Titolo originale: 2016 Edizioni Angelo Guerini e Associati SpA via Comelico, Milano

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2 Titolo originale: Traduzione di Teresa Pullano Il saggio «Il rescaling urbano» è tradotto da Massimiliano Guareschi Il saggio «La glocalizzazione come strategia spaziale dello stato» è tradotto da Barbara Racah 2016 Edizioni Angelo Guerini e Associati SpA via Comelico, Milano info@guerini.it Prima edizione: Ristampa: v iv iii ii i Copertina di Printed in Italy ISBN Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla siae del compenso previsto dall art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da clearedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riprodu zioni Editoriali, Corso di Porta Romana 108, Milano, autorizzazioni@clearedi.org e sito web

3 Neil Brenner STATO, SPAZIO, URBANIZZAZIONE PLANETARIA introduzione di Teresa Pullano GUERINI E ASSOCIATI

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5 Indice 00 Introduzione di Teresa Pullano 00 Cos è la teoria critica urbana? Parte prima. La ristrutturazione scalare dei processi urbani 00 Il rescaling urbano 00 La «glocalizzazione» come strategia spaziale statuale Parte seconda. L esplosione dell urbano 00 Tesi sull urbanizzazione 00 Pensare lo spazio urbano senza fuori 00 L hinterland, urbanizzato? 00 Epilogo Il potere della progettazione nell «era urbana» dialogo tra Neil Brenner e Daniel Ibañez

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7 Introduzione di Teresa Pullano La riconfigurazione dello spazio è al centro dei processi urbani, politici ed economici contemporanei, in Europa così come su scala globale. Spesso pero discutere di città, di era urbana o di deterritorializzazione/riterritorializzazione degli Stati su scala regionale o continentale, come nel caso dell Europa, può servire a mascherare, anziché a rivelare, questo processo. E questo perché diamo per scontato che Parigi, New York, Pechino ecc. siano quello che si deve intendere con «città», ovvero dei luoghi definiti nei quali si contano popolazione, servizi e infrastrutture. Così come diamo per certo che il territorio di uno Stato è determinato dai suoi confini e dallo spazio all interno del quale la politica e la società agiscono e si muovono. I testi raccolti in questo volume demoliscono questi assunti, ai quali troppo spesso non si presta attenzione né nella vita quotidiana né, purtroppo, nel dibattito accademico. Il lavoro di Neil Brenner, sociologo e professore di urban theory della Harvard University, è tra i più innovativi e importanti contributi alla comprensione delle dinamiche di ricomposizione dello spazio (o spatial turn) nell epoca globale. Nei testi qui raccolti, Brenner propone di pensare la città contemporanea a partire dai nodi operazionali, quali gli interscambi funzionali tra città e

8 8 Stato, spazio, urbanizzazione urbana hinterland, e dai legami che essa intrattiene con gli spazi periferici, come gli hinterland, e le zone rurali. Si tratta di comprendere la città a partire dal punto cieco, da quella parte del quadro che non si vede ma che rende possibile la rappresentazione del soggetto principale. Allo stesso modo, lo spazio, il territorio, la scala geografica di una regione, di una nazione o di un continente non sono mai già dati, ma sono prodotti da strategie statuali, da relazioni economiche così come da rapporti sociali che rendono questo stesso spazio possibile. Questa «rivoluzione copernicana» nell interpretare la centralità dello spazio nel mondo contemporaneo è il principale apporto scientifico dei testi di Brenner qui tradotti. Ma la riflessione del sociologo americano comprende anche molti altri aspetti, che toccano un pubblico che va al di là dei campi specifici degli studi urbani. La riflessione di Brenner sull urbano si nutre di una grande attenzione e precisione teoretica: l obiettivo è quello di contribuire a rinnovare la grammatica teorica del pensiero critico contemporaneo, attraverso una riflessione sulle forme del potere e sull articolazione tra teoria e prassi, così come sulle conseguenze che la ridefinizione di questa relazione ha sull epistemologia delle scienze sociali contemporanee. Il testo che apre la raccolta, «Cos è la teoria critica urbana?», è in questo senso programmatico. Brenner mette in relazione quella che definisce, per l appunto, «teoria critica urbana», con la teoria critica e l eredità della Scuola di Francoforte. Come scrive Brenner, «la teoria critica urbana enfatizza il carattere politicamente e ideologicamente mediato, socialmente contestato e quindi malleabile dello spazio urbano ovvero, la sua continua ricostruzione come il luogo, il mezzo e il risultato di relazioni di potere e sociali storicamente contingenti». Mettere in luce il modo in cui il discorso scientifico, e quindi anche

9 Introduzione 9 accademico, permette di riprodurre relazioni di potere è uno dei primi passi per aprire altri orizzonti di possibilità nella pratica. La contingenza storica dei processi economici, sociali e politici è uno dei punti chiave di ogni teoria critica, e Brenner se ne appropria per ricontestualizzare la città e i fenomeni urbani, che sono invece presentati dal discorso dominante come immutabili e già dati. Il riferimento centrale, da questo punto di vista, è al lavoro di Herbert Marcuse e al testo, ormai classico, L uomo a una dimensione. Per Marcuse, il compito della teoria critica è quello di mettere in luce le contraddizioni delle relazioni sociali esistenti per rendere possibili delle alternative emancipatrici che sono, tuttavia, già latenti all interno della congiuntura presente. Per Brenner, la teoria critica urbana è oggi uno dei campi essenziali in cui si traduce il programma della Scuola di Francoforte: questo perché l urbanizzazione contemporanea è generalizzata, ovvero essa è uno snodo centrale del capitalismo avanzato e si estende su scala planetaria, ben al di là della divisione tra città e campagna. Il tessuto urbano ineguale e il suo legame con il sistema capitalista non possono oggi essere ignorati da chiunque voglia portare avanti un programma di teoria critica proprio per la loro centralità sia teorica che empirica. Brenner si richiama infatti all analisi di Negri e Hardt, che vedono nella metropoli urbana e nelle lotte per il diritto alla città l equivalente del ruolo che la fabbrica ha svolto per l operaismo classico, ovvero un incubatore delle lotte sociali e delle possibilità trasformative del sistema capitalista stesso. Uno degli aspetti più creativi del lavoro di Brenner è l uso che fa della teoria: egli rivendica il carattere astratto della propria analisi, in linea con il programma della Scuola di Francoforte. Si tratta di qualcosa di piuttosto rivoluzionario nel panorama delle scienze sociali contem-

10 10 Stato, spazio, urbanizzazione urbana sono? poranee, nelle quali i lavori empirici sono spesso dominanti. Nell intervista che chiude il volume, «Il potere della progettazione nell era urbana», Brenner racconta come il confronto con le forme di sociologia urbana basate sull azione e sui dati empirici sia stato essenziale per rafforzare il suo sguardo analitico e per riuscire a spiegare perché la teoria fosse così importante. Teoria e pratica non solo slegate l una dall altra nel suo approccio, al contrario: ogni analisi dei dati concreti deve partire da una riflessione sulle categorie che si presuppongono, così come sul modo in cui il contesto e la storia producono le condizioni di possibilità dei fenomeni empirici, dei concetti usati per interpretarli, e delle possibili azioni trasformative. L impegno teorico si traduce quindi anche in impegno politico per il sociologo americano: la critica dell ideologia urbana, ovvero la rielaborazione dei concetti con cui leggiamo lo spazio e le relazioni sociali che lo costituiscono, è l unico strumento attraverso il quale sia possibile liberare l azione, per esempio dei movimenti sociali, e aprire la strada ad alternative concrete. Brenner elabora e sperimenta il proprio linguaggio teorico su terreni diversi dell esperienza urbana, dal livello macro, delle politiche continentali e statuali dello spazio, al livello meso, della città e delle infrastrutture che la costituiscono. In entrambi i casi, ridefinisce i concetti centrali di questi ambiti di ricerca, ovvero quello di scala e quello di città. Il processo di regionalizzazione e riqualificazione scalare in corso nell Europa occidentale dagli anni Settanta a oggi viene così letto come la produzione, da parte dello Stato, di relazioni economiche, sociali e politiche che si traducono in spazi qualitativamente diversi. Il tema dei saggi raccolti nella seconda parte del libro è la necessità di ripensare il concetto di urbano al di là della reificazione che lo identifica con gli agglomerati si riferisce ai tre saggi della Parte seconda?

11 Introduzione 11 che definiamo comunemente «città». I testi qui raccolti illustrano la varietà del lavoro di Brenner, e al contempo fanno dialogare il tema dello spazio statuale come territorio insieme a quello delle strategie spaziali degli Stati dell Europa occidentale nell epoca neoliberista, conducendo alla necessità di analizzare lo spazio urbano come spazio multiscalare, processuale e a morfologia variabile. L importanza di proporre al pubblico italiano questi testi, ad oggi pubblicati su diverse riviste scientifiche, risiede nella loro natura da un lato ormai classica, dato il riconoscimento internazionale di cui gode la riflessione di Brenner, e al contempo originale e innovativa. Negli scritti che compongono la prima parte del libro, Brenner propone una lettura del cambiamento delle politiche della governance urbana nell Europa occidentale dagli anni Settanta ad oggi come parte di una più ampia riorganizzazione della natura dello Stato europeo. Il processo di integrazione europea si associa infatti alla transizione dalle politiche di welfare urbano, che redistribuiscono le risorse all interno delle varie regioni di uno Stato, a politiche di competitività, che mirano invece a concentrare le risorse economiche e le infrastrutture nelle città e regioni più competitive nelle relazioni commerciali mondiali, nel quadro della crescente neoliberalizzazione delle politiche urbane. Queste dinamiche sono tuttavia guidate da e parte di un più ampio processo di ridefinizione della natura dello Stato europeo, e ne costituiscono una delle strategie di ristrutturazione spaziale. Il termine «Stati glocalizzati» risponde quindi a questa nuova tendenza di ristrutturazione della forma spaziale dello Stato. Brenner si fonda sulla teoria dello Stato del sociologo politico inglese Bob Jessop per fornire un lessico atto a descrivere la trasformazione della dimensione spaziale del potere statuale. La spazialità è definita come

12 12 Stato, spazio, urbanizzazione urbana la qualità allo stesso tempo costitutiva e contestata dello Stato, ed essa è quindi allo stesso tempo il terreno politico-istituzionale sul quale avvengono i conflitti tra le diverse forze sociali e l espressione delle strategie politiche selettive dal punto di vista della spazialità. Brenner, seguendo Jessop, distingue la forma, i progetti e le strategie spaziali dello Stato. La forma spaziale dello Stato europeo contemporaneo è debitrice della storia moderna, e quindi resta la territorialità: quest ultima, seppur continuamente attraversata dai flussi transnazionali di capitali, merci e forza lavoro, non scompare ma è precisamente al centro di processi di ristrutturazione. I progetti spaziali dello Stato definiscono la regolazione e la frammentazione del territorio come forma dello Stato, differenziando le attività statali su vari livelli di amministrazione territoriale. Le strategie spaziali statuali intervengono nelle geografie di accumulazione del capitale e nei conflitti politici. Le strategie di glocalizzazione e di competizione neoliberale, supportate dai progetti spaziali statuali, producono un gioco conflittuale tra livelli vecchi e nuovi della regolazione statuale e intensificano lo sviluppo ineguale degli Stati e delle regioni all interno del continente. Come sottolinea Brenner, questo nuovo regionalismo rappresenta un compromesso politico negoziato su scala europea, la cui efficacia economica è però dubbia. Il termine rescaling, affrontato nel testo dal titolo «Il rescaling urbano», riprende e sviluppa l intuizione del geografo francese Henri Lefebvre, uno degli autori su cui si fonda il lavoro di Brenner, secondo la quale il capitalismo ha sempre prodotto e trasformato lo spazio in modo storicamente contingente. Per questo, dallo spazio statuale nazionali siamo passati oggi a una relativizzazione della scala nazionale in favore di uno spazio «esploso», al contempo continentale, se non planetario, e localizzato in nodi

13 Introduzione 13 di infrastrutture che si sviluppano soprattutto attraverso politiche regionali. I testi che compongono la seconda parte del libro lanciano una sfida agli studi urbani contemporanei per oltrepassare il positivismo in cui la sociologia urbana è stata rinchiusa sin dai suoi inizi dai teorici della Scuola di Chicago. Come emerge chiaramente dal saggio «Tesi sull urbanizzazione», la corrispondenza tra il concetto di città e quelle che noi comunemente definiamo città, ovvero agglomerati urbani come Londra, Los Angeles, New York o Berlino, è discutibile, e soprattutto è fuorviante porre il concetto di città definito a partire da osservazioni empiriche quale concetto epistemologico chiave degli studi urbani. In particolare, ciò che Brenner contesta qui è la distinzione, spesso non analizzata a fondo, tra il dentro e il fuori della città. Lo spazio urbano è da pensare senza più un esterno, o senza un opposto, sia questo la campagna o zone scarsamente popolate, e questo a favore di un immagine variegata e multi-scalare delle condizioni urbane che si sviluppano con l intensificazione e l espansione mondiale del capitalismo. Il significato del termine «urbano» deve essere esso stesso fondamentalmente reimmaginato, sia nella teoria sia nella pratica. Questo perché l espansione degli agglomerati urbani nel mondo contemporaneo provoca al contempo un esplosione/implosione dello spazio urbano, ovvero «la produzione e la continua trasformazione di un tessuto urbano industriale in cui i centri di agglomerazione e i loro paesaggi operazionali sono legati l uno con l altro secondo modalità mutualmente trasformative, essendo al tempo stesso co-articolate in un sistema capitalistico mondiale» (Brenner). Pensare l urbano a partire dalla centralità degli spazi rurali permette di ribaltare la centralità che larga parte

14 14 Stato, spazio, urbanizzazione urbana delle scienze sociali occidentali, da Weber in poi, ha attribuito allo sviluppo della città occidentale, intesa in senso tradizionale, e alla sua esportazione nel resto del mondo. La città non è più il centro della civilità e il motore dell emancipazione politica e dello sviluppo economico. Brenner sposta lo sguardo altrove: negli spazi, come l hinterland o le campagne, o, potremmo aggiungere, seguendo Lefebvre, come i continenti del Sud del mondo, oggetto della colonizzazione, anche urbana, dell Occidente, si ritrova invece l origine dello sviluppo urbano. La dimensione inegualitaria dell appropriazione delle risorse da parte dei centri urbani fa parte dell asimmetria che definisce, in fondo, le relazioni urbane come relazioni di potere. Solo da qui è possibile pensare il passaggio dal potere, subito, alla politica, agita.

15 Cos è la teoria critica urbana? Che cosa s intende per «teoria critica urbana»? Quest espressione è solitamente usata per fare riferimen to in modo sintetico ai lavori degli studiosi di sinistra o radicali attivi nel periodo post-1968 si tratta, per esempio, di Henri Lefebvre, David Harvey, Manuel Castells, Peter Marcuse e di un folto gruppo di altri autori che ne sono stati ispirati o influenzati (Katznelson, 1993; Merrifield, 2002). La teoria critica urbana rifiuta le divisioni disciplinari tradizionali e i paradigmi statuali, tecnocratici e guidati o orientati dall idea di mercato. In questo senso, si differenzia in modo essenziale da quella che si potrebbe chiamare teoria urbana convenzionale si pensi agli approcci ereditati dalla Scuola di Chicago di sociologia urbana, o a quelli sviluppati all interno dei paradigmi tecnocratici e neoliberisti propri delle correnti dominanti le scienze politiche. Piuttosto che sostenere che la condizione attuale delle città sia espressione di leggi trans-storiche di organizzazione sociale, di razionalità burocratica o di efficienza economica, la teoria critica urbana enfatizza il carattere politicamente e ideologicamente mediato, socialmente contestato e quindi malleabile dello spazio urbano ovvero, la sua continua ricostruzione come il luogo, il mezzo e il risultato di relazioni di potere e so-

16 16 Stato, spazio, urbanizzazione urbana ciali storicamente contingenti. Per questi motivi, la teoria critica urbana è fondata su relazioni antagoniste non solo rispetto alle epistemologie urbane classiche, ma, più in generale, rispetto alle formazioni urbane esistenti. La teoria critica pensa che altre forme di urbanizzazione, più egualitarie e più democratiche, sono possibili, anche se queste possibilità sono attualmente soppresse dagli assetti istituzionali, dalle pratiche e dalle ideologie dominanti. In breve, la teoria critica urbana implica la critica dell ideologia (incluse le ideologie sociali-scientifiche) e la critica del potere, dell ineguaglianza, dell ingiustizia e dello sfruttamento, al contempo all interno e tra le città. Tuttavia, le nozioni di critica, e più specificatamente di teoria critica, non sono solo termini descrittivi. Hanno un determinato contenuto sociale-teorico che deriva da varie correnti della filosofia politica illuminista e post-illuminista, tra cui i lavori di Hegel, di Marx e della tradizione marxista occidentale (Koselleck, 1972; Postone, 1993; Calhoun, 1995). Inoltre, lo sguardo della teoria critica sociale si è evoluto in modo significativo nel corso degli ultimi due secoli di sviluppo capitalista (Therborn, 1996). Data l agenda politica e intellettuale di questo numero di City 1, vale la pena riprendere alcuni degli argomenti chiave sviluppati nelle tradizioni menzionate in precedenza, in particolare in quella della Scuola di Francoforte, che costituisce un punto di riferimento cruciale, anche se spesso implicito, per il lavoro degli urbanisti critici contemporanei. Una delle questioni principali è quella della specificità storica di tutti gli approcci di teoria critica, siano essi urbani o no. Il lavoro di Marx e della Scuola di Francoforte è emerso durante le fasi preceden- 1 Rivista sulla quale questo saggio è stato pubblicato nella versione originale. [N.d.T.]

17 Cos è la teoria critica urbana? 17 ti del capitalismo rispettivamente quella competitiva (dalla metà alla fine del xix secolo) e quella fordista-keynesiana (dalla metà del xx secolo) che sono ormai state sorpassate dal movimento in avanti, senza sosta, di distruzione creatrice, dello sviluppo capitalista (Postone, 1992, 1993, 1999). Uno dei problemi principali di oggi, tuttavia, è quello di come le condizioni di possibilità della teoria critica siano cambiate all inizio del xxi secolo, nel contesto di una fase del capitalismo sempre più globalizzata, neoliberista e finanziarizzata (Therborn, 2008). Queste considerazioni ci conducono direttamente allo spinoso problema di come posizionare le questioni urbane all interno del più vasto progetto della teoria critica sociale. A parte la significativa eccezione dei Passagen- Werk di Walter Benjamin, nessuna delle principali figure associate alla Scuola di Francoforte ha prestato molta attenzione ai temi urbani. Per essi, la teoria critica includeva la critica della mercificazione, dello Stato e della legge, incluse le loro mediazioni attraverso, ad esempio, le strutture familiari, le forme culturali e le dinamiche socio-psicologiche (Jay, 1979; Kellner, 1989; Wiggershaus, 1992). Quest orientamento era plausibile durante le fasi competitiva e fordista-keynesiana dello sviluppo capitalista, in quanto i processi di urbanizzazione erano in generale visti come un espressione spaziale diretta di altre forze sociali ritenute più importanti, come l industrializzazione, la lotta di classe e la regolazione statale. La tesi che espongo nei paragrafi successivi è che quest orientamento non è più giustificabile all inizio del xxi secolo, nel momento in cui assistiamo a niente di meno che l urbanizzazione del mondo la «rivoluzione urbana» anticipata circa quattro decadi fa da Henri Lefebvre (1973). In condizioni di urbanizzazione planetaria sempre più generalizzata (Lefebvre, 1973; Schmid, 2005; Soja, Kanai, del? decenni?

