto asse Y, al tempo in cui il gradiente di codifica di fase viene spento (nell'esempio riportato sopra è possibile distinguere tre differenti angoli della fase). Come negli esempi relativi al gradiente di codifica in frequenza, se si avesse un modo per misurare la fase dei vettori di rotazione, potremmo loro assegnare una posizione lungo l'asse X.

31 Imaging tomografico con la trasformata di Fourier Uno dei migliori modi per capire una nuova sequenza di imaging è esaminare il suo diagramma temporale nel quale vengono riportati, in funzione del tempo, la radiofrequenza, i gradienti di campo magnetico ed il segnale. La più semplice sequenza per imaging con la trasformata di Fourier contiene un impulso a 90 o, un gradiente per la selezione della fetta, un gradiente per la codifica di fase, un gradiente per la codifica in frequenza e un segnale (Fig.15). Il primo evento, avente luogo secondo questa sequenza di imaging, è l'attivazione del gradiente per la selezione della fetta. L'impulso RF per la selezione della fetta è applicato nello stesso istante e consiste in una "breve e intensa" cessione di energia con un impulso che ha la forma di una sinusoide moltiplicata per una funzione sinc. Al termine dell'impulso RF, il gradiente per la selezione della fetta viene spento e viene attivato il gradiente per la codifica di fase. Una volta che quest ultimo viene spento, viene acceso il gradiente per la codifica in frequenza e viene registrato un segnale. Questo segnale ha la forma di un echo o di un FID. La sequenza di impulsi di solito è ripetuta 128 o 256 volte per raccogliere tutti i dati necessari a produrre un'immagine. Ogni volta che la sequenza viene ripetuta l'intensità del gradiente di codifica della fase cambia; inoltre, l'intensità viene incrementata con un certo "passo" a partire dal valore minimo fino alla massima ampiezza del gradiente. Il gradiente di selezione della fetta è sempre applicato perpendicolarmente al piano della fetta, il gradiente di codifica di fase, invece, è applicato lungo uno dei lati del piano immagine mentre il gradiente di codifica in frequenza è applicato lungo il rimanente lato del piano immagine. La tabella seguente indica le possibili combinazioni dei gradienti di selezione della fetta, di codifica di fase e di codifica in frequenza. Figura 15. Gradiente Piano immagine Selezione fetta Fase Frequenza XY Z X o Y Y o X XZ Y X o Z Z o X YZ X Y o Z Z o Y Se si esamina la sequenza da una prospettiva macroscopica dei vettori di spin, la si può immaginare come un cubo di spin posto in un campo magnetico e composto da molti elementi di volume, ognuno col suo proprio vettore di magnetizzazione netta. Supponendo di voler creare l'immagine di una fetta nel piano XY e supponendo che il campo magnetico B o sia lungo l'asse Z (Fig.16), si può applicare il gradiente di selezione della fetta lungo quest asse e gli impulsi RF faranno ruotare solamente quei pacchetti di spin nel cubo che

32 soddisfano la condizione di risonanza. Questi pacchetti di spin sono localizzati, in questo esempio, in un piano XY. La localizzazione del piano lungo l'asse Z rispetto all'isocentro è data da: Z = ω / γ G s dove ω è la deviazione dalla frequenza ν o (i.e. ω - ω o ), G s l'intensità del gradiente di selezione della fetta e γ il rapporto giromagnetico (Fig. 17). Figura 16. Cubo di spin Figura 17. Applicazione del gradiente di selezione della fetta Gli spin localizzati sopra e sotto questo piano non sono interessati dagli impulsi RF e perciò si trascureranno. Per semplicità, consideriamo un sottoinsieme di 3x3 vettori di magnetizzazione netta e l'immagine di questi spin in questo piano sarà del tipo mostrata in Figura 18. Una volta ruotati nel piano XY questi vettori ruoteranno alla frequenza di Larmor data dal campo magnetico che ognuno stava subendo. Se il campo magnetico fosse uniforme, ognuna delle nove frequenze di precessione sarebbe uguale (Fig. 19a). Figura 18. Nella sequenza per imaging, dopo il gradiente di selezione della fetta viene applicato un gradiente di codifica di fase. Assumendo che questo sia applicato lungo l'asse X, gli spin a diverse posizioni lungo l'asse X cominciano a muoversi di moto di precessione a frequenze di Larmor diverse (Fig. 19b). Quando il gradiente di codifica di fase viene spento, i vettori di magnetizzazione netta ruotano con ugual frequenza ma possiedono fasi diverse e la fase è determinata dalla durata e dall'ampiezza degli impulsi del gradiente di codifica di fase (Fig. 19c). Figura 19a. Uguali frequenze e fasi di precessione Figura 19b. Frequenze diverse Figura 19c. Una volta spento il gradiente di fase si hanno frequenze uguali e fasi diverse

