RAPPORTO ITALIA 2012 Documento di Sintesi

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1 RAPPORTO ITALIA 2012 Documento di Sintesi UFFICIO STAMPA EURISPES

2 INDICE CONSIDERAZIONI GENERALI Il coraggio di rompere il patto L Italia vittima e complice di una democrazia bloccata VITA/MORTE Decidere di (non) morire 1. Testamento biologico e fine vita 2. Le nuove rappresentazioni della morte 3. Gli infortuni sul lavoro e le morti bianche 4. Vecchie e nuove malattie professionali 5. Biotecnologie e immortalità: la clonazione 6. Fecondazione assistita: padri e madri ad ogni costo 7. Morte ad alta velocità 8. Scegliere di non vivere 9. La condizione anziana oggi e il rapporto con la sanità: opinioni e valutazione dei protagonisti 10. Italiani salutisti? (Sondaggio) ESSERE/AVERE Il precario equilibrio tra essenza e sostanza 11. La condizione economica delle famiglie (Sondaggio) 12. Gli italiani e il risparmio tra il 2000 ed il 2010: beato chi è riuscito a risparmiare 13. Il superfluo e lo spreco 14. La metamorfosi della televisione 15. Nella rete della partecipazione 16. Social Shopping, il nuovo eldorado? 17. Gli italiani e le lingue estere: il caso del Servizio Biblioteche di Roma (Sondaggio) 18. In difesa della lingua 10. Disagio psicologico e psicoterapia 20. Italia, un amore difficile (Sondaggio) GIUSTIZIA/INGIUSTIZIA La somma delle ingiustizie 21. La fiducia dei cittadini nelle Istituzioni (Sondaggio) 22. Quell esigenza di giustizia giusta 23. I costi della giustizia: l eccessiva lentezza dei processi civili danneggia il Sistema Paese 24. Avvocati detrattori? 25. Gli effetti sociali delle norme sulla giustizia e in materia di riforma delle professioni 26. Gli italiani e il diritto europeo: un rapporto contraddittorio 27. L estremo orrore degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) 28. Suicidi in carcere, la strage silenziosa 29. Vite in carcere 30. Al centro della sicurezza RAGIONEVOLE/IRRAGIONEVOLE L Italia dell economia: tra ritardi e prospettive 31. La sostenibilità del debito pubblico in Italia 32. Lavoro precario, lavoro in bilico 33. L impatto sociale delle norme in materia di previdenza, sugli effetti dell Imu, sui rapporti tra fisco e lavoro femminile 34. Innovazione. Confronti internazionali 35. Tendenze, consumi e sfide del mercato italiano del lusso 36. Denominazioni territoriali e qualità: il perimetro delle produzioni italiane a Denominazione d Origine 37. Proteggi oggi il nostro pasto quotidiano ovvero i Carabinieri contro le frodi e le sofisticazioni alimentari 38. Big Pharma e il rischio dell imperialismo sanitario 39. Il Prometeo dei libri: innovazione e tradizione 40. Il possesso dei beni materiali, il consumismo (Sondaggio) GENITORI/FIGLI Genitori oggi: attese, esigenze, problemi, criticità 41. Benessere nella terza età (Sondaggio) 42. Genitori in Rete 43. Genitori e figli: tra fiducia e responsabilità 44. C eravamo tanto amati 45. La maternità in età avanzata, tra progressi della medicina e dilemmi etici 46. Affidi e adozioni: una famiglia per ogni bambino 47. Affidamento condiviso 48. I giovani, la politica e i partiti (Sondaggio) 49. Dall agricoltura italiana giovani opportunità per il Paese 50. La chirurgia estetica ovvero il mito della bellezza SOSTENIBILITÀ/INSOSTENIBILITÀ Il XXI Secolo sarà il Secolo verde, quello della Sostenibilità oppure un Secolo bollente con un aumento di temperature da catastrofe ambientale? 51. The day after. La stampa quotidiana italiana di fronte all incidente nucleare di Fukushima 52. Contrasto ai cambiamenti climatici: l adattamento 53. Energia da fonte eolica e piano d azione nazionale: situazione e prospettive 54. Biodiversità, sostenibilità e sviluppo economico 55. Agricoltura, per un nuovo patto con la società 56. Bioedilizia, buone prassi per il risparmio energetico 57. Raee, rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche: un opportunità per il recupero di materie prime ed energia 58. Il turismo sostenibile: un caso studio per le Isole minori 59. La mobilità sostenibile in Italia 60. Le Aree Protette, culla della biodiversità Hanno curato i saggi: Gioia Di Cristofaro Longo Paolo De Nardis Roberto De Vita Guido Corazziari Maurizio Quilici Alfonso Pecoraro Scanio NOTA La rilevazione campionaria (tramite questionario) relativa ai dati contenuti nelle schede-sondaggio è stata effettuata dall Eurispes tra il 20 dicembre 2011 e 5 gennaio 2012, su un campione - rappresentativo della popolazione italiana - di cittadini. 2

3 IL CORAGGIO DI ROMPERE IL PATTO L ITALIA VITTIMA E COMPLICE DI UNA DEMOCRAZIA BLOCCATA Considerazioni generali di Gian Maria Fara Come prima, più di prima. Sono passati trent anni dalla nascita del nostro Istituto. Nel 1982 l Eurispes iniziò il suo viaggio all interno della società italiana indagando tra le pieghe nascoste, tra le antiche fragilità e quelle nuove che la crescita economica aveva cominciato a produrre. Erano quelli gli anni della società affluente, della convinzione che la crescita economica ci avrebbe fatto diventare tutti più ricchi e si sarebbero risolti i problemi e le contraddizioni che l Italia aveva accumulato nel corso dei decenni precedenti. Le sfide aperte erano tante e, solo per citarne alcune: il ritardo del Mezzogiorno e il divario Nord-Sud; il problema energetico e la questione ambientale; l ammodernamento delle infrastrutture e la cattiva organizzazione della Pubblica amministrazione; il funzionamento del sistema sanitario e della giustizia; il malessere nella scuola e nell Università; la crescita incontrollata del debito pubblico e la necessità di riformare le Istituzioni; le vecchie e le nuove povertà e la razionalizzazione del welfare; la riforma del mercato del lavoro e la lotta all evasione fiscale; la crescita del disagio giovanile e la diffusione della droga; l espansione della criminalità mafiosa e la crescita della corruzione. L elenco potrebbe essere ancora più lungo tanti erano i temi e le questioni che agitavano allora il dibattito pubblico. Sono gli stessi argomenti al centro dell attenzione oggi, ma con una non lieve differenza: da allora la situazione non è migliorata, anzi, si è progressivamente aggravata nel corso degli anni sino ad assumere i caratteri di una vera e propria emergenza nazionale. La crisi che stiamo vivendo ha fatto il resto. Vassalli, valvassori e valvassini. Siamo di fronte ad un generale senso di depressione che taglia trasversalmente tutte le classi sociali: i poveri perché vedono, giorno per giorno, allontanarsi la possibilità di poter migliorare la loro condizione economica e sociale; i ceti medi perché hanno sempre più timore di cadere nel baratro della povertà; i benestanti e i ricchi perché si sentono criminalizzati e hanno persino timore a mostrare i segni del proprio status e del proprio benessere, frutto, secondo la vulgata ormai corrente, di chissà quali nefandezze. La sensazione è quella di un Paese bloccato, immobile, rassegnato, ripiegato su se stesso che non riesce a trovare la forza per reagire alla malattia, assistito da un nugolo di medici scarsamente dotati, nella migliore delle ipotesi, o interessati a che la malattia si protragga per continuare ad esercitare il proprio controllo sul malato, in quella peggiore. I medici sono la metafora della nostra classe dirigente generale, di quella classe che, come dice il nome, dovrebbe avere il compito ed il dovere di dirigere il Paese e avere cura del benessere dei suoi cittadini. Di quella classe che dovrebbe affrontare e risolvere i problemi, indicare la mèta, mettere a punto il progetto ed impegnarsi a realizzarlo, coinvolgendo i cittadini di ogni ordine e grado. Una classe dirigente che dovrebbe produrre buoni esempi e buone idee e farsi carico delle esigenze e dei bisogni generali e soprattutto di rappresentare nel migliore dei modi il Paese nel proscenio internazionale. Utilizziamo la definizione di classe dirigente generale per ribadire, ancora una volta, che occorre uscire dall equivoco, non del tutto innocente, che pretende di attribuire alla sola responsabilità della politica l origine di tutti i mali che affliggono l Italia. La politica ha grandi ed evidenti responsabilità, ma essa rappresenta solo una parte, e forse neppure quella decisiva, della classe dirigente generale alla quale sarebbe più corretto riferirsi. Sono classe dirigente i nostri valorosi imprenditori che talvolta trascurano gli aspetti sociali della loro vocazione e sono sempre pronti a delocalizzare, quando si presenta l occasione di maggiori guadagni in paesi più o meno lontani dove la manodopera costa meno, le regole sono meno rigide e i diritti dei lavoratori sono spesso un optional. Sono classe dirigente tutti quegli illustri professori che pontificano con forti richiami all etica e intanto pilotano concorsi e mandano in cattedra figli, nipoti, generi e nuore, e ci affliggono dalle pagine dei giornali parlando di cose che hanno solo letto sui libri scritti da chi ha letto solo libri, ma non hanno mai messo piede dentro una fabbrica o fatto qualche lunga fila allo sportello di un qualsiasi ufficio della nostra Pubblica amministrazione e non hanno mai avuto il problema della quarta settimana. Sono classe dirigente i nostri sindacalisti, proletari a parole e spesso radical-chic nei fatti, ancorati ad un mondo che non c è più e che difendono con le unghie e con i denti. Più attenti a tutelare chi è già garantito che non a farsi carico delle attese di un popolo di precari senza alcuna prospettiva. Sono classe dirigente i manager delle banche, delle assicurazioni, delle grandi imprese pubbliche e private che, mentre si tartassano i cittadini con redditi da sopravvivenza, incassano compensi da milioni e milioni di euro l anno e laute liquidazioni. Sono classe dirigente i grandi commis dello Stato che dopo aver goduto nel corso della carriera, di stipendi d oro e di innumerevoli benefit, mantengono privilegi di stampo feudale, anche ad anni di distanza dal pensionamento. Sono classe dirigente i magistrati e i giudici che di sovente sbagliano, ma hanno il vantaggio di non dovere rendere conto a nessuno. E capita spesso che alcuni di loro pretendano di affermare uno Stato etico, invece di perseguire l etica dello Stato e utilizzino la loro notorietà per fini politici personali. Sono classe dirigente, anzi lo sono ancora di più perché hanno il compito ed il dovere di raccontare la verità e di informare i cittadini, gli operatori dell informazione talvolta troppo ligi e proni ai voleri della proprietà, pubblica o privata che sia, e che spesso deformano o ignorano la realtà quando questa non conviene. E, ma l elenco potrebbe essere ancora lungo, sono classe dirigente anche coloro che fanno il nostro mestiere, i produttori di dati primi, quelli più delicati, che non disdegnano di piegare i numeri a seconda delle esigenze di chi comanda. 3

