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1 2. I lavori dell Assemblea Generale delle Nazioni Unite in materia di terrorismo internazionale. a) Primi lavori dell Assemblea Generale. Dopo la prima guerra mondiale la Società delle Nazioni, in seguito all assassinio del re Alessandro di Jugoslavia e del ministro francese degli affari esteri Barthou (avvenuto a Marsiglia nel 1934), convocò una conferenza intergovernativa che, il 16 novembre 1937, si concluse con la redazione di due Convenzioni, l una per la prevenzione e la repressione del terrorismo, l altra per la creazione di una Corte penale internazionale. Tuttavia, né l una né l altra Convenzione hanno raccolto le ratifiche necessarie a garantirne l entrata in vigore; a causa di tale fallimento, le Nazioni Unite non hanno trattato specificamente tale problema fino agli anni settanta. La prima delle due Convenzioni - sulla prevenzione e la repressione del terrorismo - appare di particolare interesse, poiché descrive e definisce in maniera generale il terrorismo internazionale, elenca gli atti terroristici e 1

2 prevede le misure di prevenzione e di cooperazione che devono essere applicate dagli Stati, prevedendo obblighi specifici a loro carico 1. Proprio tale circostanza ha determinato la presentazione di riserve significative da parte di due Stati: la Francia e l ex - Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. La Francia ha rifiutato di farsi carico degli obblighi en ce qui concerne l ensemble de ses colonies et protectorats, ainsi que des territoires pour lesquels un mandat lui a été confié 2 ; l ex URSS si è riservata, in materia di soluzione delle controversie relative all interpretazione e all applicazione della Convenzione, di accettare solo gli obblighi derivanti dallo status di membro della Società delle Nazioni 3. In stretta connessione con la Convenzione descritta, si pone la seconda - per la creazione di una Corte penale internazionale, anch essa conclusa a Ginevra il 16 novembre Obiettivo prefissato era di costituire una Corte internazionale competente a giudicare gli individui accusati di uno dei reati 1 La Convenzione, infatti, definisce come atti di terrorismo quei faits criminels dirigés contre un Etat et dont le but ou la nature est de provoquer la terreur chez des personnalités déterminées, des groupes de personnes ou dans le public (art.1, n. 2). Gli atti terroristici elencati sono : attentati contro capi di Stato, loro successori - ereditari o destinatari - e rispettivi congiunti, nonché persone rivestite di cariche o funzioni pubbliche, ove l attentato sia stato compiuto in ragione di tali cariche o funzioni (art.2, n.1); attentati contro beni pubblci o destinati ad uso pubblico (art.2, n.2); reati di pericolo comune (art.2, n. 3). Infine, gli obblighi che la Convenzione impone agli Stati contraenti sono: un generico obbligo di prevenzione (art.12); l obbligo specifico di prevedere come reati, nei rispettivi ordinamenti interni, i fatti criminosi elencati all art.1 e 2; il dovere di estradare il colpevole (art.8) o perseguirlo come se il reato fosse stato compiuto sul proprio territorio (artt.9 e 10). Vedi La Convenzione per la prevenzione e la repressione del terrorismo (Ginevra, 16 novembre 1937), in Europa e terrorismo internazionale, a cura di N. Ronzitti, 1992, p V. la Convenzione citata, alla voce Riserve e Dichiarazioni dei Paesi indicati. 3 Tali riserve riflettevano il disagio dell intera comunità internazionale dinanzi agli obblighi previsti dalla Convenzione; infatti, come già notato, essa non è stata ratificata. 2