18 18 Stato, spazio, urbanizzazione urbana 2007), il progetto della teoria critica sociale e quello della teoria critica urbana sono interdipendenti come mai prima. Critica e teoria critica L idea moderna della critica deriva dall Illuminismo ed è stata sviluppata in modo sistematico in particolare nei lavori di Kant, di Hegel e della Sinistra hegeliana (Marcuse, 1965; Habermas, 1973; Jay, 1979; Calhoun, 1995; Therborn, 1996). Ma quest idea ha assunto un nuovo significato nel lavoro di Marx, con lo sviluppo della nozione di critica dell economia politica (Postone, 1993). Per Marx, la critica dell economia politica implicava, da una parte, una forma di Ideologiekritik, un disvelamento dei miti, dei processi di reificazione e delle antinomie, storicamente specifiche, che pervadono le forme borghesi del sapere. Di grande rilievo è per Marx il fatto che la critica dell economia politica sia da intendersi non solo come critica delle idee e dei discorsi sul capitalismo, ma come una critica del capitalismo tout court, e come un contributo allo sforzo di trascenderlo. In questa concezione dialettica, un compito centrale della critica è quello di rivelare le contraddizioni presenti all interno di quell insieme sociale storicamente specifico formato dal capitalismo.quest approccio alla critica ha diverse, importanti, funzioni. Per prima cosa, espone le forme di potere, di esclusione, di ingiustizia, di ineguaglianza che caratterizzano le formazioni sociali capitaliste. In secondo luogo, per Marx la critica dell economia politica ha come scopo quello di illuminare il panorama delle lotte socio-politiche esistenti ed emergenti: la critica mette in relazione i discorsi ideologici della sfera politica con gli antagonismi di classe sotto-

19 Cos è la teoria critica urbana? 19 stanti e le forze sociali presenti all interno della società borghese. Ancora più essenziale forse è il fatto che Marx ha pensato la critica come un mezzo per esplorare, sia in teoria che in pratica, la possibilità di creare alternative al capitalismo. La critica dell economia politica serve quindi a dimostrare come le contraddizioni del capitalismo allo stesso tempo indeboliscono il sistema e tendono verso altre forme di organizzazione delle forze sociali e delle relazioni società/natura. Durante il corso del xx secolo, la critica dell economia politica è stata appropriata da diverse tradizioni dell analisi sociale critica, inclusi il marxismo tradizionale della Seconda Internazionale (Kolakowski, 1981) e le correnti alternative del pensiero radicale associate con il marxismo occidentale (Jay, 1986). Tuttavia, è stato all interno della teoria sociale critica della Scuola di Francoforte che il concetto di critica è stato esplorato in modo sistematico come un problema metodologico, teorico e politico. Nel trattare questo problema, le figure principali della Scuola di Francoforte hanno sviluppato un programma di ricerca innovativo e sovversivo sia dal punto di vista intellettuale che da quello politico. Il loro programma riguardava l economia politica, le dinamiche socio-psicologiche e le tendenze evolutive così come le contraddizioni interne del capitalismo moderno (Bronner, Kellner, 1989; Arato, Gebhardt, 1990; Wiggershaus, 1992). Il termine «teoria critica» è stato introdotto da Max Horkheimer (1982 [1937]) mentre scriveva in esilio a New York nel Il concetto è stato in seguito sviluppato ed esteso dai suoi colleghi Theodor Adorno e Herbert Marcuse, e poi, in direzioni diverse, da Jürgen Habermas, fino agli anni Ottanta del Novecento. Nella concezione della Scuola di Francoforte, la teoria critica rappresentava una rottura decisiva rispetto alle forme ortodosse

20 20 Stato, spazio, urbanizzazione urbana dell industria? del marxismo che erano prevalse durante la Seconda Internazionale, con la sua ontologia del lavoro e la sua invocazione della lotta di classe proletaria come base privilegiata per la trasformazione sociale in condizioni capitaliste. Inoltre, durante la metà del xx secolo, la Scuola di Francoforte era animata da altre questioni specifiche incluse la critica del fascismo in Germania e altrove; la critica della tecnologia e del consumismo di massa e l industria culturale durante il capitalismo del dopoguerra in Europa e negli Stati Uniti; e, in particolare, nell ultima fase del lavoro di Herbert Marcuse, la critica delle possibilità soppresse di emancipazione umana latenti negli assetti istituzionali esistenti. La nozione di teoria critica della Scuola di Francoforte era stata elaborata inizialmente come concetto epistemologico. Nel testo classico di Horkheimer del 1937, «Teoria tradizionale e teoria critica», il concetto di teoria critica serviva a distinguere un alternativa agli approcci positivisti e tecnocratici della scienza sociale e della filosofia borghese (Horkheimer, 1982 [1937], pp ). Adorno porta avanti questa linea di analisi negli anni Sessanta, nella Positivismusstrei (disputa sul positivismo) con Karl Popper (Adorno et al., 1976), e quindi in una forma totalmente diversa nei suoi scritti filosofici sulla dialettica e sulla teoria estetica (per una raccolta, si veda O Connor, 2000). La nozione di teoria critica è stata sviluppata in una direzione diversa da Habermas nel suo dibattito con Niklas Luhmann sulla tecnocrazia all inizio degli anni Settanta (Habermas, Luhmann, 1971), e quindi in un modo più elaborato e maturo nella sua opera principale, La teoria dell agire comunicativo, a metà degli anni Ottanta (Habermas, 1987). La visione più politica della teoria critica è quella presentata da Herbert Marcuse a metà degli anni Sessanta,

21 Cos è la teoria critica urbana? 21 in particolare nel suo testo classico, L uomo a una dimensione. Per Marcuse, la teoria critica implicava una critica immanente della società capitalista nella sua forma corrente: si preoccupa, insiste Marcuse, con «le alternative storiche che assillano la società costituita come tendenze e forze sovversive» (Marcuse, 1964, pp ; corsivo dell autore). Vi è quindi una relazione diretta tra il progetto di Marcuse e gli aspetti centrali della critica originale di Marx dell economia politica la ricerca di alternative per l emancipazione latenti all interno della congiuntura presente, date dalle contraddizioni delle relazioni sociali esistenti (come enfatizzato in modo sistematico da Postone, 1993). delle? Elementi chiave per una teoria critica: quattro proposizioni? Vi sono, è chiaro, profonde differenze epistemologiche, metodologiche, politiche e di contenuto, fra scrittori come Horkheimer, Adorno, Marcuse e Habermas. Tuttavia, è legittimo sostenere che i loro scritti elaborano, in modo collettivo, una concezionale centrale e di fondo di teoria critica (per una lettura alternativa ma compatibile, si veda Calhoun, 1995). Quest idea può riassumersi con quattro proposizioni centrali: la teoria critica è teoria; è riflessiva; implica una critica della ragione strumentale; si concentra sulla disgiunta tra l attuale e il possibile. Queste proposizioni dovrebbero essere comprese come legate in modo indivisibile e come mutualmente costitutive; il pieno significato di ognuna si dà solo in relazione alle altre (figura 1).

22 22 Stato, spazio, urbanizzazione urbana La teoria critica è teoria All interno della Scuola di Francoforte, la teoria critica è sfrontatamente astratta. Si caratterizza a partire da riflessioni epistemologiche e filosofiche; per lo sviluppo di concetti formali, di generalizzazioni di tendenze storiche, di modi deduttivi e induttivi di argomentare, e per diverse forme di analisi storica. È anche possibile che si sviluppi a partire da ricerche concrete, ovvero a partire da una base di evidenza empirica, organizzate sia attraverso metodi critici che tradizionali. Come scrive Marcuse (1964, p. 9): «Al fine di identificare e definire le possibilità esistenti per uno sviluppo ottimale, la teoria critica deve astrarre dal modo in cui esse sono organizzate e utilizzate al presente, nonché dai risultati di questo modo di organizzarle ed utilizzarle». In questo senso si può parlare di teoria. La teoria critica quindi non si intende come una formula che debba servire per un cambiamento sociale specifico; non è una mappa strategica per una trasformazione politica; e non è una serie di «linee guida» per i movimenti sociali. Potrebbe a dire il vero dovrebbe trovare mediazioni con il regno della prassi, ed è pensata esplicitamente per condizionare la prospettiva strategica degli attori sociali e politici progressisti, radicali o rivoluzionari. Ma, allo stesso tempo, e questo è un punto essenziale, la concezione di teoria critica della Scuola di Francoforte si concentra su un momento di astrazione che è analiticamente precedente alla famosa domanda leninista del «Che fare?». La teoria critica è riflessiva Dalla tradizione della Scuola di Francoforte, la teoria è intesa come al contempo resa possibile, e orientata a, da?

23 Cos è la teoria critica urbana? 23 forma? condizioni e contesti storici precisi. Questa visione ha almeno due implicazioni centrali. Innanzitutto, la teoria critica implica il rifiuto totale di ogni punto di vista positivistico, trascendentale, metafisico o altro che dice di essere capace di mettersi «al di fuori» delle coordinate spazio-temporali della storia e specifiche a un dato contesto. Tutte le scienze sociali, inclusa la teoria critica, sono immerse nella dialettica del cambiamento sociale e storico; sono dunque intrinsecamente, endemicamente, contestuali. In secondo luogo, la teoria critica della Scuola di Francoforte trascende la preoccupazione ermeneutica generica per il carattere situato del sapere. Si concentra, più in particolare, sulla questione di come forme di sapere, di soggettività e di consapevolezza antagoniste, in opposizione, possano emergere all interno di una formazione storico-sociale data. I teorici critici affrontano questo problema enfatizzando il carattere contraddittorio, frastagliato e ricco di tensioni del capitalismo come insieme sociale. Se quest insieme fosse chiuso, non-contraddittorio o completo, non ci sarebbe alcuna coscienza critica di esso; non ci sarebbe bisogno di una critica; e infatti, ogni critica sarebbe strutturalmente impossibile. La critica emerge precisamente da una società in conflitto con se stessa, ovvero dal fatto che il suo modo di sviluppo è contraddittorio. In tal senso, i teorici critici si preoccupano non solo di situare se stessi e la loro agenda di ricerca all interno dell evoluzione storica del capitalismo moderno. Di eguale importanza è per loro comprendere quali sono le caratteristiche del capitalismo moderno che rendono possibile la loro, e le altre, forme di consapevolezza critica.

24 24 Stato, spazio, urbanizzazione urbana La teoria critica implica la critica della ragione strumentale Come è ormai ben noto, i teorici critici della Scuola di Francoforte hanno sviluppato una critica della ragione strumentale (analizzata in modo ampio da Habermas, 1987). Basandosi sugli scritti di Max Weber, hanno contestato la generalizzazione di una razionalità mezzi-fini orientata verso il razionale-finalizzato (Zweckrationale), una relazione efficiente di fini e mezzi, senza domande sui fini stessi. Questa critica ha avuto implicazioni per vari ambiti dell organizzazione industriale, della tecnologia e dell amministrazione, ma in particolare i teorici della Scuola di Francoforte l hanno applicata anche all ambito delle scienze sociali. In questo senso, la teoria critica comprende il deciso rifiuto dei modelli strumentali di sapere scientifico sociale ovvero, quelli volti a rendere gli assetti istituzionali esistenti più efficienti ed efficaci, per manipolare e dominare il mondo fisico e sociale, e quindi per supportare le forme di potere esistenti. Al contrario, i teorici critici hanno preteso di mettere in questione le finalità del sapere, e quindi un impegno esplicito sulle questioni normative. In modo coerente con il loro approccio storicamente riflessivo alle scienze sociali, gli esponenti della Scuola di Francoforte hanno sostenuto la tesi che la teoria critica deve rendere esplicite le sue preferenze pratico-politiche e normative, piuttosto che sposare una visione ristretta e tecnocratica. I modi di conoscenza strumentale presuppongono necessariamente la propria separazione dall oggetto della riflessione. Tuttavia, una volta rifiutata questa separazione, e ammesso che colui che analizza è immanente al contesto sociale e pratico che è oggetto di investigazione, allora le questioni normative non si possono più eludere. La proposizione sulla riflessività e la critica

25 Cos è la teoria critica urbana? 25 della ragione strumentale sono quindi direttamente interconnesse. Di conseguenza, quando i teorici critici discutono il cosiddetto problema della teoria/pratica, non si riferiscono a come «applicare» la teoria alla pratica. Piuttosto, pensano questa relazione dialettica nella direzione opposta ovvero, come il regno della pratica (e quindi delle considerazioni normative) influenza a priori il lavoro dei teorici, anche quando questo rimane a livello astratto. L interpretazione dialettica [associata alla teoria critica] comprende il soggetto della conoscenza in relazione alla prassi sociale, alla sua posizione, sia all interno dei processi sociali di lavoro che all interno dei processi con i quali egli indica alle forze politiche quali debbano essere i loro obiettivi (Habermas, 1973, traduzione mia). La teoria critica enfatizza la disgiunzione tra l attuale e il possibile Come sostiene Therborn (2008), la Scuola di Francoforte sposa una critica dialettica della modernità capitalista ovvero, una critica che afferma le possibilità di liberazione umana che sono aperte da questa specifica formazione sociale e al contempo ne critica le esclusioni sistemiche, le oppressioni e le ingiustizie. Il compito della teoria critica è dunque quello di analizzare le forme di dominazione associate con il capitalismo moderno e di individuare le possibilità di emancipazione che sono implicite, ed egualmente soppresse, dal sistema stesso. Nella maggior parte degli scritti della Scuola di Francoforte, quest orientamento implica una «ricerca del soggetto rivoluzionario», ovvero vi è la preoccupazione di trovare un attore del cambiamento sociale radicale

26 26 Stato, spazio, urbanizzazione urbana che potrebbe mettere in atto le possibilità create e al contempo soppresse dal capitalismo. Tuttavia, data la rinuncia a ogni speranza di rivoluzione di tipo proletario, la loro ricerca per il soggetto rivoluzionario durante il periodo del secondo dopoguerra ha prodotto un certo pessimismo sulla possibilità di trasformazione sociale e, in particolare nel lavoro di Adorno e Horkheimer, il ritrarsi in questioni filosofiche ed estetiche relativamente astratte (Postone, 1993). Marcuse, di contro, presenta una posizione diversa su questo punto nell «Introduzione» a L uomo a una dimensione. In queste pagine, Marcuse è d accordo con i suoi colleghi che, di contro al periodo formativo dell industrializzazione capitalista, il tardo capitalismo del xx secolo non ha «agenti di cambiamento sociale»; in altre parole, il proletariato non agiva più come una classe «per sé». Tuttavia, Marcuse (1964, p. 11) insiste con forza sul fatto che «il bisogno di un mutamento qualitativo non è mai stato così urgente [ ] è la società come un tutto ad averne bisogno, per ciascuno dei suoi membri». Su questo sfondo, Marcuse propone la tesi secondo la quale la natura, al tempo in cui scriveva, astratta della teoria critica era legata in modo strutturale all assenza di un attore chiaro di cambiamento sociale radicale e di emancipazione. Secondo Marcuse, inoltre, le astrazioni associate alla teoria critica non potrebbero essere accantonate o dissolte attraverso le lotte storiche e concrete. «I concetti teorici» suggerisce Marcuse (1964, p. 10) «sono portati a compimento con il cambiamento sociale». Quest affermazione di grande effetto ci riporta all idea della teoria critica come teoria. Come l ambizione critica della teoria critica è condizionata e orientata storicamente, così il suo orientamento teoretico è continuamente forgiato e modificato dalle trasformazioni sociale e politiche del suo tempo. del?

27 Cos è la teoria critica urbana? 27 La posizione di Marcuse ricorda la famosa affermazione di Marx nel libro terzo del Capitale per la quale tutta la scienza sarebbe superflua se non ci fosse distinzione tra la realtà e l apparenza. In modo simile, Marcuse suggerisce, in un modo in cui il cambiamento sociale radicale o rivoluzionario avesse luogo, la teoria critica sarebbe marginalizzata o addirittura dissolta non nel suo orientamento critico, ma come teoria: diventerebbe pratica concreta. O, per dirlo in altro modo, è proprio perché la pratica sociale rivoluzionaria, trasformata, emancipatrice resta circoscritta e confinata in modo ristretto nel capitalismo contemporaneo che la teoria critica resta teoria e non semplicemente pratica sociale quotidiana. Da questo punto di vista, la divisione tra teoria e pratica è un artefatto creato non dalla confusione teorica o dall inadeguatezza epistemologica, ma dalla formazione sociale alienata e contraddittoria in cui la teoria critica è inserita. Non c è teoria che possa oltrepassare questa divisione che, per definizione, non può essere risolta a livello teorico; questo è possibile solo in pratica.? poco chiaro La teoria critica e il problema dell urbanizzazione Se l opera di Marx ha esercitato una grande influenza sul campo degli studi critici urbani post-1968, pochi sono invece i contributi in quest ambito che si sono confrontati direttamente con gli scritti della Scuola di Francoforte. Tuttavia, credo che la maggior parte degli autori che si posizionano all interno dell universo intellettuale degli studi critici urbani sarebbe in accordo, almeno in termini generali, con la visione della teoria critica che si articola nelle quattro proposizioni sintetizzate nei paragrafi precedenti:

28 28 Stato, spazio, urbanizzazione urbana c è un insistenza sul bisogno di argomenti teorici, astratti, a proposito dei processi urbani nel periodo capitalista, insieme al rifiuto della concezione della teo ria come un «ancella» rispetto a preoccupazioni pratiche e strumentali di ordine più immediato; si ritiene che la ricerca nell ambito delle questioni urbane, incluse le prospettive critiche, sia storicamente contingente e passi attraverso la mediazione delle relazioni di potere; si rifiutano le forme di analisi nell ambito degli studi urbani di tipo strumentale, tecnocratico e influenzate dal mercato, forme che promuovono la conservazione e la riproduzione delle formazioni urbane esistenti; la teoria critica urbana cerca di individuare possibilità per quelle forme di urbanizzazione alternative, radicalmente emancipatrici, che sono latenti, e al contempo sistematicamente soppresse, all interno delle città contemporanee. Come è normale che sia, ogni contributo specifico di teoria critica urbana sarà più in sintonia con alcune di queste proposizioni che con altre, ma esse costituiscono, in modo cumulativo, una base epistemologica importante per questo settore di ricerca. In questo senso, la teoria critica urbana si è sviluppata su un terreno intellettuale e politico che era stato già preparato non solo da Marx, ma anche dalla Scuola di Francoforte. In ragione dei dibattiti piuttosto accesi tra gli urbanisti critici su questioni metodologiche, epistemologiche e di contenuto, che si sono sviluppati in questo campo all inizio degli anni Settanta (si veda, ad esempio, Gottdiener, 1985; Saunders, 1989; Brenner, Keil, 2005; Robinson, 2006; Soja, 2007), è fondamentale non perdere di vista questi temi generali su cui vi è un accordo di fondo. influenzato?