33 Terminato l'impulso del gradiente di codifica di fase, viene attivato un impulso del gradiente di codifica in frequenza (che in questo esempio è nella direzione Y). Questo gradiente causa una precessione dei pacchetti di spin a velocità dipendenti dalla loro localizzazione su Y e per ciò, ognuno dei nove vettori di magnetizzazione netta sarà caratterizzato da un unico angolo della fase e un'unica frequenza di precessione. Se avessimo un modo per determinare fase e frequenza del segnale generato da un vettore di magnetizzazione netta, potremmo associarlo a uno dei nove elementi. Una semplice trasformata di Fourier è in grado di far questo per ogni singolo vettore di magnetizzazione netta localizzato in qualche punto nello spazio 3x3. Per esempio, se un singolo vettore fosse localizzato nel punto (X,Y) = (2,2), i suoi FID conterrebbero una sinusoide di frequenza 2 e fase 2; una trasformata di Fourier di questo segnale produrrebbe un picco a frequenza 2 e fase 2. Purtroppo una trasformata di Fourier monodimensionale non è in grado di far questo in una matrice 3x3, quando più di un vettore è localizzato in una differente posizione lungo la direzione della codifica di fase. Ci vorrebbe un incremento del gradiente di codifica di fase per ciascuna localizzazione nella direzione di quest ultimo (di fatto, abbiamo bisogno di un'equazione per ciascuna incognita). Quindi, se ci sono tre localizzazioni lungo la direzione della codifica di fase saranno necessarie tre differenti intensità del gradientie di codifica di fase e tre unici FID. Se vogliamo risolvere 256 punti nella direzione della codifica di fase avremo bisogno di 256 differenti intensità di gradiente di codifica di fase e registreremo 256 differenti FID. Figura 20. Lo spettro del FID registrato mostra tre picchi (Fig. 20). Ognuno dei tre segnali e la risultante di tre armoniche (una intera riga) di uguale frequenza ma fase diversa: Acos( t ) A1 cos( t 1) A2 cos( t 2) A3 cos( t 3) ' 1 ' ' A cos( t ) A cos( t ) A 1 2 ' 2 cos( t ) A 3 ' 3 cos( t ) 1 '' 1 '' '' A cos( t ) A cos( t ) A 2 '' 2 cos( t ) A 3 '' 3 cos( t ) 1 ''' 1 ''' ''' A cos( t ) A cos( t ) A 2 cos( t ''' 2 ) A cos( t ) (Sono acquisizioni successive relative alla medesima riga fatte pero' con tre diverse intensita' del gradiente di fase). 3 ''' 3

34 Il contributo ds(t) al FID di ogni singolo punto x,y della slice selezionata è un armonica di frequenza ω y, fase φ x e ampiezza I(x,y) pari alla risposta dei protoni (T 1, T 2, ρ) a seguito dell eccitazione del voxel di coordinate x,y : ds ( t ) I ( x, y ) e j yt x dxdy Demodulando con un segnale di frequenza ω 0 = γ B 0, cioè moltiplicando il FID per e iω0 t, si ottiene un FID in banda base: j ( ds t I x y e y 0 ) t x ( ) (, ) dxdy Sostituendo le seguenti espressioni nel FID: y 0 G y y ( 0 G x x) t x si ottiene: ds ( t ) I ( x, y ) e j y 0 G yt t G x t x dxdy Ponendo t 0 c costante, si ottiene un FID globale comprensivo dei contributi di tutti i punti di coordinate x,y della fetta selezionata: Indicando con: S ( t ) e jc I ( x, y ) e k k x y G t 2 j G yt G x t y Gx t 2 y x dxdy e sostituendo nella relazione precedente si ottiene la seguente relazione: S ( k x, k y ) e jc I ( x, y ) e j2 k x k y x y dxdy Il dominio di definizione k x, k y è detto k-space. Ogni riga della matrice del k-space si ottiene campionando nel tempo, con intervallo di campionamento opportuno, il FID ottenuto con un gradiente di fase G x. Al variare di G x, da +G x max a - G x max, e campionando nel tempo i relativi FID si ottengono tutte le righe del k-space. S( kx, k y ) FID 2 k Gx t x 2 k G y y Antitrasformando si ottiene I(x,y).