3 previsti dalla Convenzione per la prevenzione e la repressione del terrorismo, qualora gli Stati contraenti non fossero d accordo a mettere in pratica il principio di cooperazione aut dedere aut judicare 4. Il fine, quindi, era quello di garantire agli Stati un alternativa al suddetto principio, riconoscendo la facoltà di deferire il reo di atti terroristici alla Corte medesima per il relativo giudizio 5. In tal guisa, lo Stato di rifugio avrebbe potuto evitare il complesso procedimento di estradizione dell accusato verso uno Stato. Le occasioni per affrontare a grandi linee il fenomeno del terrorismo e l attività di cooperazione, che deve essere instaurata tra gli Stati al fine di reprimere qualsiasi forma di violenza, non sono però mancate. Infatti, nella Dichiarazione 2625 dell Assemblea generale del 24 ottobre 1970, relativa ai principi di diritto internazionale che disciplinano le relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati, il problema degli atti terroristici è affrontato sia dal punto di vista del ricorso alla forza o alla minaccia della forza, precisando che gli Stati devono astenersi dall organizzare ed incoraggiare atti di guerra civile o atti di terrorismo sul territorio di un altro Stato, e vietando anche di fomentare, 4 Il principio aut dedere aut iudicare prevede che lo Stato, sul cui territorio si trova la persona accusata di essere responsabile di un attentato terroristico - previsto dalla Convenzione per la repressione del terrorismo del è tenuto a giudicarla o ad estradarla. 5 Art.2 della Convenzione per la creazione di una Corte penale internazionale (Ginevra, 16 novembre 1937), in N. Ronzitti, op. cit., p

4 aiutare, tollerare sul suo territorio qualsiasi attività di tal genere, sia con riguardo al principio di non intervento 6. Nel corso del tempo, e soprattutto negli anni 60 e 70, il fenomeno aveva acquisito un raggio d azione sempre più ampio, caratterizzato da una pluralità di crimini in precedenza sconosciuti, e da una frammentarietà di fonti convenzionali 7 disciplinanti in maniera settoriale diverse fattispecie terroristiche. Studiando il fenomeno, è stata avvertita però l esigenza di un approccio globale alla materia, e di una convenzione che affrontasse, sul piano internazionale, i profili penalistici delle varie manifestazioni di violenza. Un tentativo in tal senso fu intrapreso dalle Nazioni Unite, alla XXVII sessione (1972) dell Assemblea generale, su richiesta del segretario generale Kurt Waldheim. La proposta fu avanzata in seguito all evento sanguinoso provocato dai terroristi palestinesi ai giochi olimpici di Monaco (6 settembre 1972). Gli Stati Uniti depositarono immediatamente presso l Assemblea 6 Si ribadisce, infatti, l obbligo per tutti gli Stati di astenersi d organiser, aider, de fomenter, de financer, d encourager ou de tolérer des activités armées subversives ou terroristes destinées à changer par la violence le régime d un autre Etat ainsi que d intervenir dans les luttes intestines d un autre Etat. Dichiarazione di principi sulle relazioni amichevoli e la cooperazione fra Stati, contenuta nella Risoluzione dell Assemblea generale 2625/XXV del 24 ottobre 1970, in YUN, p Vedi, ad esempio, la Convenzione relativa alle infrazioni e determinati altri atti compiuti a bordo di aeromobili (Tokyo, 14 settembre 1963); la Convenzione per la repressione della cattura illecita di aeromobili (L Aja, 16 dicembre 1970); Convenzione per la repressione di atti illeciti contro la sicurezza dell aviazione civile (Montreal, 23 settembre 1971), riprodotte in N. Ronzitti, op. cit., pp

