SCUOLA DI GREGORIANO CREMONA. Terza Lezione - 19 marzo Angelo Corno

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1 SCUOLA DI GREGORIANO CREMONA Terza Lezione - 19 marzo 2016 Angelo Corno In questa terza lezione proseguiamo il cammino intrapreso la volta scorsa nella comprensione delle prerogative della notazione neumatica riprendendo il discorso secondo la modalità fin qui adottata, attingendo quindi sia dal Graduale Triplex che dall Antifonario di Hartker. L analisi dei brani sarà condotta alla luce di un nuovo argomento che desidero sottoporre alla vostra attenzione e che connota tutto il repertorio gregoriano (Messa e Ufficio), anzi ne costituisce l ossatura portante: la tecnica formulare. Essa sarà il filo conduttore della lezione odierna. Abbiamo sempre detto che la melodia gregoriana nasce e si sviluppa su un determinato testo, del quale assume le qualità grammaticali e fonetiche. L assetto sonoro della melodia prende forma dal modo con cui è organizzata la compositio verborum, la disposizione delle parole, quindi è sempre nuovo perché in relazione a un testo sempre diverso. Tuttavia, ad un esame più approfondito, ci accorgiamo che la maggior parte delle composizioni si presenta costituita non tanto di melodie originali, quanto di piccole o più ampie cellule melodiche attinte a un thesaurus formulare (serbatoio di formule) e applicate di volta in volta a testi diversi. È un operazione assai più frequente di quanto non sembri e richiede grande conoscenza del repertorio e del linguaggio musicale. Trascuriamo volutamente l analisi di uno dei due cardini della composizione gregoriana, cioè delle forme liturgiche, ovvero dell operazione compositiva con la quale viene data una certa forma a un determinato testo in un momento preciso della celebrazione. Mi riferisco, per esempio, a quegli schemi fissi applicati ai brani del Proprium Missae come introito, graduale, alleluia o tratto, offertorio, communio. Ognuno di questi cinque brani della Messa possiede precise caratteristiche melodiche e compositive dovute alla collocazione liturgica che assume nella celebrazione: è il momento liturgico che determina lo stile compositivo. Ce ne siamo accorti già in queste prime lezioni sfogliando il Graduale triplex: è sufficiente accostare sinotticamente un introito o un communio a un graduale e la differenza appare subito evidente quanto a stile compositivo e modalità esecutive. Una cosa è la forma di un introito o di un communio e un altra è la forma di un graduale: la composizione del primo è subordinata alla sua funzione, cioè di essere un canto che accompagna la processione d ingresso o della comunione; la composizione del graduale, invece, segnando una pausa di silenzio e totale inattività nel rito, assume in pieno il carattere di canto meditativo, quindi un canto riccamente ornato, che dilata il suono delle vocali, percorre un ampia estensione melodica, trattiene le parole accentuandone il significato per radicarsi profondamente nell animo dell ascoltatore. È un discorso da affrontare con calma e, aggiungo, con la competenza di Fulvio Rampi a cui vi rimando quando approderete al corso superiore. Noi ci limiteremo questa mattina a scrostare la superficie dell altro importante aspetto della composizione gregoriana: la tecnica formulare, offrendovi per ora alcune nozioni fondamentali e qualche esemplificazione per un primo approccio alla questione. Quando parliamo di tecnica formulare ci riferiamo a procedimenti compositivi che il compilatore gregoriano attinge a un grande serbatoio comune di cellule melodico-ritmiche e applica di volta in volta a testi diversi. La formula, tuttavia, non è un cliché rigido e ripetitivo che viene imposto indifferentemente a qualsiasi testo. La formula non precede il testo, ma viene selezionata perché vi possa aderire pienamente nel rispetto delle caratteristiche fonetiche e di senso, ed essere così un rimando, un allusione ad altri passi dello

2 stesso repertorio quasi in dialogo fra di loro. Allora la formula non è un ripiego a buon mercato per mancanza di fantasia del compositore, anzi assume una connotazione positiva, è un procedimento tramite il quale, come dice Fulvio, testi diversi risuonano allo stesso modo. Si tratta di scoprirne il motivo e il rimando simbolico. È questa la direzione verso la quale operare la nostra indagine, sostenuta evidentemente dal desiderio di colmare una lacuna: la conoscenza del testo sacro, anch esso intessuto da una fitta rete di rimandi e di allusioni. Ma è proprio questa la difficoltà che segna la nostra distanza da quella familiarità con la sacra Scrittura che era pane quotidiano per la comunità monastica medievale. Ci avviciniamo dunque con cautela, cercando di individuare qualche spunto di riflessione sull argomento, consapevoli della nostra inadeguatezza di fronte a un compito così alto. Nelle scorse lezioni abbiamo già intravisto questi rimandi formulari comparando la formula cadenzale del communio Quinque prudentes (GT 507) con la formula che chiude il Graduale Christus factus est (GT 148). Sono testi molto diversi tra loro per contenuto, aspetto formale e contesto liturgico. Eppure è possibile trovare alcune affinità. Il testo originale di Matteo (Mt. 24, 4.6) a cui il communio si riferisce si conclude con le seguenti parole: exite obviam ei (uscite incontro a lui). Il testo dell antifona viene modificato: il pronome ei è sostituito da Christo Domino (Cristo Signore). Si tratta di un inserzione liturgica voluta dal notatore, quindi intenzionale, per raccontarci che quello Sposo che le vergini attendono è Cristo Signore: in quel banchetto si celebrano le nozze tra Dio e l umanità. E qual è il modo scelto da Dio per amare l uomo? Il dono della vita fino a costo di perderla per l amato. La formula scelta per Christo Domino ricalca quella che troviamo nel graduale Christus factus est alle parole mortem autem. Proprio il melisma di autem viene preso a prestito per rappresentare la parola Christo: autem è una congiunzione avversativa che sta per invece o perfino e precisa il tipo