4 Questa classe dirigente nel suo insieme è la vera responsabile dei ritardi, delle difficoltà, dei problemi dell Italia. Insomma, della crisi che stiamo vivendo e della quale tutti siamo chiamati, sia pure con ruoli e responsabilità diverse, a rispondere e a dover pagare il conto. Questa classe dirigente costituisce ormai un blocco solidale e separato dal resto del Paese e non ha nessuna intenzione di rinunciare, neppure in piccola parte, ai vantaggi e ai privilegi conquistati. È una classe dirigente articolata sul modello feudale dei vassalli, dei valvassori e dei valvassini. Un sistema all interno del quale tutto si tiene e tutto si conviene. Dove ogni corporazione sostiene l altra, nella consapevolezza che la caduta dei privilegi dell una produrrà inevitabilmente la sfortuna dell altra. Doppia articolazione della morale. Se la classe dirigente generale ha le responsabilità che le attribuiamo, la società italiana da parte sua ha molto da farsi perdonare e la sua evidente arrendevolezza, anche di fronte ad una pressione che farebbe infuriare chiunque, è la dimostrazione di una tacita e antica complicità, che ormai mostra i segni dell usura e sembra sul punto di interrompersi. Certo, occorrerebbe stabilire quanto la classe dirigente sia la rappresentazione fedele della società che la esprime e, viceversa, quanto la seconda sia lo specchio dei comportamenti della prima. Almeno in questo caso Tertium datur: sono vere tutte e due le ipotesi. Le èlites non sono peggiori della società civile e questa non è migliore delle sue èlites. Resta comunque il fatto che alla classe dirigente spetterebbe il compito di esercitare un ruolo pedagogico attraverso il quale indirizzare le pulsioni del corpo sociale, valorizzarne le potenzialità, governarne ed esaltarne le vocazioni. Per fare tutto ciò, la nostra classe dirigente dovrebbe ritrovare il senso etico perduto, riscoprire i valori da troppo tempo abbandonati, recuperare il senso del dovere e della responsabilità, superare l interesse soggettivo e di gruppo, affermare la preminenza del ruolo rispetto alle ambizioni e agli interessi della persona ed infine produrre, attraverso i comportamenti, esempi che stimolino scelte virtuose indirizzate al perseguimento del bene comune. Invece, la nostra classe dirigente con il suo spirito di conservazione, con le sue resistenze ai cambiamenti, con la sua autoreferenzialità, con le sue paure, con la sua vocazione feudale tiene in ostaggio la società civile. E questa si è, nel tempo, acconciata ad un sistema che ne asseconda gli istinti egoistici e familisti, che deresponsabilizza, che assicura nicchie di impunità e di esercizio di piccolo potere, che ne sopporta le contraddizioni e le debolezze. Ma, soprattutto, incoraggia l affermazione di una doppia articolazione della morale: gli italiani, da una parte, invocano la più dura delle repressioni nei confronti degli evasori fiscali e dall altra condannano chi, per dovere d ufficio è costretto ad applicare leggi, magari sbagliate e ingiuste, ed esige che le tasse vengano pagate. Il fatto è che ciascuno di noi è portato ad essere severo con gli altri e comprensivo e benevolo con se stesso: l evasore da colpire è sempre il vicino della porta accanto. Da ciò derivano l immobilità del nostro sistema e l incapacità di trasformare, come dicemmo qualche anno fa, la potenza della quale comunque il nostro Paese è ricco in energia. Insomma, siamo di fronte ad una società che è, insieme, vittima e complice nello stesso tempo. Ad una società che nel complesso è molto diversa da come raccontano le statistiche ufficiali. Basti pensare al problema del sommerso che, secondo l Eurispes, ha raggiunto ormai quota 540 miliardi di euro equivalente al 35% del Pil ufficiale che, come è noto, è di circa miliardi di euro. Con una conseguente evasione fiscale pari ad almeno 230/250 miliardi di euro, imputabili certo ai grandi evasori dei quali, quando scoperti, raccontano con dovizia di particolari i nostri mezzi di comunicazione, ma anche, o forse soprattutto, a milioni di piccoli evasori quotidiani che aggirano il fisco con la loro compiacenza e la loro omertà, per piccole somme che, moltiplicate esponenzialmente, producono cifre enormi. Sono le somme, apparentemente insignificanti nel quadro complessivo, che non superano spesso le centinaia di euro, pagate dalle famiglie italiane nella gestione del loro vissuto quotidiano: la baby sitter, l idraulico, l imbianchino, l elettricista, la badante, il medico, il ristoratore che non rilascia la ricevuta e tantissimi altri ancora. Siamo tolleranti nei confronti di questa evasione spicciola per almeno due motivi. Il primo è, che non essendo mai stato introdotto nel nostro sistema fiscale il metodo del contrasto di interessi ovvero la possibilità di detrarre nella nostra dichiarazione dei redditi almeno una parte delle spese non abbiamo neppure l interesse a sollecitare la ricevuta o la fattura; il secondo è che spesso, a nostra volta, siamo produttori di sommerso quando, per cercare di far quadrare il bilancio familiare sempre più compresso da aumenti, bollette, rincari, tasse e balzelli di vario genere e origine, siamo costretti a cercare un doppio lavoro o ad accettarne uno in nero. Per questi motivi, la recente disposizione che impedisce i pagamenti in contanti per importi superiori ai mille euro si rivelerà del tutto inutile e dannosa, poiché contribuirà a rendere ancora più complicata la vita di milioni di cittadini scarsamente inclini alla gestione telematica dei loro conti. Basti pensare al fatto che il nostro Paese ha una tra le più alte percentuali di anziani e vecchi in Europa, mentre di sicuro incrementerà gli introiti delle banche e delle società che operano nel mercato delle carte di credito. Infine, per aggirare l ostacolo, sarà sufficiente frazionare i pagamenti e ciò finirà per rafforzare ulteriormente la consueta connivenza. A tutto ciò va aggiunto il fatto, spesso trascurato, che in Italia circolano più ricchezza e più contante di quanto le statistiche ufficiali abbiano mai censito. Infatti, all enorme quantità di sommerso che abbiamo in precedenza segnalato occorre aggiungere il cosiddetto fatturato criminale, frutto del traffico di stupefacenti, estorsioni, prostituzione, usura, caporalato, corruzione, traffico d armi, falsificazione e altro ancora che frutta, secondo nostre stime confortate dalle analisi degli inquirenti e degli investigatori oltre duecento miliardi l anno. In sostanza, l Italia ha tre Pil: uno ufficiale, uno sommerso e uno criminale. Il capro espiatorio. Allora, se tutto ciò corrisponde alla realtà, la politica, pur con i suoi innumerevoli torti, le sue inadempienze, la sua inadeguatezza, rischia di essere il Mamurio Veturio, il capro espiatorio del sistema sul quale 4

5 scaricare tutte le colpe per distrarre l attenzione dalle responsabilità che appartengono anche ad altri e sono equamente diffuse. Il problema vero è che la critica alla politica, nei modi e nei termini con i quali viene oggi esercitata, rischia di mettere in discussione le fondamenta stesse delle Istituzioni e, di conseguenza, del nostro ordinamento democratico fondato sulla sovranità popolare. La sgradevole ondata di populismo, spesso strumentalmente alimentata, trae dall antipolitica la sua linfa vitale che, come l esperienza insegna, da Pericle a Otto von Bismark, passando per Hobbes, oltre al contrapporsi alla politica ufficiale non è mai riuscita a produrre alcunché di positivo. L attacco alla classe politica diventa così un attacco indistinto al sistema istituzionale. Il populismo non avanza serie proposte di riforma, ma punta soltanto alla delegittimazione della politica ed infine del sistema democratico. L antipolitica populista quasi mai riesce a trasformarsi in politica attiva, ma resta in una fase pre-politica di eterna contestazione. La rappresentanza politica, il voto, rappresentano pur sempre l unico modello per affermare una democrazia compiuta. Si possono studiare forme più dirette, formulare leggi elettorali più attente alle esigenze e alle istanze degli elettori, ma l architrave di ogni democrazia resta il Parlamento come diretta conseguenza del principio di sovranità popolare. Il suo ruolo è stato efficacemente sintetizzato da Hegel con l espressione di «porticato tra lo Stato e la società civile»; di conseguenza, indebolendo l istituto rappresentativo per eccellenza, si indebolisce l intero sistema democratico. Forse, si affrontano temi di grande rilevanza e spessore con troppa leggerezza e spesso si dimentica di quali e quanti sacrifici siano costate, alle generazioni che ci hanno preceduto, quelle conquiste di libertà che oggi noi consideriamo come fatti acquisiti, consolidati e immodificabili. Invece, la democrazia vive in uno stato di perenne fragilità e precarietà e, purtroppo, se ne sente la mancanza solo quando la si perde. La difesa dell istituto parlamentare come architrave del nostro sistema istituzionale dovrebbe stare a cuore a ogni cittadino e dovrebbe rappresentare il compito primario di ogni rappresentante politico. Un istituto democratico viene innanzi tutto giudicato dai cittadini per i comportamenti dei propri rappresentanti, per la dignità con la quale essi esercitano la loro funzione, per la capacità di interpretare i bisogni e le attese che la società, nelle sue diverse articolazioni, esprime. Ma ai cittadini sono stati sottratti persino il diritto e la possibilità di scegliere i propri rappresentanti attraverso il sistema della preferenza; e si è imposto loro quello della selezione e della nomina dall alto per cooptazione, che consente ad un numero ristrettissimo di capi partito di nominare, di fatto, il Parlamento, con tutte le conseguenze che ne derivano sia sul piano della qualità della rappresentanza, sia su quello della effettiva democraticità del metodo. E, come ci ricorda E. Gibbson, i princìpi di una libera Costituzione sono irrevocabilmente perduti quando il potere legislativo è nominato da quello esecutivo. Quando la classe politica si allontana dal Paese reale, quando essa dimostra di avere in massima cura solo i propri privilegi ed interessi, quando occupa le Istituzioni, a tutti i livelli, con personaggi di infimo livello culturale e morale, quando sostituisce al necessario spirito di servizio l esercizio, spesso in forme bieche, del potere, il patto tra governanti e governati si rompe, il sistema entra in crisi e si creano le condizioni per un rifiuto della democrazia stessa. I cittadini partecipano al processo politico affidando la loro sovranità ad Istituzioni che hanno una legittima autorità sulla base della volontà effettiva dei cittadini che rappresentano. Questo delicato rapporto è il vero fondamento della democrazia. E quando questo rapporto viene meno, allora cominciano a farsi strada crisi profonde. Gli atteggiamenti antipolitici non sono, infatti, soltanto l espressione politica più forte della mancanza di ottimismo della gente, ma anche un segnale evidente della mancanza di idee e di progetti convincenti da parte della stessa politica [Navarro Valls J. 2007]. Tuttavia, la politica non nasce dal nulla. Chi la interpreta e chi la rappresenta ai diversi livelli istituzionali proviene dalla società civile, dal mondo della cultura e delle professioni. Di conseguenza, la classe dirigente generale alla quale ci riferiamo ha una doppia responsabilità: quella di non voler compiere sino in fondo il proprio dovere e di pensare principalmente a difendere i propri interessi; e quella di infeudare con i suoi rappresentanti la politica e le Istituzioni. Troppo spesso si identifica la politica con il solo Parlamento, trascurando il fatto che ormai gran parte del potere e delle risorse e quindi dei costi della democrazia appartiene al sistema territoriale, Regioni, Province, Comuni con le loro proiezioni operative ed economiche. Si crea lo scandalo attorno ai privilegi della cosiddetta casta anche se sarebbe più corretto parlare di caste e questa viene identificata soprattutto con il Parlamento e si dimentica che il vero scandalo è costituito dalle migliaia di assessori, consiglieri comunali, amministratori di aziende pubbliche locali che si moltiplicano quasi miracolosamente come nella parabola dei pani e dei pesci. Il Consiglio regionale del Lazio, proprio nel bel mezzo delle polemiche sui privilegi della politica e mentre il Sistema Sanitario Regionale sprofonda in un baratro di sprechi, ha pensato bene di procedere a sostanziosi aumenti delle indennità dei consiglieri e degli assessori. Si denunciano i privilegi e le retribuzioni mensili dei parlamentari, ma poi, ad una attenta e non strumentale osservazione, si scopre che i loro compensi sono spesso inferiori a quelli di dirigenti pubblici e privati di medio livello e che il costo finale per lo Stato non supera quello dei parlamentari di Francia, Germania e Regno Unito ed è nettamente al di sotto di quello sostenuto dal Parlamento Europeo. Così come si trascura di osservare e di indignarsi per le retribuzioni milionarie degli amministratori delle società a partecipazione pubblica. Alcuni, malignamente, pensano che forse la disattenzione degli uomini dell informazione possa essere dovuta al fatto che queste grandi società sono anche dei formidabili inserzionisti pubblicitari. Nello stesso tempo, il sistema mostra tutta la sua schizofrenia retribuendo i suoi amministratori in termini qualitativamente e quantitativamente del tutto irragionevoli. 5