5 Generale un progetto di Risoluzione sul terrorismo e un progetto di Convenzione per la prevenzione e la repressione di certi atti del terrorismo internazionale, che furono contestati dalla maggior parte degli Stati in via di sviluppo 8. Questi ultimi, soprattutto Paesi arabi e africani, osteggiarono l approvazione di tali progetti poiché la loro connessione temporale con la strage perpetrata alle Olimpiadi di Monaco (da parte di individui appartenenti al gruppo Settembre Nero ) fu interpretata come un atteggiamento di ostilità nei confronti della causa palestinese 9, sostenendo che l approvazione di questi documenti equivaleva a limitare il diritto alla lotta dei movimenti di liberazione nazionale operanti nei territori coloniali ed occupati. L Assemblea, in quella occasione, si trovava così divisa in due schieramenti: Paesi occidentali e Paesi in via di sviluppo. Tutti concordavano sul fatto che il terrorismo rappresentasse una grave violazione dei diritti umani e sacrificasse vite di persone innocenti; differivano, però, profondamente le premesse politiche. 8 Il progetto di Risoluzione denunciava il terrorismo come costante minaccia per il sistema di comunicazione internazionale e invitava i governi ad adempiere gli obblighi previsti dalle Convenzioni di Tokyo, dell Aja e di Montreal, al fine di prevenire e reprimere il fenomeno. Il progetto di Convenzione, invece, doveva avere lo scopo di integrare le Convenzioni di diritto umanitario di Ginevra del 12 agosto 1949, prendendo in considerazione reati non previsti dalle suddette Convenzioni settoriali, e di riproporre le misure di cooperazione previste dalle Convezioni di Montreal e dell Aja. Cfr. A. F. Panzera, op. cit., p. 56 ss. 9 La creazione dello Stato di Israele nel 1948, e la conseguente espulsione di centinaia di migliaia di palestinesi dalle loro case, ha generato uno dei più complessi conflitti nella storia moderna. La comunità internazionale si è adoperata per promuovere un processo di pace tra queste popolazioni, e per soddisfare le aspirazioni di un popolo perseguitato - 6 milioni di palestinesi chiedono l autodeterminazione, Gerusalemme come capitale, e il rientro di 3,6 milioni di rifugiati alle proprie abitazioni. 5

6 Se da una parte, infatti, gli Stati occidentali affermavano che il terrorismo fosse condannabile e ingiustificabile in qualsiasi circostanza, salvaguardando così il diritto all autodeterminazione, essi sottolineavano però la necessità di dover reprimere anche con l uso della forza gli atti di violenza; dall altra parte, gli Stati africani e arabi sostenevano la necessità di dover eliminare le cause poste alla base del terrorismo: il colonialismo, il razzismo, l occupazione straniera e l apartheid; essi rimarcavano altresì l esigenza di denunciare gli Stati che praticano tali forme di politiche, poiché essi stessi fomentavano, direttamente o indirettamente, il terrorismo internazionale. Per alcuni Stati della comunità internazionale, quindi, un problema scottante era costituito dalla portata riconosciuta al diritto all autodeterminazione, al fine di evitare di confondere la lotta per la libertà con le attività terroristiche di carattere esclusivamente criminoso. Un dibattito, in quella sede, sul principio di autodeterminazione fu considerato anacronistico, poiché esso era ormai radicato nel Diritto Internazionale generale. Alcune tappe storiche fondamentali confermano, nel processo di formazione del suddetto principio, tali considerazioni. Innanzitutto, nella Carta istitutiva dell ONU del 1945, l autodeterminazione viene sancita come principio all art. 1, par. 2 e 6