di morte, la più crudele e ignominiosa, a cui va incontro Cristo Signore, lo Sposo che per amore della sposa dà la vita fino alla morte di croce. L altra analogia risiede all incipit dei due brani: il neuma che sormonta la sillaba d accento di Quinque e Christus corrispondente a uno scandicus con articolazione iniziale, è riservato anche all attacco di Ecce sacerdos magnus (GT 486): Cristo è il vero sposo e anche l unico vero grande sacerdote! Cristo è sacerdote da sempre e per sempre, egli è il consacrato per eccellenza e per antonomasia. Egli è a un tempo sacerdote e vittima, pastore e agnello, Signore e servo sofferente. In lui queste figure si sovrappongono in modo perfetto e definitivo. Un altro esempio di concordanza formulare è l introito della messa del giorno di Natale Puer natus (GT 47), il cui commento mi permette di completare la serie di introiti di Natale sui quali avevamo riflettuto nella prima lezione. E la terza messa di Natale, la più antica (circa 340 d.c.), è la messa del giorno celebrata dal papa nella basilica di san Pietro, è la celebrazione più importante della tre messe di Natale. Anche qui, come nelle altre messe di natale (Vigilia, Aurora e Notte), il testo non fa alcun cenno alle condizioni della nascita di Gesù, anzi la prima parola del brano, Puer, riceve subito un accentuazione formidabile dovuta alla dilatazione ritmica del pes angoloso e all intervallo di quinta, il massimo intervallo consentito tra due suoni consecutivi nel repertorio gregoriano. Quel puer è già presentato come il Dominus, il Kyrios, e anche il puer senex, l immagine dell Eterno, cuius imperium super humerum eius (sulle cui spalle è il segno della sovranità), dove imperium tocca il vertice melodico di tutto il brano. Puer è talmente poderoso, intenso e grande che tutti gli altri termini gli sono in un certo modo sottoposti in questa prima frase, la cui conclusione è continuamente rimandata in una specie di grande arco espressivo teso a raggiungere la meta finale: humerum eius, pronome che si collega a Puer per legame sintattico e di senso. Questa è la prima

3 immagine contenuta nel testo. La seconda è quella di puer - termine che nella lingua latina contiene anche il significato di servo o garzone e rimanda al servo di JHWH (Is 52-53) - il quale volontariamente offre se stesso in sacrificio di espiazione per la giustificazione di molti. L immagine del servo si riconosce nel secondo inciso et filius datus est nobis, nel quale il Figlio, spogliatosi delle prerogative divine, viene dato, consegnato agli uomini (nobis) in una dimensione di umiliazione e sofferenza per realizzare le promesse di salvezza del Padre. Se, guidati dalla notazione, analizziamo l agogica verbale di questi due incisi, possiamo osservare che il porrectus flexus su Puer natus est nobis, ricco di suono ma non altrettanto di significato, ha la funzione di mantenere sospeso l arco di frase rimandando la meta espressiva all enunciato seguente. La stessa virga su nobis ci avverte che la meta accentuativa va cercata nel secondo inciso e precisamente su datus est, sormontato da una figura neumatica di grande rilievo ritmico (scandicus con articolazione iniziale). La declamazione della prima semifrase non sarà quindi: Puer natus est nobis // et filius datus est nobis ma Puer natus est nobis et filius datus est nobis, dove la nascita del Puer, in una relazione stringente con datus, è contemplata nella modalità della consegna. Proprio sull accento di datus est è collocata la stessa cellula melodico-ritmica che ritroviamo ancora nel graduale Christus factus est, stavolta sulla prima sillaba del testo: Christus. È il notissimo inno paolino di Filippesi 2, 5-11, nel quale viene descritta la kénosis, la spoliazione di Cristo che esce dalla condizione divina per consegnarsi all uomo in una totale volontà di abbandono per assumerlo in uno scambio radicale delle parti. La nascita di Gesù è contemplata nella prospettiva del sacrificio. Non è un caso che nei giorni immediatamente successivi al Natale la Chiesa celebra la memoria dei santi martiri: Stefano, Giovanni evangelista (martire nel desiderio), i Santi Innocenti. I paramenti indossati dal celebrante e gli addobbi dell altare sono di colore rosso, in contrasto stridente con il colore bianco del giorno di Natale. CO. Video coelos (GT 635). Anche questo brano ci dà la possibilità di cogliere un rimando formulare. Mentre all introito si canta Sederunt principes (i potenti della terra, seduti in giudizio, sono pronti a congiurare contro Gesù), il communio racconta gli ultimi istanti di vita del diacono Stefano, mentre viene lapidato dalla folla. Stefano vede i cieli che si aprono e Gesù che, diversamente dai principi seduti per giudicare, sta in piedi (et Iesum stantem), pronto a soccorrere, nel tipico atteggiamento di salvare, a destra della potenza di Dio. La nota formula di tetrardus riservata al grande accento iniziale di Puer natus, che abbiamo sentito risuonare all introito della messa solenne di Natale, viene riascoltata il giorno dopo per sottolineare l invocazione di Stefano che, mentre subisce il martirio, chiede con le stesse parole di Cristo in croce il perdono per i suoi carnefici. Puer natus e Domine Deus ricevono la stessa formula melodica: nell universo simbolico dei rimandi formulari gregoriani il compositore sfrutta la vicinanza liturgica per far emergere nell invocazione di Stefano l immagine del Puer nell accezione del servo che si immola. Questa sovrapposizione melodica tra Gesù e Stefano lascia intendere che Stefano è il perfetto imitatore di Cristo: subisce la congiura e il processo come Gesù (sederunt principes), viene accusato di aver bestemmiato (et adversum me loquebantur), affida il suo spirito a Gesù (accipe spiritum meum), e perdona ai suoi persecutori (et ne statuas illis hoc peccatum). Analogia evidente tra il martirio di Stefano e l immolazione di Cristo sulla croce. Insomma, il giorno dopo il Natale la liturgia ribadisce che la vita di colui che è nato per noi è la stessa di colui che la offrirà per noi sulla croce.