29 Cos è la teoria critica urbana? 29 Tuttavia, poiché il campo degli studi critici urbani continua a evolvere e a diversificarsi all inizio del xxi secolo, la sua natura «critica» deve essere investigata con attenzione e attraverso un dibattito sistematico. In una critica incisiva di Habermas, Fraser (1989) ha chiesto: «Cosa c è di critico nella teoria critica?». La domanda di Fraser può essere rivolta anche a un area di studi: cosa c è di critico nella teoria critica urbana? Proprio perché il processo di urbanizzazione capitalista continua la sua corsa in avanti e prosegue nel suo impulso di distruzione creatrice su scala mondiale, i significati e le modalità della critica non possono rimanere gli stessi; questi devono, al contrario, essere reinventati in relazione alle geografie economico-politiche ineguali in continua evoluzione e in relazione ai diversi conflitti che questo processo provoca. Questa è, per me, una delle sfide intellettuali e politiche più importanti che i teorici critici urbani si trovano di fronte oggi. Come detto in precedenza, il concetto di critica sviluppato da Marx e la visione della teoria critica elaborata dalla Scuola di Francoforte erano inseriti in formazioni storiche specifiche allo sviluppo capitalista. Ognuno di questi approcci, in modo coerente con la loro attenzione alla riflessività, si è pensato come inserito appieno in queste formazioni specifiche, ed era orientato a sottoporre queste ultime alla critica. Questo bisogno di riflessività, di cui si è parlato in precedenza, deve essere centrale in ogni tentativo di appropriarsi o di reinventare la teoria critica, urbana o altro, all inizio del xxi secolo. Tuttavia, come ha sostenuto Postone (1993, 1999), le condizioni di possibilità della teoria critica sono si sono ricostituite durante la fase post-fordista e post-keynesiana del capitalismo. La natura dei limiti strutturali delle forme emancipatrici di cambiamento sociale, e le immagini associate

30 30 Stato, spazio, urbanizzazione urbana 2002? di alternative al capitalismo, sono state trasformate qualitativamente attraverso l accelerazione dell integrazione geoeconomica, l intensificazione della finanziarizzazione del capitale, la crisi del modello di Stato sociale del dopoguerra di tipo statale, il processo di neoliberalizzazione, tuttora in corso, delle forme statuali e l approfondirsi delle crisi ecologiche planetarie (Albritton et al., 2001; Harvey, 2006). La crisi finanziaria più recente il risultato finale di una serie di crisi regionali catastrofiche che hanno agitato l economia mondiale per almeno un decennio ha prodotto un nuovo processo di ristrutturazione a livello mondiale che ha modificato le condizioni di possibilità epistemologiche, politiche e istituzionali per ogni teoria sociale critica (Brand, Sekler, 2009; Gowan, 2009; Peck et al., 2009). Se i quattro elementi precedentemente menzionati sono tuttora rilevanti all inizio del xxi secolo, il loro significato e le loro modalità specifiche devono essere riconcettualizzati attentamente. La sfida per coloro che si riconoscono nel progetto della teoria critica è quella di farlo in modo adeguato al continuo movimento in avanti del capitale, alle tendenze alla crisi che vi sono associate e alle sue contraddizioni, e alle lotte e agli impulsi di opposizioni che esso genera attraverso il variegato paesaggio dell economia mondiale. Confrontarsi con questo compito implica, è la mia ipotesi, un integrazione molto più sostenuta dei problemi urbani nella struttura analitica della teoria critica sociale in generale. Come ho scritto nei paragrafi precedenti, la tematica urbana ha ricevuto scarsa attenzione all interno delle analisi classiche della Scuola di Francoforte: è solo in tempi relativamente recenti che i diversi ritratti di Benjamin (2000) sulla trasformazione capitalista di Parigi nel xix secolo hanno generato un significativo interesse da parte degli studiosi (Buck-Morss, 1991).?

31 Cos è la teoria critica urbana? 31 Anche durante le fasi competitiva e fordista-keynesiana dello sviluppo capitalista, i processi di urbanizzazione manifestatisi in particolare attraverso la formazione e l espansione di regioni urbane su larga scala sono stati centrali nelle dinamiche di accumulazione capitalista e nell organizzazione delle relazioni sociali quotidiane e delle lotte politiche. Nelle condizioni geografiche e storiche attuali, tuttavia, il processo di urbanizzazione si struttura sempre più su scala mondiale. L urbanizzazione non si riferisce più solo all espansione delle «grandi città» del capitalismo industriale, all estendersi di centri di produzione metropolitani, alle configurazioni di reticoli di insediamenti suburbani e di infrastrutture regionali tipiche del capitalismo fordista-keynesiano, o all anticipata espansione lineare della popolazione umana nelle megalopoli mondiali. Invece, come Lefebvre (1973) ha anticipato circa quattro decadi fa, questo processo si sviluppa oggi sempre di più attraverso lo sviluppo diseguale di un «tessuto urbano» composto da diversi tipi di strutture d investimento, di spazi d insediamento, di matrici di uso del suolo e di reti d infrastrutture, attraverso l intera economia mondiale. L urbanizzazione si manifesta ancora, senza dubbio, nella continua e massiva espansione delle città, delle regioni-città e delle mega-regioni-città, ma essa implica al contempo la trasformazione socio-spaziale di insediamenti e agglomerati differenti, meno densi, che sono sempre più legati ai maggiori centri urbani, attraverso reti di infrastrutture inter-urbane e inter-metropolitane sempre più densi. Noi stiamo assistendo, in breve, all intensificazione e all estensione dei processi di urbanizzazione su tutte le scale spaziali e attraverso l intera superficie dello spazio planetario (Lefebvre, 1973; Schmid, 2005). Come durate le fasi precedenti dello sviluppo capitalidecenni? durante?

32 32 Stato, spazio, urbanizzazione urbana sta, le geografie del processo di urbanizzazione sono profondamente ineguali ma i loro parametri non sono più confinati a un singolo tipo di insediamenti spaziali, siano essi definiti come città, come città-regione o come regione metropolitana o anche come mega-città-regione. Di conseguenza, nelle circostanze attuali, l urbano non può più essere visto come un sito distinto e relativamente chiuso in sé; l urbano è invece diventato una condizione generalizzata, planetaria nella e attraverso la quale l accumulazione di capitale, la regolazione della vita politico-economica, la riproduzione delle relazioni sociali quotidiane e la contestazione del futuro della terra e dell umanità sono al contempo organizzate e determinate attraverso le lotte. Alla luce di queste considerazioni, è sempre più improponibile vedere i problemi urbani come semplicemente una tra molte tematiche specifiche a cui l approccio critico può essere applicato, insieme a, ad esempio, i temi della famiglia, della psicologia sociale, dell educazione, delle industrie culturali ecc. Al contrario, ogni orientamento metodologico e politico associato con la teoria critica, come già detto, richiede oggi un confronto serrato con i percorsi mondiali dell urbanizzazione capitalista e con le loro conseguenze per le relazioni sociali, politiche, economiche e uomo/natura. Questa è un affermazione intenzionalmente provocatoria, e questo breve testo non è altro che un modesto tentativo di tratteggiare i contorni di questo impegno e di esporre i parametri intellettuali all interno dei quali quest ultimo può prendere forma. L affettiva elaborazione di questo riorientamento «urbano» della teoria critica richiederà un ulteriore riflessione teorica, delle ricerche comparative ed empiriche ampie, e strategie creative e collaborative per sostenere le condizioni istituzionali richieste per un effervescenza dei saperi critici intorno effettiva?

33 Cos è la teoria critica urbana? 33 all urbanizzazione contemporanea. Ho sostenuto qui che gli urbanisti critici devono lavorare per chiarire e ridefinire di continuo il carattere «critico» delle loro imprese teoriche, dei loro orientamenti e dei loro impegni alla luce dei processi di ristrutturazione urbana dell inizio del xxi secolo. Date le trasformazioni di ampia portata associate con questi processi, i tempi sembrano maturi per integrare la problematica dell urbanizzazione in modo più sistematico all interno dell architettura intellettuale della teoria critica nel suo insieme. Bibliografia Adorno T., Albert H., Dahrendorf R., Habermas J., Pilot H., Popper K. (1976), The Positivist Dispute in German Sociology, trans. G. Adey and D. Frisby, Heinemann, London. [Der Positivismusstreit in der deutschen Soziologie, Luchterhand, Neuwied-Berlin 1969] Albritton R., Itoh M., Westra R., Zuege A. (eds) (2001), Phases of Capitalist Development: Booms, Crises, Globalizations, Palgrave, New York. Arato A., Gebhardt, E. (eds) (1990), The Essential Frankfurt School Reader, Continuum, New York. Benjamin W. (2002), The Arcades Project, ed. R. Tiedemann, trans. H. Eiland and K. McLaughlin, Harvard University Press, Cambridge (ma). [I passages di Parigi, 2 voll., Einaudi, Torino 2002] Brand U., Sekler N. (eds) (2009), «Postneoliberalism: a beginning debate» (Special issue), Development Dialogue, 51, pp Brenner N., Keil R. (eds) (2005), The Global Cities Reader, Routledge, New York. Bronner S., Kellner D. (1989), Critical Theory and Society: A Reader, Routledge, New York. Buck-Morss S. (1991), The Dialectics of Seeing: Walter Benjamin attenzione: sostituire le edizioni inglesi con l indicazione dell ed. originale (se diversa dall inglese) o della trad. italiana (se esistente)? ho aggiunto i dati tra parentesi quadre

34 34 Stato, spazio, urbanizzazione urbana and the Arcades Project, mit Press, Cambridge (ma). Calhoun C. (1995), «Rethinking critical theory», in Id., Critical Social Theory, Blackwell, Cambridge (ma), pp Fraser N. (1989), Unruly Practices, University of Minnesota Press, Minneapolis. Gottdiener M. (1985), The Social Production of Urban Space, 2 nd ed., University of Texas Press, Austin. Gowan P. (2009), «Crisis in the heartland: consequences of the new Wall Street system», New Left Review, 55, pp Habermas J. (1973), Prassi politica e teoria critica della società, Il Mulino, Bologna. Habermas J. (1987), Teoria dell agire comunicativo, Il Mulino, Bologna. Habermas J., Luhmann N. (1971), Theorie der Gesellschaft oder Sozialtechnologie was leistet Systemforschung?, Suhrkamp Verlag, Frankfurt. [Teoria della societa o tecnologia sociale: che cosa offre la ricerca del sistema sociale?, Etas, Milano 1983] Harvey D. (2006), La guerra perpetua: analisi del nuovo imperialismo, Il Saggiatore, Milano. Harvey D. (2008), «The right to the city», New Left Review, 53, pp Horkheimer M. (1982 [1937]), «Traditional and critical theory», in Id., Critical Theory: Selected Essays, trans. M.J. O Connell, Continuum, New York, pp [«Teoria tradizionale e teoria critica», in Id., Teoria critica, Einaudi, Torino 1974, vol. ii, pp ] Jay M. (1979), L immaginazione dialettica: storia della Scuola di Francoforte e dell Istituto per le ricerche sociali , Einaudi, Torino. Jay M. (1986), Marxism and Totality, University of California Press, Berkeley. Katznelson I. (1993), Marxism and the City, Oxford University Press, New York. Kellner D. (1989), Critical Theory, Marxism and Modernity, Johns Hopkins University Press, Baltimore. Kolakowski L. (1981), Main Currents of Marxism, Volume 2: The Golden Age, Oxford University Press, Oxford. [Nascita, svi-

35 Cos è la teoria critica urbana? 35 luppo, dissoluzione del marxismo, vol. ii: Il periodo aureo, Sugar- Co, Milano 1983]. Koselleck R. (1972), Critica illuminista e crisi della società borghese, Il Mulino, Bologna. Lefebvre H. (1973), La rivoluzione urbana, Armando, Roma. Marcuse H. (1964), L uomo a una dimensione, Einaudi, Torino. Marcuse H. (1965), Ragione e rivoluzione: Hegel e il sorgere della «teoria sociale», Il Mulino, Bologna. Merrifield A. (2002), Metro-Marxism, Routledge, New York. O Connor B. (ed) (2000), The Adorno Reader, Wiley-Blackwell, Oxford. Peck J., Theodore N., Brenner N. (2009), «Postneoliberalism and its discontents», Center for Urban Economic Development (cued), University of Illinois at Chicago, unpublished manuscript. Postone M. (1992), «Political theory and historical analysis», in C. Calhoun (ed.), Habermas and the Public Sphere, mit Press, Cambridge (ma), pp Postone M. (1993), Time, Labor and Social Domination: A Re-interpretation of Karl Marx s Critical Social Theory, Cambridge University Press, New York. Postone M. (1999), «Contemporary historical transformations: beyond postindustrial theory and neo-marxism», Current Perspectives in Social Theory, 19, pp Robinson J. (2006), Ordinary Cities, Routledge, London. Saunders P. (1989), Teoria sociale e questione urbana, Edizioni Lavoro, Roma. Schmid C. (2005), «Theory», in R. Diener, J. Herzog, M. Meili, P. de Meuron, C. Schmid, Switzerland: An Urban Portrait, Birk häuser Verlag, Basel, pp Soja E. (2007), Dopo la metropoli: per una critica della geografia urbana e regionale, Patron, Bologna. Soja E., Kanai M. (2007), «The urbanization of the world», in R. Burdett, D. Sudjic (eds), The Endless City, Phaidon Press, London, pp Therborn G. (1996), «Dialectics of modernity: on critical theory and the legacy of 20th century Marxism», New Left Re-

36 36 Stato, spazio, urbanizzazione urbana view, i/215, pp Therborn G. (2008), From Marxism to Post-Marxism?, Verso, London. Wiggershaus R. (1992), La scuola di Francoforte: storia, sviluppo teorico, significato politico, Bollati Boringhieri, Torino.

37 Parte prima Il rescaling urbano

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39 Il rescaling urbano Spazi di ristrutturazione Henri Lefebvre, nei tardi anni Settanta, parlava di un «esplosione generalizzata degli spazi» che stava conducendo a una profonda ridefinizione delle geografie stabilite dal capitalismo e dai poteri statali 1. La formula «esplosione» (éclatement) compare di frequente negli scritti lefebvriani di quel periodo per indicare la radicale destabilizzazione non solo delle pratiche, delle istituzioni e delle ideologie ma anche degli spazi nei quali e attraverso i quali esse si sono costituite e operano. Dicendo ciò, Lefeb vre si riferiva, oltre che all eruzione sociale generalizza (l irruption) legata al movimento del maggio 68, a una molteplicità di esplosioni di ogni sorta che, a suo avviso, proliferavano in seno all universo capitalista e relative ai centri storici, le città, le metropoli, le conurbazioni, le regioni, le relazioni centro-periferia, gli spazi stabiliti, i confini e le frontiere ma anche la ragione, la famiglia, la nazione, l economia, la storia, lo stalinismo e, addirittura, il marxismo 2. In un altra occasione, sempre Lefebvre ave- 1 H. Lefebvre, «L esplosione degli spazi», in M. Guareschi, F. Rahola (a cura di), Forme della città, Agenzia X, Milano H. Lefebvre, Il diritto alla città, ombre corte, Verona 2015.

40 40 Stato, spazio, urbanizzazione urbana va affermato come una dinamica simultanea di implosione-esplosione (implosion-explosion) stesse trasformando le geografie urbane acquisite contestualmente alla crescente generalizzazione dei processi di urbanizzazione all interno degli spazi locali, regionali, nazionali e globali. Agli inizi del xxi secolo, dopo alcuni decenni in cui gli urbanisti critici e i geografi si sono strenuamente impegnati per ridefinire il lessico della teoria socio-spaziale, il ricorso da parte di Lefebvre a termini quali irruption, éclatement, implosion-explosion, potrebbe apparire caotico, impreciso e, addirittura, apocalittico. Tuttavia, anche se il discorso della teoria socio-spaziale si è fatto più differenziato e, per certi versi, più preciso, le osservazioni di base di Lefebvre possono apparire condivisibili in riferimento ai più recenti sviluppi del capitalismo. La produzione dello spazio sociale continua a rinnovarsi attraverso una molteplicità di processi di ristrutturazione. Come notato da Lefebvre nei primi anni Settanta, il capitalismo ha sempre prodotto e trasformato lo spazio, che non si presenta mai come dato, fisso o statico. In tal senso, la nozione lefebvriana di «esplosione degli spazi» così come diversi recenti studi sui processi di ristrutturazione urbano-regionale sembrano orientarsi verso la stessa problematica teorica e politica. Più di due decenni fa Edward Soja riassumeva tale problematica nei seguenti termini: Ristrutturare significa produrre una rottura all interno di trend secolari, una svolta in direzione di un diverso ordine e di una nuova configurazione della vita sociale, economica e politica. Il termine evoca anche una sequenza di abbattimenti e riedificazioni, di decostruzioni e ricostruzioni a partire dai limiti e dalle debolezze dell ordine costituito che impedendo l attivazione di adattamenti convenzionali suscitano la domanda di cambiamenti strutturali [ ]. La ristrutturazione rimanda alla crisi e a un conflitto compe-

41 Il rescaling urbano 41 titivo fra il vecchio e il nuovo, fra l ordine «ereditato» e «progettato». Non si tratta di un processo meccanico o automatico. I suoi risultati non sono predeterminati. [ ] La ristrutturazione implica flussi e transizioni, posizioni difensive e offensive, un complesso mix di continuità e cambiamento 3. Fin dai primi anni Ottanta, i più significativi contributi sviluppati all interno dell ampio ed eterogeneo campo degli studi urbani e regionali si sono impegnati per decifrare il «complesso mix di continuità e cambiamento» associato ai processi di ristrutturazione nel tumultuoso indomani del postfordismo nordatlantico, individuandone cause, espressioni e conseguenze. Come mostrano tali ricerche, la problematica della ristrutturazione interseca un ampia gamma di fondamentali questioni teoriche, empiriche e politiche riguardanti sia gli studi urbani e regionali sia gli approcci critici alla pratica urbanistica 4. Per esempio, gli attuali processi di ristrutturazione rimandano a un nuovo modello di sviluppo del capitalismo globale o si limitano a porsi nel solco di una politica fatta di gestione delle crisi, sperimentazione regolatoria e improvvisazione? Tali processi assumono specifiche forme territoriali e scalari e, nel caso fosse così, quali ne sono le cause, i contorni e le ramificazioni? Le forme spazialmente selettive di tali processi in che modo sono modellate da accordi istituzionali, strategie politiche e forze sociali? I processi di ristrutturazione possono essere agiti da istituzioni progressiste e movimenti sociali al fine di 3 E.W. Soja, «Economic Restructuring and the Internationalization of Los Angeles», in M.P. Smith, J. Faegin (a cura di), The Capitalist City, Blackwell, Cambridge 1987, p M. Storper, A.J. Scott (a cura di), Pathways of Industrialization and Regional Development, Routledge, New York 1992.

42 42 Stato, spazio, urbanizzazione urbana promuovere forme di organizzazione socialmente eque ed ecologicamente sostenibili? Nelle questioni che abbiamo evocato la dimensione spaziale svolge un ruolo fondamentale. La loro centralità teorica e politica ci permette così di comprendere il motivo della «riaffermazione della dimensione spaziale nella teoria sociale critica» annunciata un paio di decadi or sono da Soja 5. La concettualizzazione dello spazio sociale a partire dagli anni Settanta è stata influenzata da varie correnti filosofiche e teorico-sociali fra cui la dialettica hegeliana, il marxismo, la fenomenologia, l ermeneutica, lo strutturalismo, il femminismo, la psicoanalisi, il post strut tura lismo. L appropriazione di tali tradizioni, tuttavia, è avvenuta nel contesto dell immane sfida posta dall esigenza di decifrare gli esplosivi processi di ristrutturazione socio-spaziale proliferati nel sistema mondo capitalista a ogni scala spaziale a partire dalla rottura del compromesso del fordismo nordatlantico. Sulla scia delle più recenti ma egualmente deflagranti dinamiche di crisi, che stanno ridifferenziando le già instabili e precarie geografie stabilitesi negli ultimi tre decenni, la decifrazione del paesaggio in continua mutazione del capitalismo appare come un compito intellettuale e politico sempre più urgente. Ma come possiamo concettualizzare gli spazi in continuo rivolgimento derivanti dai processi di ristrutturazione su cui abbiamo richiamato l attenzione? Da una parte, disponiamo di un certo numero di scaffali carichi di volumi che si confrontano positivamente con il tema dello spazio sociale nel moderno capitalismo, della sua produzione e trasformazione. In proposito, si potrebbero richiamare, oltre i già menzionati scritti di Lefebvre e 5 E.W. Soja, Postmodern Geographies, Verso, New York 1989.

