SILVIA COLUCCI Iconografia e storia dei monumenti marmorei e bronzei a Siena e nelle Masse dal XIII secolo alla metà del XVI secolo.

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1 SILVIA COLUCCI Iconografia e storia dei monumenti marmorei e bronzei a Siena e nelle Masse dal XIII secolo alla metà del XVI secolo. La tesi delinea un quadro completo delle tipologie sepolcrali adottate a Siena nel periodo esaminato, contestualizzando la produzione locale nel panorama regionale e sovraregionale. A partire da una premessa storico-giuridica sull istituto della sepoltura ecclesiastica in generale e sugli usi senesi in particolare, si passa a considerare le varie forme di sepolcro adottate. I manufatti funerari vengono esaminati in relazione allo status sociale di cui si fanno espressione, alla loro iconografia e all evoluzione formale che subiscono nel tempo, anche grazie all apporto esterno di una grande personalità come Donatello. L opera è corredata da una schedatura esaustiva dei pezzi superstiti, suddivisa in tre categorie lapidi epigrafiche, lapidi figurate e monumenti complessi e ordinata secondo un criterio cronologico. Lo studio si giova di un approfondita analisi della documentazione archivistica ed erudita, senza trascurare gli aspetti propriamente artistici della produzione sepolcrale senese. Il saggio che ne è derivato si colloca nel contesto del crescente interesse degli studi storici per la morte e per tutto ciò che le è correlato: i riti funebri, le riflessioni di ordine religioso, la produzione testamentaria ed epigrafica, i sepolcri veri e propri. Ed è proprio in quest ultimo specifico campo che va ad inserirsi il presente lavoro. Negli ultimi decenni si è assistito ad una esplosione di contributi sul tema dell arte sepolcrale, soprattutto per l età medievale, nel tentativo di colmare le vaste lacune esistenti. Gettate così le basi per una più approfondita e fondata indagine sui monumenti sepolcrali di età medievale e rinascimentale, che possono ora essere studiati anche singolarmente sullo sfondo delle conoscenze complessivamente acquisite, gli studi hanno preso due direzioni parallele. Da una parte è proseguita la riflessione di carattere generale sulla morte nella mentalità medievale e moderna; dall altra si sono moltiplicati gli interventi monografici, di natura tipologica o territoriale. In vari centri italiani si sta iniziando a compiere una catalogazione esaustiva delle tombe e dei resti conservatisi; così in Toscana si sono avute la monografia sul Camposanto pisano e gli interventi di Marco Paoli sulla realtà lucchese e pisana, mentre da tempo si dispone di una rassegna degli esempi fiorentini grazie ai volumi di Walter ed Elisabeth Paatz Die Kirchen von Florenz. La realtà senese, a motivo delle sue proporzioni relativamente ridotte, si è prestata ad uno studio complessivo sul patrimonio funerario d età medievale e rinascimentale. Essa offre un quadro quasi completo dello sviluppo artistico e iconografico delle varie tipologie