6 Ci si chiede infatti perché il Presidente di una sia pur importante azienda pubblica debba percepire un compenso di quindici volte superiore all appannaggio assegnato al Capo dello Stato, o perché il direttore generale di una sperduta Asl debba vedersi riconosciuta una retribuzione tre volte superiore a quella del presidente dell Inps, che amministra il secondo bilancio dopo quello dello Stato. O, ancora, perché un magistrato della Corte dei Conti o del Tar debba ricevere uno stipendio di molto superiore a quello di un giudice o di un pubblico ministero costretti a vivere da reclusi in terra di mafia. Senza considerare il fatto che, alle cosiddette magistrature superiori, è concessa la possibilità di svolgere altre attività esterne come, ad esempio, arbitrati e consulenze che, quasi sempre, superano ampiamente per valore la retribuzione ordinaria. Forse è arrivato il momento di procedere ad una rapida ed incisiva razionalizzazione, determinando nuovi parametri e nuovi tetti che eliminino le contraddizioni più vistose e siano meglio rappresentativi dei ruoli ricoperti e della loro importanza. I ricchi sono migliori. Che la politica debba impegnarsi per ridurre i suoi costi appare fuori di ogni discussione, ma è altrettanto fuori discussione il fatto che il Parlamento debba conservare la propria dignità e il proprio ruolo che sono, come in ogni democrazia che si rispetti, assolutamente centrali. È vero che alcuni privilegi andrebbero aboliti, così come dovrebbe essere ridotto il numero ridondante degli stessi parlamentari. Tuttavia, occorre evitare di passare dalla moralizzazione e dalla razionalizzazione alla delegittimazione e alla criminalizzazione, con il rischio di gettare come in passato è avvenuto il bambino con l acqua sporca. Istigare, come alcuni fanno pur godendo degli stessi privilegi che mettono sotto accusa, l opinione pubblica verso il rifiuto rancoroso della politica e della sua istituzione cardine, il Parlamento, è non solo facile ed ingiusto, ma, soprattutto, pericoloso. A meno che l obiettivo non sia proprio quello di affermare l idea che del Parlamento si può fare tranquillamente a meno e che la democrazia con tutti i suoi riti, i suoi passaggi e le sue regole possa essere considerata superata in un mondo sempre più caratterizzato dalla necessità di decisioni rapide, assunte da gruppi ristretti di comando. Quegli stessi critici che accusavano chi pensava di poter gestire il Paese come se si trattasse di una azienda privata, oggi, nel mettere in discussione il ruolo del Parlamento, di fatto, aprono la strada all amministratore unico. E neppure può essere preso in seria considerazione chi, sia pure in forma ipotetica, perora la causa del governo dei migliori, anzi dei ricchi, visto che questi sarebbero, essendo appunto ricchi, meno inclini alla corruzione di quanto non lo siano i poveri che, come è noto, sarebbero più permeabili alla tentazione. Che ad esporre simili tesi sia un illustre politologo è davvero preoccupante e mortifica chi è già penalizzato dalla vita, cioè i poveri, tendenzialmente disonesti. Ma forse si dimentica che come ci è stato insegnato è più facile che un cammello passi attraverso la cruna di un ago che un ricco entri in Paradiso. Comunque sia, l opera di delegittimazione del Parlamento, attuata con la fattiva partecipazione di alcuni suoi impresentabili esponenti, ha prodotto i primi risultati. Abbiamo un Governo dei Migliori sostenuto dalla politica in cambio della tutela di alcuni forti e ben noti interessi: basti pensare alla questione della attribuzione delle frequenze televisive; o alla riluttanza nell imporre una patrimoniale, che gran parte dei cittadini sarebbero stati disposti a pagare, per l opposizione di chi intende tutelare i propri grandi patrimoni. Chi paga il conto? Con qualche forzatura delle procedure e della prassi istituzionale sono stati nominati dei nuovi amministratori dai quali, tutti, ci aspettiamo maggiore razionalità e oculatezza, nella gestione della cosa pubblica, di quante non ne siano state espresse in precedenza. Scrivemmo lo scorso anno, nel presentare il 23 Rapporto che così come ammoniva allora la signora Merkel non esistono debiti pubblici ma esistono solo debiti privati e che tutti saremmo stati chiamati, prima o poi, a risponderne. Quel momento è arrivato e dovremo fare di necessità virtù. Si ha, però, la sensazione che la distribuzione dei sacrifici non corrisponda ai necessari criteri di equità e che a pagare il conto siano chiamati i soliti noti mentre rimangano intonsi i privilegi, gli interessi corporativi, le posizioni di rendita spesso parassitarie. Così come i tagli e la pressione fiscale siano concentrati sui ceti più fragili, sul welfare e sulla qualità della vita, confermando la teoria che è più facile far pagare i molti, spesso deboli e indifesi, che non i ricchi, pochi, ma potenti. E destano perplessità alcune scelte come quella di procedere, nonostante la crisi e il salasso al quale i cittadini sono sottoposti, all acquisto di 131 caccia bombardieri di ultima e controversa, in termini qualitativi, generazione, per la modica cifra di 15 miliardi di euro, equivalenti ad una manovra finanziaria. Stanziamenti dei quali i disoccupati, i cassintegrati, i giovani precari, i pensionati al minimo, gli imprenditori pignorati da Equitalia, le famiglie con il problema della quarta settimana, immaginiamo, non sentissero il bisogno. Certo, alcune di queste misure erano quelle concordate con l Unione europea, altre riguardavano contratti e impegni sottoscritti dal precedente Governo e sarà faticoso riuscire a rimetterli in discussione. Ma quali che siano le responsabilità, resta il fatto che a questa volontà di potenza, fa da contraltare la impossibilità di pagare gli straordinari agli appartenenti alle Forze dell ordine o di acquistare i carburanti per le volanti della Polizia o di liquidare i crediti delle imprese portate sull orlo del fallimento dai ritardi nei pagamenti della Pubblica amministrazione. Ma sono stati valutati tutti i rischi? Varrà la pena di sottolineare alcuni passaggi di una situazione che ha introdotto nel quadro politico italiano elementi completamente nuovi, fissando alcuni punti fermi su quei dieci giorni che hanno alterato la Seconda Repubblica e portato diritto a quello che è stato definito da tutti gli osservatori politici il governo del Presidente. L 8 novembre la Camera certifica che la maggioranza non ha più i numeri (308 rispetto ai 316 necessari) sul voto di assestamento del bilancio dello Stato. Dopo averne preso atto, il Presidente del Consiglio si reca al Quirinale per annunciare che si dimetterà dopo l approvazione della legge anticrisi. Il 9 novembre il Presidente Napolitano nomina Mario Monti senatore a vita e contemporaneamente rilascia una serie di dichiarazioni che spingono alla approvazione rapida della legge. Il 12 novembre la Camera approva il provvedimento. Tre ore dopo, il Cavaliere si reca al Quirinale e 6

7 si dimette. La stampa sottolinea che pare esserci una perfetta linea di intesa fra Napolitano e Berlusconi anche perché stavolta il Presidente della Repubblica si muove con un decisionismo che sorprende innanzi tutto i suoi vecchi compagni di partito. Dopo aver fatto quella che era stata definita in termini scacchistici la mossa del cavallo, questa volta, passando dalla sua proverbiale prudenza al colpo di teatro della crisi, spiazza tutti dando al nuovo senatore a vita l incarico di formare il nuovo Governo. In contemporanea, l ex premier manda al Paese stordito dagli avvenimenti succedutisi così rapidamente un videomessaggio per spiegare il suo atto di generosità e chiarire ai suoi sostenitori che non lascerà la vita politica. Durante quei dieci giorni, il Quirinale diventa così il centro della crisi. Tra consultazioni e trattative private si innesta il pressing di Napolitano sui maggiori partiti politici e anche sulle forze minori delle due ali del Parlamento. La pressione, in un gioco fin troppo scoperto, è diretta soprattutto su Bersani per il Partito Democratico e su Berlusconi per il Popolo delle Libertà che appare il più riluttante e diviso. La formazione del governo tecnico fa discutere e i giornali della destra parlano apertamente di trappola dei banchieri e dei nuovi padroni. I tradizionali ruoli tra destra e sinistra sembrano scambiarsi. L opinione pubblica è vieppiù frastornata. Giovedì 17 e venerdì 18 novembre il Governo Monti incassa la larghissima fiducia del Parlamento. Questi sono i fatti, nudi e crudi, che raccontano una cronaca dalla quale emerge lo straordinario interventismo del Quirinale che non ha certamente precedenti nella storia repubblicana, per la forma e la sostanza che lo hanno contraddistinto. Fra gli innumerevoli commenti di stampa abbiamo colto una annotazione dello storico Giovanni Sabbatucci che, per quanto positiva, coglie in pieno le grandi contraddizioni che l epilogo della vicenda segnala. Scrive Sabbatucci su Il Messaggero: «Mai, nemmeno nella fase tumultuosa del passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, il Capo dello Stato aveva dovuto assumersi prerogative così ampie e responsabilità così pesanti come quelle che sono toccate in queste ultime settimane a Giorgio Napolitano. E possiamo considerare una fortuna nella sfortuna il fatto che la gestione di una crisi per molti aspetti senza precedenti sia stata presa in mano da una personalità che non solo possiede le doti di equilibrio, moderazione, autorevolezza indiscusse, abilità politica, spirito di iniziativa, capacità, all occorrenza, di surrogare vuoti e carenze dei poteri ordinari, ma se li è visti attribuire, per quasi unanime riconoscimento, da un amplissimo arco di forze». Un caso, quello del Governo Monti-Napolitano che il Corriere della Sera definisce da «manuale di diritto costituzionale» quando scrive per la penna di uno dei suoi più autorevoli commentatori, il costituzionalista Michele Ainis: «Perché circola la percezione di un governo Monti-Napolitano? Perché la prima nomina ha condizionato la seconda, ne ha offerto, per così dire, l antipasto. Un gesto di fantasia costituzionale mentre i mercati reclamavano una soluzione di ricambio. Così Napolitano, usando una sua prerogativa (la nomina dei senatori a vita), ha indicato subito la via e i partiti vi si sono subito incamminati». Ora, senza nulla togliere al misurato ottimismo di gran parte dei mass media e degli osservatori politici, l Eurispes ritiene di poter individuare, nel modo in cui i fatti e l intera vicenda si sono dipanati, un rischio di fondo che è pari se non superiore a tutti i vantaggi che ne sono stati finora ricavati. Parliamo naturalmente del Governo del Presidente che ha ridisegnato il rapporto tradizionale tra Napolitano e la sinistra, la sua area di provenienza e di elezione alla suprema carica. La presa di posizione dei sindacati, in particolare della Cgil, ha indebolito fortemente il Partito Democratico che già di suo mostra incrinature profonde. Per non parlare poi delle formazioni collocate alla sinistra del PD che hanno preso nettamente le distanze dal Governo e intendono chiaramente lucrare sulle difficoltà del loro maggiore alleato. Ma c è di più. Il termometro politico segna una presa di distanza crescente dal Governo Monti appena insediato, di settori importanti dell opinione pubblica, classe operaria e ceti medi che sono da sempre legati alla sinistra storica moderata. Insomma, come ha scritto il dalemiano Fabrizio Rondolino: «Il problema principale del Partito Democratico è diventato il Quirinale. Perché il Quirinale è il più robusto e intransigente sostenitore del Governo Monti». Quello che abbiamo chiamato il rischio di fondo dell attuale nuova situazione, potrebbe sconvolgere l intero quadro politico, spostando ingenti quantità di elettori che rifiutano l idea che il loro Presidente abbia cavalcato la linea di austerità e di taglio del tenore di vita di milioni di famiglie italiane, identificandosi con il governo dei banchieri. Ad esso si accompagna l ipotesi, sempre viva e presente, che potrebbe vedere l ex premier uscire dal bunker nel quale si è rinchiuso, prendere, come si dice, il toro per le corna, togliere la fiducia al Governo e provocare la caduta di Monti nel momento che riterrà più conveniente. Con il risultato che tutti possiamo immaginare di caduta simultanea dell immagine del Quirinale, tale da far apparire l uscita dal berlusconismo l ultima grande illusione nella quale si è perso il Paese. L ultima spiaggia. O il Governo Monti sarà messo nelle condizioni di operare e di poter finalmente rompere gli schemi che tengono imprigionato il Paese e che ne impediscono la modernizzazione e la ripresa oppure sarebbe stato preferibile indire rapide elezioni e dare all elettorato la facoltà di decidere del proprio futuro. Si è detto che, stante la difficile congiuntura, le elezioni e la relativa campagna elettorale avrebbero aggravato la situazione. Sono stati utilizzati toni da ultima spiaggia e nessuno dubita che la situazione fosse estremamente critica, ma mettere sotto tutela gli elettori è stato forse una medicina più dolorosa della stessa malattia, almeno dal punto di vista della prassi democratica. Si ritorna così all idea che gli elettori non siano sufficientemente maturi ed è bene che qualcuno decida per loro, dimenticando che non esistono elettori stupidi e che comunque in democrazia è a loro che spetta l ultima parola. Un grande paese come l Italia non potrà sopportare ancora a lungo questa fase di autosospensione della politica, questa abdicazione dalle proprie responsabilità, in attesa che il Governo dei tecnici tolga le castagne dal fuoco assumendosi il peso e l onere del lavoro sporco che la politica non si sente in grado di fare per timore di dover pagare 7

8 pegno in termini di consenso. Chi sostiene il Governo in Parlamento ritiene, forse a torto, di potersi ripresentare, quando sarà il momento, di fronte agli elettori come se nulla fosse accaduto. Ma non sarà così. Intanto, non sarà facile dare il benservito ad un Governo che dopo aver imposto duri sacrifici riesca, magari con un pizzico di fortuna, ad intercettare un trend positivo e mettere in moto quel meccanismo di ripresa che l Italia si aspetta. In secondo luogo, quando si andrà alle urne niente sarà più come prima e le forze politiche saranno costrette a prenderne atto e ad adeguarsi pena la loro stessa sopravvivenza. Per quanto criticato e criticabile per le misure adottate in questa prima fase, il Governo Monti ha introdotto uno stile ed una nuova sobrietà che non ammettono ripensamenti e sta restituendo alle Istituzioni l immagine di autorevolezza e credibilità che si era persa nelle mille dichiarazioni e nelle mille smentite, nelle chiacchiere inutili e nei corpo a corpo dei talk show televisivi, veri strumenti di distruzione della dignità della politica. Anche a livello internazionale l atteggiamento dei governi e dei media è radicalmente mutato nell arco di poche settimane. E ciò non può che far bene ad un Paese che per troppo tempo ha dovuto subire il sarcasmo e l ironia degli osservatori politici stranieri. Proprio per questi motivi non è da escludere che le forze politiche che oggi sostengono il Governo possano trovarsi nella situazione descritta da Luigi Pirandello ne La giara, o meglio, nei panni di quel Don Lolò Zirafa che affidò a Zì Dima, valente artigiano che aveva inventato un mastice resistentissimo, l incarico di riparare una giara che si era spaccata in due. Come andò a finire la storia è a tutti noto, e quanto questa possa costituirsi in metafora dell attualità politica italiana è del tutto evidente. Resta da vedere quale e quanto coraggio saprà dimostrare il premier Mario Monti e quanto riuscirà ad essere autonomo dalle forze politiche che sono, almeno per il momento, obbligate a sostenerlo. Di certo ha di fronte a sé un occasione storica: quella di infrangere quel sistema di complicità accettato e subìto nello stesso tempo tra la società e la sua classe dirigente e di riportare, anche con una forte e per quanto dolorosa accelerazione, il nostro Paese verso la normalità, sospesa da quindici anni di contrapposizioni e dal bipolarismo forzato al quale ha dovuto sottostare per un troppo lungo periodo di tempo. Avrebbe certamente dalla sua parte una larga fetta dell opinione pubblica. Quella parte che vuole sottrarsi all idea del declino ed è stanca di una politica inconcludente, rissosa e del sistema dei veti incrociati che ha immobilizzato l Italia sino a renderla irriconoscibile. Cittadini o sudditi? Ma la credibilità di un Governo non si gioca solo sul piano internazionale o su quello della competenza tecnica e neppure solo su quello della sobrietà nei comportamenti, tutte questioni delle quali si sentiva comunque fortemente bisogno. I governi traggono la loro credibilità, autorevolezza e legittimazione presso l opinione pubblica soprattutto dalla capacità che dimostrano nel saper cogliere ed interpretare la vera natura dei problemi e delle difficoltà che i cittadini e le imprese affrontano nella loro vita quotidiana. E tra questi vi è il peso insopportabile del sistema asfissiante di regole e del conseguente cattivo funzionamento della Pubblica amministrazione. Si segnalano da anni l urgenza e la necessità della semplificazione delle procedure e del complessivo ammodernamento della macchina amministrativa, ma tutto ciò sembra appartenere ad una dimensione quantomeno nebulosa, mentre certi restano i danni economici ed il disagio complessivo che i privati cittadini ed il sistema economico nel suo insieme subiscono. Nel corso degli anni, attraverso numerose e approfondite ricerche, sono stati valutati anche i costi diretti e indiretti della macchinosità e lentezza delle procedure e si è accertato che queste corrispondono ad almeno due punti percentuale del Pil nazionale. Ma ciò che desta maggiore preoccupazione e provoca certamente maggiori danni e che il Governo dovrà affrontare con la massima sollecitudine possibile, è il problema dei tempi di pagamento della Pubblica amministrazione. Problema che, se fosse stato preso immediatamente di petto, avrebbe potuto dare un immediato e decisivo contributo alla ripresa economica. Da sola, questa misura sarebbe in grado di portare sollievo a centinaia di migliaia di imprese e di fornitori e di salvaguardare un numero consistente di posti di lavoro. Ci richiamiamo spesso all Europa e alla necessità di osservarne le regole. Anche i sacrifici sono sollecitati ai cittadini e alle imprese in nome dell Europa, ma il comportamento dello Stato è incoerente e contraddittorio: in Germania la Pubblica amministrazione liquida i propri debiti in trenta giorni; in Francia è attiva una disposizione che impegna l Amministrazione a pagare entro sessanta giorni. In Italia i tempi sono praticamente indefiniti e comunque legati, più che al diritto e alle buone prassi, alla fortuna, alla benevolenza e al sistema delle conoscenze o, peggio ancora, alla corruzione che, come tutte le inchieste sociologiche e le tante indagini della magistratura confermano, ha raggiunto livelli non più sopportabili. Si susseguono ormai con una impressionante cadenza i casi di suicidio di piccoli imprenditori, che proprio a causa di questi ritardi precipitano in una spirale perversa e vedono messa in discussione una intera vita di lavoro e di sacrifici. E andrebbero affrontati e risolti i drammi provocati in Sardegna dalla legge regionale 44, varata, a suo tempo, a sostegno delle attività agricole e di allevamento e successivamente cassata dall Unione europea costringendo centinaia di aziende che avevano contratto finanziamenti dal sistema bancario al tasso agevolato previsto dalla legge e si sono incolpevolmente ritrovate, a distanza di anni a dover rifondere i finanziamenti ricalcolati a tasso corrente e quindi a rimborsare anche le differenze maturate. Decine e decine di aziende sono state costrette a chiudere, altre sono state pignorate o poste sotto sequestro, altre ancora sono già andate all asta e vendute per un infima quota del loro valore reale. Tutto ciò sta creando, in una regione già afflitta da tanti malanni, un profondo disagio economico e sociale e una marcata frattura tra operatori economici e Stato, soprattutto per il fatto che quest ultimo assume le sembianze del persecutore, essendo la riscossione affidata a Equitalia, braccio operativo della Agenzia delle Entrate. 8