4 Nella terza domenica di Quaresima l incipit dell introito Oculi mei (GT 96) risuona allo stesso modo di Puer natus. Il testo, preso dai versetti 15 e 16 del salmo 24, ripropone l atteggiamento che il credente deve tenere durante la Quaresima, invitato a concentrarsi sul suo Signore per crescere nella conoscenza del mistero di Cristo come recita l orazione della prima di Quaresima. Molti brani che seguono nei giorni successivi fanno riferimento alla necessità di levare gli occhi (introito feria II della prima settimana Sicut oculi GT 77; offertorio della stessa messa Levabo oculos meos GT 78) per saziarci della visione della gloria di Dio (introito feria VI seconda settimana Ego autem GT 94). Qui, alla terza domenica, l invito è ancora più pressante: gli occhi del credente siano rivolti sempre al Signore. Eusebio di Cesarea ( 339), a commento di questo versetto, dice: Il credente distoglie il suo animo dalle cose terrene, lo solleva al di sopra di se stesso, lo tende e lo fissa più in alto, vicino a Dio. L incipit ha lo stesso intervallo melodico e la stessa energia ritmica del Puer natus. La riflessione di Eusebio sembra ben rappresentata dal movimento ascendente del pes angoloso sangallese sull accento di Oculi, rafforzato dalla permanenza del grado melodico sulla corda di Re, corda strutturale del tetrardus autentico: il credente non solo deve tendere lo sguardo al Signore ma deve mantenerlo fisso su di lui. Anche se il pes di Oculi ha le stesse prerogative melodiche e ritmiche di Puer e dunque conferisce una particolare sottolineatura alla parola, la vera accentuativa della prima semifrase è rimandata oltre: il pes di Oculi viene, per così dire, superato da una meta accentuativa più importante, semper, quasi in rilievo proprio al centro del primo inciso. La notazione di Einsiedeln è esplicita: su semper colloca tre elementi neumatici di notevole peso ritmico su sillaba d accento (torculus ritorto con tenete, clivis con v [valde=molto], grande liquescenza all articolazione sillabica) e clivis con episema su sillaba finale [cfr il semper di Gaudete GT 21, terza riga]. L uncino sovradimensionato di Laon su mei rispetto agli uncini che lo precedono non ci informa soltanto sulla maggiore durata del suono interessato ma assume una chiara indicazione di fraseggio creando un accumulo di tensione che apre a semper, parola che pure la notazione di Laon conferma come centrale della prima semifrase. In questa parola c è un rimando alla radicalità cristiana: l amore per Dio è totale, è per sempre come quello di Dio per noi, fedele fino a dare la vita. L arco di frase, una volta toccato l apice melodico e ritmico su semper, si distende su Dominum, destinatario dello sguardo del credente, toccando con placida modulazione sull ultima sillaba la corda di Fa, il grado sottostante il suono strutturale Sol che definisce la modalità di tetrardus. Il contesto proclitico della ripresa della seconda semifrase (quia) ha lo scopo di dirigersi con slancio e senza esitazione su ipse, in evidenza per due motivi: il raggiungimento dello stesso grado melodico dell incipit e la rilevanza ritmica conferita dal pes angoloso sulla sillaba tonica. Come a dire con tono solenne: Egli stesso (il Signore) libera dal laccio i miei piedi. Singolare è l apice melodico di tutto il brano sul verbo evellet che contiene in sé il significato di strappare, sradicare, estirpare con decisione: l articolazione iniziale su sillaba tonica e la spinta ai gradi acuti della scala modale si coniugano perfettamente con il valore semantico della parola. A proposito del salmo 24, Ruperto di Deutz ( 1129) lo definisce il salmo della Chiesa penitente: il giusto non si ritiene al riparo di passi falsi e riconosce di essere incapace di salvarsi da solo e, quindi, con umiltà attende aiuto e liberazione che solo il Signore può donare estirpando il male dalla sua vita. La seconda frase del brano si mantiene sui gradi alti della scala di tetrardus alla parola respice (volgi lo sguardo), dove la forza dell accento si trasferisce su sillaba post-tonica ornata da un gruppo neumatico con articolazione finale, per ripiegare al grave sul monosillabo me, ben preparato dalla preposizione in (pes angoloso con liquescenza). Questa discesa al grave su me sembra descrivere lo sguardo benevolo di Dio che si posa sull orante. Osserviamo anche la consistenza melodica e ritmica sui pronomi personali in me, miserere mei, sum ego e l aggettivo

5 possessivo pedes meos: emerge la novità e profondità della fede cristiana che crede in un Dio personale che si esprime in un rapporto estremamente confidenziale tra l orante e Dio, considerato un Padre amoroso, il quale elargirà certamente l aiuto invocato. La frase finale si apre con quoniam (perché sono solo e povero), avverbio che, per la funzione ritardante della clivis con episema su sillaba finale, spiega bene il motivo della fiducia illimitata di quest uomo nonostante la sventura e la solitudine che lo affliggono. Egli sa che Dio ha una predilezione per gli anawin, i piccoli, i deboli, gli afflitti, i poveri, sa che Dio ascolta il grido del diseredato (unicus) e del povero (pauper), parole accomunate entrambe da un ampia ripercussione sul Do e, nel loro movimento melodico conclusivo, da un esteso ripiegamento al Fa. Riprendiamo ora le antifone di Hartker che ci possono offrire un valido aiuto nella nostra riflessione sulla tecnica formulare. Prenderemo ora in considerazione formule più ampie, perfettamente riconoscibili, tipiche di una modalità (denominate anche melodie-tipo