7 all art Nel corso degli anni 60, il processo di decolonizzazione ha modificato notevolmente la composizione della comunità internazionale e, di conseguenza, anche quella dell Assemblea generale delle Nazioni Unite. Molti Paesi di nuova indipendenza hanno aderito, infatti, all Organizzazione, facendosi portatori di interessi del tutto nuovi e diversi rispetto a quelli già rappresentati. Dietro pressione dei Paesi in via di sviluppo, nel 1960 l Assemblea generale adottava la Risoluzione 1514 (XV), ove l autodeterminazione veniva definita come il diritto dei popoli non autonomi e sotto tutela di pervenire all indipendenza, di determinare liberamente la propria condizione politica e di perseguire liberamente il proprio sviluppo economico, sociale e culturale 11. Il principio è contenuto non solo nelle risoluzioni in materia coloniale, ma anche in una serie di Risoluzioni e Dichiarazioni solenni dell Assemblea generale disciplinanti materie diverse dal principio in questione, tra le quali spicca la Dichiarazione del 1970 sulle relazioni amichevoli e la collaborazione tra gli Stati. Anche i due Patti delle Nazioni Unite sui 10 Tale circostanza non implicava ancora la messa al bando del colonialismo che veniva accolto dalla Carta ed organizzato giuridicamente attraverso l istituto della tutela e dell amministrazione dei territori non autonomi (Capp. XI e XII della Carta). 11 Il principio di autodeterminazione, come diritto fondamentale dell uomo, è previsto anche nei Patti civili e politici e sui diritti economici, culturali e sociali, adottati nel Inoltre, la Risoluzione 2625 (XXV) del 1970 sulle relazioni amichevoli e la cooperazione fra gli Stati, oltre a salvaguardare il suddetto principio, indica i mezzi attraverso cui i popoli possono pervenire all indipendenza, quali: mezzi pacifici, come referendum o altre forme di consultazione popolare, e ricorso alla forza armata secondo il principio della legittima difesa. A conferma del carattere consuetudinario del principio di autodeterminazione dei popoli, si è pronunciata anche la Corte Internazionale di Giustizia nei pareri sul Sud - Ovest africano (1971). Vedi B. Conforti, Diritto Internazionale,

8 diritti umani 12 ribadiscono l importanza del suddetto principio generale, ormai parte del diritto consuetudinario 13. Sulla base della prassi, dunque, si osservava un pieno accoglimento del suddetto principio dalla maggior parte degli Stati della comunità internazionale. La fine del dibattito politico, avviato, come già segnalato, dal Segretario generale Waldheim, sfociò, infine, nell adozione della Risoluzione 3034/XXVIII del 18 dicembre 1972, con il conseguente abbandono dei precedenti progetti presentati dagli USA. Essa fu adottata su iniziativa di Stati del Terzo Mondo, e spostava il fulcro del problema dalla previsione di misure preventive e repressive del fenomeno terroristico (come prefigurato dai Paesi occidentali) allo studio delle cause sottese al fenomeno medesimo. Il tono di tale risoluzione muta completamente l impostazione tradizionale nell affrontare il fenomeno terroristico, perché non lo qualifica come una fattispecie dell uso della forza o del principio di intervento Art.1, n.1 Tutti i popoli hanno diritto di autodeterminazione del Patto Internazionale relativo ai diritti civili e politici (New York, 19 dicembre 1966); il principio è riprodotto esattamente in tal modo all art.1, n.1 del Patto Internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali (New York, 19 dicembre 1966). 13 B. Conforti osserva, però, che il diritto di autodeterminazione ha una sfera di applicazione piuttosto limitata, poiché esso si applica soltanto ai territori sottoposti ad un governo straniero, oltre ai territori coloniali; a quelli conquistati con la forza; e a qui territori in cui il Governo straniero si appoggia ad un Governo locale fantoccio. Cfr. B. Conforti, Le Nazioni Unite, 1996, p Così come si legge nella Dichiarazione di principi sulle relazioni amichevoli e di cooperazione fra Stati, infatti Ogni Stato ha il dovere di astenersi dall organizzare, incoraggiare, appoggiare o partecipare ad atti. di terrorismo nel territorio di un altro Stato o dal tollerare sul proprio territorio attività organizzate al fine di perpetrare tali atti, quando gli atti menzionati comportino la minaccia o l uso della forza, in YUN,