9 Non si può correre il rischio di sottovalutare le possibili ricadute che le procedure di riscossione mettono in moto, anche perché lo stesso Stato, che da una parte promulga leggi contro la pratica criminale dell usura, dall altra fa di questa pratica un largo uso a danno di quei cittadini che dovrebbe invece tutelare. Per rendersi conto di quanto ciò sia vero, basterebbe osservare come tra interessi e sanzioni un modestissimo debito possa crescere esponenzialmente. Nello stesso tempo, appare non più sostenibile l impostazione feudale del rapporto Stato-cittadino nel quale il primo considera e tratta il secondo come un suddito che, anche quando ha ragione, si troverà di fronte a mille ostacoli e alla impossibilità di vedersela riconosciuta in tempi decenti. A confortare l idea che su questo tema occorre impegnarsi con la massima urgenza vi sono le minacce e gli attentati sempre più numerosi che hanno come obiettivo proprio la Agenzia di riscossione. La questione ha assunto ormai connotazioni politiche da vera e propria emergenza di ordine pubblico. Le stesse autorità preposte alla sicurezza hanno segnalato la pericolosità della situazione e paventato la reale possibilità di una escalation del fenomeno, che si innesta all interno di un generale clima sociale fortemente teso. Occorre, a nostro modesto avviso, riformare il sistema e le procedure di riscossione nel tempo più breve possibile, se veramente si vuole evitare che questa vicenda assuma toni ancora più aspri e pericolosi con il rischio che questo malessere, sempre più esteso, possa essere strumentalmente cavalcato. Crescere, ma come? Un altra fonte di malessere diffuso è costituita dal problema della disoccupazione, sopratutto quella giovanile, che ha raggiunto, specialmente nel Meridione, picchi mai toccati in passato. Sui temi del lavoro è aperta, non da oggi, una vivace discussione sia tra gli studiosi e gli esperti, sia all interno delle forze politiche, sia tra le centrali sindacali divise al loro stesso interno sugli obiettivi e le strategie da seguire. Le proposte in campo sono numerose e sarebbe forse impossibile sintetizzarle tutte e valutarne la bontà e la praticabilità e, comunque, non è questa la sede adatta a trattare con l attenzione e la competenza che l argomento meriterebbe una materia di così grande complessità. Ci limiteremo quindi ad alcune riflessioni su taluni degli aspetti, a nostro parere, centrali: quelli legati alla ripresa e alla crescita da tutti invocate come condizione indispensabile per rimettere in moto il Paese. Il premier Monti ha segnalato la necessità di far leva su visioni di medio-lungo periodo. Occorrono linee strategiche e metodi di pianificazione e controllo, fase per fase, dei risultati. In definitiva, la crescita dipende dalla ripresa degli investimenti, e in questo caso una buona notizia sarebbe quella della riapertura del credito, sempre che le banche non preferiscano continuare a comprare titoli di Stato invece che finanziare i propri clienti; dalla crescita costante ed elevata della produttività in tutti i settori ed in particolare in quello dei servizi ove essa non cresce abbassando la media generale; da un clima di fiducia in se stessi e dall abbandono del timore delle ristrutturazioni, considerando che abbiamo sufficienti risorse per sopravvivere fino al momento della ripresa. In questo quadro occorre riflettere su alcune considerazioni di carattere elementare: la produttività è necessaria per la crescita. È la crescita competitiva di cui già parlava Delors trent anni fa. Se la produttività cresce del 10% i costi dei fattori consumati diminuiscono del 10% ed è per questo che la crescita diventa competitiva. La produttività crescente genera anche riduzione dei consumi dei fattori, sia lavoro sia capitale, e ciò rappresenta l effetto desiderato della contrazione dei costi per unità di prodotto. Ne consegue che un alta produttività è legata, in molte imprese e in molti settori, alla riduzione del livello di occupazione e del monte di ore impiegate. Tuttavia, se il tasso di crescita del Pil è superiore al tasso di crescita della produttività si aprono nuovi spazi per un incremento dell occupazione ed una maggiore dotazione di capitali. Questo è ciò che, anche in assenza di notizie ufficiali, sta accadendo nell industria agroalimentare, ma non nei servizi a partire soprattutto dalla Pubblica amministrazione. Sul fronte del mercato del lavoro occorre prendere atto che dal 1970 ad oggi il sistema di regolazione è costantemente peggiorato. Fino al 1970, era nella riconosciuta responsabilità delle parti sociali attraverso due accordi pilastro: quello sui licenziamenti collettivi e quello sulla giusta causa riguardante la tutela dei rappresentanti sindacali e degli attivisti (non più di 70/100 l anno). Nel 1970, con lo Statuto, il contratto interconfederale sulla giusta causa è diventato legge e le parti hanno perso il controllo sulla materia, passata nelle mani di avvocati e giudici. Poi si è barato, facendo credere che la difesa dell articolo 18 fosse un deterrente contro ogni licenziamento. I disoccupati sono aumentati di qualche milione, ma è rimasta la percezione che in Italia, grazie all articolo18, esista ancora il diritto all occupazione a vita. Così, all interno risultano beffati lavoratori e imprese, mentre all estero resta la convinzione che, stante questa regola, sia meglio non investire in nuove attività nel nostro Paese. In buona sostanza, tutta la discussione intorno all articolo18 è strumentale e comunque non decisiva né per le prospettive della crescita né per le sorti dell economia, soprattutto se si riflette sul fatto che questo articolo si applica solo alle imprese con più di 15 dipendenti, in un sistema come il nostro dove la stragrande maggioranza delle imprese è di piccole dimensioni. La stessa Ocse giudica l Italia tra i paesi più flessibili e quello in cui è più semplice che non in altri licenziare, quindi non vi sarebbero ragioni serie per modificare l articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Il vero problema è sempre stato quello del reintegro, nell ipotesi in cui il Tribunale riconosca la mancanza di una giusta causa, anche se questo obbligo è presente in gran parte dei paesi europei: allora quella sull articolo 18 sembra essere più una battaglia di principio che non di sostanza. Sbaglia chi ne chiede l abolizione, attribuendo a questa norma la responsabilità e la colpa delle difficoltà aziendali e della limitazione della libertà di organizzazione dell impresa. E sbaglia anche chi ritiene che certi temi non debbano neppure essere messi in discussione, esercitando un vero e proprio diritto di veto rivolto non solo al Governo ma anche al Parlamento e ai cittadini italiani: in democrazia, piaccia o non piaccia, si può e si deve discutere di tutto. 9

10 Insomma, l articolo 18 è diventato un vero e proprio totem da difendere o da abbattere a seconda degli interessi che si intendono tutelare. Per ciò che ci riguarda anche se il nostro parere conta ben poco riteniamo quell articolo un simbolo, anche se ormai di scarsa efficacia, delle conquiste dei lavoratori. Ma forse è proprio per l essere simbolo che si è conquistato tanti nemici. Il vero problema da affrontare, l atto di intelligenza e coraggio richiesto a Governo e parti sociali, è quello di rimodulare tutto il sistema delle relazioni industriali alla luce delle sfide poste dalla competizione globale. Occorre, in particolare, da un lato, ridisegnare ruolo, compiti, funzioni della concertazione e dall altro, della contrattazione: collettiva e individuale, nazionale e locale. A questo riguardo le questioni poste da Marchionne e dalla Fiat, la cui uscita da Confindustria ha segnato nel 2011 uno dei momenti storicamente più negativi della vita della Confederazione, non possono essere superficialmente eluse; rappresentano infatti uno dei nodi da sciogliere sul ruolo effettivo che le parti sociali intendono svolgere ai fini della crescita. Il capitale è mobile. Non vi è dubbio che i rischi recessivi, se non dominati e messi subito sotto controllo, insieme alle ristrutturazioni necessarie, genereranno una crescita della disoccupazione. Una disoccupazione però che non dovrà essere curata con la cassa integrazione pur di affermare che comunque resta in essere un rapporto di lavoro ma con una generosa indennità di disoccupazione che coinvolga in modo attivo i lavoratori nella ricerca di una nuova occupazione. In positivo, è necessario promuovere la crescita della produttività e le ristrutturazioni e favorire le innovazioni di processo e di prodotto e di nuovi e più efficienti servizi. Così come avvenne tra il 1947 e il 1970, quando si svilupparono i servizi dell auto, dei motocicli, degli elettrodomestici, delle autostrade, dell acqua e dell energia. Fantasia e tecnica dovrebbero, così come si fece allora, esercitarsi sul fronte della qualità dei servizi per il mercato europeo e oltre. Qualcosa in questa direzione si muove, ma stentatamente e senza il necessario livello di competenza e serietà. Nel medio e lungo periodo nascerà una nuova ed evidente contraddizione tra crescita della produttività ed occupazione, specie nel caso in cui il Pil superi il tasso della produttività. Rimane il problema posto da Keynes e Leontief. Se il potenziale di produttività sarà elevato, ci troveremo inevitabilmente di fronte ad una costante diminuzione del monte ore lavorativo, perciò occorre sin da ora riflettere sul tempo destinato al lavoro. Ossia ad una nuova ripartizione del lavoro. Se tutti lavorassimo 4 o 5 ore al giorno disponendo di un Pil più elevato, soprattutto in termini di qualità, la stessa qualità della vita potrebbe essere molto migliore. In linea ipotetica, se riuscissimo a pianificare la crescita della produttività al 2% per tutta l economia, potremmo modificare la retribuzione al lavoro destinando, per esempio, l 1% alla riduzione dell orario (o più a seconda dell azienda) e l 1% all incremento dei salari. Già oggi i premi di produttività sono incoraggiati sia sul piano contributivo sia su quello fiscale. Se gli accordi, che al momento non superano il migliaio, fossero mezzo milione o più, diventerebbe evidente l effetto di una maggiore domanda per alimentare lo sviluppo anche a compensazione del minor salario dovuto alla riduzione dell orario di lavoro. In definitiva, ci troviamo di fronte ad una nuova, grande sfida che non possiamo eludere. Occorre ripensare tutto sia sul fronte della crescita sia su quello della mobilità. E, d altra parte, se il capitale è mobile in un sistema globale, non si può continuare a pensare che il lavoro possa sopravvivere nella totale immobilità. L istinto conservatore di questo nostro Paese impedisce spesso di ragionare e di confrontarsi con l apertura mentale necessaria. Le regole, com è evidente, devono essere rispettate, ma le regole non possono piegare la realtà, casomai la devono assecondare, accompagnare, sostenere. E la realtà ci dice che dal 1970 ad oggi sono passati ormai più di quarant anni. In questi quarant anni il mondo è radicalmente cambiato, così com è cambiato il modo di produrre e di vivere. Forse è arrivato il momento di mettere mano al cambiamento di quel sistema di regole che ha perso gran parte del senso che aveva in un altra epoca. Tornare al progetto. Per la ripresa sarà determinate la cosiddetta fase 2 dell azione di Governo a cui è stato affidato il titolo speriamo benaugurante di Cresci Italia. Sia pure a fatica, qualche idea oltre alle prime misure varate sta emergendo. Innanzitutto appaiono sempre più evidenti la necessità di superare la tecnica della navigazione a vista, che ha caratterizzato l azione dei Governi negli ultimi quindici anni, e l obbligo di dispiegare una nuova e più lungimirante capacità progettuale alla quale affidare il futuro del Paese. In numerose occasioni, anche attraverso le pagine dei precedenti Rapporti, abbiamo segnalato, tra le urgenze, quella di elaborare un Progetto che fosse in grado di interpretare le capacità, assecondare le vocazioni, mettere a frutto gli asset strategici sui quali l Italia può contare. Non è più accettabile l idea che un Paese come il nostro possa continuare a vivacchiare alla giornata in balìa di ogni turbolenza, senza una mèta e una direzione, costretto a subire decisioni assunte altrove ma delle quali è spesso chiamato a sostenere gli oneri. È indispensabile, ormai, riprendere in mano il nostro futuro e decidere quale dovrà essere il nostro posto nel mondo. Verbi come programmare, pianificare, progettare devono tornare al centro della riflessione e del dibattito politico, economico e sociale. Devono essere liberati dalle interpretazioni ideologiche alle quali sono stati affidati nei decenni passati quando, con l ondata neoliberista, si affermò anche l idea che essi dovessero automaticamente essere associati al dirigismo economico delle società del socialismo di Stato. Passò l idea, appunto, che programmare e pianificare rappresentassero un ostacolo alla crescita e al progresso: l economia neo-liberista non aveva bisogno di strategie, così come avrebbe dimostrato nel tempo di voler fare a meno della politica, poiché il mercato da solo avrebbe indicato la strada e gli obiettivi. E invece la storia recente ci insegna che gli Stati hanno non solo il ruolo ma soprattutto il dovere di stabilire regole, orientare le scelte e indirizzare le risorse nelle direzioni più confacenti al bene comune. E in questa direzione andrebbe la messa a punto di un processo di riallineamento degli investimenti con gli obiettivi che si intendono perseguire. La difficile congiuntura ci obbliga ad una gestione sempre più attenta ed oculata della spesa pubblica. 10