o timbri modali), e vedremo come queste formule si modellano a seconda della diversità del testo seguendo più un criterio retorico che un criterio prettamente musicale. In questa luce osserviamo una cosiddetta formula di intonazione di I modo (protus autentico), molto diffusa nel repertorio dell Ufficio: essa può adattarsi a testi differenti perché non costituisce la veste musicale di un determinato testo, ma è piuttosto la prima significativa elevazione della voce nella solenne proclamazione di un testo. Gli esempi che trovate sulle dispense sono presi da un breve ma interessante studio di Massimo Lattanzi dal titolo Il canto gregoriano non è canto: appunti per un paradosso. Nel primo esempio (ES. 1 Ecce puer meus, Transeunte Domino) è messo a confronto l incipit di due antifone che presentano la stessa formula di intonazione. Essa può assumere la forma spondaica quando l ultima parola della formula è un parossitono (mé-us), oppure dattilica se l ultima parola è un proparossitono (Dó-mi-no). Allora nel primo caso la formula prevede il pes angoloso sull accento tonico di meus, mentre nel secondo caso il notatore assegna un tractulus su sillaba d accento (Domino) e pes corsivo su sillaba post-tonica (Domino). Questo ci rivela che, pur all interno di una rigorosa struttura formulare, la composizione gregoriana non perde mai il suo fecondo rapporto di dipendenza con l accentuazione delle singole parole. La costruzione è semplice: la formula di intonazione si muove dal grave e, attraverso una progressione melodica ascendente, raggiunge una sommità melodica, una meta accentuativa, dove viene collocata la parola significativa. In pratica questa parola speciale è messa in rilievo dall oratore mediante un tono di voce più elevato rispetto alle parole che la precedono. É ciò che viene definita la prima significativa elevazione della voce nella proclamazione solenne di un testo. Dunque, tale formula di intonazione assegna rispettivamente a meus e a Domino le prime significative accentuazioni testuali dei due brani riportati nel primo esempio. In altre antifone l elevazione melodica che caratterizza questa formula non coincide con l incipit del brano ma compare successivamente. (ES. 2) Ecce veniet desideratus AM 227 Nel caso di Ecce veniet desideratus la meta accentuativa viene volutamente ritardata e fatta precedere da un semplice recitativo sulla corda di Re per comparire soltanto su desideratus, cioè su una parola che richieda e giustifichi la prima elevazione della voce: colui che è desiderato da tutte le

6 genti. Era possibile un intonazione conforme al modello dell ES. 1 qualora fosse stato necessario mettere in evidenza il termine veniet, come avviene in molti altri brani nel periodo dell Avvento, di cui la contemplazione della venuta del Signore è prerogativa fondamentale, come si può osservare dall esempio 3. (ES. 3) Dominus veniet AM 227 In questo brano si vuole sottolineare la certezza della venuta del Signore a cui segue, in stretta connessione sintattica, l invito a corrergli incontro. È la stessa modalità di Ecce sponsus venit, exite obviam (GT 507), dove exite è la conseguenza diretta della venuta dello sposo. Nel nostro esempio la prima elevazione della voce è riservata a veniet, affinché a quel Signore che verrà (Dominus veniet) il credente possa correre incontro proclamando la sua magnificenza e la sua regalità: magnum principium (grande sarà il suo dominio) et regni eius non erit finis (e del suo regno non si vedrà mai la fine): Deus, fortis, dominator, princeps pacis (Dio forte, potente, principe della pace). Così, anche l antifona dell esempio 2 (Ecce veniet desideratus) avrebbe potuto presentare all intonazione un esito come il seguente: (ES 4) Ecce veniet Sarebbe stata la soluzione più semplice, più ovvia, ma, appunto, scontata. Ma non c è nulla di scontato nel gregoriano: l approccio al testo è realizzato sempre con cura, con pazienza, con fatica, ma soprattutto sorretto da un attività memoriale che tocca profondamente l esperienza amorosa degli antichi maestri cantori. Qui la composizione vuole sottolineare, più che la venuta in sé (veniet) del Messia, l universalità dell attesa del Redentore: desideratus cunctis gentibus, dove desideratus è la meta accentuativa dell incipit, il cui arco sonoro si completa e si chiude degnamente con l inciso verbale cunctis gentibus. Il testo originale di Aggeo 2, 8, da cui prende spunto l antifona, recita: movebo omnes gentes et venient thesauri cunctarum gentium et implebo domum istam gloria. Nella traduzione dall originale ebraico, Girolamo opera una forzatura del testo di questo passo in cui il profeta annuncia che Dio scuoterà (movebo) tutte le nazioni e affluiranno le ricchezze (thesauri) di tutte le genti a Gerusalemme per lo splendore del tempio che il popolo d Israele è impegnato a ricostruire dopo l esilio in Babilonia. Le ricchezze che affluiscono per il tempio che risorge sono il segno dell approssimarsi dell era messianica e per Girolamo diventano l atteso, il desiderato, il salvatore di tutte le genti. Proprio a questo termine, che non risulta nella versione originale, viene riservata dal compilatore una degna e appropriata sottolineatura. Secondo gli antichi la soddisfazione di un grande desiderio poteva venire soltanto dalle stelle: la geniale trasposizione di Girolamo, che certamente ha sfruttato la radice semantica della parola desideratus (de-sidera), ci consegna splendidamente l immagine di Colui che scende dalle stelle per appagare definitivamente l attesa di tutte le genti. Un altro esempio che rafforza le considerazioni fatte finora e che ci riporta nel tempo quaresimale per rimanerci fino alla fine della lezione è il seguente: ES. 5 Ductus est Iesus in desertum AM 342 Il testo, preso dal vangelo di Matteo (Mt 4, 1-2), è assai articolato e assume una intensità particolare per la spiritualità monastica, se è vero che l ideale del deserto e la pratica del digiuno rappresentano due dei tratti più tipici del monachesimo. Infatti l antifona inizia con una declamazione sommessa