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36 Risoluzione Quando due caratteristiche in un'immagine sono distinguibili si dicono essere "risolte". L'abilità di risolvere due caratteristiche in un'immagine di risonanza magnetica (risoluzione) è una funzione di molte variabili: tempo di rilassamento T 2, rapporto segnale/rumore, frequenza di campionamento, spessore di fetta e dimensione della matrice dell'immagine, ed altre ancora. La risoluzione è una misura della qualità di un'immagine. Quando in un'immagine si riescono a distinguere strutture separate da 1 mm, l'immagine è detta ad alta risoluzione rispetto ad una dove tali strutture non sono distinguibili (Fig. 21); la risoluzione è, infatti, inversamente proporzionale alla distanza delle due caratteristiche da distinguere. È facile ricavare la relazione che intercorre tra risoluzione, FOV e numero di pixel, N, di un'immagine: non si riuscirebbe mai a distinguere due caratteristiche localizzate, l'una rispetto all'altra, a meno di FOV/N, o di un pixel. A questo punto si potrebbe pensare che aumentando il numero di pixel di un'immagine la risoluzione migliori (Fig. 22).Di fatto, aumentando il numero di pixel diminuirà la dimensione dei pixel, ma non migliorerà la risoluzione. Anche in un'immagine con basso rumore e contrasto ottimale non si possono distinguere due caratteristiche della grandezza di un pixel perché entra in gioco il T2*. Figura 21. Un'immagine di risonanza magnetica può essere pensata come la convoluzione dello spettro RM degli spin con la mappa della loro concentrazione spaziale. È più facile rendersi conto di ciò se si considera il caso di un'immagine mono dimensionale, h(x), che consiste di un singolo tipo di spin. Se g(x) è la distribuzione degli spin, f(ω) lo spettro NMR degli spin e f(ω G x -1 γ -1 ) lo spettro NMR (in unità di distanza) in presenza di un gradiente di campo magnetico G x, allora: h(x) = g(x) f(ω G x -1 γ -1 ) L'allargamento di una riga dello spettro (che ha la Figura 22 forma di una Lorentziana) misurato a metà altezza, Γ, è pari (in Hz) a: Γ = 1 / (π T2*) Se si considerano ora, due spettri RM di un tipo di spin ottenuti rispettivamente con un T2* corto (ampio Γ) e con un T2* lungo (stretto Γ), e si confrontano i risultati della convoluzione di questi spettri con una distribuzione g(x) nel primo caso (Fig. 23) e nel secondo (Fig.24).

37 Figura 23. Figura 24. Di conseguenza, la dimensione del pixel dovrebbe essere scelta approssimativamente uguale a: 1 / (π G x γ T2*) Qui di seguito sono riportate due immagini relative ad una sorgente puntiforme di segnale RM infinitamente piccola di cui una ottenuta con un T2* lungo e l'altra con un T2* corto. Entrambe le immagini sono state acquisite con una dimensione del pixel inferiore a 1 / (π G x γ T2*). Figura 25. Short T 2 Figura 26. Long T 2 La risoluzione spaziale, perciò, varierà a seconda del distretto di indagine: si hanno risoluzioni spaziali che vanno da 1-2 mm per campi di vista piu grandi (come nel caso della testa e del tronco) a mm per campi di vista piu piccoli (come il ginocchio, polso e mano).

38 Artefatti Un artefatto in un'immagine e' una qualsiasi caratteristica che appare nell'immagine e che non e' presente nell'oggetto esaminato. L'artefatto e', talvolta il risultato di un malfunzionamento dell'apparecchiatura, altre volte la conseguenza di processi o proprieta' naturali del corpo umano. E' importante familiarizzare con la comparsa di artefatti poiche' questi possono nascondere o compromettere l'accertamento di una patologia. Di conseguenza, gli artefatti in un'immagine possono produrre falsi negativi e falsi positivi. Si conoscono numerosi artefatti generalmente classificati in base alla loro causa. La tabella seguente ne riassume alcuni. Artefatto Artefatti da quadratura RF Rumore RF Disomogeneita' di Bo Gradienti Suscettivita' Disomogeneita' di RF Movimento Flusso Chemical Shift Volume Parziale Ribaltamenti Anelli di Gibbs Causa Guasto nel circuito di rivelazione della RF Malfunzionamento dello schermo RF Presenza di oggetti metallici distorcenti il campo magnetico Bo Guasto in un gradiente di campo magnetico Oggetti nel FOV con una bassa o un'alta suscettivita' magnetica Guasto nella bobina di RF e presenza di metallo nel distretto esaminato Movimento dell'oggetto esaminato durante la sequenza Movimento dei fluidi corporei durante la sequenza Elevato valore di Bo e differente chemical shift tra i tessuti Grande dimensione dei voxel Campo di vista scelto impropriamente Matrice dell'immagine di piccola dimensione e brusche variazioni di segnale nell'immagine In seguito ne descriveremo alcuni. Disomogeneita' di campo magnetico Bo L'intera procedura di imaging di risonanza magnetica presuppone un campo magnetico B o omogeneo e una sua disomogeneita' causera' immagini distorte. Le distorsioni possono essere spaziali, dell'intensita' o di entrambe. Le distorsioni d'intensita' sono il risultato dell'omogeneita' di campo in una zona piu' grande o piu' piccola del resto dell'oggetto esaminato: il T2* in questa regione e' differente e di conseguenza il segnale tendera' ad essere differente. Ad esempio, se l'omogeneita' e' minore, il T2* sara' piu' piccolo ed il segnale sara' minore. La distorsione spaziale deriva da gradienti di campo B o a largo raggio costanti. Questi fanno si' che gli spin risuonino ad una frequenza di Larmor diversa da quella prescritta dalla sequenza di imaging. La figura 27 rappresenta un'immagine di quattro tubi dritti pieni d'acqua posizionati in modo da formare un quadrato. L'immagine acquisita mostra una severa curvatura in uno dei tubi dovuta alla non-uniformita' del campo magnetico B o. Figura 27