11 Tanto per fare un esempio: ogni anno l Amministrazione spende per appalti di beni, servizi e forniture circa 100 miliardi di euro e si stima che le stazioni appaltanti siano in Italia non meno di settantamila. A parte il problema di una spesa pubblica che si frantuma e si disperde in mille rivoli, queste stazioni sono gestite attraverso percorsi e procedure di spesa non sempre omologabili e si trasformano, in numerosi casi, in veri e propri centri oscuri di gestione del potere. Proprio in questa direzione si rendono necessari una maggior trasparenza ed un maggior controllo, anche attraverso una classificazione delle stazioni appaltanti e l introduzione di un sistema di rating che ne osservi e ne valuti la qualità sotto la competenza della Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici. E per far ciò, occorre ritornare alla strategia, al progetto, alla programmazione. E occorre farlo soprattutto oggi, in tempo di scarsità di risorse, di mancata crescita e di impoverimento complessivo. Ciò di cui si dispone deve essere investito e impegnato nella consapevolezza che deve produrre frutti e benefici non solo per le generazioni presenti, ma anche per quelle future. L Italia è, com è noto, un paese povero di materie prime e deve la propria crescita, nel corso degli ultimi cinquant anni, alla sua capacità di trasformazione e di vendita, alla inventività e alla duttilità dei suoi imprenditori, alla progressiva affermazione del Made in Italy. Tuttavia, è uno dei paesi più ricchi del mondo per possesso di materie prime irripetibili e speriamo inesauribili sulle quali costruire la propria prospettiva economica. Ci riferiamo all enorme patrimonio artistico, naturale, culturale che tutto il mondo ammira e ci invidia. Eppure, noi non siamo mai riusciti a capire appieno questa ricchezza e la portata che essa può produrre in termini economici e di sviluppo. Altri, meglio di noi, hanno saputo intercettare e sfruttare a piene mani i nostri asset arricchendosi e impoverendo noi. Basti pensare, solo per fare un esempio, alla nostra produzione agroalimentare riconosciuta e apprezzata nel mondo e all italian sounding, cioè alla falsificazione a livello mondiale dei nostri prodotti e dei nostri marchi, che frutta agli imitatori ben 60 miliardi di euro l anno, senza contare ciò che accade per tanti altri settori. Programmare significa, quindi, fare l inventario di ciò che si possiede in termini materiali e immateriali e decidere come e in quali tempi investire risorse ed energie per trarne ulteriore ricchezza. Una cosa è certa: i nostri asset non conosceranno mai nessuna caduta della domanda; anzi, sono destinati ad essere apprezzati e fruiti da un numero sempre crescente di persone nel mondo. Certamente l Italia non potrà né dovrà mai rinunciare alla propria industria manifatturiera: primo perché questa assicura buona produzione, buoni fatturati e un consistente numero di posti di lavoro; in secondo luogo, perché la produzione è lo strumento attraverso il quale prendono corpo e vita le idee e le innovazioni delle quali siamo capaci; in terzo luogo perché, soddisfacendo il mercato interno, limita, per quanto possibile in un economia globalizzata, il ricorso alla importazione di beni. Naturalmente, il nostro settore manifatturiero in tutte le sue dimensioni e proiezioni di impresa dovrà puntare, per cercare di essere al passo con la concorrenza internazionale, al continuo rafforzamento in termini di innovazione di processo e di prodotto. Tuttavia, ferma restando la necessità di tutelare e sostenere la nostra produzione tradizionale, la prospettiva di sviluppo sarà sempre più caratterizzata dalla nostra capacità di valorizzare il nostro patrimonio naturale, artistico e culturale al quale si faceva prima riferimento. Ma per fare ciò, è necessario un cambio di passo, un vero e proprio cambio di mentalità e di cultura. Occorre accettare, proprio in termini culturali, la postmodernità, con le sfide che essa impone, superando l idea che l industria possa essere ancora il vero motore dello sviluppo futuro, almeno per un Paese come il nostro. Il nostro futuro dipende e dipenderà ancora di più dalla capacità di produrre ricerca e innovazione, dalla qualità del nostro sistema di istruzione, dalla cura che avremo del nostro territorio e dei nostri beni artistici, dal livello dei nostri servizi e dalla qualità della nostra produzione in tutti i settori. Ma sarà determinante anche la lungimiranza con la quale sapremo gestire la presenza nel nostro territorio di milioni di immigrati e dei loro figli ormai parte integrante della nostra popolazione e che costituisce un indubbio fattore di ricchezza, sia per l apporto economico che essi forniscono al nostro Pil, sia per i collegamenti che gli immigrati tengono aperti con i loro paesi di provenienza, sia per il contributo che danno al superamento del nostro deficit demografico. È consolante il fatto che proprio il ministro Passera, già dai tempi in cui era ai vertici di una delle prime banche italiane, abbia espresso nel corso di un ampia intervista rilasciata al Corriere delle Sera, la necessità di dare un progetto al Paese. Oggi il ministro Passera è titolare di un enorme dicastero che ha accorpato le competenze di ben sette precedenti ministeri e ha quindi la possibilità di dare seguito alle idee a suo tempo manifestate e di imprimere una svolta, almeno sul piano del metodo, all azione del Governo. Ritornare al progetto significa anche, o forse soprattutto, riattivare la produzione di senso della quale l Italia ha uno straordinario bisogno. Viviamo in una fase che potremmo definire di galleggiamento, la nostra barca è ferma in mezzo al mare in balìa delle onde. Si cerca di interpretare il vento e le correnti, si compiono piccole manovre che ne garantiscono un minimo di stabilità ma la barca non ha né una mèta da raggiungere né una rotta tracciata da seguire. I suoi marinai, stanchi e delusi, si limitano alla gestione ordinaria in attesa di ordini, che dall armatore non arrivano. Non hanno alcuna missione da compiere e niente per cui valga la pena di impegnarsi. Si vive alla giornata e a sera appare già un grande risultato il non essere affondati, nonostante il mare agitato e l arrivo di qualche onda anomala. Progettare significa anche mettere a confronto idee e visioni; chiamare a raccolta le intelligenze migliori; considerare attentamente esperienze diverse; sostenere la creatività; immaginare possibili sviluppi; valutare costi e benefici ma soprattutto alimentare la speranza, l ottimismo, la voglia di fare e di impegnarsi, di esserci, di partecipare alla costruzione del futuro. Un paese senza progetto è, per rimanere alla metafora marinara, un barca alla deriva in un mare pieno di insidie naturali e di pirati famelici sempre pronti all arrembaggio. 11

12 Sciogliere i nodi. Ma per dar vita al Progetto Paese occorrono impegno, lungimiranza, capacità di decisione, assunzione di responsabilità, scelte chiare e sicure e soprattutto il coraggio di dire no, quando necessario. E, prima di ogni altra cosa, occorre recuperare una cultura e un metodo dell osservazione e dell analisi scientifica che, attraverso un approccio multidisciplinare e sistemico, eviti al Paese i clamorosi errori di valutazione e previsione sinora compiuti. È finito il tempo della compatibilità obbligata, dell arte di riuscire a far convivere tutto con il suo contrario. È arrivato il tempo di richiamare ciascuno alle proprie responsabilità e ai propri doveri. Ma, oltre a ristabilire il giusto equilibrio tra diritti e doveri, il Progetto, per poter esprimere tutte le sue potenzialità, deve essere condiviso e attivamente partecipato dai cittadini attraverso tutte le articolazioni della società civile. Se l operazione politica della formazione del Governo Monti genera, in molti, dubbi legittimi sul tasso di democraticità che la caratterizza, la definizione di un progetto per lo sviluppo si presenta davvero come l occasione per ricucire il rapporto di fiducia tra eletti ed elettori sul punto delicatissimo del livello effettivo di democrazia in questa fase della vita nazionale. In questo caso, la individuazione dei contenuti del progetto ha una uguale importanza rispetto alle modalità attraverso le quali esso sarà elaborato. Quindi, sarà un progetto imposto dall alto, dai migliori ai cittadini o sarà un progetto ampiamente partecipato? Il nostro suggerimento è quello di procedere per questa seconda direzione anche nei tempi stretti imposti dalla crisi. Le moderne tecnologie informatiche, gli avanzati metodi di ascolto per la valutazione e selezione delle proposte tutti strumenti consolidati nei sistemi di democrazia partecipativa consentono di poter operare presto e bene. Non vi è dubbio che, riguardo alla vita politica ed istituzionale, questa sia la strada per costruire un patto che sia fondato su reali elementi di consenso e in grado di allontanare i rischi di rottura della società italiana. Ma un Paese, che voglia immaginare attraverso il progetto un futuro migliore, deve prima di ogni altra cosa rimettere ordine al proprio interno e sciogliere i nodi che lo tengono bloccato. Deve affrontare e risolvere i suoi problemi annosi che costituiscono una zavorra che frena qualsiasi possibilità di movimento. Tra i tanti problemi da affrontare, così come abbiamo segnalato all inizio di questa riflessione, ve ne sono alcuni che, ancor più di altri, assumono un carattere decisivo e rappresentano uno snodo vitale per la prospettiva stessa del Paese. Tra questi, il problema dei problemi, quello dell impoverimento dei ceti medi e della povertà in generale, e quindi, della redistribuzione della ricchezza, ormai decisivo non più solo per le prospettive dell economia e della crescita, ma anche per le sorti stesse della nostra democrazia. Da anni il nostro Istituto segnala il progressivo impoverimento dei ceti medi, la crescita delle vecchie e nuove povertà, il blocco della mobilità sociale, l eccessiva concentrazione della ricchezza nelle mani di un numero sempre minore di soggetti e l affacciarsi di un nuovo darwinismo sociale. Fummo noi tra i primi a lanciare l allarme sulla sindrome della quarta settimana, che diventò rapidamente della terza, per centinaia di migliaia di famiglie che non riuscivano più ad arrivare alla fine del mese. Così come segnalammo il fenomeno, fino ad allora sconosciuto, dei poveri in giacca e cravatta, testimoniato dal profondo cambiamento delle caratteristiche sociali dei fruitori delle mense della Caritas. Ancor più della crisi politica e istituzionale, le difficoltà economiche di strati sempre più ampi della società italiana determineranno le prospettive della nostra democrazia. Stiamo consumando la rottura di quel patto sociale, che sinora ha tenuto insieme il Paese anche nei momenti di maggiore gravità, e prendono nuovo vigore le derive corporative che esaltano l egoismo e la separatezza sociale. Il conflitto ritorna sulla scena con tutta la sua carica dirompente e, in mancanza di un adeguato sistema di regolazione sociale, i bisogni vengono sacrificati agli interessi e, a loro volta, gli interessi particolari prendono il sopravvento su quelli generali. Tutto ciò sollecita un rapido ritorno della politica. Di una politica che riesca a liberarsi delle sue scorie. Una buona politica che sappia prendere su di sé il compito e la responsabilità di restituire all Italia il futuro che merita. 12