7 nei toni gravi del protus, ma alla parola desertum assume un amplificazione di un certo peso, che allude in particolare al cap. 8 del Deuteronomio dove si narra della permanenza del popolo di Israele nel deserto per quarant anni prima di approdare alla terra promessa. Il deserto è il luogo della verità, dove si prova la fedeltà a Dio e alla sua Parola o la tentazione di allontanarsi dalle sue vie. Anche Gesù è chiamato dallo Spirito a decidere se vuole realizzare la sua missione di Figlio e di Messia nella via del successo, del potere, del miracoloso, oppure scegliere la figliolanza amante e obbediente, aggrappata saldamente alla parola e alla volontà del Padre. Per questo a Spiritu riceve un melisma insolito in una antifona di stile sillabico per dimensione e dilatazione ritmica, pur rimanendo nell ambito grave della modalità di I modo. La declamazione si alza in modo simile alla nota formula di intonazione sul verbo ut tentaretur solo per indicare simbolicamente che il ministero di Gesù sarà segnato dalla tentazione, dalla lotta, fin sulla croce. Ma è solo in corrispondenza della pratica del digiuno (et cum ieiunasset) che assistiamo alla prima vera e significativa elevazione della voce. È questo il gesto retorico del compositore per dare massimo rilievo al digiuno di Cristo nel deserto. Ed è pure una palese esortazione indirizzata al credente di imitare il gesto del Maestro. In diverse occasioni Gesù associa il digiuno alla sua particolarissima relazione con il Padre, quasi a dire che la comunione con il Padre esaurisce qualsiasi bisogno, annulla qualunque altro desiderio. Significativo il passo del vangelo di Giovanni (Gv 4, 31-34) che narra dell incontro di Gesù con la samaritana. Ai discepoli che erano andati a fare provviste al villaggio e che lo invitano a mangiare, Gesù risponde: Mio cibo è fare la volontà del Padre. In un solo istante questa frase ci proietta in un altra dimensione dell esistenza. Come è possibile non preoccuparsi del cibo materiale? Fare la volontà del Padre e compiere la sua opera è lo scopo per il quale Gesù è venuto: è il suo unico cibo! Questo gli dà una indicibile forza e lo libera dal vincolo della sopravvivenza materiale. Il motivo di tale enfatizzazione del digiuno risiede anche nella collocazione liturgica dell antifona: è l antifona al Benedictus delle Lodi della prima domenica di Quaresima e il digiuno fu sempre considerato come la pratica caratteristica del tempo quaresimale, essenziale per condurre all incontro con Dio. Ho individuato poi un gruppo di una mezza dozzina di antifone che rispondono a caratteristiche che difficilmente sono presenti tutte insieme: sono riconducibili a una stessa modalità, in questo caso il tetrardus plagale, sono accomunate nell incipit da un identico procedimento formulare, iniziano tutte con la stessa parola, Ego. Possiamo immaginare che siano legate anche da un comune e profondo nesso tematico? Osserviamo le tre antifone riportate qui sotto che, tra l altro, derivano dal medesimo passo evangelico, il capitolo 8 del vangelo di Giovanni. ES. 6 Ego principium AM 355 (Gv 8, 25). Ai giudei che lo interrogano sulla sua identità Gesù dichiara: Io sono che rivela il nome impronunciabile di JHWH, che ha tratto il popolo dalla schiavitù dell Egitto (Es. 3,14) e lo ha salvato dall esilio (Is. 43,10). I giudei, che sanno bene a chi viene attribuito quel nome e per questo lo condanneranno a morte, ribattono: Tu chi sei? Come a dire: Chi pretendi di essere? Gesù ribadisce : Io (sono) il principio che sta parlando a voi. Tenendo conto che su questo punto ci sono varianti nei codici e che anticamente non c erano segni di interpunzione, sono possibili varie traduzioni, ma il senso di questa piccola frase è chiaro. Il pronome Ego ha un ornamento melodico su sillaba finale (pes e torculus) che equivale a un segno di interpunzione e che lo isola dal contesto successivo, quasi a ribadire con forza e da sempre la verità dell affermazione: Io sono, che dice la perfetta uguaglianza del Figlio al Padre, pretesa divina che lo condurrà alla morte. La parola principium, dotata di liquescenza su sillaba iniziale, è senza

8 dubbio un allusione all en arché del primo versetto della Genesi: in questo principio, che per tutti i Padri della Chiesa è Cristo, Dio fece tutte le cose; ed è anche un rimando al prologo giovanneo In principio erat verbum : per questo motivo nell antifona viene sottolineato il verbo loqueor, che definisce l inizio della rivelazione ovvero il dialogo (Logos per i greci, Verbum per i latini) tra Dio e l uomo. Ego principium equivale all affermazione che Gesù farà nel seguito della discussione con i giudei: Prima che Abramo fosse, IO SONO. Per questo loqueor è introdotto dalla liquescenza su et (cephalicus) e si conclude con lo stesso segno liquescente: SONO (proprio) IO CHE VI PARLO! In questa antifona comincia a svelarsi quella lotta tra luce e tenebre, tra verità e menzogna che apparirà manifesta nella antifona seguente, Ego daemonium non habeo. Allora la formula su