43 Il rescaling urbano 43 Soja, gli studi di autori quali Harvey, Massey, Dear, Scott, Storper e di molti altri raccoglibili sotto l etichetta della cosiddetta «scuola di Los Angeles» 6. Dall altra, tuttavia, si potrebbe osservare come molta della ricerca più teoricamente impegnata sviluppatasi a partire dagli anni Ottanta nell ambito degli studi urbani e regionali si sia concentrata non tanto sulla problematica dello spazio sociale in sé quanto su specifiche dimensioni e dinamiche dei processi contemporanei di ristrutturazione spaziale. In particolare, l attenzione si è rivolta ai processi di agglomerazione, localizzazione, decentralizzazione e ridefinizione della divisione del lavoro, alle tensioni fra fissità e mobilità geografica e alla coestensiva costruzione ed erosione di riferimenti spaziali, ai processi di territorializzazione, deterritorializzazione e riterritorializzazione, alle tendenze alla regionalizzazione e alle nuove dimensioni spaziali delle relazioni politico-economiche e, più di recente, alla produzione di scale geografiche e ai connessi processi di rescaling. È all interno di quest ultimo ambito di analisi sociospaziale che altrove ho definito in termini di «questione della scala» 7 che si colloca il presente contributo. Il mio interesse in proposito è stato stimolato non solo dalla lettura di Henri Lefebvre e delle sue pionieristiche analisi orientate scalarmente riguardanti l esplosione degli spazi ma anche dagli scritti dei teorici della città glo- 6 D. Harvey, The Limits to Capital, Chicago University Press, Chicago 1982; D. Massey, Spatial Division of Labour, Macmillan, London 1985; M. Dear, A.J. Scott (a cura di), Urbanization and Urban Planning in Capitalist Society, Methuen, London 1982; A.J. Scott, M. Storper (a cura di), Production, Work, Territory, Allen & Unwin, London Per una visione d insieme: E.W. Soja, Dopo la metropoli. Per una critica della geografia urbana, Patron, Bologna N. Brenner, New State Spaces. Urban Governance and the Rescaling of Statehood, Oxford University Press, New York 2004.

44 44 Stato, spazio, urbanizzazione urbana bale 8, dagli economisti di scuola regolazionista 9, dai primi approcci di autori quali Neil Smith ed Erik Swyngedouw alla «politica della scala» e alla «glocalizzazione» 10. Questi scritti, e la successiva ondata di analisi teoriche ed empiriche sviluppatesi in seno all economia geopolitica critica, hanno incentivato l interesse nei confronti della dimensione scalare dei processi di ristrutturazione nel capitalismo sia del passato sia contemporaneo 11. La costituzione scalare dell attuale capitalismo la sua differenziazione fra le unità geografiche del locale, regionale, nazionale, sovranazionale e globale anziché essere concepita come un carattere dato della vita sociale è ora considerata come un arena prodotta, conflittuale e malleabile, come un effetto di relazioni politico-economiche. Da questo punto di vista, i migliori contributi elaborati 8 J. Friedmann, G. Wolff, «World City Formation. An Agenda for the Research and Action», in International Journal of Urban and Regional Research, 6, 1982, pp ; P. Taylor, «World Cities and Territorial States. The Rise and the Fall of Their Mutuality», in P. Knox, J. Taylor (a cura di), World Cities in a World-System, Cambridge University Press, New York 1995, pp B. Jessop, «The Narrative of Enterprise and the Enterprise of Narrative. Place-Marketing and the Entrepreneurial City», in T. Hall, P. Hubbard (a cura di), The Entrepreneurial City, Wiley & Sons, London 1998, pp ; A. Lipetz, «The National and the Regional: Their Autonomy vis-â-vis the Capitalist World», in R. Palan, B. Gilles (a cura di), Trascending the State- Global Divide, Lynne Rienner, Boulder 1994, pp ; J. Peck, A. Tickell, «Searching for a New Institutional Fix. The After-Fordist Crisis and the Global Disorder», in A. Amin, Post-Fordism. A Reader, Blackwell, Cambridge 1994, pp N. Smith, «Geography, Difference and the Politics of Scale», in J. Doherty, E. Graham, M. Malek (a cura di), Postmodernism and the Social Sciences, St. Martin Press, New York 1992, pp ; E. Swyngedouw, «The Mammon Quest: Glocalisation, Interspatial Competition and the Monetary Order. The Construction of New Scales», in M. Dunford, G. Kafkalas (a cura di), Cities and Regions in the New Europe, Belhaven Press, London 1992, pp S. Marston, «The Social Construction of Scale», Progress in Human Geography, 24, 2, 2000, pp

45 Il rescaling urbano 45 nell ambito dell economia geopolitica, della teoria dello Stato, degli studi urbani e regionali, delle analisi dei movimenti sociali, della geografia ambientale hanno vagliato diverse forme di trasformazioni scalari del nostro tempo o di rescaling, in cui le strutture scalari date sono progressivamente messe in tensione, destabilizzate e ridefinite 12. Senza dubbio, le scienze sociali hanno da sempre espresso implicite assunzioni riguardo alla costituzione scalare dei processi politico-economici, dall accumulazione di capitale alla regolazione statale, dall urbanizzazione alla mobilitazione socio-politica. I più recenti approcci interdisciplinari, da parte loro, manifestano la tendenza a confrontarsi con la questione della scala attraverso un inedita riflessività metodologica nel contesto dei più ampi dibattiti sulla ristrutturazione globale del capitale. Di conseguenza, le analisi riguardanti la tematica della scalarità oggi possono essere considerate fra i contributi più orientati in senso spaziale e metodologicamente riflessivi alla comprensione dei processi di ristrutturazione capitalistica in atto. A partire da tale contesto, in questo saggio si tenterà di vagliare limiti e possibilità delle interpretazioni scalari del post-fordismo e dei processi di ristrutturazione urbana e regionale che caratterizzano il nuovo millennio. Si inizierà esaminando i presupposti scalari sottesi ai maggiori dibattiti sulla questione urbana degli anni Settanta e Ottanta. In seguito, illustrerò l idea in base alla quale, in particolare a partire dagli anni Novanta, la questione urbana sarebbe stata riconcettualizzata in termini riflessivamente scalari nel contesto delle discussioni sulla ristrutturazione urbana e regionale sviluppatasi a livello mondiale. Si procederà 12 R. Keil, R. Mahon, The New Political Economy of Scale, University of British Columbia Press, Vancouver 2009.

46 46 Stato, spazio, urbanizzazione urbana poi evidenziando l utilità della prospettiva scalare per l analisi delle trasformazioni urbane del presente non senza sottolineare le persistenti difficoltà nel definirne gli specifici contenuti teorici. Per affrontare tale problematica presenterò una serie di proposizioni generali intese a specificare i parametri concettuale della questione della scala e, di conseguenza, dei processi di rescaling. Si tratta di proposizioni decisamente astratte, che evidentemente necessitano di una puntualizzazione basata su puntuali ricerche nell ambito dei processi di ristrutturazione urbana e regionale ma, a mio parere, che possono fornire un alternativa interessante rispetto a una recente produzione tendente a rendere vaghi e troppo ampi i concetti scalari 13 così come alle proposte decostruttive volte ad abbandonare del tutto i concetti scalari 14. Anche se le irrequiete geografie della ristrutturazione urbana non possono certo essere interamente concettualizzate in termini scalari, la scala (o, meglio, il rescaling) rimane una chiave fondamentale per interpretarne determinate dinamiche, manifestazioni e conseguenze. Lo spazio, la scala e la questione urbana A partire dai primi anni Settanta, i dibatti sulla questione urbana si sono concentrati sulla concettualizzazione dello spazio 15. I teorici urbani, tuttavia, nel loro sforzo volto 13 S. Marston, «The Social Construction of Scale», cit. 14 S. Marston, J.P. Jones, K. Woodward, «Human Geography Without Scale», Transactions. Institute of British Geographers, 30, 2005, pp ; C. Collinge, «Flat Onthology and the Decontruction of Scale», Transactions. Institute of British Geographers, 31, 2006, pp M. Gottdiener, The Social Production of Urban Space, University of Texas Press, Austin 1985.

47 Il rescaling urbano 47 a concettualizzare la spazialità urbana, sono stati costretti a introdurre alcune assunzioni riguardanti la distintività della scala urbana di organizzazione socio-spaziale (in opposizione, per esempio, a quella regionale, statale o globale). Al fine di analizzare tali asserzioni e le loro conseguenze per la teoria urbana, procederò a una breve ricostruzione di alcuni dei presupposti riguardanti la scalarità su cui si sono fondate le precedenti fasi del dibattito sulla questione urbana. Nel suo classico La questione urbana, Manuel Castells accusava la Scuola di Chicago di non avere saputo cogliere la specificità storica assunta dall urbano in regime di economia capitalista 16. In opposizione a quella che definiva un universalistica «ideologia urbana», Castells proponeva di vedere nel «sistema urbano» una struttura determinata dal modo di produzione capitalista. In tal modo, il sociologo catalano distingueva implicitamente tra due differenti dimensioni dell urbano che, alla luce della problematica che stiamo considerando, potremmo definire scalare e funzionale. Il primo aspetto riguarda la materialità dei processi organizzati a scala urbana intesa in opposizione alle scale sovraurbane. Nella terminologia di Castells, le scale sono intese come le «unità spaziali» differenziate di cui il capitalismo è composto. L aspetto funzionale dell urbano, a cui Castells dedica in La questione urbana un attenzione preponderante, riguarda non solamente la localizzazione geografica o la portata territoriale del processo sociale ma il loro ruolo funzionale o «contenuto sociale». Sulla base di un noto argomento proposto da Castells, la specificità dell «unità spaziale» urbana può essere definita teoricamente non in rapporto alle sue funzioni ideologiche, politico-giuridiche o produttive ma 16 M. Castells, La questione urbana, Marsilio, Venezia 1977.

48 48 Stato, spazio, urbanizzazione urbana solo in riferimento al ruolo svolto come luogo di riproduzione della forza-lavoro. Al centro della sua posizione, quindi, troviamo il tentativo di definire la scala geografica a partire dalla funzione sociale. Castells, pur ribadendo che all interno delle città capitaliste si svolge una molteplicità di processi sociali, evidenzia come solo il consumo collettivo possa essere considerato funzionalmente specifico della scala urbana. Di conseguenza, il suo tentativo di spazializzare il marxismo althusseriano assume come premessa una concezione che fa delle scale geografiche un espressione spaziale delle funzioni sociali. Nonostante Castells abbia modificato la propria posizione a pochi anni dall uscita del libro 17, La questione urbana ha continuato a esercitare una forte influenza nella concettualizzazione della scala geografica nell ambito degli studi urbani, ben esemplificata dalla critica di Peter Saunders ai primi scritti del sociologo catalano 18. Saunders respinge l idea secondo cui tutti i processi sociali localizzati nella città debbano essere considerati funzionalmente specifici di quella scala geografica. Tale osservazione spinge Saunders a vedere nell organizzazione spaziale urbana un mero effetto contingente, privandolo delle basi concettuali idonee per confrontarsi con la questione urbana. Tuttavia, nel giungere a tali conclusioni, Saunders implicitamente aderisce al criterio della specificità funzionale proposto da Castells come perno teorico del suo approccio alla questione urbana. Ciò gli impedisce di invocare il carattere sovraurbano dei processi sociali localizzati nella città come base per negare la pos- 17 M. Castells, «Is There an Urban Sociology?», in G. Pickvance (a cura di), Urban Sociology. Critical Essays, St. Martin Press, New York 1976, pp P. Saunders, Social Theory and the Urban Question, Holmes & Meier, New York 1986.

49 Il rescaling urbano 49 sibilità di una coerente definizione dell urbano. L alternativa avanzata da Saunders, che consiste nell affidare alla sociologia urbana l analisi delle dinamiche di consumo, conserva il termine urbano solo come convenzione, rendendo il carattere urbano della sociologia urbana del tutto accidentale, come una sorta di scelta casuale di una scala geografica. Nonostante giungano a conclusioni opposte, le posizioni espresse nel dibattito Castells/Saunders si basano su due premesse condivise riguardanti il ruolo della scala geografica nella questione urbana. In primo luogo, entrambi vedono la scala urbana come il centro gravitazionale empiricamente autoevidente della questione urbana. A causa del predominante interesse per la dimensione funzionale, Castells e Saunders riducono l aspetto scalare, ossia l esistenza di «unità spaziali» specificamente caratterizzate dall urbanizzazione all interno di un sistema capitalistico a differenti livelli di sviluppo, come un fatto empirico dato anziché come un problema teorico a pieno titolo da concettualizzare. Di conseguenza, nessuno dei due autori è in grado di analizzare le modalità attraverso le quali la stessa scala urbana è socialmente costruita o, tema fondamentale a partire dal punto di vista privilegiato fornito dalle trasformazioni innescatesi a partire dagli anni Ottanta, la possibilità delle sue trasformazioni. In secondo luogo, si può notare come sia Castells sia Saun ders facciano propria quella che potrebbe essere definita una concezione in termini di «gioco a somma zero» della scala geografica, in base alla quale le scale appaiono come reciprocamente escludentisi anziché come co-costitutive di strutture e quadri per le relazioni sociali. Di conseguenza, entrambi gli autori danno per scontato che, in relazione alla questione urbana, le scale geografiche sovraurbane vadano considerate parametri

50 50 Stato, spazio, urbanizzazione urbana esterni. All opposto, come vedremo, i nessi fra le scale urbane e sovraurbane tendono oggi a essere considerati parte integrante della questione urbana. Durante gli anni Settanta e Ottanta si sono sviluppati vari tentativi per offrire una ridefinizione della specificità dell urbano alternativa al modello proposto dal Castells di La questione urbana. In tale prospettiva, l esigenza primaria è stata quella di delineare i processi sociali legati intrinsecamente, ma non esclusivamente, alla scala urbana. Di conseguenza, le città sono state analizzate come siti geografici multidimensionali in cui, per esempio, la produzione industriale, il mercato del lavoro, gli aspetti infrastrutturali, le relazioni interaziendali, l uso del suolo e le dinamiche di consumo sono considerati congiunta- mente. Le analisi marxiste di David Harvey sulla costruzione dell ambiente urbano, quelle neoricardiane di Allen J. Scott sul legame terra-città, nonché le ricerche neoweberiane di Michael Storper e Richard Walker sulla concentrazione industriale e lo sviluppo territoriale hanno opposto al criterio castellsiano della funzionalità specifica quello della specificità di scala 19. A quel punto, al centro delle analisi riguardanti la questione urbana si collocava non più l unità funzionale del processo urbano quanto, piuttosto, il ruolo della scala urbana intesa come materializzazione geografica sfaccettata delle relazioni sociali capitaliste. Di conseguenza, si assiste a un vero e proprio ribaltamento della posizione inizialmente manifestata da Castells. In opposizione a una concezione delle scale come espressione spaziale di funzioni sociali, le relazioni 19 D. Harvey, L esperienza urbana, il Saggiatore, Milano 1998; A.J. Scott, The Urban Land Nexus and the State, Pion, London 1980; M. Storper, R. Walker, The Capitalist Imperative. Territory, Technology and Industrial Growth, Blackwell, Cambridge Per una sintesi di tale dibattito: E.W. Soja, Dopo la metropoli, cit.

51 Il rescaling urbano 51 capitaliste venivano così analizzate a partire dalle differenti filiere di agglomerazione e territorializzazione sulla scala urbana. Le analisi multidimensionali della spazialità urbana sono poi sfociate in più ampie prospettive di ricerca riguardanti la produzione di spazio e le configurazioni spaziali in regime capitalista. Si tratta di una tendenza ben esemplificata dalla concettualizzazione storico-geografica di taglio materialista della localizzazione spaziale proposta da David Harvey 20. Nei suoi scritti degli anni Ottanta, Harvey continua a vedere nella scala urbana la base geografica fondamentale del processo di accumulazione, elaborando una periodizzazione dello sviluppo capitalista incentrata su una successione di forme di urbanizzazione. Allo stesso tempo, però, Harvey diviene più esplicito nella concettualizzazione del ruolo degli spazi e dei processi sovraurbani per esempio la divisione del lavoro a scala regionale, le costellazioni istituzionali nazionali, i regimi di accumulazione sovranazionali e le condizioni del mercato mondiale come precondizioni geografiche di ogni localizzazione spaziale in regime capitalista. Analoghi approcci sono stati sviluppati da altri studiosi, come Doreen Massey, Neil Smith ed Edward Soja, che inseriscono la discussione della questione urbana nel contesto dell analisi della spazialità capitalista a livello di scale sovraurbane in riferimento ai cambiamenti nella divisione spaziale del lavoro, alle linee dello sviluppo geografico ineguale o alle forme di ristrutturazione innescate dalla crisi. In questa sede, ci interessano soprattutto tre aspetti di questo dibattito. In primo luogo, si potrebbe evidenziare come le analisi sulla spazialità urbana, nel momento in 20 D. Harvey, The Limits to Capital, cit.; Id., L esperienza urbana, cit.

52 52 Stato, spazio, urbanizzazione urbana cui tendono a scivolare nel più ampio contesto di problematiche sovraurbane, sono esposte al rischio di perdere la coerenza del proprio oggetto 21. Mentre l approfondimento della questione urbana ha contribuito in maniera decisiva a una più ampia spazializzazione dell economia politica di stampo marxista, la tendenza più recente appare quella di relegare le problematiche relative allo spazio urbano allo statuto di sottorubrica di una più generale interrogazione sulle geografie storiche dell ineguaglianza capitalista. In secondo luogo, emerge come le analisi a cui abbiamo fatto riferimento introducano una concezione maggiormente multidimensionale della scala geografica. Le scale non vengono più equiparate alle funzioni unitarie sociali ma sono viste, sempre più spesso, come cristallizzazioni di una molteplicità di processi economico-sociali sovrapposti. In terzo luogo, poi, si può notare come nonostante i progressi metodologici il carattere storico delle scale geografiche sia stato riconosciuto solo in maniera limitata. Si affermava che il capitale salta continuamente fra la scala urbana, regionale, nazionale e globale alla ricerca di sempre nuove occasioni di plusvalore ma la possibilità che l intreccio fra geografie scalari e relazioni interscalari sia esso stesso soggetto a processi di ristrutturazione tendeva a non essere considerata in termini sistematici. È solo a partire dagli anni Novanta, con la proliferazione di ricerche sulla dimensione urbana dei processi di globalizzazione economica, che nell ambito degli studi urbani si è iniziata ad affermare una maggiore sensibilità per la dimensione storica delle scale geo grafiche e delle configurazioni interscalari. 21 E.W. Soja, Postmodern Geographies, cit., pp

53 Il rescaling urbano 53 La questione urbana è una questione di scala? A partire dagli anni Novanta la questione urbana non ha cessato di suscitare un intenso dibattito anche se il suo significato è stato ridefinito a partire dalle discussioni sui processi di ristrutturazione urbani e regionali. In contrasto con la precedente concezione dell urbano come entità scalare autoevidente, le ricerche contemporanee si misurano con le notevoli trasformazioni intervenute nell organizzazione istituzionale e geografica non solo della sca la urbana ma anche nelle gerarchie scalari e nelle reti interscalari in cui le città sono inserite. Di conseguenza, gli analisti sono stati costretti a riconcettualizzare la questione urbana in relazione diretta a una pluralità di processi sovraurbani di rescaling. Tale riorientamento metodologico può essere osservato considerando diversi filoni di ricerca presenti nell ambito degli studi urbani e regionali. I teorici della città globale e i geografi industriali hanno evidenziato la crescente importanza strategica rivestita da relazioni sociali topicamente situate e dalla localizzazione e concentrazione territoriale come precondizioni geografiche fondamentali per le transazioni economiche globali 22. In tale prospettiva, la scala urbana opera come un nodo localizzato all interno dei circuiti globali dell accumulazione di capitale mentre la scala globale, da parte sua, si costituisce attraverso le reti su cui insistono città e città-regioni. Altri autori hanno analizzato i notevoli cambiamenti intervenuti nelle relazioni, sia verticali sia orizzontali, fra le città, come attestato, per esempio, dal consolidamento di nuove gerarchie urbane globali, dall accelerazione dei flussi 22 P. Knox, P. Taylor (a cura di), World Cities in a World-System, Cambridge University Press, New York 1995.