2 sepolcrali nel periodo considerato. Nel passato e anche in tempi più recenti sono stati considerati e affrontati solo alcuni parziali aspetti di questo patrimonio: mi riferisco ad esempio ai numerosi studi sulla tomba Petroni di Tino di Camaino o su quella Pecci di Donatello, nonché alla monografia di Robert Munman sui sepolcri maggiori del Rinascimento senese e agli approfondimenti mirati di Alessandro Bagnoli. Tuttavia non è stato affrontato lo sviluppo complessivo e progressivo dell arte funeraria senese, dagli esemplari minori delle lapidi epigrafiche al più grandioso monumento sepolcrale. È questo il leitmotiv del presente saggio: inserire le singole testimonianze in un complesso ordine di rimandi tipologici, iconografici e stilistici, sulla base di una catalogazione condotta in modo estensivo. Il periodo preso in esame, che si estende dal XIII secolo al 1555 un limite, quello della caduta della Repubblica di Siena, assunto qui per motivi puramente di comodo intende offrire uno spaccato decisamente ampio sulle scelte legate alla sepoltura nella società senese del tempo. È altresì evidente che il patrimonio conservatosi a Siena e negli immediati dintorni è fortemente limitato dagli eventi storici che hanno in gran parte causato la scomparsa delle vestigia più antiche; già Montaigne, di passaggio a Siena verso il 1581, osservava che a Montalcino si era verificata la totale distruzione delle tombe dei francesi ad opera degli spagnoli; e Giovann Antonio Pecci, nel 1730, pensò bene di trascrivere tutte le epigrafi esistenti nella città per preservarne la memoria di fronte alle devastazioni operate dal tempo e dall uomo. Molteplici sono i motivi di simili perdite: le intemperie, i terremoti, il calpestio, i rinnovamenti degli edifici sacri motivati dalle modificazioni della liturgia e del gusto, le distruzioni volontarie in forma di damnatio memoriae; non ultima, come affermava il Pecci, la perdita può essersi verificata (chi sa) o per malizia, o per ignoranza. Ciò che resta, unito allo studio almeno parziale di ciò che non è più esistente ma è tramandato dalle fonti, è l oggetto di questo lavoro; il quale tuttavia non ha certo alcuna pretesa di esaustività, né di pronunciare l ultima parola sull argomento. Anzi intende porsi come base per ulteriori sviluppi degli studi, e lascia del tutto aperte alcune vie di indagine qui solo accennate: innanzitutto l analisi dei rapporti tra tipologie sepolcrali e status sociale dei defunti, in secondo luogo una più accurata indagine sulle disposizioni legislative relative all istituto della sepoltura, sulla produzione testamentaria e su quella epigrafica. Prendiamo in esame il primo punto. La vastità del campo di indagine che si è prefissato questo studio permette di offrire uno spaccato abbastanza ampio della condizione sociale dei defunti senesi in relazione alle loro scelte in merito alla sepoltura. Ne emerge che il genere più semplice di tomba, la lastra epigrafica con o senza arma familiare, è stata adottata da numerose categorie sociali differenziate, dagli artigiani ai vescovi e cavalieri. Tuttavia non si deve pensare che il ceto popolare, nella sua accezione più ampia, accedesse ad una simile sepoltura personalizzata, perché gli artigiani

3 in questione avevano per lo meno avuto accesso alle corporazioni maggiori della città e spesso vantavano un riseduto in Concistoro; erano dei parvenus, dunque, ma pur sempre distinti dal popolo minuto, che non poteva aspirare a qualcosa di più di una fossa comune e indistinta. Sorge allora spontanea un altra riflessione: perché i personaggi di rango o di lignaggio più alto accettavano una così semplice sepoltura, accomunandosi di conseguenza ai ceti mediani? Non credo che si possa dare una risposta univoca e sicura; in parte può dipendere da motivi concreti (il limitato onere finanziario), in altri casi può derivare da una consapevole scelta di umiltà. Certo la lapide del vescovo Giovanni Agazzari, situata nel pavimento del Duomo e priva di qualsiasi superfluo motivo ornamentale, non trova confronto con il magnifico monumento parietale del cardinal Petroni e neppure con la preziosa lastra bronzea che reca l effigie del vescovo Pecci; tuttavia l Agazzari ha preferito una tomba personalizzata rispetto al sepolcro comune dei vescovi di Siena, menzionato dalle fonti fin dal XII secolo. Un elemento personalistico ben più radicale interviene appunto nelle lastre terragne con la raffigurazione del gisant. Nella scelta di questa tipologia, a Siena, risulta schiacciante la presenza di personaggi del clero o affini, come i rettori delle istituzioni religiose; seguono i cavalieri e i milites, mentre è attestata dalle fonti la presenza di una sola lastra trecentesca, ora perduta, appartenente ad un mercante. Ben più complessa risulta l analisi dettagliata della corrispondenza tra sepolcri monumentali e ceti sociali, anche perché in molti casi non resta alcuna epigrafe che possa chiarire a chi appartenne un dato monumento. Giova ribadire una fondamentale distinzione già osservata dagli studiosi in merito alle tombe maggiori del tardo XIII e della prima metà del XIV secolo: almeno inizialmente la presenza dell effigie scultorea del defunto pertiene alle sole tombe dei membri dell alto clero; al contrario le sepolture dei laici non ammettono questo elemento. Ciò autorizza a credere che almeno alcuni degli arcosoli o dei sepolcri a baldacchino presenti o ricordati un tempo nelle chiese senesi ne restano tre in S. Cristoforo, e ne sono attestati in S. Pietro in Banchi, in S. Domenico, in S. Francesco, in S. Pietro alla Magione potessero essere destinati a laici. L ipotesi trova conferma nella presenza dei resti di un sarcofago a cassa, murati presso la chiesa di S. Francesco; l epigrafe ad essi pertinente chiarisce che vi era stata inumata Imiglia dei Tolomei moglie di Lapo di Gherardino dei Cerchi. L esistenza di un sepolcro di prestigio destinato ad una donna non è elemento da sottovalutare; si tratta anzi di una vera e propria rarità, non solo a Siena ma in tutta la Toscana. Generalmente infatti le donne venivano inumate nei sepolcri comuni familiari di solito intestati al pater familias o in quello del marito; il loro nome solitamente non figurava affatto, o al massimo era citato a fianco di quello del consorte. In altri casi venivano eretti dalla famiglia dei sepolcri mulierum, per tutte le donne della casata in modo indistinto. Queste usanze si perpetuano