Ego si rende ancor più necessaria come segno di distinzione tra verità (Ego) e menzogna (daemonium). ES. 7 Ego daemonium non habeo AM 391 (Gv 8, 49). Questo testo è la continuazione del brano precedente; quindi siamo sempre all interno del capitolo 8 di Giovanni, dove si affrontano i temi della verità, della libertà, della paternità, fondamentali per ogni uomo. Nell ambito di una lunga e aspra discussione tra Gesù e i giudei, alla loro pretesa di avere Abramo come padre Gesù risponde che essi non si comportano da suoi figli, anzi hanno come padre il diavolo, omicida fin dal principio e padre della menzogna. Alla replica dei giudei che accusano Gesù di essere posseduto dal demonio, Gesù risponde con decisione: Ego // daemonium non habeo. Ecco dunque la formula introduttiva (pes e torculus) che sintatticamente separa Gesù dalla menzogna del maligno, evitando, per così dire, un sacrilegio semantico. La sua non è follia o arroganza: onora il Padre rivelandosi come il Figlio che ama il Padre e i fratelli. Mentre viene posta la cesura dopo Ego, necessaria anche perché i due termini si trovano all unisono e potrebbero essere declamati in un unico blocco verbale, sulla sillaba finale di habeo il notatore avrebbe potuto scrivere un semplice anonimo tractulus; invece sceglie pes quassus, un neuma speciale che non chiude l arco di frase ma invita a proseguire verso la verità della sua relazione con il Padre: Gesù cerca la gloria del Padre (honorifico Patrem meum), contrariamente ai farisei, che sono figli della menzogna perché non riconoscono il Figlio e quindi disonorano il Padre. Non possiamo sapere quale di questo piccolo gruppo di antifone sia il modello a cui le altre si sono riferite. Sappiamo che esistono altre antifone che cominciano con Ego (ego sum panis vivus, ego sum pastor bonus, ego sum via), nelle quali però non compare la formula osservata perché c è una identificazione strettissima, immediata tra il pronome personale e la locuzione successiva. In questo piccolo gruppo, invece, sembra sia necessaria una distinzione verbale, affinché sia altrettanto chiara una distinzione concettuale. ES. 8 Ego gloriam meam non quaero AM 391 Questa antifona contiene il versetto che segue immediatamente il brano precedente, al quale è strettamente connessa; provenendo tutte e tre dalla stessa pericope evangelica, sembra abbiamo assunto un timbro modale caratteristico che le identifica e le accomuna. Anche in questo caso Ego è sintatticamente isolato perché è in contrapposizione ai giudei che cercano la gloria personale e per questo ignorano la gloria di Dio, mentre Gesù onora il Padre e non cerca la sua gloria personale (gloriam meam non quaero). Vi è chi la cerca e giudica, dice il secondo inciso: è il Padre che cerca la gloria del Figlio, che è la sua stessa gloria. E alla fine lo glorificherà, giustificando la verità delle sue affermazioni. Possiamo osservare la sottolineatura ritmica dei due verbi quaero e quaerat, che è l azione reciproca del Figlio e del Padre di cercare quella gloria (che i giudei non cercano),

9 che si manifesterà nel dono di sé sulla croce, vertice della manifestazione di un Dio fedele e liberatore. È centrale nella rivelazione cristiana la questione della paternità di Dio: la verità che rende libero l uomo è la conoscenza dell amore del Padre, che gli permette di riconoscere la propria realtà di figlio. La verità di Dio come Padre rende liberi, la menzogna di un dio padrone rende schiavi. Per questo il principio della nostra libertà è la verità di Gesù, il Figlio amato, che ci rivela la nostra identità di figli amati dal Padre: Se dunque il Figlio vi libera, sarete liberi davvero (Gv 8, 36). Ora possiamo inserire un commento più esteso dell antifona Pater manifestavi riportata nella seconda lezione all esempio n 8. Pater manifestavi AM 507 Nella seconda lezione avevamo osservato che la formula introduttiva di questa antifona ricalca lo stesso schema scelto da Hartker per la parola Pater nell antifona Vadam. La liturgia colloca questa antifona al Magnificat della festa dell Ascensione, anche se il testo di riferimento è la preghiera sacerdotale che Gesù, nell ora delle tenebre a poche ore dalla sua morte, rivolge al Padre a favore dei suoi discepoli affinché siano custoditi nel suo nome, nel nome dell unico Padre di tutti gli uomini (Gv 17, 6-11) Avevamo anche detto che c è un singolare accostamento del padre celeste di questa antifona al padre terreno del figlio prodigo, perché si tratta ovviamente della stessa persona. La prima parola del brano Pater è sì invocazione, ma anche il nome di quel Dio che Gesù è venuto a rendere noto, appunto a manifestare. Manifestavi nomen tuum non si trova in nessuna altra parte della Sacra Scrittura: significa far conoscere la persona, e la persona si conosce attraverso il suo nome. Solo Gesù che è da sempre nel seno del Padre può conoscerne il nome, che per Israele era inconoscibile e impronunciabile. Egli è venuto sulla terra proprio per compiere questa missione: rendere noto all uomo che Dio è Padre, meglio, che il nome di Dio è Padre, Abbà. Allora si spiega, all apertura del primo inciso, il grande accento su Pater, realizzato con bivirga su sillaba d accento. Lo scandicus quilismatico su sillaba finale crea invece quell apertura utile a indirizzare l arco della tensione proprio su manifestavi, dotato di due pes angolosi consecutivi, il primo su sillaba d accento per dare rilievo alla parola e il secondo su sillaba finale per trattenere la declamazione che si distende su nomen tuum, collocato