54 54 Stato, spazio, urbanizzazione urbana informazionali, finanziari e migratori fra le città, dalla costruzione di infrastrutture di telecomunicazione interurbana di carattere planetario, dall intensificarsi della competizione interurbana controbilanciata dall emergere di forme di cooperazione e coordinamento fra città 23. In base a tale prospettiva, l urbano appare non solo come un livello collocato all interno delle gerarchie politicoeconomiche sovraurbane ma anche come il prodotto di densi network interscalari che collegano localizzazioni disseminate nel sistema mondo. Per ultime citiamo alcune analisi ispirate alla «scuola della regolazione» che pongono i processi di ristrutturazione urbana in relazione a varie trasformazioni in corso nell organizzazione spaziale dello stato tendenti a depotenziare, a livello di regolazione, l ambito nazionale a favore di forme di governance di carattere sia sovranazionale sia subnazionale 24. A partire da tale punto di vista, la scala urbana deve essere vista non solo nei termini di un arena locale dell accumulazione capitalista globale ma come una coordinata strategica di regolazione operante all interno della presente ristrutturazione della spazialità dello Stato (nazionale). Anche se il dibattito sugli attuali processi di trasformazione urbana rimane aperto, si possono individuare tre punti intorno a cui le tradizioni di ricerca che abbiamo considerato sembrano concordare. 1. Destabilizzazione delle coordinate scalari nazionali. Il quadro nazionale di accumulazione, regolazione statale, ur- 23 S. Graham, «Cities in the Real-Time Age. The Paradigm Challenge of Telecommunications to the Conception and Planning of Urban Space», Environment and Planning, 29, 1997, pp ; P.J. Taylor, World-City Network, Routledge, London B. Jessop, The Future of Capitalist State, Polity, London 2004; N. Brenner, New State Spaces, cit.

55 Il rescaling urbano 55 banizzazione e conflitto sociale prevalente nel vecchio mondo capitalista, nella fase fordista-keynesiana-bandung, è stato destabilizzato a partire dalla metà dagli anni Settanta. Nell attuale congiuntura, «i compromessi istituzionali un tempo correlati al livello nazionale sono ora dispersi a molteplici livelli spaziali»; allo stesso tempo, «una relazione di causalità reciproca attraversa in tutte le direzioni i vari livelli della società: nazioni, settori, free zone, regimi internazionali, regioni sovranazionali, metropoli e localizzazioni specializzate» Proliferazione delle strategie per riorganizzare le configurazioni scalari ereditate dal passato. La crisi del fordismo nordatlan tico ha suscitato una pluralità di strategie politicosociali volte a riorganizzare le configurazioni interscalari date in ambiti politico-economici e relativi alla vita quotidiana 26. All interno della città e oltre, tali strategie di rescaling sono viste come un mezzo per spostare o risolvere le criticità, gestire i problemi di regolazione, ridefinire le relazioni di potere e/o stabilire una nuova base geografica per lo sviluppo capitalista e la governance politicoeconomica. In tale contesto, le città e le città-regione divengono sempre più siti strategici per la sperimentazione re- golatoria, l innovazione istituzionale e la contestazione politica e sociale R. Boyer, J.R. Hollingsworth, «From National Embeddedness to Spatial and Institutional Nestedness», in Eid. (a cura di), Contemporary Capitalism. The Embeddedness of Institutions, Cambridge University Press, New York 1997, pp E. Swyngedouw, «Neither Global Nor Local. Glocalization and the Politics of Scale», in K. Cox (a cura di), Spaces of Globalization, Guilford Press, New York 1997, pp A.J. Scott, Regions and the World Economy, Oxford University Press, New York-London 1998.

56 56 Stato, spazio, urbanizzazione urbana 3. Relativizzazione delle scale. Le conseguenze a medio e lungo termine delle strategie di rescaling sulle linee di sviluppo urbano non appaiono ancora del tutto chiare anche se appare evidente l emergere di nuove configurazioni interscalari in cui la scala nazionale dell organizzazione politico-economica viene significativamente ricostituita. Si tratta di una realtà descritta in modo condivisibile da Bob Jessop in termini di «relativizzazione delle scale» 28. Da questo punto di vista, le trasformazioni spaziali contemporanee non avrebbero generato un processo unilaterale di globalizzazione, triadizzazione, europeizzazione, decentramento, regionalizzazione o localizzazione in cui una singola scala che sia globale, europea, regionale o locale rimpiazza quella nazionale come livello prioritario di coordinamento politico-economico. Diversamente, ci troveremmo di fronte a una situazione di «flussi scalari» caratterizzata da una complessiva e conflittuale ridefinizione delle configurazioni scalari ereditate dal passato e dallo sviluppo di relazioni interscalari nella cornice del capitalismo globale. In sintesi, come testimoniato dalla proliferazione di termini e formule del tipo «interazione globale-locale», «legame locale-globale», «glocalizzazione», «glurbanizzazione», alcuni studiosi della realtà urbana hanno cominciato a concettualizzare la più recente ondata di ristrutturazione geoeconomica nei termini di una complessa riarticolazione dell organizzazione interscalare. La problematica della scala geografica della sua organizzazione, del la sua produzione sociale, della sua contestazione po- 28 B. Jessop, «The Crisis of the National Spatio-Temporal Fix and the Ecological Dominance of Globalizing Capitalism», International Journal of Urban and Regional Research, 24, 2, 2000, pp

57 Il rescaling urbano 57 litica e della sua riconfigurazione storica si è così trovata collocata al centro della questione urbana che, mentre in precedenza si era incentrata sul dibattito riguardante la funzionalità o scalarità specifica della città, a partire dagli anni Novanta si è riarticolata intorno alla problematica della questione della scala. Le sfide metodologiche e le insidie dell analisi scalare La decifrazione delle intricate gerarchie scalari, dei mosaici e delle reti che emergono sulla scia delle trasformazioni geoeconomiche e geopolitiche del nostro tempo se da una parte si trova ancora a uno stadio embrionale dall altra può contare sul contributo offerto da un numero crescente di studiosi, fra cui non mancano coloro che propongono approcci critici nell ambito degli studi urbani e regionali 29. Ma nonostante la tendenza a utilizzare i concetti scalari con sempre maggiore riflessività, restano notevoli difficoltà nella decifrazione del ruolo svolto dalle città all interno degli attuali processi di rescaling, nella comprensione delle conseguenze dei processi di rescaling sulle dinamiche di sviluppo urbano e nella teorizzazione degli stessi processi di rescaling. In tal senso, da non sottovalutare è la portata della sfida costituita dalla costruzione di un adeguata grammatica concettuale per rappresentare il carattere processuale, dinamico e politicamente conflittuale della scala geografica e delle soluzioni istituzionali interscalari. La reificazione della scala, infatti, emerge nell uso comune di termini (quali locale, urbano, regionale, nazionale, glo- 29 E. Sheppard, R. McMaster (a cura di), Scale and Geographic Inquiry, Blackwell, Maiden 2004.

58 58 Stato, spazio, urbanizzazione urbana bale ecc.) nella misura in cui sono chiamati a esprimere processi spaziali distinti (come la localizzazione, l urbanizzazione, la regionalizzazione, la nazionalizzazione, la globalizzazione ecc.) come avvenissero all interno di spazi geografici chiusi in se stessi e chiaramente delimitati rispetto all esterno. Inoltre, il vocabolario scalare esistente appare non sufficientemente articolato per cogliere il complesso gioco di interconnessione e interdipendenza, in continuo cambiamento storico, fra le scale. Termini quali locale, urbano, regionale ecc. nel momento in cui sono utilizzati per demarcare presunte «isole» territoriali di relazioni sociali finiscono per offuscare la profonda reciproca compenetrazione di tutte le scale e il groviglio di reti interscalare da cui esse sono costituite. In proposito, le difficoltà sono aumentate dal fatto che ancora oggi la divisione del lavoro scientifico appare ricalcarsi su linee scalari e abbiamo così gli studi urbani, gli studi regionali, la politica comparata, le relazioni internazionali ecc. ostacolando gli sforzi di analizzare le dinamiche di relazione e trasformazione interscalare. Infine, è necessario evidenziare come presso coloro che hanno cercato di elaborare un approccio riflessivamente scalare all economia geopolitica la nozione di scala sia divenuta sempre più oggetto di dibattito. Significative differenze, infatti, emergono su come meglio stabilire le proprietà essenziali delle scale, sull appropriata portata analitica ed empirica del concetto, sulle sue relazioni con altri concetti socio-spaziali, sulle sue modalità di applicazione all analisi di specifici processi e relazioni 30. Per fare chiarezza su tali questioni occorrerà proce- 30 A. Amin, «Regions Unbound. Toward a New Politics of Place», Geografiska Annaler, 86, 2003, pp ; H. Bulkeley, «Reconfiguring Environmental Governance. Toward a Politics of Scales and Networks», Political

59 Il rescaling urbano 59 dere con il dibattito teorico, la sperimentazione metodologica e le concrete ricerche nell ambito degli studi urbani e al di fuori di essi. Nel prosieguo, non si tenterà di illustrare i contenuti dei dibattiti teorici che abbiamo citato ma si offrirà una rapida messa a punto concernente i concetti chiave da me elaborati nel contesto di una ricerca sulle geografie derivanti dai processi di ristrutturazione della governance nell Europa occidentale dopo gli anni Sessanta 31. Come si avrà modo di vedere, ciò mi spingerà a prendere posizione nei confronti di alcune posizioni presenti nell attuale dibattito sulla teoria socio-spaziale, in particolare la tendenza a trattare la scala come una metafora generale della socio-spazialità in quanto tale 32, l equazione fra la scala e una lettura territorialistica dello spazio 33, l appello ad abbandonare del tutto i concetti scalari a favore di modalità di analisi topologica 34, la costruzione di una teoria socio-spaziale basata su una fondazione ontologica decontestualizzata 35. In proposito, il mio obiettivo risiede non Geography, 2005, pp ; C. Collinge, «Flat Onthology and the Decontruction of Scale», cit.; A. Escobar, «The Ontological Turn in Social Theory», Transactions. Institute of British Geographers», 32, 2007, pp ; A. Jonas, «Pro Scale: Further Reflections on the Scale Debate Within Human Geography», Transactions. Istitute of British Geographers», 31, 2006, pp. 1-8; R. Howitt, «Scale as Relation. Musical Metaphors and Geographical Scale», Area, 30, 1, 1998, pp ; E. Sheppard, R. McMaster (a cura di), Scale and Geographic Inquiry, cit.; N. Sayre, «Ecological and Geographical Scale. Parallels and Potential for Integration», Progress in Human Geography, 29, 3, 2005, pp N. Brenner, New State Spaces, cit. 32 S. Marston, «The Social Construction of Scale», cit. 33 A. Amin, «Spatialities of Globalisation», Environment and Planning, 34, 2002, pp ; Id., «Regions Unbound», cit. 34 S. Marston, J.P. Jones, K. Woodward, «Human Geography Without Scale», cit.; A. Amin, «Spatialities of Globalisation», cit. 35 A. Escobar, «The Ontological Turn in Social Theory», cit.; C. Collinge, «Flat Onthology and the Decontruction of Scale», cit.

60 60 Stato, spazio, urbanizzazione urbana tanto nell evidenziare ciò che mi separa da tali posizioni quanto nello specificare, in termini positivi, gli elementi fondamentali della mia concettuologia. Le proposizioni che seguono fanno più volte riferimento al termine «scala», intendendolo però in un accezione che va oltre le convenzioni discorsive consuete nel tentativo di elaborare una grammatica concettuale basata sulla nozione processuale di scaling e rescaling. All interno di tale prospettiva, le scale costituiscono gli effetti temporaneamente stabilizzati di una pluralità di processi socio-spaziali da teorizzare e investigare in termini specifici. Si tratta, in breve, di orientare lo sguardo analitico ai processi di scaling e rescaling anziché alle scale stesse 36. Una simile concettualizzazione è volta a fornire le basi per ulteriori ricerche sui processi di rescaling nell ambito dell urbanizzazione o di altre forme socio-spaziali postulati nell ambito della letteratura che abbiamo in precedenza considerato. Si inizierà l esposizione con una fondazione epistemologica per poi rivolgersi ai problemi di concettualizzazione e analisi. Otto proposizioni sul rescaling 1. Un epistemologia critico-realista della scala. Quali sono le condizioni di possibilità per descrivere il mondo sociale come differenziato fra distinte scale, geograficamente dotate di una relativa coerenza? Farò riferimento a un epistemologia critico-realista in base alla quale l intelligibilità delle categorie scalari è ritenuta derivare da un precedente stato delle cose, ossia la differenziazione interna di specifici processi sociali nei variegati ma interconnessi 36 E. Swyngedouw, «Neither Global Nor Local», cit.

61 Il rescaling urbano 61 livelli scalari che, a loro volta, strutturano le percezioni, la comprensione e le rappresentazioni nella conoscenza ordinaria come nella ricerca scientifica 37. Da questo punto di vista, i concetti scalari, qualsiasi cosa significhino e come si è visto ciò è oggetto di notevoli disaccordi, non possono essere considerati come semplici categorie analitiche imposte dal ricercatore («astrazioni concettuali» nella terminologia di Max Weber). Diversamente, il lessico della scala geografica 38, come qui inteso, emerge come una «astrazione reale» delle strutture, delle strategie e delle trasformazioni del mondo sociale 39. L esigenza di ricorrere alla questione della scala si lega direttamente ai cambiamenti di organizzazione e configurazione territoriale intervenuti nella più recente fase dello sviluppo capitalista. Determinate concezioni della scala hanno avuto modo di affermarsi durante le precedenti fasi storiche del capitalismo. Le loro condizioni di possibilità, tuttavia, e il loro fondamento concettuale appaiono ben differenti da quelli rinvenibili nella congiuntura sviluppatasi a partire dagli anni Ottanta Le scale derivano dalla differenziazione verticale e dalla ridifferenziazione delle relazioni sociali. In concreto, quale sarebbe il punto di riferimento delle categorie scalari? Che cosa distingue un concetto scalare da altri discorsi volti a descrivere le forme di organizzazione socio-spaziale nel capitalismo? Nella prospettiva qui delineata, la differen- 37 A. Sayer, Method in Social Science, Routledge, London N. Smith, «Remaking Scale. Competition and Cooperation in Prenational and Postnational Europe», in H. Eskelinen, F. Snickars (a cura di), Competitive European Peripheries, Springer Verlag, Berlin 1995, pp Su quest ultima formula: A. Sayer, Method in Social Science, cit. 40 Per un punto di partenza ontologico opposto: S. Marston, J.P. Jones, K. Woodward, «Human Geography Without Scale», cit.

62 62 Stato, spazio, urbanizzazione urbana ziazione su base scalare delle relazioni sociali è basata sull «ordinazione verticale» delle formazioni sociali 41. Al «livello orizzontale» della differenziazione delle pratiche sociali nello spazio geografico si affianca quello «verticale» nel quale le relazioni sociali sono articolate gerarchicamente fra i piani, per esempio, globale, sovranazio- nale, nazionale, regionale, metropolitano o locale. Le spazialità della scala non possono essere certo colte integralmente in base alla dimensione di gerarchizzazione verticale. E tuttavia la mia proposta ruota intorno all assunto secondo cui la differentia specifica dell organizzazione scalare risiede nella differenziazione e ridifferenziazione verticale delle relazioni sociali. La scala, infatti, presuppone necessariamente, ossia per definizione, la strutturazione verticale delle relazioni sociali. Solo in completa assenza di strutturazioni verticali diviene plausibile la prospettiva ascalare di un «ontologia piatta» proposta da Marston, Jones e Woodward C. Collinge, «Self-Organization of Society by Scale. A Spatial Reworking of Regulation Theory», Environment and Planning. Society and Space, 17, 1999, pp S. Marston, J.P. Jones, K. Woodward, «Human Geography Without Scale», cit. Nel sottolineare il carattere verticale delle relazioni scalari non si vuole affatto negare importanza alle forme orizzontali di interdipendenza e interazione scalare, per esempio le reti fra attori e organizzazioni collocati in varie regioni, territori, città ecc. Diversamente, si intende evidenziare l importanza di indagare in quale senso la problematica della scalarità geografica impatta sull orizzontalità delle relazioni in rete. In un interessante saggio sulle geografie globali del cibo, Whatmore e Thorne affermano come le reti orizzontali non possano essere adeguatamente comprese basandosi sui tradizionali concetti scalari geometrici, unilateralmente incentrati su una «geografia delle superfici» anziché su una «geografia dei flussi» (S. Whatmore, L. Thorne, «Nourishing Networks: Alternative Geographies of Food», in D. Goodman, M. Watts, Globalising Food. Agrarian Questions and Global Restructuring, Routledge, London 1998, pp ). Facendo riferimento alle ricerche di Bruno Latour, Whatmore e Thorne insistono sul fatto che «le relazioni di potere nello spazio» devono essere

63 Il rescaling urbano Le scale esistono in quanto i processi sociali sono scalati. Le scale geografiche ossia i livelli discreti all interno delle gerarchie interscalari non costituiscono proprietà stabili e per- manenti delle istituzioni politico-economiche o delle spazialità sociali. Diversamente, esse possono essere più adeguatamente considerate come dimensioni socialmente costruite e, di conseguenza, intrinsecamente plastiche e malleabili, di specifici processi sociali quali la produzione capitalista, la riproduzione sociale, la regolazione statale, il conflitto sociale ecc. Poiché ogni forma istituzionale o processo sociale, politico o economi co è internamente differenziato in una gerarchia verticale riconcettualizzate come «dilatazioni frizionali di reti a controllo remoto». Da un simile punto di vista, la questione principale riguarda non la scala, codificata all interno di una distinzione categoriale fra «locale» e «globale», ma la connettività che stabilisce flussi di varia ampiezza trasgredendo quelle categorie scalari (ivi, pp ). A mio parere, le scale geografiche e le reti di connettività spaziale sono aspetti della spazialità sociale reciprocamente costitutive e non mutualmente escludenti. Le reti di connettività spaziale sono strutturate dai processi di scaling così come questi servono a demarcare le specifiche, anche se spesso amorfe, unità spaziali fra le quali le reti sono interconnesse e le orbite spaziali di quelle stesse reti. In ogni caso, le relazioni fra scale e reti può essere colta in diversi modi: si può ipotizzare che le scale geografiche producano le reti di connettività, che le reti di connettività producano le scale geografiche o, in termini più dialettici, che le reti di connettività e le scale geografiche siano reciprocamente co-costitutive all interno di un gioco complesso di interazioni. Ciascuna di queste proposizioni può avere una sua validità in determinati contesti storico-geografici. Dal mio punto di vista, Whatmore e Thorne hanno ragione (così come altri) nel mettere in discussione la capacità dei concetti scalari euclideo-cartesiani di operare adeguatamente come strumenti di indagine delle forme di interdipendenza e interazione spaziale orizzontalmente reticolari (S. Whatmore, L. Thorne, «Nourishing Networks: Alternative Geographies of Food», cit.; A. Amin, «Spatialities of Globalisation», cit.; S. Marston, J.P. Jones, K. Woodward, «Human Geography Without Scale», cit.). Senza dubbio la scala geografica può strutturare le relazioni di connettività orizzontale ma le categorie scalari ben difficilmente sono in grado di offrire una soddisfacente descrizione delle spazialità multidimensionali inerenti a tali relazioni.