4 anche nel XV secolo, sebbene si cominci a registrare una maggiore attenzione nei confronti dell universo femminile; ne è testimonianza l epitaffio in rima composto dal poeta Vittore da Campagnatico per sua moglie Antonia. Resta a Siena, inoltre, una lapide terragna quattrocentesca con un effigie di giovane donna, purtroppo anonima e dimenticata dalle fonti. Ancora in questo secolo si colloca il ritratto funebre di Vittoria Forteguerri, madre di Pio II Piccolomini, celebrata insieme al marito in un fastoso monumento parietale ormai distrutto. La serie dei sepolcri destinati a personaggi di sesso femminile si conclude, ai limiti del periodo qui esaminato, con il notevole sarcofago della giovane Celia Petrucci, eseguito nel 1557: forse l unico di una tale imponenza in tutto il Cinquecento senese. È un dato di fatto che nella prima metà del XV secolo si registra a Siena una certa carenza di sepolcri monumentali e perfino di lastre terragne con l effigie del defunto. Ciò si spiega in parte con le perdite, ma non è motivo sufficiente; dall analisi delle fonti emerge con chiarezza un attenuarsi delle imprese maggiori. Il Munman ha cercato di spiegare questa situazione facendo appello a vari fattori, in primo luogo il costo elevato di tali manufatti. E in effetti questa può essere stata la ragione che spinse gli eredi del Sozzini a non completare ed installare un monumento in onore del giurista. Poi il Munman azzarda l ipotesi che l assenza di una salda tradizione di monumenti funebri maggiori nel Trecento senese sia alla base di una analoga rarefazione di opere monumentali in epoca rinascimentale; lo studioso rammenta infatti soltanto l esistenza della tomba Petroni, di quella di Niccolò Aringhieri e dei frammenti presenti in S. Francesco. Tuttavia il panorama senese non è rappresentato da questi unici esempi; è anzi possibile provare l esistenza, in tempi remoti, di diversi altri sepolcri monumentali grazie ai frammenti che se ne sono conservati. È il caso dei pannelli di sarcofago presenti nella Pinacoteca Nazionale, forse provenienti da un sepolcro parietale un tempo eretto nel Duomo; degli angeli reggicortina appartenuti ad un altro monumento, ugualmente conservati nella Pinacoteca; del sepolcro di Guglielmo di Ciliano, fuso arbitrariamente con i resti di quello dell Aringhieri; degli altri due pannelli sicuramente provenienti da tombe di dottori dello Studio senese, i cui calchi sono conservati in S. Domenico. Un altra possibile motivazione addotta dal Munman concerne la scarsa presenza di cittadini appartenenti ad una élite umanistica e politica, a differenza dal caso fiorentino. Può darsi che ciò non sia lontano dal vero; in effetti una reale penetrazione della mentalità umanistica a Siena, con tutto ciò che ne consegue sul fronte della letteratura, delle arti figurative e dei costumi sociali, si attua solo con l ascesa al soglio pontificio di Enea Silvio Piccolomini. È un dato di fatto che gran parte delle tombe terragne con l effigie del giacente prodotte a Siena si collochino nei decenni a partire dagli anni Sessanta del XV secolo e che siano quasi immancabilmente destinate a personaggi legati alla corte pontificia. Ed è proprio in questi anni che ricompaiono nella città i sepolcri parietali