per l appunto sullo stesso grado di Pater. Il secondo inciso ci presenta i destinatari della rivelazione (hominibus quos dedisti mihi), punto di arrivo di questa prima frase: i discepoli che il Padre ha affidato nelle mani del Figlio. In queste parole è condensato tutto l affetto che Gesù ha riversato nei confronti dei suoi discepoli i quali, abbandonando tutto, hanno condiviso la sua missione. Hominibus e mihi sono i due termini di riferimento di questo inciso: la notazione su hominibus è tutta a valori larghi, a partire dalla prima sillaba, corredata da episema e tenete, dunque richiede una declamazione completamente appoggiata. Anzi, la combinazione di episema e tenete su sillaba pretonica ci avverte immediatamente della pregnanza della parola e crea intensità e tensione ancora maggiori rispetto a uno scontato episema su sillaba tonica: nulla si deve perdere di questa parola! Il contesto proclitico, ritmicamente fluido, di quos dedisti è indirizzato a mihi, dove risiede l altra meta accentuativa di grande intensità per la bivirga episemata che richiama Pater e la deposizione con virga strata sul Fa, stesso grado dell incipit. L evidenza di mihi dice la singolarissima e unica relazione di Gesù con il Padre. La seconda frase si apre con due termini (nunc autem: ora invece), contrassegnati da neumi ritmicamente importanti perché rivelano l ultima azione che Gesù intende compiere prima di salire al Padre: quella di pregare non per il mondo ma per i suoi discepoli. La contrapposizione tra discepoli e mondo è

10 resa bene dalle congiunzioni nunc autem, di cui la seconda è avversativa (autem = invece, al contrario), che la introducono e la orientano sui gradi acuti della scala come se Gesù volesse chiarire con tono solenne l intenzione di pregare per i suoi discepoli e non per il mondo (a mundo e autem il monaco Hartker riserva lo stesso neuma liquescente). Dunque, sono i discepoli ad essere nel cuore del Maestro, sono il piccolo resto che prenderà il suo posto e continuerà la sua missione, annunciando a tutto il mondo la novità sorprendente di quel nome che corrisponde alle più profonde attese di salvezza dell umanità. Ecco perché Gesù prega per loro; il motivo è il suo ritorno al Padre che viene spiegato con una intensità ritmica inusitata mediante l uso di pes angoloso su ciascuna delle tre sillabe di due semplici attrezzi grammaticali: la congiunzione quia e la preposizione ad. È nello stile della composizione gregoriana (cf. quoniam unicus dell introito Oculi mei) questo indugiare su termini apparentemente secondari e comunque subordinati al testo seguente, quasi a far assaporare e comprendere meglio, con consumata arte retorica, proprio ciò che seguirà. Gesù ha ultimato la sua missione, ha concluso la sua vita terrena e ora sta compiendo la sua Pasqua, il suo passaggio ritornando definitivamente al Padre. Quale desiderio, quali sentimenti, quale intensità di comunione tra Padre e Figlio: uno dimora nell altro e ora si ricongiungono. Con tutto il loro mistero di amore. Ed è bene per noi che se ne vada, perché ci manda il Consolatore, mentre prepara un posto perché anche noi siamo dove è lui. Qui biberit aquam GT 99 (Terza di Quaresima) Anche questo brano, communio della terza domenica di Quaresima, contiene un allusione formulare, ma è difficile da decifrare per via della versione melodica che propone l edizione vaticana. Si apre a questo punto un altro capitolo, importante e vasto, dell universo gregoriano che va sotto il nome di restituzione melodica. Il Graduale Triplex, pur essendo il risultato di decenni di studi allo scopo di restituire al repertorio gregoriano il suo volto originario, riflette purtroppo errori e compromessi riguardo alla versione melodica. Sono diverse le ragioni storiche che hanno indotto la Commissione pontificia, incaricata nel 1903 di redigere i libri di canto gregoriano, a scegliere versioni melodiche non sempre rispettose delle indicazioni degli antichi manoscritti, ma piuttosto dettate da ragioni pastorali. È un argomento di grande interesse che richiede lezioni appropriate. In breve, la versione melodica che troviamo nel Triplex è ferma al 1908, cioè riproduce esattamente l edizione tipica vaticana sulla quale era stato imposto da papa Pio X il sigillo dell intangibilità: nulla poteva essere cambiato delle nuove edizioni di canto gregoriano. Nel frattempo gli studi scientifici sul versante del recupero della melodia continuarono con grande profitto fino a mostrare con sempre maggiore evidenza le incongruenze della versione melodica ufficiale. Diversi gruppi di studiosi nei decenni passati hanno messo mano alla revisione dell edizione vaticana, raggiungendo risultati molto apprezzabili, anche se mancano della prerogativa dell ufficialità. Noi stessi, in quanto Cantori Gregoriani, abbiamo portato avanti un lavoro di revisione melodica che, nell attività didattica o concertistica, riproponiamo con assiduità spiegandone le ragioni. Ora, questa antifona conclusiva ci serve per introdurre questo argomento ed eventualmente affrontarlo la prossima lezione. Per fare ciò abbiamo bisogno dell ultimo esempio, l antifona dell Ufficio Si ergo vos (ES. 9), che prendo a prestito dal contributo di Giacomo Frigo contenuto nel nostro manuale e che in Hartker è collocata alla IV domenica dopo Pasqua, domenica che a quel tempo precedeva immediatamente l Ascensione e, quindi, la Pentecoste. Questa antifona è accostata al communio Qui biberit (GT 99), che attingiamo dal Graduale Novum a pag 81, restituito alla melodia originale.