39 Gradienti Gli artefatti derivanti da problemi con il sistema dei gradienti sono a volte molto simili a quelli descritti per la disomogeneita' di B o : un gradiente che non e' costante rispetto alla direzione cui agisce distorcera' l'immagine. Questo, tipicamente, puo' aver luogo se e' stata danneggiata una bobina di gradiente. Altri artefatti correlati sono dovuti a correnti anomale che attraversano le bobine di gradiente. Nell'immagine seguente il gradiente di codifica in frequenza (codifica sinistra/destra) e' operativo a meta' del suo valore atteso. Chemical Shift Un artefatto da chemical shift e' dovuto alla differenza nella composizione chimica (frequenza di Larmor) di una molecola, e si manifesta in un'immagine come un'alterata registrazione dei pixel. La definizione di chemical shift, δ, e': δ = (ω - ω REF ) 10 6 / ω REF dove ω la frequenza di risonanza del nucleo e ω REF la frequenza di un nucleo di riferimento. La differenza di chemical shift tra due nuclei etichettati come 1 e 2 e': δ 2 - δ 1 = (ω 2 - ω 1 ) 10 6 / ω REF che e' approssimativamente uguale a: δ 2 - δ 1 (ω 2 - ω 1 ) 10 6 / γb o. La differenza di chemical shift tra acqua e tessuto adiposo o assimilabile a grasso e' approssimativamente di 3.5 ppm che, a 1.5 Tesla, corrisponde a una differenza di frequenza tra acqua e grasso di circa 220 Hz. Durante il processo di selezione della fetta c'e' un leggero offset tra la localizzazione degli spin del grasso e quelli dell'acqua che sono stati ruotati da un impulso RF. Durante il gradiente di codifica di fase, gli spin del grasso e dell'acqua acquistano fase a differenti velocita' e l'effetto ottenuto e' che gli spin del grasso e dell'acqua nello stesso voxel sono codificati come se fossero localizzati in voxel differenti. L'entita' dell'effetto e' proporzionale alla intensita' del campo B o e inversamente proporzionale alla frequenza di campionamento nella direzione della codifica in frequenza: per una frequenza di campionamento costante, piu' grande e' B o, piu' grande sara' l'effetto. Per esempio: a 1.5 T e ad una frequenza di campionamento di 16 khz, l'effetto e' approssimativamente di 3.5 pixel; a 0.5 T e ad una frequenza di campionamento di 16 khz l'effetto e' approssimativamente di un pixel.

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41 Anelli di Gibbs Gli anelli di Gibbs in un'immagine sono una serie di linee parallele a un contorno fortemente intenso. L'effetto e' causato da una incompleta digitalizzazione dell'echo e cio' significa che il segnale non e' decaduto a zero alla fine della finestra di acquisizione e l'echo non e' completamente digitalizzato. Questo artefatto e' visibile quando viene utilizzata una matrice di acquisizione di piccole dimensioni: in una acquisizione con una matrice 512x128, l'artefatto risulta dunque piu' pronunciato nella dimensione dei 128 punti. Nell'esempio che segue, viene esaminato un oggetto rettangolare con un segnale spazialmente uniforme. Viene raccolto un numero di punti inadeguato nella direzione orizzontale (x) e per ciò l'immagine risultante mostra degli artefatti ad anello in intensita' ai bordi. La finestra grafica riporta l'angolo in alto a destra di quest'immagine e un grafico dell'intensita' di segnale. L'uso di una matrice piu' grande risolverebbe l'artefatto ad anelli di Gibbs.

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