13 CAPITOLO 1 VITA/MORTE DECIDERE DI (NON) MORIRE I giovani e la morte. Protagonisti di un età strutturalmente legata a incertezza esistenziale, i giovani barcollano la loro quotidianità tra la solitudine e la socialità del gruppo dei pari. Il passaggio all età adulta passa necessariamente attraverso riti di iniziazione, contornati di rischi e pericoli, dove i primi definiscono le possibili esternalità negative connesse a un impresa, mentre i secondi non sono riconducibili a un evento decisionale: il giovane decide di correre un rischio, ma non decide di sottostare a un pericolo, casomai si limita a subirlo. È proprio la morte che unisce in sé la dimensione del rischio e quella del pericolo: il brivido adrenalinico di sfidare la sorte in una situazione rischiosa e l incoscienza (in realtà ricercata, quindi cosciente) dell esposizione a dinamiche imprevedibili e pericolose. Tutto questo fa parte dell adolescenza e si addice al giovane, sicuramente più che non la sicurezza, la protezione del sé, la prudenza, la lungimiranza. Sfidare contemporaneamente la dimensione del rischio e quella del pericolo accresce l autostima del giovane e gli permette di accarezzare il sogno dell invulnerabilità, un illusione tanto più cogente se pensiamo alle difficoltà per un giovane di trovare una presa sulla realtà nella società tardo-moderna. Gioventù e irrequietezza sono un binomio inscindibile, che richiama gesta straordinarie, fossero anche fortemente inusuali o stupide. Morte e gioventù sono intimamente legate, ma il loro rapporto muta sulla base del diverso contesto, fino a scatenare situazioni inedite in epoche diverse. Come accadeva ieri, il giovane si confronta con la morte, ma oggi a differenza di ieri il giovane è solo di fronte alla morte. Solo di fronte alla morte perché in larga parte privo di contatto con le metanarrazioni (ad esempio le religioni e le ideologie politiche rivoluzionarie) che fornivano indicazioni di comportamento nei confronti del Passo Estremo. La morte è oscena perché contrasta con la logica della razionalità strumentale che caratterizza i nostri tempi, perché infrange il sogno dell immortalità di cui siamo pervasi: per questo motivo cerchiamo continuamente di esorcizzare la morte e il morire. La morte in Rete. La società tardo-moderna rinuncia a elaborare collettivamente il lutto. Manca completamente una pedagogia della morte : di fronte a questo evento ci scopriamo smarriti, non solo per la perdita in sé, ma per l impreparazione di fronte alla dimensione della dipartita, dell assenza, del vuoto ontologico. Non sapendo interpretare la morte corriamo ai ripari spostandoci sul livello che più ci è congeniale oggi: quello della comunicazione. Cerchiamo di rendere la morte virtuale, trasportandola su un piano che sappiamo essere fittizio, quindi rassicurante. La morte in Rete non è mai anonima né ordinaria, dal momento che persegue l obiettivo di rinfrancare il pubblico rispetto allo sgretolamento del mito dell immortalità, considerato uno dei capisaldi della tardo-modernità. Internet adopera una ri-sacralizzazione della morte, introducendo riti e cerimonie che non sono inferiori a quelli che hanno accompagnato il passaggio dei defunti in tutte le epoche e in tutte le civiltà. La negazione della morte come scelta educativa nei confronti delle giovani generazioni non può essere perseguita fino in fondo: la morte c è, continua a esistere e a cogliere anche le mele più acerbe, non solo quelle più mature. Quando la morte è volontaria. L evento mortale continua a fare capolino, fino a diventare un opzione praticabile su base volontaria, non solo un ineludibile accidente della vita. È il caso del suicidio, un evento per il quale l Italia ha storicamente avuto statistiche rassicuranti, ma di cui conosce negli ultimi anni una preoccupante impennata. Gli aumenti di suicidi nel nostro Paese, sono trasversali alle classi di età e rispondono a motivazioni che possiamo presumere essere differenti: la crisi economica che rende incerto il posto di lavoro, i cambiamenti nei rapporti di coppia all interno delle famiglie tipiche e a-tipiche, l insostenibilità della quotidianità nelle istituzioni totali, la difficoltà di accettare, da parte degli anziani, l inesorabile deperimento fisico e il corollario della sofferenza. Soffrire non è nelle corde della società attuale: il dolore è una condizione da evitare a tutti i costi, va rimosso non solo nella sua veste fisica, ma anche in quella psicologica: proprio allo psicologo il paziente chiede la rimozione del dolore. Un atteggiamento del genere è trasmesso, ovviamente, anche alle nuove generazioni, anestetizzate di fronte alla sofferenza ma private, in questo modo, della pedagogia della morte: il lutto è una situazione dalla quale ristabilirsi il prima possibile per tornare in società, dal momento che le persone morenti non insegnano niente, né a proposito della vita terrena che stanno per concludere, né nel merito di quella ultraterrena che, forse, si apprestano a iniziare. La sofferenza e la morte (che del dolore è la massima causa scatenante) non trovano alloggio nella società tardo-moderna. La sociologia della morte. Vita e Morte continuano a essere legate: la Morte ha bisogno della Vita esattamente come i morti hanno bisogno dei vivi: poiché chi muore è narrato e ricordato da chi rimane. Da ciò deriva, come ulteriore conseguenza, che la morte è sempre la morte dell Altro: non ci riguarda perché non ci può tecnicamente riguardare, dal momento che, quando noi ci siamo, la morte ancora non c è; e viceversa, come ricordava già Epicuro. Una volta, l unica arma era la memoria, adesso la tecnologia, quando è liberata dall attacco delle credenze religiose e può sprigionare la sua gioiosa vitalità, può dare un sostanzioso aiuto. La morte produce così cultura e società: relazioni, stati d animo individuali e intere psicologie collettive, istituzioni giuridiche e patrimoniali, organizzazioni e sistemi politici rappresentano l indotto della morte, alla pari di lacrime, tristezza e mancanza. 13

14 Non abbiamo ancora fatto pace con la Morte. La morte è sì un evento imprevedibile, incontrollabile, oscuro (per quanto oggi questi aggettivi debbano essere relativizzati, se applicati alla morte), ma conserva una sua naturalità e una sua fisiologia. Lo si voglia o meno, si continuerà a morire. Se è vero che ogni cultura ha costruito il proprio immaginifico percorso verso l immortalità, non è mendace affermare che il nostro tempo per la prima volta punti con decisione le proprie fiches sulla figura del cyborg,che gioca con la vita e mette tra parentesi la morte. Conclusioni. Il mondo occidentale ha deciso da tempo di rifiutare il concetto di morte. Lo ha fatto in coerenza con i paradigmi della razionalità strumentale, ma non ha potuto eliminare il sospetto che questa sia stata una decisione animata dalla paura e dal tentativo di esorcizzare il rischio. Il sistema culturale ovatta la morte in tutte le sue fasi, ma non può garantire una cloroformizzazione completa: qualcosa filtra e si insinua tra le certezze di una vita dedita alla ricerca del benessere. La condizione dell essere malato, come è stato già detto, è assolutamente evitabile, non solo in base al (sacrosanto) diritto di perseguire una buona salute, ma anche per le conseguenze sociali date dalla malattia: oggi il malato è dipinto come un colpevole. Il motivo non risiede nel fatto che tutta la comunità si fa carico della sua malattia, ma nel fatto che la sua malattia insinua nella società il tarlo della mortalità e della finitezza della vita. L idealtipo del cyborg serve proprio a negare questa evidenza, sostituendola con la proposta di un soggetto umano capace di riparare singole parti del proprio corpo, sconfiggendo l usura, la vecchiaia, la consunzione, la morte. L uomo-macchina è un vecchio topos letterario, una figura cinematografica, un allucinazione punk, un sogno biotecnologico: l individuo che ripara meccanicamente la propria vita intende sostituire le leggi naturali con quelle artificiali, dettate non da un dio su tavole di pietra, ma da un team di scienziati nelle ampolle dei laboratori. Ma esiste una terza via tra la dimensione della morte inglobata nelle rigide dinamiche dell antica vita di comunità e la morte ignorata dalle biotecnologie e dal cyborg: consiste nell osservazione della morte come produzione di emozioni e paradossalmente di socialità. 14

15 SCHEDA 1 TESTAMENTO BIOLOGICO E FINE VITA L opinione degli italiani sul testamento biologico. L opinione degli italiani sulla creazione di una legge specifica riguardo al testamento biologico è stata più volte al centro delle rilevazioni dell Eurispes. È interessante mettere a confronto i risultati di diversi anni per capire quali sia stato in generale l orientamento dell opinione pubblica. Prendendo in considerazione i dati relativi agli anni 2007, 2010 e 2011, si riscontra innanzitutto una maggioranza assoluta di quanti si dicono favorevoli all introduzione di una legge sul testamento biologico che non scende mai al di sotto del 70%. Nell arco temporale considerato, si registra però inizialmente un aumento dei favorevoli (dal 74,7% 2007 all 81,4 del 2010) e in seguito una flessione (77,2% 2011). Anche nella rilevazione effettuata quest anno si è evidenziato un ulteriore cambiamento che ha fatto registrare il 65,8% dei favorevoli al testamento biologico e, in parallelo, aumentare il numero dei contrari (30,3%), ciò potrebbe essere dovuto all attenuazione degli effetti sull opinione pubblica prodotti da alcuni casi di grande rilevanza mediatica negli anni passati. Allo stesso tempo, negli anni è diminuito il numero di quanti si sono astenuti dall esprimere un giudizio. Punti di vista in Italia. In Italia, nonostante la volontà del paziente, i trattamenti di alimentazione e idratazione vengono comunque applicati e, di fatto, lasciano il paziente in vita contro la sua volontà espressa (qualora sia stata precedentemente manifestata). Ciò è tuttora motivo di dibattito tra laici e cattolici e il disegno di legge del luglio 2011 non ha aiutato a risolvere i contrasti. Il disegno di legge si articola in otto punti che in pratica svuotano completamente il significato stesso di testamento biologico. In sostanza, le dichiarazioni anticipate di trattamento non sono vincolanti per i medici ed escludono la possibilità di sospendere nutrizione e idratazione artificiali (definite naturali ), salvo in casi terminali. Sono applicabili, inoltre, solo se il paziente ha un accertata assenza di attività cerebrale. I princìpi guida del ddl 2011 condivisi da entrambi gli schieramenti si concentrano in particolare su 4 punti: no all accanimento terapeutico; il malato può, e non è obbligato a farlo, indicare in anticipo le cure accettate o rifiutate per quando non sarà più in grado di intendere o di volere; nominare un fiduciario che sarà notaio e anche interprete del volere del paziente che non può più decidere; il cittadino-paziente può modificare le volontà del testamento biologico in ogni momento. I punti più discussi sono anch essi quattro: la possibilità di interrompere l alimentazione forzata e l idratazione; il ruolo e poteri del fiduciario e del medico; l obbligo per il medico di rispettare la volontà espressa in anticipo del paziente (ma una mediazione si sta formando intorno alla possibilità dell obiezione di coscienza); a chi spetta decidere quando le cure sconfinano nell accanimento terapeutico? La Germania. La legge per il Testamento biologico è del giugno Le dichiarazioni dei pazienti in materia di fine vita sono considerate valide e vincolanti per i medici, purché siano fatte per iscritto. Qualora manchi il testamento o esso nulla dica su una particolare malattia, salvo si trovi un immediato accordo, il caso verrà risolto in tribunale. Il testamento può essere redatto in relazione a qualsiasi malattia e in qualsiasi stadio essa si trovi. La Francia. La legge del 2005 Relativa ai diritti del malato ed alla fine della vita, di modifica del Code de la santé publique, all art. L autorizza il medico, nel quadro di una procedura collegiale, a prendere la decisione (benché suscettibile di porre il paziente in pericolo di vita) di limitare o interrompere il trattamento, nel caso in cui la persona malata non sia in grado di esprimere la propria volontà. In attuazione di tali disposizioni, è intervenuto il decreto del 6 febbraio 2006, che modifica l articolo R del Code de la santé publique e disciplina la facoltà del medico di astenersi da ogni accanimento terapeutico, nel caso in cui le terapie siano inutili e sproporzionate o abbiano il solo effetto del mantenimento in vita artificiale. Il Regno Unito. Il testamento biologico (living will) non è espressamente previsto dalla disciplina legislativa, ma è riconosciuto da una consolidata giurisprudenza, che ha definito le condizioni per la validità del medesimo. Il punto di partenza di questo orientamento giurisprudenziale è il caso Bland, deciso nel 1993 dalla Corte Suprema del Regno Unito, in cui si afferma che non sussiste per i medici l obbligo di somministrare trattamenti ritenuti inutili, secondo una valutazione scientifica della condizione di vita del paziente, e non rispondenti al suo migliore interesse. La Spagna. Dal 2008 la legge che permette ai cittadini spagnoli esprimano per iscritto le proprie volontà sulle scelte terapeutiche da ricevere nel caso non fossero più capaci di intendere e di volere. Ben lungi dall eutanasia attiva, che resta illegale, la legge sul testamento biologico permette di decidere di rinunciare all accanimento terapeutico in caso di malattia allo stadio terminale o di danni cerebrali irreversibili e scegliere quindi la via di quella che viene definita una morte dignitosa. Una volta espresse per iscritto le proprie volontà, in un testamento biologico o testamento di vita che entrerà a far parte di un registro nazionale, il personale sanitario è tenuto a rispettare la volontà del paziente di non prolungare la sua vita con modalità non conformi a quanto scritto nel testamento biologico. I Paesi Bassi e il testamento biologico. Il testamento biologico è attualmente disciplinato nei Paesi Bassi dalla Legge del 2001 ( Legge per il controllo di interruzione della vita su richiesta e assistenza al suicidio ) il cui art. 1 definisce l assistenza al suicidio come «l assistere intenzionalmente un altro al suicidio o il fornirgli i mezzi, come indicato nel Codice Penale». L art. 2 esclude la punibilità del medico per aver provocato la morte del malato consenziente, qualora siano stati rispettati i criteri di accuratezza. La legge prevede l istituzione di commissioni regionali di controllo per interruzione della vita su richiesta e assistenza al suicidio. Esse hanno il compito di verificare che il medico abbia rispettato nell atto di interruzione della vita o di assistenza al suicidio i criteri individuati dalla normativa. 15