5 monumentali, di nuovo in connessione con l entourage papale: sia quello dei genitori di Pio II, che quelli di Cristoforo Felici, Tommaso del Testa Piccolomini e Giovan Battista Tondi. Questi ultimi meritano inoltre una precisazione. La loro struttura costituisce una novità introdotta a Siena forse su un idea di Donatello, e cioè la struttura a camera funebre pensile prospettica. Essa procede tuttavia direttamente dalle strutture a lectus funebris dei sepolcri parietali trecenteschi, di cui costituisce in definitiva la riduzione prospettica in piano, in una sorta di trompe-l oeil. Quando il Munman arriva ad affermare che, per l arte funeraria senese, non si può parlare di sviluppo nel senso comune del termine, data la natura episodica e isolata dei resti, compie forse un eccessiva semplificazione nei confronti della realtà artistica locale. Piuttosto, può avere una sua validità l ipotesi, avanzata dallo studioso in merito alla penuria di opere maggiori, basata sull osservazione delle pratiche devozionali di professa umiltà dei ceti alti senesi in quell epoca, che si rispecchiano anche nei coevi statuti sulle leggi suntuarie. Un campo questo che meriterebbe un indagine più approfondita. Veniamo dunque all articolazione del lavoro. Il primo capitolo prende in esame rapidamente la storia dell istituto della sepoltura ecclesiastica dalle origini del cristianesimo al Medioevo, sulla base delle disposizioni emerse in ambito conciliare e di altre episodiche testimonianze. Di fatto non è mai esistita una legislazione ufficiale, ma solo una serie di disposizioni o proibizioni particolari in merito al diritto di sepoltura, ai luoghi, alle forme. Il caso senese assume una sua fisionomia in epoca altomedievale ma soprattutto nel corso del XII-XIII secolo, quando la documentazione scritta permette di abbozzare un quadro particolare delle usanze cittadine. Dal XIII secolo si affianca all analisi dei documenti scritti (Ordo officiorum, Consituto, produzione testamentaria, cronache) anche quella dei reperti materiali. Può quindi avere inizio lo studio vero e proprio delle tipologie sepolcrali, le quali sono state qui suddivise, per maggiore chiarezza, in tre categorie: lapidi epigrafiche, lastre terragne con il giacente, monumenti complessi. La disamina delle varie tipologie è seguita da un brevissimo capitolo sull evoluzione dell araldica senese precipuamente riferita alle armi che compaiono sulle tombe. La tesi è completata da una schedatura estensiva di tutti i pezzi rimasti, suddivisa nelle tre categorie e ordinata in base ad un criterio cronologico. È necessario precisare che questo lavoro si è incentrato sui resti di sepolcri marmorei e bronzei, cioè su lapidi e monumenti; il campo non è stato ampliato nella direzione dei dipinti funerari, la cui definizione effettiva trova seri ostacoli, dato che gran parte degli affreschi e delle tavole presenti nelle chiese medievali costituivano commissioni pro remedio animae. Di conseguenza sono state escluse dalla trattazione anche alcune pitture murali che sicuramente integravano l ornamentazione di sepolcri: è il caso dell affresco trecentesco proveniente dal chiostro di S. Domenico raffigurante un cavaliere inginocchiato ai piedi della Vergine col Bambino, nel tipico atto della commendatio

6 animae desunto dal retaggio paleocristiano. E ancora, la lunetta trecentesca di una sepoltura presente nell ex cimitero di S. Pietro alla Magione, di analogo soggetto. Per gli stessi motivi non vengono esaminate le cappelle funerarie, analizzabili soltanto in maniera monografica.

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