64 64 Stato, spazio, urbanizzazione urbana di unità spaziali relativamente discrete, sorge il problema della sua organizzazione scalare. In proposito, tuttavia, appare più corretto parlare di scaling (differenziazione scalare) e rescaling (ridifferenziazione scalare) di specifiche tipologie di processo sociale o forma istituzionale che di scala in sé. Detto altrimenti: le scale costituiscono gli esisti provvisoriamente stabilizzati dei processi di scaling e rescaling e possono essere colte solo attraverso l analisi di questi ultimi. 4. Le scale possono essere colte solo in termini relazionali. Le scale non devono essere concepite come unità fisse all interno di un insieme di contenitori territoriali sovrapposti definiti dalla dimensione geografica (sul modello di una matrioska). Le configurazioni istituzionali, le funzioni, le vicende storiche e le dinamiche di una determinata scala geografica possono essere individuate solo relazionalmente, ossia in rapporto ai legami verso l alto, il basso e trasversali con le altre scale geografiche situate nella più ampia configurazione interscalare in cui quella stessa scala è inserita. Di conseguenza, il significato scalare di termini quali globale, nazionale, regionale, urbano e locale differisce qualitativamente in relazione alla specificità storica delle morfologie scalari associate ai processi sociali e alle forme istituzionali. Da un simile punto di vista, appare analiticamente impreciso parlare di scala al singolare, come avviene, per esempio, nei discorsi sull urbano, il regionale, il nazionale o il locale. Tali formulazioni sostanzialiste implicano erroneamente l attribuzione alle singole scale di una coerenza interna che esime dal compito essenziale di analizzare la loro co-costituzione relazionale attraverso i processi di strutturazione multiscalare.

65 Il rescaling urbano Le forme di organizzazione interscalare corrispondono più alla forma del mosaico che a quella della piramide. Il paesaggio istituzionale del capitalismo si caratterizza non per un unica, onnicomprensiva piramide scalare in cui trovano collocazione tutti i processi sociali e politici. Ogni processo sociale o forma istituzionale, infatti, può essere correlato a differenti schemi di differenziazione scalare. Lo schema di differenziazione scalare associato agli Stati nazionali, per esempio, può corrispondere solo parzialmente a quello delle gerarchie urbane nazionali che, da parte sua, può tendere a correlarsi in termini preferenziali con quello della circolazione del capitale. Di conseguenza, l architettura scalare del capitalismo nel suo complesso può essere vista come un mosaico di gerarchie scalari sovrapposte, intrecciate, innestate e mai del tutto coincidenti, le cui unità difficilmente appaiono coestensive e isomorfiche. 6. Le configurazioni interscalari si trovano inserite in geografie polimorfiche. I processi di scaling e rescaling si sviluppano a stretto contatto con altre forme di strutturazione sociospaziale come la territorializzazione (enclosure, confinamento), il place-making (agglomerazione, raggruppamento) la formazione di reti (costruzione di connettività interspaziale). La differenziazione scalare di un processo sociale o di una forma istituzionale è, quindi, solo una fra le possibili dimensioni significative per la sua configurazione geografica. La scala è solo uno degli aspetti della socio-spazialità 43. Di conseguenza, gli studi sui processi di scaling e rescaling devono evitare la trappola dello «scala- 43 N. Brenner, «A Thousand Leaves. Note on the Geographies of Uneven Spatial Development», in R. Keil, R. Mahon (a cura di), A New Leviathan? The New Political Economy of Scale, University of British Columbia, Vancouver 2009.

66 66 Stato, spazio, urbanizzazione urbana centrismo» che consiste nel privilegiare gli attributi scalari dei processi sociali o delle forme istituzionali a scapito di altre dimensioni socio-spaziali. 7. I processi di rescaling, operando sulle posizioni delle for- mazioni socio-spaziali, ricalibrano le geografie e le coreografie delle relazioni di potere. Lo scaling e il rescaling dei processi sociali media, ed è a sua volta è mediato da relazioni sociali altamente asimmetriche e conflittuali 44. Da una parte, la fissazione e la riorganizzazione delle gerarchie scalari produce geografie e coreografie di inclusione/esclusione e dominio/subordinazione che rafforzano determinati attori a scapito di altri sulla base di criteri quali la classe, il genere, la razza/etnicità, la nazionalità. In tal modo, i processi di rescaling sono in grado di modificare la posizione di determinate forme socio-spaziali, ossia la loro posizione relativa all interno del più ampio sistema costituito dallo sviluppo spaziale differenziale del capitalismo globale 45. Tuttavia, le gerarchie scalari possono rappresentare non solo le arene del conflitto sociale ma anche la sua posta in palio, in quanto sono poste in tensione e modificate nel corso delle lotte riguardanti la posizionalità. Infatti, come ha suggerito Erik 44 C. Berndt, «The Rescaling of Labour Regulation in Germany. From National and Regional Corporatism to Intrafirm Welfare», Environment and Planning, 32, 9, 2000, pp ; N. Castree, «Geographic Scale and Grass Roots Internationalism. The Liverpool Dock Dispute ( )», Economic Geography, 76, 3, 2000, pp ; A. Herod, «Labour s Spatial Praxis and the Geography of Contract Bargaining in the us East Coast Longshore Industry ( )», Political Geography, 16, 2, 1997, pp ; E. Swyngedouw, «Neither Global Nor Local», cit.; N. Smith, «Homeless/Global: Scaling Places», in J. Bird, B. Curtis, T. Putnam, G. Robertson, L. Tickner (a cura di), Mapping the Futures. Local Cultures, Global Change, Routledge, New York E. Sheppard, «The Space and Times of Globalisation. Place, Scale, Networks and Positionality», Economic Geography, 202, pp

67 Il rescaling urbano 67 Swyngedouw, «il continuo rimaneggiamento delle scale spaziali è parte integrante delle strategie e dei conflitti sociali» 46. Nella stessa direzione si muove la seguente formulazione di Neil Smith: «La scala del conflitto e il conflitto sulla scala sono due facce della stessa medaglia» 47. La specificazione delle condizioni storico-geografiche a partire dalle quali le gerarchie scalari possono diventare poste in gioco e non semplici contesti del conflitto sociale costituisce un ambito di analisi che merita un investigazione sistematica. 8. I processi di rescaling sono path dependent 48. In passato, la letteratura sulla produzione delle scale, a partire dal confronto con la base empirica fornita dai tumultuosi cambiamenti che caratterizzano il post-anni Settanta, ha teso a enfatizzare il carattere cataclismatico delle trasformazioni scalari. In tali condizioni, segnate da una vera e propria crisi sistemica, si assisteva allo smantellamento e alla ridefinizione delle configurazioni esistenti; come esito di intensi conflitti sociali e politici si stabilivano nuove gerarchie scalari. Le configurazioni scalari, tuttavia, non sono illimitatamente malleabili, anche nelle fasi di più intensa e accelerata ristrutturazione. Inoltre, i processi di rescaling non si presentano nei termini di una semplice sostituzione di una configurazione interscalare con un al tra già fatta e formata, e nemmeno in una forma che vedrebbero le configurazioni precedenti sparire man mano che si affermano le nuove. Diversamente, i processi di rescaling in ge- 46 E. Swyngedouw, «Neither Global Nor Local», cit., p N. Smith, «Homeless/Global: Scaling Places», cit., p Il concetto di path dependence, letteralmente «dipendenza dal percorso», affermatosi nell ambito dell economia politica e quindi estesosi ad altri ambiti disciplinari, indica la dipendenza delle decisioni del presente da quelle del passato. [N.d.T.]

68 68 Stato, spazio, urbanizzazione urbana nere avvengono attraverso l interazione path dependent fra le soluzioni scalari esistenti e le strategie emergenti volte a modificarle e ricalibrarle. Ciò significa che, anche in presenza di forti pressioni alla ristrutturazione di un determinato ordine interscalare, le configurazioni scalari presenti possono escludere alcune linee di rescaling circoscrivendo la produzione di nuove scale all interno di determinati parametri istituzionali e geografici. In una simile prospettiva, il cambiamento si presenta come una dinamica più incrementale e disomogenea che stocastica e sistemica: in un determinato periodo storico, le configurazioni scalari dominanti spesso sono in grado di imporre una cornice geografica relativamente rigida e autorafforzantesi alle configurazioni scalari e alle relazioni interscalari che si sviluppano nel corso del tempo 49. Se si volesse trarre una conclusione analitica ipersintetica dalle proposizioni precedenti, la si potrebbe così formulare: le scale in quanto tali non esistono. Avendo posto una particolare enfasi sul carattere plurale, polimorfico ed 49 Secondo Chris Collinge, la selezione della scala dominante e, più in generale, l evoluzione delle gerarchie scalari sono calibrate in relazione alle esigenze dell accumulazione capitalista (C. Collinge, «Self-Organization of Society by Scale», cit.). Se da una parte tale impostazione fornisce un utile critica strutturalista ad alcune tendenze volontariste presenti nelle analisi che si rifanno alla «scuola della regolazione», dall altra l assunto secondo cui l evoluzione scalare riflette direttamente le esigenze, determinate storicamente, dell accumulazione capitalista risulta problematico. Come suggerisce la letteratura sulla path dependence, configurazioni istituzionali inefficienti o non ottimali tendono a perpetuarsi per i vantaggi che offre la loro presenza e diffusione (B. Arthur, Increasing Returns and Path Dependence in the Economy, University of Michigan Press, Ann Arbor 1994). La dinamica dell accumulazione di capitale costituisce senza dubbio un parametro chiave ma il cambiamento delle gerarchie scalari in un particolare contesto storico-geografico è condizionato anche dall inerzia delle configurazioni scalari esistenti e dalle strategie politiche dei vari attori e dai rapporti di forza fra le classi.

69 Il rescaling urbano 69 eterogeneo della socio-spazialità, sull intrinseca dimensione relazionale di ogni strato delle gerarchie interscalari, sui tratti processuali e dinamici delle configurazioni interscalari, il linguaggio tendenzialmente statico e monodimensionale della scala non può che apparire sempre più inadeguato. Come si diceva in precedenza, ci troviamo di fronte non a un economia politica di scale fisse, discrete, singolari, inserite l una nell altra ma a una molteplicità di economie politiche scalate coinvolte, e a loro volta produttrici di una pluralità di linee di differenziazione e ridifferenziazione scalare. L obiettivo, in proposito, deve consistere non solo nel riconoscere il carattere di differenziazione scalare della vita politico-economica ma, più in generale, nell esplorare le diverse dinamiche sociali nelle quali e attraverso cui le configurazioni politicoeconomiche scalari sono prodotte e continuamente trasformate nel corso dello sviluppo geostorico del capitalismo e nell individuare le modalità attraverso le quali gli ordini politico-economici scalati strutturano le relazioni sociali di dominio e sfruttamento nonché i conflitti. Rispetto alla nozione geografica di scala, i concetti di scaling e rescaling e, più in generale, di economie politiche scalate appaiono più adatti a fornire una base adeguata per l analisi della questione urbana nel presente. Da questo punto di vista, la formula «nuova economia politica della scala» potrebbe rimandare ai recenti sforzi per cogliere i continui processi di scaling e rescaling che caratterizzano le dinamiche politico-economiche del capitalismo 50. Tuttavia, la nozione di «economia politica scalata» costituisce forse una migliore definizione per gli approcci teorici che qui abbiamo proposto in quanto evidenzia come il punto focale dell indagine scalare risieda non 50 R. Keil, R. Mahon, The New Political Economy of Scale, cit.

70 70 Stato, spazio, urbanizzazione urbana nelle scale stesse ma nei processi di scaling (differenziazione di scala) e rescaling (ridifferenziazione di scala) che nel capitalismo contemporaneo si collocano alla base delle dinamiche di sviluppo istituzionale e di conflitto sociale. I limiti del rescaling Le proposizioni che abbiamo presentato costituiscono solo un rudimentale punto di partenza per le ricerche, di taglio sia teorico sia empirico, sui processi di ristrutturazione urbana e regionale del nostro tempo. Ovviamente, saranno necessari ulteriori studi sviluppati a vari livelli di astrazione-concretezza per cogliere i meccanismi attraverso i quali i processi di urbanizzazione contemporanei sono scalati e riscalati, le specifiche condizioni in cui avviene la destabilizzazione di configurazioni scalari apparentemente stabili, le linee e traiettorie attraverso cui le configurazioni sono riscalate, le strategie politiche, le forze sociali e le alleanze territoriali che si aggregano pro o contro specifiche strategie volte a riscalare i processi di urba- nizzazione, l interazione fra i processi di scaling e rescaling e gli altri processi di ristrutturazione socio-spaziale (place-making, territorializzazione e messa in rete) sviluppatisi durante la geo-storia dell urbanizzazione capitalista. La proliferazione di database incentrati sulla scala geografica avvenuta a partire dagli anni Novanta può essere letta come una conseguenza della diffusione e del raffinamento degli approcci spazializzati all economia politica urbana e regionale sviluppatisi durante il decennio precedente sulla scia degli sconvolgimenti intervenuti nelle gerarchie scalari e nei rapporti di interdipendenza del capitalismo organizzato. Di conseguenza, la discussione sulla

71 Il rescaling urbano 71 questione delle scale è proliferata non solo nell ambito degli studi urbani e regionali, fornendo una grammatica concettuale più precisa per analizzare il continuo processo di ridifferenziazione gerarchica delle relazioni sociospaziali in un periodo della geostoria del capitalismo caratterizzata da una particolare instabilità. Se già negli anni Ottanta era stato sviluppato un raffinato vocabolario analitico per approcciare le dimensioni fondamentali della spazialità capitalista, il nuovo lessico della scala geografica ha fornito ai ricercatori un potente strumento per denaturalizzare, storicizzare e interrogare criticamente le unità spaziali e le gerarchie nelle quali sono configurate le relazioni sociali. I recenti dibattiti, quindi, hanno fornito agli urbanisti e agli economisti critici importanti lenti analitiche attraverso cui iniziare a decifrare le geografie dei processi contemporanei di ristrutturazione. Dal mio punto di vista, i recenti contributi all analisi della produzione e trasformazione delle scale rivestono un particolare interesse per l ambito degli studi urbani, le cui unità analitiche rimangono fortemente ambigue anche dopo quasi un secolo di dibattito sulla questione urbana. Tuttavia, ci terrei anche a mettere in guardia contro la tendenza ad abusare dei concetti scalari, sia negli studi urbani sia in altri ambiti di analisi socio-spaziale, in quanto la strutturazione scalare dello spazio sociale (basata su relazioni gerarchizzate fra unità differenziate verticalmente) deve essere analiticamente distinta da altre forme di strutturazione socio-spaziale come il place-making, la localizzazione, la territorializzazione, la messa in rete 51. Il lessico della scala geografica, come ho cercato di chiarire, 51 N. Brenner, «A Thousand Leaves», cit.; B. Jessop, N. Brenner, M. Jones, «Theorizing Socio-Spatial Relations», Environment and Planning, 26, 2008, pp

72 72 Stato, spazio, urbanizzazione urbana può rivelarsi un notevole strumento di indagine a patto però di riconoscerne consapevolmente i limiti 52. Se da una parte il capitalismo ha alle sue spalle una lunga storia di differenziazioni gerarchiche, dall altra l attuale fase di ristrutturazione appare segnata da trasformazioni dell organizzazione scalare particolarmente profonde. Nel corso degli ultimi trent anni, il progetto geoeconomico del neoliberismo, incentrato su mobilità dei capitali, deregolamentazione dei mercati e crescente mercificazione, è proceduto attraverso un possente attacco alle scale delle regolazione socio-politica e il tentativo di forgiare una nuova gerarchia scalare a livello planetario in cui la logica della competizione con tutti i possibili mezzi è istituzionalizzata. Si tratta di tendenze che hanno un profondo impatto sui sistemi di governance urbana e sulle città, che sono diventate l obiettivo dei progetti neoliberisti di distruzione creativa spaziale e istituzionale 53. Allo stesso tempo, però, nelle città e al di là di esse, si sviluppano movimenti di opposizione all offensiva neoliberista che stanno iniziando a mobilitare la scala geografica in termini strategici spesso assai creativi, ora saltando di scala per sottrarsi alla presa di pratiche istituzionali egemoni, ora raccogliendo consenso in favore di progetti di regolazione il cui scopo consiste nel socializzare il capitale a determinate scale o nel proporre compromessi scalari differenti basati sui principi della democrazia radicale, dell emancipazione o della giustizia socio-spaziale 54. In 52 N. Brenner, «The Limits to Scale? Methodological Reflections on Scalar Structuration», Progress in Human Geography, 15, 4, 2001, pp N. Brenner, N. Theodore (a cura di), Spaces of Neoliberalism. Urban Restructuring in North America and Western Europe, Blackwell, Cambridge M. Mayer, «Contesting the Neoliberalization of Urban Governance», in H. Leitner, J. Peck, E. Sheppard (a cura di), Contesting Neoliberalism. Urban Frontiers, Guiford, New York 2007, pp

73 Il rescaling urbano 73 tal senso, la sempre maggiore preminenza assunta dai concetti scalari nella teoria urbana può essere vista come un «astrazione reale» degli attuali conflitti interscalari: è proprio per il fatto che la configurazione della scala geografica è diventata una posta in gioco fondamentale della contestazione sociale e politica che i teorici urbani e altri scienziati sociali critici si sono così tanto interessati, in questi ultimi anni, alle sue conseguenze metodologiche.