16 SCHEDA 2 LE NUOVE RAPPRESENTAZIONI DELLA MORTE La rappresentazione moderna della morte: tra negazione e virtualizzazione. La spettacolarizzazione del tema della morte diventa anche un modo per rappresentarla, forse nel tentativo di esorcizzarla, tramutandola anche in qualcosa di artificiale. Il suo significato si permea dunque dell artificialità della rappresentazione mediatica e potremmo ben dire anche della sua sovra-rappresentazione all interno dei media. La morte non è qualcosa di sacro, ma qualcosa da guardare e osservare nei Tg, nelle fiction, nei programmi televisivi, al cinema. Lo dimostrano anche i dati relativi agli ascolti televisivi dei quali l Italia detiene il record europeo di cronaca nera: addirittura sembra che il 2011 abbia toccato l apice di ascolti, in seguito a importanti fatti di cronaca a tutti ben noti. Il paradosso non sta tanto nella quantità di omicidi o di episodi di morte presentati dai media, quanto nell attaccamento mediatico successivo all evento e al successo, se così si può dire, del pubblico. I crimini, non solo hanno uno spazio quotidiano, ma vengono trattati e sceneggiati come fiction. La criminalità, in sostanza, costituisce un vero e proprio genere televisivo a cui dedicare più spazio di qualsiasi altro tema. I dati dell Osservatorio Europeo sulla Sicurezza (Demos, Osservatorio di Pavia e Unipolis) confermano questo trend: nei primi mesi del 2010 la sola Rai1 ha dedicato 431 minuti alla cronaca nera in prima serata, circa l 11% delle notizie. In questo siamo tra i primi in Europa, con un indice di pervasività e serialità che distingue l Italia da tutti gli altri contesti europei. Per avere un termine di paragone, basterebbe pensare che la rete tedesca Ard, nello stesso periodo, ha dedicato alla cronaca nera 34 minuti (2%), la francese France2 114 (4%), la spagnola TVE 159 minuti (4,2%) e la BBC britannica 267 (8%). Morire sul web: dai 15 minuti di celebrità all eternità virtuale. La spettacolarizzazione della morte mediatica non colpisce soltanto la televisione, ma anche il web. Le notizie di cronaca nera, insieme a quelle sportive (in particolare calcistiche), sono i temi più cercati e cliccati in Rete dagli utenti. Il binomio calcio-morte fa riflettere ancora una volta sul senso moderno della morte, privata del suo significato sacro, che viene in tal senso profanizzata e spettacolarizzata, ma soprattutto esorcizzata. Grazie alla rete Internet, anche i cimiteri diventano virtuali, come nel caso del sito serialkiller.it dedicato ai principali serial killer della storia: all interno si può trovare la sezione del cimitero virtuale, dedicato alle vittime dei serial killer, ma anche a persone comuni. I visitatori hanno la possibilità di inserire, gratuitamente, anche una foto dei loro cari, semplicemente inviando una mail ai gestori. Non solo: ricercando la voce cimiteri virtuali si scopre una moltitudine infinita di siti che sostituiscono virtualmente i cimiteri dove, gratuitamente o a pagamento, si possono pubblicare necrologi, scrivere commenti, dedicare frasi ai propri cari o alle persone scomparse. Sulla stessa linea anche l utilizzo dei Social Network, che oggi rappresentano la morte in un passaggio significativo dal reale al virtuale. Proprio questi ultimi diventano un modo non solo per riportare notizie di cronaca nera, postate sulle pagine di Facebook o Twitter, ma anche uno strumento per comunicare la morte dei propri cari e condividere lutti. Il rito, giunto alla totale profanazione, è sostituito dai network sociali e, tra le pagine, la morte di un familiare o di un amico viene presentata in tutte le sue forme e lungo il suo iter: l annuncio del decesso, la condivisione del dolore, persino la data, l ora e il luogo del funerale sono comunicate al suo interno. Facebook viene indicato sempre più spesso come il nuovo cimitero on line, tanto da scatenare polemiche anche sul problema della cancellazione del profilo di utenti defunti, per il quale è necessaria una vera e propria pratica burocratica, presentando il certificato di morte dell anagrafe. Solo così il profilo del defunto può essere eliminato dalle ricerche in Rete, altrimenti rimarrà aperto per sempre. Una strada alternativa che si mostra sempre più in voga è quella del cosiddetto profilo commemorativo : post, commenti e foto da parte degli amici mantengono in vita il ricordo del defunto tramite la sua pagina personale. Polvere eri Le statistiche della Sefit (Federutility - Servizi funerari), aggiornate al giugno 2008, parlano addirittura di un boom della cremazione (registrato in particolare nelle città di Milano e Torino, dove è resa possibile dalla presenza di strutture e attrezzature idonee). Se in Italia la percentuale delle cremazioni è del 10%, con un grosso divario tra Sud e Nord del Paese, in città settentrionali come Milano si passa dal 42% del 2001 al 62% nel Torino tocca il 40%, Bologna il 30% e Roma il 26%. Nel Sud e nel Centro Italia si registrano le percentuali più basse: la Sicilia (0,2%), la Puglia (0,6%) e la Sardegna (0,4%) sono le regioni italiane in cui la cremazione è meno frequente. Nonostante ciò, sebbene la tumulazione rimanga la forma più diffusa di sepoltura in Italia (56,5% nel 2008), negli anni sta aumentando la pratica della cremazione, seppur lentamente: dal 2007 al 2008 la percentuale cresce dell 1% in Italia passando dal 10,3 all 11%. Anche in questo caso la Rete aiuta, laddove è possibile trovare, tramite Internet, la soluzione più semplice per la cremazione, all interno non solo di cimiteri virtuali, ma di siti specifici di associazioni che si occupano di svolgere le pratiche: l Icrem (Istituto per la cremazione e dispersione delle ceneri), l Idicen (Associazione nazionale di cremazione e dispersione delle ceneri), la Federazione italiana per la cremazione e l Associazione per la cremazione. Esiste anche un sito dove poter reperire la mappa dei crematori italiani. La crescita del tasso di cremazione in Italia potrebbe essere ricondotta al processo di desacralizzazione della morte in cui si segnala anche la trasformazione dell idea di culto fisico a un culto ideale che passa attraverso la sua virtualizzazione, come nell esempio dei cimiteri on-line. 16

17 SCHEDA 3 GLI INFORTUNI SUL LAVORO E LE MORTI BIANCHE Le ultime tendenze dell infortunistica sul lavoro. La quantificazione degli infortuni sul lavoro continua a essere un esercizio impegnativo: in primo luogo perché è subordinata alle denunce presentate all Inail (con la conseguente esclusione dell amplissimo settore del lavoro in nero), in secondo luogo nello specifico delle serie storiche sull infortunistica perché dipende dal numero di lavoratori assicurati dall Inail. Tale numero si è andato progressivamente espandendo (fino a superare, nel 2008, i 18 milioni di addetti), ma era limitato a poche decine di migliaia di privilegiati fino alla Seconda Guerra Mondiale. Dopo la diminuzione record del 10% degli infortuni sul lavoro nel 2009, il 2010 non ha registrato alcun effetto rimbalzo e si è chiuso a -1,9%. La riduzione maggiore si registra tra gli infortuni in itinere (cioè quelli occorsi mentre si raggiunge il posto di lavoro o lo si abbandona per tornare a casa) (-4,7%), mentre la riduzione degli infortuni in occasione di lavoro è contenuta (-1,5%). È anche vero che il 2010 ha registrato un calo occupazionale dello 0,7%, pari a 153mila unità (secondo l Istat, ma è probabile che il dato effettivo sia maggiore), che ha sicuramente influito sulla diminuzione dell infortunistica. Si evidenzia inoltre l aumento degli infortuni occorsi ai lavoratori che operano sulla strada (autotrasporto merci/persone, commessi viaggiatori, addetti alla manutenzione stradale, ecc.) (+5,3%) e il dato non è da sottovalutare, dal momento che il contesto italiano si sta ormai orientando su una caratteristica principale: produce sempre di meno, ma sposta e trasporta sempre di più merci prodotte altrove. Andando più nello specifico, le variazioni infortunistiche rilevate nel 2010 (rispetto all anno precedente) su base settoriale indicano come l Industria e l Agricoltura abbiano riscontrato il calo più evidente degli infortuni denunciati (rispettivamente -4,7% e -4,8%). Si conferma ancora una volta il legame tra la minore occupabilità e la diminuzione dell infortunistica, dal momento che proprio l Industria e l Agricoltura continuano a soffrire di un calo occupazionale. Non è un caso che gli infortuni nel settore dei Servizi, invece, siano aumentati, seppure lievemente (+0,4%). La medesima chiave di lettura è applicabile anche alla differenziazione territoriale: nel Nord Italia, dove continua a concentrarsi più della metà degli infortuni (anche in virtù della maggiore densità occupazionale), il calo è stato dell 1,5%. La riduzione sale all 1,8% per il Centro e arriva al 3,2% nel Sud Italia, ovviamente più penalizzato dalla diminuzione dei posti di lavoro. Dove le statistiche si fermano: il lavoro nero. L Inail ha valutato che nel 2009 gli infortuni invisibili (quantomeno quelli di entità medio-grave) siano stati circa 165mila, anche questi in diminuzione rispetto alla precedente elaborazione (che parlava di 175mila infortuni nel lavoro in nero per il 2006). La quota di infortuni invisibili attribuibile ai lavoratori stranieri sarebbe del 12% (20mila casi), ma è fortemente polarizzata intorno a determinati settori economici. Il perché è evidente: i lavoratori stranieri sono impiegati per lo più in attività manuali usuranti (edilizia, industria pesante, agricoltura), con lunghi turni di lavoro e una formazione professionale inadeguata (anche perché nel paese di provenienza spesso svolgevano lavori cognitivi). È interessante notare come alcuni comparti lavorativi conoscano una quota prevalente di lavoratori stranieri, tra coloro che hanno subìto e denunciato infortuni: gli stranieri incidono per il 23,3% nell infortunistica della lavorazione del cuoio, per il 22,6% negli infortuni dell industria dei metalli, per il 21% nell edilizia, nel 20,9% nell industria della gomma e della plastica. Volgendo lo sguardo al settore dei Servizi, si arriva al 77% di infortuni stranieri tra il personale domestico (colf e badanti), dove la presenza immigrata è notoriamente imponente. La tutela del lavoro è una scienza perennemente giovane e inesperta, in Italia, con la conseguente necessità di tempo per essere assimilata tanto dai legislatori (che ne devono fornire il quadro normativo), quanto dagli stessi lavoratori (che la devono assimilare). Questi ultimi, inoltre, sono essi stessi in eterna evoluzione, accogliendo al proprio interno categorie per le quali l ingresso massivo nel mondo del lavoro italiano è piuttosto recente. Si pensi alle donne e agli stranieri, che non a caso soffrono di una percentuale più elevata di infortuni sul posto di lavoro. Di certo non aiuta il continuo evolversi del mondo della produzione, al perenne inseguimento di nuove tecnologie, di macchinari innovativi, di una domanda oggi sfuggente perché giocata su un piano globale. È questo il motivo per cui un altra categoria ad alto rischio di infortuni è rappresentata dai lavoratori più giovani, che si immettono in un mercato frenetico e con poche garanzie. La serie storica sulle morti bianche. Il decennio è stato caratterizzato da un trend costantemente decrescente, per quanto riguarda gli infortuni mortali sul lavoro. Basti ricordare, per fare un confronto, come l anno 1963 conobbe il tragico record di morti sul lavoro: aver abbattuto la simbolica soglia dei mille morti, come è avvenuto nel 2010, ha significato diminuire di tre quarti quella cifra. L analisi in valori assoluti dei morti sul lavoro in base al settore economico non può essere oggi esauriente, in quanto non tiene conto della diversa incidenza di ciascun ramo di attività sul sistema di produzione italiano. Soprattutto se si ricorda come i settori economici abbiano subìto sostanziali trasformazioni, nella storia italiana, anche limitatamente al decennio preso in considerazione. Un analisi ponderata utilizza l Indice di Incidenza Infortunistica Mortale (Iiim), che rapporta il numero di morti per infortunio al rispettivo numero di occupati per ciascun ramo di attività. Il calo dei morti sul lavoro, nell ultimo decennio, è effettivamente sostenuto in tutti e tre i macro-settori economici, in termini assoluti e relativi: dal 2001 al 2010 gli infortuni mortali si sono ridotti da ai 980, che equivale a dire che l Iiim è passato da 7 morti a 4,3 per 100mila lavoratori. Si muore nell Industria, si muore nel settore dei Servizi, ma si continua a morire anche nell Agricoltura, nonostante l Italia abbia da tempo completato la transizione occupazionale tipica delle economie 17