9 E stato da qualcuno sostenuto 15 che l Assemblea generale, adottando la Risoluzione del 18 dicembre 1972, non abbia né definito il fenomeno né concluso una convenzione multilaterale, ma che piuttosto abbia compiuto un pas en arrière, perché si è soffermata su nozioni - quale l autodeterminazione - precedentemente ben delineate dalle stesse Nazioni Unite 16. A seguito dell approvazione della Risoluzione 3034, con la quale fu istituito un comitato ad hoc per trovare possibili soluzioni al fenomeno terroristico, il dibattito sul terrorismo continuò fino al L Assemblea restava divisa: gli Stati Uniti insistevano sulla necessità di dar vita ad una convenzione a carattere globale sul terrorismo, che prevedesse misure di repressione; la Francia e i paesi socialisti, invece, accettavano che il comitato studiasse le cause del terrorismo, e allo stesso tempo pervenisse ad una convenzione settoriale disciplinante fattispecie specifiche. Sul punto, la delegazione svedese ha fornito un importante contributo. Essa, infatti, propose di affrontare il problema del terrorismo alimentando la 15 De Pauw W., O.N.U. La résolution sur le terrorisme international, in Réflexions sur la definition et la répression du terrorisme, Actes du colloque A.B.J.D, Bruxelles 1974, p Lo scopo fondamentale della Risoluzione 3034 e del dibattito preliminare era quindi di dare voce a quegli Stati ancora soggetti a regimi coloniali e di condannare il terrorismo statale come principale causa del terrorismo individuale (il terrorismo di Stato non è però espressamente denunciato). Gli Stati in via di sviluppo giustificavano quindi certi atti terroristici perché, nella loro opinione, erano compiuti per salvaguardare il diritto all indipendenza. 9

10 cooperazione internazionale in senso generale e, inoltre, estendendola ad altri aspetti specifici 17. In tal senso, va anche ricordato l impegno dell Organizzazione per l aviazione civile internazionale (OACI-ICAO) la quale ha adottato tre Convenzioni - come già accennate - che disciplinano la cooperazione internazionale per gli atti illeciti perpetrati contro l aviazione civile, considerati come una seria minaccia per la sicurezza delle relazioni tra gli Stati. b) Primi successi dell Assemblea Generale. Il successo dei lavori compiuti in seno all ICAO condusse le Nazioni Unite ad adottare, nel 1973, una Convenzione sulla prevenzione e repressione dei crimini contro le persone protette internazionalmente, compresi gli agenti diplomatici e, nel 1979, una Convenzione contro la presa degli ostaggi 18. La prima Convenzione - a vocazione universale - prevede che gli atti terroristici perpetrati contro le persone internazionalmente protette sono da considerare come crimini di grave interesse per la comunità internazionale e minaccia per il mantenimento delle normali relazioni internazionali necessarie 17 E prevedibile che un accentuata cooperazione internazionale determini l elaborazione di norme specifiche per alcune categorie di infrazioni considerate particolarmente gravi, quali: la presa degli ostaggi allo scopo di ottenere concessioni da un governo o da un altra istituzione nazionale o internazionale e l invio di lettere o pacchi contenenti esplosivi. 18 La prima Convenzione è stata firmata a New York il 14 dicembre 1973 e la seconda, anch essa adottata a New York, il 17 dicembre Pubblicate in N. Ronzitti, op. cit., p

11 a mantenere la cooperazione tra gli Stati. L art. 1 della Convenzione contempla due categorie di soggetti: quelli che godono di una protezione internazionale indipendentemente dalla natura della visita all estero 19 ; e quelli che godono della protezione speciale solo in ragione delle funzioni ufficiali esercitate nel momento e nel luogo in cui è commesso un reato contro la persona, la loro abitazione privata o i loro mezzi di trasporto (art. 1, lett. b) 20. Ai sensi dell art. 2, ogni Stato parte della Convenzione si impegna a prevedere come reati, nel proprio ordinamento interno, alcuni fatti commessi, con dolo, ai danni delle persone internazionalmente protette, come elencate all articolo precedente 21. Per tali crimini, gli Stati contraenti devono conformarsi al principio aut dedere aut judicare, così come prevedono gli articoli 6, 7 e 8. Lo Stato contraente, sul territorio del quale si trova l autore accusato dell attentato terroristico può decidere, infatti, di perseguire il soggetto in base alla propria legislazione interna, o di concedere l estradizione allo Stato richiedente. La Convenzione prevede, ai fini di una migliore cooperazione, che se la domanda 19 In tale categoria rientrano capi di Stato e di governo, i Ministri degli Affari Esteri, nonché le rispettive famiglie che li accompagnano all estero. (Art.1, lett. a), della Convenzione sulla prevenzione e sulla repressione dei reati commessi nei confronti delle persone che godono di protezione internazionale, compresi gli agenti diplomatici. Vedi N. Ronzitti, op. cit., p In questa categoria sono compresi i rappresentanti, i funzionari o le personalità ufficiali di uno Stato e tutti i funzionari, e le altre personalità ufficiali o altri agenti di un organizzazione intergovernativa oltre ai membri delle rispettive famiglie [art.1, lett. b) della Convenzione citata]. 21 Gli atti previsti da tale articolo sono: l omicidio intenzionale, il rapimento ed ogni altro attacco contro la persona o la libertà di un soggetto che goda di protezione internazionale (art.2). 11