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75 La glocalizzazione come strategia spaziale dello Stato: imprenditorialità urbana e nuova politica dello sviluppo ineguale Nell Europa occidentale, a partire dagli anni Settanta, le geografie politiche della governance urbana sono cambiate dappertutto. L orientamento delle istituzioni politiche urbane al welfare, prevalente durante gli anni del boom economico della seconda metà del Novecento, è stato sostituito da una nuova politica focalizzata sui problemi della competitività economica locale. Questo riorientamento della governance è stato descritto da David Harvey (1989) come passaggio dalla «managerialità» all «imprenditorialità» urbane e ampiamente documentato da Hall e Hubbard (1998). Mentre le politiche di crescita urbana sono state per lungo tempo la principale preoccupazione degli studiosi delle città americane, le indagini sull imprenditorialità dell Europa occidentale sono legate ai più recenti dibattiti sulla globalizzazione, l integrazione europea e la crisi dello Stato nazionale impostato su una politica di welfare di stampo keynesiano (Harding, 1997). Di fronte ai cambiamenti geoeconomici come la globalizzazione del capimanca in bibliografia? tale, al consolidamento del mercato unico europeo e al declino delle industrie manifatturiere fordiste, molte città dell Europa occidentale hanno dovuto affrontare una serie di problemi socioeconomici come la fuga dei capi-

76 76 Stato, spazio, urbanizzazione urbana tali, la disoccupazione di massa e il degrado delle infrastrutture. Allo stesso tempo, mentre i sistemi di welfare keynesiani sono stati ridotti in seguito alla pressione esercitata dai governi nazionali neoliberisti, i singoli Stati hanno dovuto affrontare uno scenario fiscale più ostile e ciò ha richiesto un impegno concreto in diversi progetti di sviluppo economico. Tali trasformazioni hanno sorretto la crescente neoliberalizzazione della politica urbana in tutta l Europa occidentale, mentre le priorità costituite dalla crescita economica, dalla competitività territoriale, dalla flessibilità del mercato del lavoro, dallo snellimento dell amministrazione e della disciplina del mercato sono diventate sempre più i parametri indiscussi della politica locale (Peck, Tickell, 1994). Negli ultimi anni, abbiamo assistito a una proliferazione di analisi delle geografie dell imprenditorialità urbana nell Europa occidentale. Basandosi su tali ricerche, questo saggio interpreta la diseguale transizione verso l imprenditorialità urbana nell area geografica indicata, come dimostrazione di una più ampia riorganizzazione della natura dello Stato europeo (statehood). La mia tesi è che le città imprenditrici rappresentano le principali arene di regolazione all interno delle quali si consolidano le nuove geografie «glocalizzate» del potere dello Stato nazionale. Differentemente dagli Stati nazionali del secondo Novecento, imperniati su una politica di welfare di stampo keynesiano e che quindi cercavano di distribuire equamente la popolazione, le industrie e le infrastrutture sul territorio nazionale, la caratteristica degli Stati glocalizzati è il progetto mirato alla riconcentrazione delle capacità di sviluppo economico nell ambito di luoghi subnazionali strategici come le città, le città-regione e i distretti industriali che, a loro volta, devono essere posizionati strategicamente nell ambito dei flussi economici

77 La glocalizzazione come strategia spaziale dello Stato 77 europei e globali. Tale strategia di riconcentrazione urbana è probabilmente un elemento chiave della competizione tra gli Stati postkeynesiani contemporanei (Cerny, 1995). Si noti, tuttavia, che il concetto di «Stati glocalizzati» viene qui utilizzato non per riferirsi a una forma- Stato pienamente consolidata, ma per indicare un importante tendenza alla ristrutturazione spaziale dello Stato nell odierna Europa occidentale. In questo saggio, il processo di glocalizzazione sarà quindi teorizzato come un emergente e profondamente contraddittoria strategia dello Stato, imperniata sulla riorganizzazione spaziale dei suoi assetti regolatori su scale spaziali multiple. Sulla selettività spaziale degli Stati capitalisti Mentre le descrizioni tradizionali dello Stato erano basate su numerosi presupposti geografici, le attuali trasformazioni geoeconomiche e geopolitiche hanno generato un interesse senza precedenti per le dimensioni geografiche del potere dello Stato (Brenner, Jessop, Jones, Mac- Leod, 2003). Come testimonia lo straordinario sviluppo della letteratura sull argomento, le trasformazioni attuali hanno indotto una riorganizzazione delle forme di spazialità dello Stato ereditate e basate su organizzazioni nazionali, più che un erosione della forma-stato come tale. Il recente dibattito sulla ristrutturazione spaziale dello Stato è quindi caratterizzato da un enfasi specifica sulle nuove dimensioni, sulle frontiere e sui confini territoriali dello Stato come ente regolatore. Nel momento in cui, come nell attuale periodo storico, si mettono in moto le rigide strutture prestabilite di territorialità degli Stati nazionali, gli studiosi contemporanei hanno il compito di sviluppare nuovi metodi e categorie con i quali disegnare

78 78 Stato, spazio, urbanizzazione urbana nuove mappe per la costruzione statale (statecraft), trasferi- ta su altra scala, riterritorializzata e riconfinata, così come sta emergendo nel mondo. Una parte importante del recente lavoro sulla pro- duzione di nuovi spazi dello Stato si è sviluppata senza un esplicita base teorica. In molta letteratura sull argomento, le dimensioni geografiche del potere dello Stato sono trattate in termini essenzialmente descrittivi. Con altrettanta frequenza, le forze causali alla base dei processi di ristrutturazione spaziale dello Stato non sono chiaramente specificate. Esiste quindi la necessità di una riflessione più ordinata sui meccanismi politico-istituzionali specifici, attraverso i quali le configurazioni territoriali e/o scalari degli Stati si trasformano da stabili contesti (settings) dove le regole della politica si schiudono in oggetti e palinsesti della contestazione sociopolitica. Ritengo che questi argomenti possano essere affrontati esaminando il contraddittorio ruolo strategico dello Stato nella regolazione dell ineguale sviluppo geografico del capitalismo su diverse scale. A questo scopo, mi baserò sul lavoro del teorico inglese Bob Jessop (1990), per interpretare i processi contemporanei della ristrutturazione spaziale dello Stato come espressione delle strategie politiche selettive dal punto di vista della spazialità. Secondo Jessop (1990), lo Stato capitalista deve essere visto come una specifica forma istituzionale di rapporti sociali. Jessop ritiene che la forma-stato si sia costituita attraverso una «particolarizzazione» o separazione istituzionale dal circuito del capitale (Jessop, 1990, p. 206). Tuttavia, l esistenza dello Stato come insieme distinto di rapporti sociali non si traduce automaticamente in un quadro coerente di sue attività concrete. Al contrario, la forma-stato è vista come un concentrato sottodeterminato di interazioni strategiche che riguardano la natura del

79 La glocalizzazione come strategia spaziale dello Stato 79 suo intervento. Per Jessop, quindi, l unità funzionale e la coerenza organizzativa dello Stato non sono mai prestabilite, ma devono essere viste come esiti emergenti, contestati e instabili delle lotte sociali. Infatti, è solo attraverso l uso di progetti statali storicamente specifici, i quali cercano di integrare le attività statali all interno di programmi politico-economici coerenti, che l immagine del lo Stato come entità organizzativa unificata («effetti della politica spaziale dello Stato») può essere proiettata nella società civile (Jessop, 1990). È su questa base che lo studioso introduce il concetto chiave di «selettività strategica», il cui obiettivo è lo sviluppo di un quadro d insieme per analizzare il ruolo delle strategie politiche nel forgiare le strutture istituzionali dello Stato e le forme di intervento socioeconomico. Sulla base del lavoro di Claus Offe, Jessop sostiene che lo Stato è dotato di selettività vale a dire della tendenza a privilegiare forze sociali, interessi e attori particolari rispetto ad altri. Tuttavia, questa selettività si comprende meglio come oggetto ed esito delle lotte attuali che non come caratteristica precostituita del sistema statuale. Di conseguenza, Jessop (1990, p. 260) propone che lo Stato operi come «il luogo, il generatore e il prodotto delle strategie». Le strategie in questione possono essere orientate verso una serie di obiettivi socioistituzionali diversi. In particolare, quelle rivolte alla struttura istituzionale dello Stato possono essere distinte dalle strategie orientate al circuito del capitale e/o alla riconfigurazione dell egemonia della società. Nella terminologia di Jessop, le prime rappresentano i progetti dello Stato, mentre le seconde le strategie dello Stato. I progetti mirano a dotare le istituzioni statali di unità funzionale, coordinamento operativo e coerenza organizzativa. Quando funzionano, essi generano «effetti» che

80 80 Stato, spazio, urbanizzazione urbana conferiscono all apparato statale un immagine di unità, coerenza funzionale e integrazione organizzativa (Jessop, 1990, pp. 6-9). Di contro, le strategie sono iniziative mirate a mobilitare le istituzioni statali verso forme particolari di intervento socioeconomico (Jessop, 1990, pp ). Quando funzionano, generano strategie di accumulazione coe renti e/o progetti egemonici (Jessop, 1990, pp ). Mentre le strategie generalmente presuppongono l esistenza di un progetto relativamente coerente, non vi è garanzia che i progetti si traducano effettivamente in valide strategie dello Stato. In sintesi, Jessop sostiene che la selettività dello Stato deriva da una dialettica di interazione strategica e contestazione sociopolitica all interno e all esterno delle istituzioni statali. In quest ottica, le attuali lotte sociali plasmano: a) la struttura istituzionale evolutiva dello Stato; b) i suoi diversi modi di intervento socioeconomico, le sue strategie di accumulazione e i progetti egemonici. L insieme istituzionale nel quale si apre questa dialettica è visto come il risultato di precedenti lotte politiche relative a forme e funzioni del potere statale. L approccio strategico-relazionale di Jessop può essere opportunamente usato come base di una concettualizzazione della ristrutturazione d ordine spaziale dello Stato. Il fulcro metodologico di questa concettualizzazione è l affermazione che la spazialità dello Stato non è mai un entità fissa e predeterminata ma, come tutti gli altri aspetti della forma-stato, un processo emergente, strategicamente selettivo e socialmente contestualizzato. Così come gli approcci radicali all urbanizzazione nel capitalismo hanno a lungo sottolineato la processualità della spazialità urbana (Harvey, 1989), è altresì necessaria una comprensione dinamica e processuale della spa-

81 La glocalizzazione come strategia spaziale dello Stato 81 manca in bibliografia? zialità dello Stato per decifrare le geografie storiche della sua ristrutturazione nel capitalismo (Lefebvre, 1978; Brenner, 2004). Come indicato, Jessop sostiene che la coe renza organizzativa, la coesione operativa e l unità funzionale dello Stato non sono mai determinate in precedenza, ma possono essere stabilite unicamente attraverso le strategie politiche. Questo argomento può essere applicato con buoni risultati anche alle geografie del potere. Da questa prospettiva, la coerenza territoriale e il coordinamento interscalare delle istituzioni e delle politiche statali non sono mai predeterminati, ma possono essere stabiliti unicamente attraverso le strategie politiche per influenzare la forma, la struttura e la differenziazione interna dello spazio dello Stato. Al contempo, le geografie ancora esistenti delle istituzioni e delle politiche dello Stato devono essere viste come i prodotti di precedenti strategie atte a riplasmare i suoi modelli spaziali. La spazialità del potere può quindi essere vista contemporaneamente come luogo, generatore e prodotto di strategie politiche (MacLeod, Goodwin, 1999). La spazialità dello Stato è forgiata attraverso un rapporto dialettico tra: a) modelli ereditati di organizzazione spaziale; b) strategie emergenti per modificare o trasformare le geografie politiche codificate. Sulla base della teorizzazione strategico-relazionale della forma, dei progetti e delle strategie dello Stato di Jessop, si possono distinguere tre dimensioni altrettanto fondamentali di spazialità statale nel capitalismo: la forma, i progetti e le strategie spaziali (tabella 1). 1. La forma spaziale dello Stato. La forma spaziale dello Stato si definisce con riferimento al principio di territorialità. Dal consolidamento del sistema geopolitico westfaliano nel xvii secolo, gli Stati sono organizzati come unità

82 82 Stato, spazio, urbanizzazione urbana Tabella 1 - Approccio strategico-relazionale alla spazialità dello Stato Forma-Stato Lo Stato è istituzionalmente separato o «particolarizzato» dal circuito del capitale Forma spaziale dello Stato Lo Stato è organizzato come unità di autorità politica territorialmente centralizzata e autodelimitata nell ambito di un sistema interstatale definito da unità politiche formalmente equivalenti Progetti dello Stato La coerenza organizzativa e il coordinamento funzionale del sistema statale non sono mai predeterminati ma sono il prodotto di programmi e iniziative particolari I progetti dello Stato sono dei tentativi per integrare l insieme delle attività statali intorno a un quadro organizzativo comune e a programmi politici condivisi Obiettivo: istituzioni statali Esito possibile: «effetti statali» Progetti spaziali dello Stato La coesione geografica e il coordinamento interscalare dello spazio e dello Stato non sono mai predeterminati, ma sono il prodotto di programmi e iniziative specifiche I progetti spaziali dello Stato nascono come tentativi di integrare le istituzioni e i regimi politici attraverso scale geografiche e tra luoghi differenti all interno del territorio Obiettivo: strutture dello Stato spazialmente differenziate Esito possibile: consolidamento delle divisioni spaziali e scalari della regolazione; sviluppo ineguale della regolazione (segue)

83 La glocalizzazione come strategia spaziale dello Stato 83 Tabella 1 (segue) Strategie dello Stato La capacità dello Stato di promuovere forme particolari di sviluppo economico e di conservare la legittimazione non è mai predeterminata ma è il prodotto di programmi e iniziative particolari Le strategie dello Stato vengono alla luce come tentativi di imporre forme particolari di intervento socioeconomico Obiettivo: circuito del capitale e della società civile Possibile esito: strategie di accumulazione e/o progetti egemonici Strategie spaziali dello Stato La capacità dello Stato di influire sulle geografie di accumulazione e le lotte politiche non è mai predeterminata ma è il prodotto di programmi e iniziative particolari Le strategie spaziali dello Stato emergono come tentativi di plasmare le geografie dell industria, delle infrastrutture e della popolazione Obiettivo: le geografie dell accumulazione e la regolazione all interno del territorio di uno Stato Possibile esito: strategie di accumulazione spazialmente selettive e/o progetti egemonici forme storicamente specifiche di selettività strategica forme storicamente specifiche di selettività spaziale di autorità politica formalmente equivalenti, non sovrapposte e territorialmente chiuse. Nel corso della geostoria dello sviluppo dello Stato moderno, la geografia degli Sta ti è stata definita da questa territorializzazione della politica a livello mondiale (Ruggie, 1996). Anche nel l epoca attuale, mentre i confini degli Stati nazionali sono diventati sempre più permeabili ai flussi sovranazionali, 1993?

84 84 Stato, spazio, urbanizzazione urbana la territorialità rimane l attributo più essenziale della forma spaziale dello Stato, la matrice geografica nell ambito della quale si articolano le attività statali come ente regolatore. 2. Progetti di spazialità dello Stato. Mentre la territo- rialità rappresenta il terreno geografico sul quale si svolge l azione dello Stato, la sua coerenza come quadro di regolazione politica non è mai predeterminata dal punto di vista strutturale. Al contrario, questa può essere ottenuta solo tramite specifici progetti di rilevanza spaziale che differenzino le attività statali su diversi livelli di amministrazione territoriale e coordinino le politiche tra diverse scale e località geografiche all interno dei confini nazionali. I progetti spaziali dello Stato rappresentano dunque delle iniziative per differenziare la sua territorialità in una geografia di regolazione frazionata, organiz- zata in modo coerente e funzionalmente coordinata. Essi prendono sostanzialmente forma nella differenziazione scalare interna allo Stato tra livelli amministrativi distinti. Quest ultima si verifica contemporaneamente ai progetti per coordinare le pratiche amministrative, i rapporti fiscali, la rappresentanza politica, la fornitura dei servizi e le attività di regolazione all interno di ogni livello di potere statale e tra diversi livelli. I progetti spaziali possono anche comprendere programmi per modificare la struttura geografica degli accordi intergovernativi (per esempio, modificando i confini amministrativi) o per riconfigurare le norme di funzionamento (per esempio, tramite misure di centralizzazione o di decentralizzazione), e quindi per ridisegnare le geografie dell intervento statale. 3. Strategie spaziali dello Stato. Così come gli Stati svolgono un ruolo centrale nell elaborazione di strategie di accu-

85 La glocalizzazione come strategia spaziale dello Stato 85 mulazione e di progetti egemonici, analogamente essi intervengono anche nelle geografie di accumulazione del capitale e di lotta politica. In particolare, gli Stati sono determinanti nella gestione dei flussi di denaro, di merci, di capitali e di mano d opera attraverso i confini nazionali, nella regolazione dello sviluppo ineguale e nel mantenimento di legami di legittimazione politica tra luogo, territorio e scala. Le risultanti strategie spaziali si articolano in strumenti politici diversi, tra cui le politiche industriali, le iniziative di sviluppo economico, gli investimenti nelle infrastrutture, i programmi di pianificazione dello spazio, le politiche del mercato del lavoro, le politiche regionali e quelle urbane e di edilizia abitativa. Tuttavia, la capacità dello Stato di impegnarsi in queste forme di intervento spaziale non è mai predeterminata, ma può emergere soltanto attraverso un opportuna mobilitazione delle sue strategie spaziali. La capacità di utilizzarle non emerge automaticamente dall esistenza di progetti spaziali. Tuttavia, è solo attraverso l elaborazione di strategie spaziali che lo Stato può tentare di influire, all interno della sua giurisdizione, sulle geografie della vita politico-economica. Le strategie spaziali dello Stato fanno parte della differenziazione territoriale di regimi politici specifici all interno dei confini e degli effetti peculiari di localizzazione, territorialità e scala di tali politiche. Alcuni progetti promuovono chiaramente questo diseguale sviluppo della regolazione, che tuttavia può essere un effetto collaterale non previsto dell azione statale. Riassumendo, le geografie dello Stato nel capitalismo mo derno sono espressioni di un interazione dialettica tra partizioni prestabilite di spazio politico e di progetti spaziali emergenti e strategie spaziali dello Stato che mirano a rimodellare queste ultime. La spazialità può esse-

86 86 Stato, spazio, urbanizzazione urbana re concepita come terreno politico-istituzionale contestato, sul quale forze sociali diverse tentano di influenzare le geografie delle attività statali. Questi conflitti sono focalizzati sia sulla configurazione territoriale/scalare dello Stato (attraverso l avvio di progetti spaziali) sia sulle geografie del suo intervento nella vita socio-economica (attraverso la mobilitazione di strategie spaziali). Nella seconda parte del saggio, utilizzo questo quadro teorico per analizzare il ruolo della politica imprenditoriale urbana nella «glocalizzazione» dello spazio statale nell Europa occidentale dopo gli anni Settanta del secolo scorso (si veda Brenner, 2004). Dagli spazi urbani «imprenditorializzati» agli spazi «glocalizzati» dello Stato Una prima descrizione degli Stati glocalizzati è stata esposta nel paragrafo precedente. Rispetto allo Stato nazionale improntato su una politica di welfare keynesiano, con il suo progetto di distribuzione equa dell industria, della popolazione e delle infrastrutture sui territori nazionali, gli Stati glocalizzati cercano di differenziare lo spazio politico-economico nazionale attraverso una riconcentrazione delle capacità economiche in centri di crescita strategici, urbani e regionali. Il termine «glocale» fusione di globale e locale appare una definizione appropriata per que- sta tendenza, in quanto racchiude strategie politiche diverse che servono a posizionare spazi subnazionali selezionati (luoghi, città, regioni, distretti industriali) all interno di circuiti sovranazionali (europei o globali) di attività economica. Nonostante le diversità dei contorni politici e istituzionali, le strategie di glocalizzazione sono state adottate dagli Stati nazionali in tutta

87 La glocalizzazione come strategia spaziale dello Stato 87 l Europa occidentale. Lo spazio economico nazionale viene trasformato ogni volta in «aggregato glocalizzato» (Martin, Sunley, 1997, p. 282), mentre gli Stati manovrano per posizionare strategicamente le loro principali economie urbane e regionali nei circuiti di capitale globali ed europei. La tabella 2 riassume le attuali strategie di glocalizzazione attraverso un confronto idealtipico con le strategie di keynesianismo spaziale prevalenti nel capitalismo della seconda metà del Novecento. In tale contesto, per interpretare l «imprenditorializzazione» della politica urbana nel periodo successivo agli anni settanta come mezzo ed espressione essenziale delle strategie di glocalizzazione, mi baserò sull approccio alla teoria dello Stato descritto sopra. In questa concettualizzazione, la glocalizzazione dello spazio dello Stato si è sviluppata attraverso una costellazione disordinata di strategie politiche costituite, a loro volta, da specifici progetti e strategie spaziali, che hanno ridimensionato i rapporti tra scale nazionali e subnazionali di regolazione dello Stato. Le politiche urbane imprenditoriali hanno svolto un ruolo essenziale nell animare questo processo di riscalizzazione (rescaling) dello stato. 1. Contesto storico-geografico. Le strategie di glocalizzazione devono essere considerate alla luce dei progetti di Stato dominanti nelle strategie che li hanno preceduti. Il keynesianismo era il quadro dominante dell impostazione spaziale dello Stato durante l epoca fordista in tutta l Europa occidentale (Martin, Sunley, 1997). Il suo obiettivo generale era la ridistribuzione delle risorse alle regioni poco sviluppate o periferiche, promuovendo così un urbanizzazione bilanciata in tutta l economia nazionale. Come progetto spaziale dello Stato, il keynesianismo prevedeva l uso di politiche intergovernative per integra-