18 sviluppate, ridimensionando il numero di addetti nel settore primario. Soprattutto, si continua a morire non solo nella contingenza del proprio posto di lavoro, ma anche in itinere, quando si va a lavorare o si torna a casa dopo il lavoro. Nel 2010 le persone decedute lungo il tragitto casa-lavoro-casa sono state 244 (quasi l 11% in meno dell anno precedente): a esse va ad aggiungersi un numero persino superiore (296, quasi il 4% in meno del 2009) di altre vittime della circolazione stradale. Anche a fronte di un apprezzabile calo, il 2010 non è stato esentato dal fornire, tra i lavoratori, 540 vittime sulle arterie stradali e sui mezzi di trasporto: un miglioramento e una razionalizzazione della viabilità porterebbero sicuramente giovamento a questo dato statistico, peraltro costante nel corso del decennio. Circa un quarto degli infortuni mortali avviene in itinere. La stessa modalità di evento, applicata alla più generale fattispecie degli infortuni sul lavoro è andata costantemente aumentando, passando dal 5,7% del 2001 all 11,4% del L incidenza dei decessi in itinere è importante soprattutto per le differenze di genere, dal momento che tra le donne questa modalità di evento causa addirittura la metà degli infortuni mortali. Le donne incidono per il 31,6% sul totale degli infortuni sul lavoro, ma i casi mortali scendono all 8,1% del totale: il lavoro delle donne sembra, quindi, meno rischioso, probabilmente in virtù del fatto che sono impiegate soprattutto nei servizi e in settori a bassa pericolosità. Il dato preoccupante, però, è rappresentato dal fatto che le morti bianche tra le donne aumentano (+9,7%), in maniera quasi speculare alla diminuzione che si registra per gli uomini (-8,2%). Le fasce centrali di età (35-49 e 50-64anni) sono le più colpite, infatti assommano in sé quasi il 70% dei casi mortali, mentre i più giovani pesano per il 26,4%, registrando un calo di oltre dieci punti percentuali rispetto alla statistica del 2009, un dato che può essere imputato all allarmante aumento della disoccupazione giovanile. Nel Nord Italia si registra il 60% degli infortuni sul lavoro che avvengono in Italia, con una forte concentrazione in Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto: il dato non sorprende, se ricordiamo come si tratti delle regioni con la maggiore densità occupazionale. Il Sud presenta il 19,5% degli infortuni in complesso, ma ben il 33,2% dei decessi. Il dato degli infortuni mortali divisi per i principali settori di attività economica registra una uniforme diminuzione, nella quale spicca il -37,8% del comparto metallurgico e il -26,3% di quello del commercio. Di contro, il numero di decessi nel settore dei trasporti e delle comunicazioni (+9,8 nel passaggio dal 2009 al 2010) sta a indicare come una maggiore attenzione alla viabilità produrrebbe conseguenze positive anche sull infortunistica lavorativa. I dati Inail riferiti al primo semestre 2011 (da ritenersi non ancora consolidati) parlavano di una sostanziale tenuta nel numero degli incidenti mortali, per i primi sei mesi del 2011: da 431 a 428 vittime, per un calo dello 0,7%, notevolmente più basso del calo riscontrato sul più generale numero di infortuni (-4% rispetto allo stesso periodo del 2010). I lavoratori stranieri. Crisi o non crisi, gli stranieri continuano a erogare i loro servizi in Italia e continuano a subire infortuni per questa attività: il 2010 è stato un anno addirittura peggiore dei precedenti, con gli infortuni incrementati da a e solo parzialmente compensati dalla lieve diminuzione delle morti sul lavoro (dai 144 del 2009 ai 138 del 2010). Quando muore un lavoratore oggi in Italia, ci sono 14,1 probabilità su cento che sia straniero e, più nello specifico, 8,6 probabilità che sia un lavoratore extracomunitario. I lavoratori stranieri muoiono sul posto di lavoro perché tendenzialmente impiegati in settori a rischio: dall edilizia (dove si concentra il 23,2% dei casi mortali tra gli stranieri) all agricoltura (15,9%), ai trasporti (15,2%). Confrontando l infortunistica degli stranieri con quella degli italiani si può notare come il 23,3% degli infortuni denunciati nel campo della lavorazione del cuoio coinvolge i lavoratori immigrati, come pure il 22,6% degli infortuni nella metallurgia e il 21% circa di quelli nei comparti delle costruzioni e dell industria plastica. Più in generale, l incidenza infortunistica degli stranieri è più alta di quella degli italiani: tra questi ultimi si registrano 39,2 denunce all Inail ogni mille occupati, tra gli stranieri 45 denunce. Non solo: i lavoratori stranieri che subiscono infortuni, anche mortali, sono tendenzialmente giovani, comunque più di quanto non lo siano gli italiani. Oltre l 86% dei lavoratori stranieri deceduti in Italia nel 2010 aveva meno di cinquanta anni: il dato rispecchia una tendenza occupazionale che vuole il lavoratore straniero come giovane, pena la sua espulsione dal mercato del lavoro. Non è un caso che, in riferimento alla più numerosa casistica degli infortuni (anche non mortali) tra i 50 e i 64 anni, le donne straniere abbiano una incidenza del 60% più alta degli uomini, a dimostrazione che, tra le classi di età più avanzate, siano soprattutto le donne straniere a lavorare, spesso nei servizi di cura alla persona o alla casa. 18

19 SCHEDA 4 VECCHIE E NUOVE MALATTIE PROFESSIONALI Per quanto riguarda la situazione europea, l Inca (Istituto Nazionale Confederale di Assistenza), riferendosi ai dati dell Organizzazione Internazionale del Lavoro e dell Eurostat, afferma che nei 27 paesi dell Unione europea ogni anno muoiono per malattie professionali lavoratori. Se si aggiungono le persone che muoiono a causa di infortunio sul lavoro, si stima una media di un morto ogni tre minuti e mezzo a causa del lavoro. Le denunce per malattie professionali. Il 2010 è stato un anno record: lavoratori denunciatori e denunce presentate, circa il 22% in più dell anno precedente (7.500 in più) e un più 58% negli ultimi 5 anni. Un valore più elevato si riscontra solo nel 1993 ( denunce). Secondo l Inail l aumento delle denunce è da ricondurre a tre fattori. Affiorano le cosiddette patologie perdute ; nuovi accertamenti confermano il nesso causale tra malattie e rischi presenti nell ambiente lavorativo. Le nuove malattie tabellate (Dm aprile 2008), come quelle muscolo-scheletriche, poiché godono della presunzione legale d origine e quindi di un riconoscimento immediato, vengono più facilmente denunciate. Dai dati emerge infatti che le malattie muscolo-scheletriche originate da sovraccarico bio-meccanico e da movimenti ripetuti costituiscono il 60% delle malattie denunciate nel 2010 e in soli 5 anni sono aumentate del 158%. Queste nuove tecnopatie rappresentano la principale causa di morte per malattia professionale non solo in Italia, ma in tutta Europa. Infine, l incremento di denunce si ricollega all aumento delle denunce plurime connesse alla stessa mansione svolta (delle oltre 42mila denunce presentate, un quarto sono plurime). Con l entrata in vigore del Dm 169/2008, le nuove malattie professionali tabellizzate hanno registrato un incremento di denunce, passando da del 2006 a del Tra queste, le patologie più frequenti registrate dall Inail sono le affezioni dei dischi intervertebrali (oltre denunce) e le tendiniti (oltre 8.000). Segue l ipoacusia da rumore (nel casi in più dell anno precedente). Rispetto al 2009, aumentano del 7% le patologie da asbesto (amianto); questo materiale è stato messo fuori legge solo dal 1992 e le malattie associate si stanno manifestando in questi anni, dopo un lungo periodo di latenza. Industria e servizi e Agricoltura. Nel 2010, l Inail calcola che le denunce per malattie professionali associate alle lavorazioni nell industria e nei servizi sono pari all 84% del totale (in valori assoluti, oltre denunce). Rispetto al 2006 l incremento è stato del 42,3%, rispetto al 2009 è stato pari al 16,7%. Oltre la metà delle malattie denunciate rientra tra le nuove malattie tabellate, causate da sovraccarico biomeccanico e movimenti ripetuti. Risultano invece sottodenunciati i tumori professionali e i disturbi psichici da stress lavoro-correlato. Nell ultimo quinquennio, si registra un aumento di denunce del più 123,5% nelle Isole, del più 50% nel Sud e Centro Italia, del circa 40% nel Nord-Est e del più 6% nel Nord-Ovest. Nel settore agricolo le denunce per malattia professionale sono aumentate del 340,9% rispetto al 2006 e del 62,6% rispetto al Analogamente alla tendenza generale, sono prevalenti le denunce per malattie da asteo-articolari e muscolo tendinee (5.100 denunce nel 2010, a fronte delle 700 presentate nel 2006); in discesa ci sono le ipoacusie da rumore che passano da circa il 21% del 2006 al 9% del 2010 e le malattie respiratorie che scendono da circa l 11% del 2009 al 4% del Negli ultimi cinque anni è cambiato il peso del numero di denunce presentate nelle diverse ripartizioni territoriali: nel 2006 il 60% delle denunce era stato presentato dalle regioni del Centro e del Nord-Est, mentre attualmente sono i lavoratori del Sud e delle Isole ad avanzare più della metà delle denunce totali (presentano un incremento rispettivamente del +819,9% e del +549,2%). Casi riconosciuti e indennizzati. I casi di indennizzo in fase di definizione, a causa dei lunghi tempi delle procedure e delle pratiche, sono aumentati notevolmente, passando da 131 del 2006 a del Il rapporto tra casi riconosciuti e casi denunciati è gradualmente aumentato nel tempo, passando dal circa il 36% nel 2006 al 42% nel 2009, per poi diminuire nuovamente nel 2010 (38%). Lo stesso discorso vale per il rapporto tra casi indennizzati e casi riconosciuti (passano dal 67% del 2006 al 73% nel 2010); più lieve è l aumento del rapporto tra indennità ricevute e denunce presentate, aumentato di soli 3 punti percentuali (dal 25% del 2006 al 28% del 2010). Tra i casi indennizzati, l 85% è per menomazione permanente. Inoltre, come pubblicato dal Rapporto Inail del 2010, l incidenza dei casi mortali sui casi indennizzati è maggiore tre le malattie professionali che tra gli infortuni. Tra le malattie professionali rientrano le patologie tumorali, difficilmente curabili, e riconosciute come tali per il 50% dei casi; quest ultime costituiscono il 90% delle tecnopatie indennizzate che causano la morte del lavoratore e la maggior parte sono causate dall amianto. 19

20 SCHEDA 5 BIOTECNOLOGIE E IMMORTALITÀ: LA CLONAZIONE Le nuove opportunità della clonazione. Utilizzando la tecnica del Dna ricombinante, la clonazione viene supportata dalla tecnologia, dando vita a una serie di sperimentazioni e attuazioni diverse. Le biotecnologie verdi trovano spazio nel settore agroalimentare. In questa applicazione la procedura di clonazione è già stata sperimentata da molti anni e oggi ulteriormente potenziata grazie alle nuove tecnologie. Si creano in natura i cosiddetti Ogm (Organismi geneticamente modificati), ricavati inserendo nelle piante geni diversi rispetto al proprio patrimonio genetico, producendo una varietà di prodotti che altrimenti maturerebbero più lentamente, o per permettere loro di resistere alle condizioni climatiche sfavorevoli (siccità, freddo, pesticidi, insetti). Allo stesso modo, si è intervenuti sugli animali, chiamati pertanto transgenici, che presentano un patrimonio genetico modificato, ottenendo ad esempio carne o latte di migliore qualità. Le biotecnologie rosse applicate ai settori della medicina, della veterinaria e dell industria farmaceutica puntano allo sviluppo di nuovi farmaci o nuovi procedimenti di trattamento profilattico terapeutico di patologie. Il settore farmaceutico è probabilmente quello che presenta maggiori sviluppi grazie alle biotecnologie e apre prospettive future. Ad esempio, l insulina fu la prima sostanza prodotta con la clonazione del Dna, dal 1982 in poi, e da allora usata anche per la sintesi di ormoni, proteine e anticorpi. La possibilità di migliorare dunque l efficacia e la qualità di prodotti, insieme alla produzione di sostanze su larga scala a costi inferiori, sono state le principali risorse delle biotecnologie in campo farmaceutico. Oggi la stessa procedura consente anche la creazione, seppur sperimentale, di circa 500 farmaci. Rientrano in questo campo anche tutti gli studi e le applicazioni delle biotecnologie nella medicina, prospettando lo sviluppo di terapie cellulari che permetterebbero la cura di patologie come il cancro o quelle neurodegenerative, così come di vaccini per patologie quali l Aids. Le biotecnologie bianche, infine, utilizzate nei processi industriali, hanno a che fare con la produzione di energia, lo smaltimento dei rifiuti grazie anche all utilizzo di enzimi che producono nuovi composti chimici. La clonazione nel dibattito pubblico. Molti studi e ricerche si sono soffermati di conseguenza sull idea pubblica in merito alle biotecnologie, evidenziando come, tra i fattori che maggiormente incidono su chi si dichiara pro o contro, giochino un ruolo determinante le posizioni normative, l influenza della religione dominante, i fattori socio-demografici e infine l attenzione mediatica. Si registra in generale un inclinazione favorevole dei cittadini nei confronti dell innovazione sociale, con particolare riguardo ai temi cui ci si sente maggiormente vicini o investiti sul piano personale. Emblematica in proposito la rilevazione dell Eurobarometro del 2010, secondo la quale cresce in generale l ottimismo per l applicazione delle biotecnologie: il 53% degli europei si dichiara infatti favorevole per il campo medico. Cresce anche la fiducia verso gli Ogm: se nel 2005 era favorevole il 57% dei cittadini europei, nel 2010 lo sono il 61% (5% in più), mentre è totalmente negativa la loro opinione verso la clonazione animale (18%). In tutti i paesi, fatta eccezione per l Austria in cui l indice è negativo (si rileva un -7%), nelle restanti nazioni europee i valori mostrano indici positivi, con una percentuale maggiore di persone ottimiste sulle biotecnologie. In Finlandia, Grecia e Cipro, gli indici aumentano negli anni dal 2005 al 2010, mentre l incremento è solo lieve per Spagna, Irlanda, Regno Unito, Francia ed Estonia. In tutte le altre nazioni, nello stesso arco temporale, le opinioni (pur mantenendosi positive) mostrano un progressivo declino dei consensi. Le nazioni che non rientrano nell Ue, come Islanda e Norvegia, sono le più favorevoli nei confronti della sperimentazione biotecnologica. La situazione dell opinione sulle biotecnologie in Italia è oscillante: analizzando le serie storiche nel 2010 il consenso pubblico è notevolmente decresciuto rispetto al e anche rispetto al 2005, mentre il 1999 è l anno con il livello più basso di ottimisti. 20

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