12 di estradizione viene effettuata da uno Stato richiedente non contraente ad uno Stato contraente - che subordina tale domanda all esistenza di un trattato - essa può essere concessa ugualmente in base alla Convenzione, per le infrazioni previste all art. 2. La seconda Convenzione - contro la presa degli ostaggi - fu invece adottata per estendere, anche alle persone che non godono della protezione speciale, la tutela accordata dalla precedente Convenzione 22. Essa qualifica la presa degli ostaggi come illecito che preoccupa gravemente la comunità internazionale e dispone che chiunque commetta un atto di presa di ostaggi debba essere perseguito o estradato. L art. 1 stabilisce che un individuo compie l infrazione di presa di ostaggio se si impadronisce di una persona, o la detiene e minaccia di ucciderla, di ferirla o di continuare a detenerla con fini vessatori su una terza parte - sia esso uno Stato, un organizzazione internazionale o intergovernativa, una persona fisica o morale o un gruppo di persone 23. L art.4 impone agli Stati contraenti l obbligo di collaborare, scambiando informazioni e coordinando le misure amministrative, al fine di prevenire il compimento di 22 In quegli anni, infatti, si era diffusa la tecnica del sequestro di persone che avevano una certa popolarità sociale o politica (un esempio è costituito dagli atleti israeliani sequestrati ed uccisi alle Olimpiadi di Monaco del 1972). 23 In base all art.1, punto 2, commette tale infrazione anche chi tenti soltanto di compiere la presa di ostaggio o si renda complice di tale azione. Interessante fu il dibattito sollevato da alcuni Paesi non allineati sul concetto di innocenza dell ostaggio poiché, mentre per alcuni l ostaggio è sempre innocente, per altri un individuo come il Presidente della Rhodesia, Smith, se preso in ostaggio, non potrebbe essere considerato innocente a causa della politica antidemocratica adottata nel proprio Paese: Cfr. Migliorino L., Il Terrorismo internazionale nei dibattiti alle N.U., in Dimensioni del terrorismo politico. Aspetti interni e internazionali, politici e giuridici, Milano,

13 simili azioni sul proprio territorio. Anche tale Convenzione prevede, agli artt. 6, 8, 9 e 10, le procedure di estradizione così come enunciate agli artt. 6, 7, 8 della Convenzione sulla prevenzione e repressione dei reati commessi nei confronti delle persone che godono di protezione internazionale. L art. 9, però, introduce il diritto di uno Stato di non concedere l estradizione a quello che ne fa domanda per punire il presunto colpevole in base a criteri di razza, religione, nazionalità, origine etnica o alle sue opinioni politiche 24. E opportuno ribadire che tale trattato sottolinea la gravità del reato a scopo terroristico distinguendo, all art. 12, tra ostaggi in tempo di pace e in tempo di guerra. I due status si escludono a vicenda, poiché sono disciplinati da normative differenti: nell ipotesi di ostaggi detenuti in tempo di pace, trova applicazione la Convenzione sulla presa degli ostaggi, adottata dell Assemblea generale il 17 dicembre 1979; nella seconda ipotesi - ostaggi in tempo di guerra - vengono applicate le Convenzioni di Ginevra del 1949 e le norme pertinenti di diritto bellico 25. Durante i dibattiti che hanno accompagnato la redazione delle due Convenzioni - contro gli atti illeciti delle persone internazionalmente protette 24 Da notare, però, che è sempre un diritto dello Stato territoriale valutare, in modo assolutamente discrezionale, le condizioni secondo le quali concedere l estradizione del presunto colpevole allo Stato richiedente. 25 L art.12 della Convenzione sulla presa degli ostaggi dichiara che la Convenzione non si applicherà ad un atto di presa di ostaggio commesso durante i conflitti armati poiché tale tipo di reato è già disciplinato dalle Convenzioni di Ginevra del 1949 e dai protocolli relativi ad essa. 13