11 Il rimando formulare contenuto nell antifona Si ergo vos si trova sulla parola dabit, che presenta su sillaba tonica un inciso melodico abbastanza singolare che fuoriesce dall ambito modale del tetrardus. Proprio per questo diventa una citazione che trova una corrispondenza alle parole in eo del communio Qui biberit. L acqua di cui parla Gesù alla samaritana è lo Spirito di Dio, sorgente di acqua viva che scaturisce da ogni uomo (in eo) che riconosce il Padre. Il richiamo allo Spirito è un modo per rivelare che a ciascuno il Padre celeste elargisce non solo doni terreni, come dice l antifona Si ergo vos, ma il dono per eccellenza che li supera tutti: lo Spirito Santo. Il compositore non ha fatto altro che interpretare il passo di Matteo 7, 11 - da cui è tratta l antifona Si ergo vos alla luce del passo parallelo di Lc 11, 13 che sostituisce il termine bona con Spiritum sanctum. Il Vangelo della samaritana è qui condensato nella frase più significativa del racconto evangelico e corrisponde al versetto 14 del cap. 4 del Vangelo di Giovanni. Chi beve l acqua che io gli darò, dice il Signore alla samaritana, diventerà in lui sorgente di acqua zampillante per la vita eterna. Osserviamo subito l intonazione ricca di slancio della notazione di Laon che viene raccolta consapevolmente sulla sillaba finale di biberit (uncino invece del punto) per evitare di proseguire pesantemente sull inciso seguente. Ciò favorisce la costituzione di due blocchi verbali distinti: qui biberit / aquam quam ego do. La declamazione di Einsiedeln, invece, in questo incipit presenta un andamento più meditato: il segno aggiuntivo cm (celeriter mediocriter) in corrispondenza di biberit può essere compreso partendo dal presupposto che lo scriptorium di Einsiedeln fosse in possesso di una copia del codice di Laon, anteriore di qualche decina di anni, e intendesse così correggere lo slancio dell intonazione così come appare nella notazione metense. Se poi consideriamo il secondo inciso (aquam quam ego do) un unico blocco verbale, possiamo affermare che aquam, contrassegnata da pes angoloso ma collocata su grado semitonale, è ancora l acqua del pozzo ma rimanda già al dono di Dio, all acqua viva, concetto che viene evidenziato dal raggiungimento del grado superiore (Do), dal cephalicus sangallese e dal grande uncino di Laon sul pronome relativo quam che ad aquam si riferisce. La prima frase si conclude con dicit Dominus samaritane, parola declamata con cura a partire dalla prima sillaba (pes angoloso) in tensione verso la sillaba d accento rallentata dalla lettera t (tenete) su virga e oriscus, elemento neumatico che chiude in distensione l arco verbo-melodico della frase. La sottolineatura di questa parola suggerisce che il dono dell acqua viva viene fatto proprio a una samaritana, che apparteneva a un popolo considerato dai giudei impuro, idolatra e quindi da evitare e disprezzare. La seconda frase fiet in eo racconta gli effetti che produce l acqua viva su colui che la berrà: diventerà in lui sorgente di acqua zampillante per la vita eterna. Qui la declamazione, costantemente collocata sui gradi acuti del tetrardus autentico, mantiene una continua tensione fino alla fine del brano, mettendo in evidenza alcune mete accentuative corrispondenti alle parole più significative del testo. La dilatazione ritmica su in eo rimanda alla calma dell incipit (Qui biberit) richiesta dalla notazione sangallese (qui ed eo sono la stessa persona). Fons aquae salientis sono parole contrassegnate da neumi allargati (cephalicus, pes angoloso, torculus liquescente) corrispondenti alla dignità del loro significato: è lo Spirito Santo, come è stato detto prima, che genera ex alto, cioè conferisce ad ogni uomo la grazia per generarlo alla vita divina. Vitam aeternam è considerata un unica entità verbale: la lettera statim (subito) scritta tra le due parole ci avverte che aeternam, la cui sillaba tonica è illustrata da un neuma interminabile e rallentato, fa parte integrante di un unico contesto. La comunione di vita con Dio non può essere che eterna, senza fine. Angelo Corno

12 P.S. Voglio solo informarvi della presenza, nel panorama formulare del repertorio dell Ufficio, delle cosiddette Antifone in La, che non ho volutamente trattato nella presente lezione. Sono circa un centinaio e sono accomunate da una medesima melodia-tipo a livello macroscopico. Costituiscono un gruppo a sé stante per la finale La, non riconducile a nessuna modalità secondo lo schema dell octoechos. Ci sarà un altra occasione per parlarne diffusamente.

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