14 e contro la presa degli ostaggi - si tentò anche di regolare un problema che non era stato approfondito in precedenza e che sarà più volte ripreso dall Assemblea: quello relativo all azione dei movimenti di liberazione nazionale. Tali movimenti sono gruppi politici che, per affermare il proprio diritto all autodeterminazione, lottano, non necessariamente con le armi, contro un regime coloniale, un regime di discriminazione razziale, un regime straniero occupante. La lotta armata dei movimenti di liberazione si differenzia dal terrorismo perché quest ultimo persegue obiettivi limitati, ma spesso propedeutici ai movimenti di massa. Le azioni terroristiche mirano alla liberazione dei detenuti politici, alla raccolta di fondi, ad evidenziare l impotenza delle autorità governative e ad alienare loro il consenso della popolazione; i movimenti di liberazione adottano il metodo della guerriglia, per lo più ispirato alla guerra classica, allo scopo di guadagnare la libertà da uno Stato oppressore. I fenomeni sono comunque collegati e può affermarsi, sulla base dell esperienza storica, che il successo di un movimento rivoluzionario dipenderà dalla capacità dei suoi leaders di superare rapidamente la fase del mero terrorismo, rendendo quest ultimo un elemento complementare 14

15 dell azione di massa e favorendo la sua evoluzione verso forme più ampie ed organiche di lotta, fondate sul consenso della popolazione civile 26. L Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), costituisce un esempio particolare di movimento di liberazione. Dal 1974 ha ricevuto, da parte delle NU, il riconoscimento come soggetto internazionale rappresentativo del popolo palestinese, ed i delegati dell organizzazione sono stati invitati a partecipare come osservatori alle sessioni e ai lavori di tutte le conferenze internazionali per le questioni che riguardano il loro Paese. Le tensioni che coinvolgono i movimenti di liberazione sono equiparate, dal diritto internazionale bellico, ad un conflitto tra Stati, piuttosto che ad una guerra civile, con la conseguenza che ad essi si applicherà il diritto dei conflitti armati internazionali e non le convenzioni che disciplinano gli atti terroristici. Il tentativo di dar vita ad una Convenzione sul terrorismo internazionale è stato operato dall Assemblea generale fino ai giorni nostri, ma non è stato ancora raggiunto un accordo sulle caratteristiche giuridiche della fattispecie in questione. 26 Molte azioni di guerriglia rappresentano vere e proprie azioni terroristiche. A conferma di ciò, si ricorda il 23 aprile del 2000 quando un gruppo di separatisti musulmani (Abu Sayyaf) ha preso in ostaggio 21 persone (tra cui turisti) e solo alcuni di essi sono stati già liberati. Lo scopo era quello di pubblicizzare e impressionare tutto il mondo per dimostrare la propria forza e screditare il governo filippino. Il gruppo, oltre a condurre una lotta interna contro il governo centrale, in quella occasione chiedeva agli Stati Uniti la liberazione di un terrorista pakistano, Ramzi Youssef - condannato per il ruolo svolto nell attentato nel World Trade Center di New York, nel febbraio V. Le Nouvel Observateur, maggio 2000, p

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