88 88 Stato, spazio, urbanizzazione urbana Tabella 2 - Due strategie di regolazione spaziale dello Stato Strategie di keynesianismo spaziale Strategie di «glocalizzazione» Contesto Differenziazione Nuove tensioni geoeconomico dell attività economica globali-locali: e geopolitico globale tra sistemi l integrazione economica economici nazionali globale procede di pari che si riconoscono passo con la crescente affini nel «comune dipendenza delle grandi liberalismo» corporazioni dalle Polarizzazione del agglomerazioni sistema mondiale economiche locali in due blocchi e regionali geopolitici durante La fine della guerra la guerra fredda fredda e la globalizzazione del neoliberismo dominato dagli Stati Uniti Obiettivi spaziali Economia nazionale Principali economie privilegiati urbane e regionali Obiettivi Deconcentrazione di Riconcentrazione di principali popolazione, popolazione, investimento investimenti nell industria e nell industria e nelle nelle infrastrutture infrastrutture delle dai maggiori centri economie strategiche urbani alle periferie urbane e regionali rurali suburbane Differenziazione dello e «sottosviluppate» spazio economico Replicazione degli nazionale in economie asset economici specializzate urbane standardizzati e e regionali degli investimenti Promozione di forme in tutto il territorio personalizzate di nazionale investimenti (segue)

89 La glocalizzazione come strategia spaziale dello Stato 89 Tabella 2 (segue) Strategie di keynesianismo spaziale Realizzazione di un sistema nazionale standardizzato di infrastrutture in tutta l economia nazionale Alleviamento dello sviluppo ineguale all interno delle economie nazionali: lo sviluppo spaziale ineguale è visto come barriera alla crescita industriale Strategie di «glocalizzazione» infrastrutturali specificamente locali diretti ai flussi economici globali ed europei Intensificazione della concorrenza interspaziale all interno e all esterno dei confini nazionali: lo sviluppo spaziale diseguale è visto come elemento vitale per la crescita industriale Spazio-temporalità «Sviluppo nazionale»: «Sviluppo glocale»: dello sviluppo sviluppo dell intera frammentazione dello economico economia nazionale spazio economico come unità nazionale in economie territoriale integrata, urbane e regionali autocentrica e chiusa distinte, con asset che si muove lungo specificamente locali, una traiettoria di vantaggi competitivi sviluppo lineare e traiettorie di sviluppo Meccanismi Sussidi alle imprese Deregulation e riduzione dominanti riferiti alla del welfare state della policy localizzazione Decentralizzazione delle Investimenti collettivi politiche sociali ed locali per il consumo economiche e delle e le politiche di responsabilità fiscali welfare Politiche urbane Politiche regionali nazionali e investimenti ridistributive selettivi a livello spaziale (segue)

90 90 Stato, spazio, urbanizzazione urbana Tabella 2 (segue) Pianificazione spaziale nelle infrastrutture nazionale e avanzate investimenti per le Politiche industriali infrastrutture regionali e iniziative pubbliche economiche specificamente locali Slogan «Sviluppo nazionale» «Globalizzazione» dominanti «Crescita bilanciata» «Città in competizione» «Urbanizzazione «Sviluppo endogeno» bilanciata» re le istituzioni politiche locali nei sistemi nazionali di amministrazione del territorio e di erogazione dei servizi pubblici. Come strategia spaziale dello Stato, invece, prevedeva l uso di politiche regionali compensatorie per ampliare l investimento nelle infrastrutture e lo sviluppo industriale in località non industrializzate in tutto il territorio nazionale. Questo quadro di spazialità fu stravolto negli anni Settanta del secolo scorso dai processi di ristrutturazione economica globale, la crisi del regime fordista di accumulazione e la riduzione dello Stato nazionale «keynesiano». In questo contesto, i tradizionali collegamenti del welfare nazionale, la ridistribuzione regionale e il managerialismo urbano risultavano sempre più incompatibili con la necessità di ridurre i costi amministrativi, aumentare la flessibilità del mercato del lavoro e promuovere la competitività territoriale in un sistema geoeconomico sempre più volatile. Di conseguenza, già alla fine degli anni Settanta del Novecento vengono alla luce le strategie di glocalizzazio-

91 La glocalizzazione come strategia spaziale dello Stato 91 ne, inizialmente come esperimenti regolatori neocorporativi destinati alla promozione della crescita endogena nelle regioni industriali in declino. Nei decenni successivi, le strategie di glocalizzazione, come approcci neoliberisti, centristi e neocorporativi allo sviluppo economico locale e regionale, si diffusero nell Europa occidentale (Eisenschitz, Gough, 1993). Rispetto al keynesianismo spaziale che puntava all economia nazionale come unità geografica integrata, le strategie di glocalizzazione promuovono la riconcentrazione della crescita industriale e l investimento nelle infrastrutture nell ambito delle economie urbane e regionali strategiche. Gli approcci imprenditoriali alla governance urbana, dal momento che rappresentano uno dei principali esperimenti di regolazione attraverso i quali questo obiettivo è stato perseguito, devono essere visti come componente essenziale delle strategie di glocalizzazione. Così concepite, esse non rappresentano una ripresa unilineare della governance economica locale, ma comportano, al contrario, un ridimensionamento delle geografie nazionali del potere dello Stato in modi che intendono le scale locali e regionali come luoghi strategici per la sperimentazione regolativa. 2. Una molteplicità di forme politiche e istituzionali. Il denominatore comune delle strategie di glocalizzazione è il fatto che privilegiano le scale subnazionali di regolazione dello Stato e la promozione delle economie locali e regionali come motori di sviluppo economico. Va sottolineato, tuttavia, che le basi sociali, le forme istituzionali e gli strumenti di politica associati alle strategie di glocalizzazione variano in modo considerevole. In particolare, il modo in cui le strategie di glocalizzazione sono articolate è stato condizionato dalle strutture statali e dagli accordi economici preesistenti, dai regimi politici nazionali e/o re-

92 92 Stato, spazio, urbanizzazione urbana gionali e dagli specifici percorsi nazionali di ristrutturazione industriale postfordista. 3. Glocalizzazione dei progetti e delle strategie spaziali. Le strategie di glocalizzazione integrano le strategie e i progetti spaziali dello Stato in modi peculiari. Come progetto spaziale, la glocalizzazione prevede delle iniziative per riconfigurare le geografie delle istituzioni statali in modo tale da trasferire nuovi ruoli e responsabilità ai livelli amministrativi subnazionali, ridimensionando le gerarchie isti- tuzionali nazionali e locali, introducendo nuove divisioni scalari della regolazione dello Stato, intensificando la competizione interamministrativa per le risorse dello Stato, riconfigurando i confini amministrativi delle unità territoriali subnazionali o stabilendo per queste delle forme istituzionali completamente nuove. Come strategia spaziale, la glocalizzazione è associata a diversi esperimenti di regolazione avviati per risolvere la crisi del regime fordista di accumulazione. Di fronte a uno sviluppo irregolare delle condizioni socioeconomiche all interno delle economie nazionali, le strategie spaziali dello Stato hanno cercato di incrementare gli asset economici specifici su base locale e regionale e di riconcentrare lo sviluppo industriale e gli investimenti in infrastrutture all interno di città, città-regioni e distretti industriali strategici. L economia nazionale è quindi frammentata tra economie locali e regionali con i rispettivi asset specificamente locali e particolari traiettorie di sviluppo. In ogni caso, le geografie di regolazione e quelle economiche, organizzate su scala nazionale e associate al keynesianismo spaziale, sono superate dalle strategie politiche volte ad aumentare l importanza strutturale delle scale locali e regionali della vita politico-economica.

93 La glocalizzazione come strategia spaziale dello Stato Una strategia politica instabile e non coordinata. Le strategie di glocalizzazione sono instabili, relativamente scoordinate e altamente sperimentali. Infatti, come per tutte le forme di regolazione spaziale dello Stato, l unità geografica e la coerenza interscalare delle strategie di glocalizzazione non sono mai prestabilite, ma possono esistere solo come esiti di lotte sociopolitiche in corso, per riconfigurare la scala delle istituzioni dello Stato, per arricchire le sue attività regolatorie con particolari forme di selettività spaziale e per promuovere strategie di accumulazione a scale, località e spazi determinati. I progetti spaziali dello Stato, associati alla glocalizzazione, sono generalmente privi di unità interna e di coerenza interscalare. In seguito alla destabilizzazione dello spazio dello Stato fordista-keynesiano alla fine degli anni Settanta del Novecento, in tutta l Europa occidentale gli Stati iniziarono a utilizzare, a livello nazionale e regionale, strategie specificamente «locali» (place-specific) di ristrutturazione istituzionale, per affrontare i problemi sociali circoscritti sempre più gravi e per aumentare l austerità fiscale. I progetti spaziali risultanti rappresentavano più una frammentazione, indotta centralmente, di precedenti quadri di organizzazione spaziale dello Stato che un programma coordinato per restituire unità geografica a quest ultimo o per integrare le iniziative politiche attraverso scale spaziali. Il rapporto tra progetti glocalizzati dello Stato e strategie glocalizzate è profondamente problematico. Anche quando i primi hanno portato a un ridimensionamento significativo dell organizzazione spaziale, la capacità dello Stato di rielaborare le geografie di accumulazione del capitale non è mai stata garantita, ma oggetto di lotte sociopolitiche strategicamente e spazialmente selettive.

94 94 Stato, spazio, urbanizzazione urbana 5. Strategie di glocalizzazione e «distruzione creativa» dello spazio dello Stato. L applicazione di strategie di glocalizzazione può essere vista come un doppio movimento di trasformazione sociospaziale. Esse hanno causato la distruzione parziale delle precedenti geografie di attività dello Stato come ente di regolazione, mentre i progetti di ridistribuzione spaziale nazionale sono sempre più abbandonati o emarginati. Al contempo, le strategie di glocalizzazione hanno trasferito su una diversa scala la struttura delle istituzioni e delle politiche dello Stato, mentre si realizzano nuovi ordini per lo sviluppo economico locale e regionale. È tuttavia essenziale che questa distruzione creativa della spazialità dello Stato non sia concepita come sostituzione completa di una geografia di regolazione con un altra. Al contrario, il disegno di nuove geografie di regolazione avviene attraverso un gioco conflittuale fra strati vecchi e nuovi di attività spaziale. Così concepita, la diffusione di strategie di glocalizzazione negli Stati del l Europa occidentale non ha semplicemente «cancellato» le precedenti geografie di regolazione, ma ha favorito la riarticolazione di specifiche pratiche di regolazione statale, sia ereditate sia emergenti, su un intervallo di possibili scale geografiche (Brenner, 2004). Le forme glocalizzate di spazialità dello Stato che si sono costituite negli ultimi tre decenni sono un espressione aggregata dell intreccio dinamico tra fasi diverse di attività regolatoria. 6. Lo sviluppo ineguale della regolazione e la regolazione dello sviluppo ineguale. Si è costituito un nuovo mosaico di sviluppo spaziale disomogeneo in stretto rapporto con queste strategie di glocalizzazione. In contrasto con il progetto fordista-keynesiano, che stabilisce una gerarchia nazionale standardizzata di istituzioni politiche, i progetti spaziali dello Stato del perio-

95 La glocalizzazione come strategia spaziale dello Stato 95 do post-anni Settanta del secolo scorso hanno determinato, in tutto il territorio nazionale, una crescente differenziazione geografica delle infrastrutture di regolazione dello Stato, dei sistemi per l erogazione dei servizi pubblici e delle iniziative politiche. Lo sviluppo ineguale della regolazione statale risultante da queste strategie specificamente locali è una caratteristica essenziale degli spazi degli Stati glocalizzati. In contrasto con il progetto fordista-keynesiano che, attraverso l azione dello Stato, riduce le diseguaglianze spaziali all interno del territorio nazionale, le strategie spaziali associate alle istituzioni statali glocalizzate hanno intensificato attivamente la polarizzazione sociospaziale intranazionale, promuovendo la riconcentrazione degli asset economici, delle capacità industriali e degli investimenti infrastrutturali all interno degli agglomerati più potenti. In questo senso, le strategie spaziali di glocalizzazione si basano sul presupposto che lo sviluppo ineguale intranazionale sia continuamente strumentalizzato come base per lo sviluppo economico anziché costituire una barriera contro quest ultimo. Lo sviluppo diseguale della regolazione e il suo intensificarsi rappresentano, dunque, due importanti dinamiche geografico-istituzionali all interno degli Stati glocalizzati. 7. Dalle contraddizioni alla gestione della crisi. Le nuove forme di sviluppo ineguale, determinate dalle strategie di glocalizzazione, sono contraddittorie in quanto possono ostacolare anziché sostenere i processi di regolazione e di accumulazione. La crescente differenziazione geografica delle attività di regolazione dello Stato può minare la sua coerenza organizzativa e la sua unità funzionale, esacerbando ulteriormente anziché risolverla la crisi del keynesianismo

96 96 Stato, spazio, urbanizzazione urbana spaziale, causando a sua volta gravi lacune di governance e deficit di legitti- mazione (Painter, Goodwin, 1996). L intensificarsi dello sviluppo spaziale ineguale dello Stato all interno del suo stesso territorio può abbassarne gravemente la performance economica, com è accaduto alla fine degli anni Ottanta, in un periodo molto travagliato, nell Inghilterra sudorientale. Questi pericoli sono ulteriormente aggravati dal gioco a somma zero della concorrenza interlocale, promossa attraverso le strategie di glocalizzazione, che destabilizzano ulteriormente un ambiente economico già incerto a tutte le scale spaziali (Leitner, Sheppard, 1997). In risposta a questi dilemmi, sembra che stia emergendo una nuova politica di gestione delle crisi, nella quale i progetti e le strategie dello Stato, riformulati, sono sviluppati per affrontare i deficit di regolazione e le contraddizioni strutturali associate alle precedenti modalità di intervento spaziale. In particolare, alla fine degli anni Ottanta, quando le contraddizioni delle prime strategie di glocalizzazione divennero immediatamente evidenti, questa politica di gestione della crisi svolse probabilmente un ruolo essenziale nel modellare le architetture istituzionali e geografiche degli Stati glocalizzati. A partire da questo periodo, le strategie di glocalizzazione hanno previsto in misura sempre maggiore non solo gli approcci imprenditoriali allo sviluppo urbano, ma anche una varietà di meccanismi di affiancamento volti a gestire le tensioni, i conflitti e le contraddizioni generate da precedenti versioni di queste politiche. Sebbene tali strategie di gestione della crisi non abbiano impedito alle suddette contraddizioni di essere generate, esse hanno determinato, in generale, la definizione di diversi meccanismi politico-istituzionali attraverso i quali le loro conseguenze socioeconomiche più dirompenti possono essere

97 La glocalizzazione come strategia spaziale dello Stato 97 monitorate, gestite e, almeno in principio, mitigate. Tale tendenza è evidente nella recente reintroduzione o rinnovamento delle politiche avviate in molte città europee nei confronti dell esclusione sociale (Harloe, 2001). 8. Il «nuovo regionalismo» e la riscalizzazione delle strategie di glocalizzazione. In questo contesto, può essere compresa la proliferazione dei nuovi progetti di riscalizzazione dello Stato, a livello regionale, nell ultimo decennio. La prima ondata di strategie di glocalizzazione mirava essenzialmente a ridurre a scala minore le attività amministrative precedentemente nazionalizzate e le strategie di accumulazione ai livelli locali del potere statale. Recentemente, tuttavia, la scala regionale o metropolitana è diven- tata un ambito strategicamente importante per i principali progetti di modificazione geografica delle attività di regolazione dello Stato in tutta l Europa occidentale (Keating, 1997). Dagli esperimenti di governance metropolitana e di politica economica regionale decentralizzata in Germania, Italia, Francia e Olanda, fino al progetto di Blair di istituire le Agenzie di sviluppo regionale nel Regno Unito, tali sviluppi hanno indotto molti commentatori a intravedere un «nuovo regionalismo» destinato a superare sia le geografie del keynesianismo spaziale sia le forme di imprenditorialità urbana emerse in seguito alla crisi del fordismo nordamericano (MacLeod, 2000). Con tro questi argomenti, il precedente dibattito puntava a un interpretazione criticoteorica di tali iniziative come modifica evolutiva delle istituzioni glocalizzate dello Stato, in riferimento alle loro contraddizioni immanenti. Sebbene il contenuto politicoistituzionale delle attuali strategie di regionalizzazione continui a essere oggetto di un intensa contestazione, sono state finora articolate due forme essenziali. Da un lato, le strategie di trasferimento sul piano re-

98 98 Stato, spazio, urbanizzazione urbana gionale della scala delle funzioni statali hanno spesso cercato di trasporre gli approcci imprenditoriali alla politica economica locale su scala regionale, determinando in generale un ulteriore intensificazione di uno sviluppo spaziale ineguale in qualsiasi territorio nazionale. In questo scenario, le contraddizioni dell imprenditorialità urbana vanno risolte attraverso l integrazione delle economie locali in unità territoriali più grandi e a configurazione regionale, che a loro volta devono essere promosse come luoghi integrati e competitivi per l investimento di capitale globale ed europeo. Nell ambito di questo approccio, alla riscalizzazione dello Stato a livello regionale la selettività spaziale delle precedenti strategie di glocalizzazione è modificata per evidenziare le regioni più che le località; tuttavia, la sua politica essenziale di riconcentrazione spaziale, un gioco a somma zero di concorrenza interterritoriale e di intensificazione dello sviluppo ineguale resta incontrollata. Dall altro lato, molte attuali strategie di regionalizzazione hanno cercato parzialmente di bilanciare la libera concorrenza promuovendo forme selettive di parità spaziale all interno degli spazi istituzionali regionali. Sebbene queste iniziative in genere non indeboliscano in modo significativo lo sviluppo spaziale ineguale tra le regioni, esse possono essere viste come tentativi di modificare alcuni aspetti dirompenti della prima ondata di strategie di glocalizzazione. In effetti, questo aspetto di riscalizzazione dello Stato regionale può essere visto come un nuovo tentativo di introdurre una forma ridotta di keynesianismo spaziale all interno dell architettura regolatoria degli Stati glocalizzati. Va quindi incoraggiata la priorità di promuovere una crescita equa e bilanciata su scala regionale, nell ambito di aree subnazionali strettamente delimitate, anziché sull intero territorio nazionale.

99 La glocalizzazione come strategia spaziale dello Stato 99 Le forme di cambiamento di scala del piano di gestione della crisi descritte precedentemente rappresentano entrambe delle significative modifiche evolutive all interno degli apparati statali glocalizzati. Mentre scarsa è l evidenza che o l una o l altra di queste strategie possano determinare forme sostenibili di rigenerazione economica nel medio termine, è probabile che continuino a intensificare la differenziazione geografica degli spazi degli Stati e dello sviluppo economico in tutta l Europa occidentale. Conclusioni In questo saggio ho sostenuto che un approccio strategico-relazionale-spaziale è un utile avvio per esplorare l interazione tra l ascesa dell imprenditorialità urbana e i processi di ristrutturazione spaziale degli Stati nell Europa occidentale. In tale concettualizzazione, l ascesa degli approcci imprenditoriali alla governance urbana è intrecciata con una più ampia differenziazione e riscalizzazione degli spazi degli Stati nazionali. Nell ambito della configurazione emergente e glocalizzata della spazialità dello Stato, i governi nazionali non hanno semplicemente trasferito il potere verso il basso, ma hanno tentato di istituzionalizzare i rapporti competitivi tra unità amministrative subnazionali come mezzo per posizionare strategicamente le economie locali e regionali nei circuiti sovranazionali di capitale. In questo senso, pur avendo negli ultimi decenni decentrato la scala nazionale di accumulazione del capitale e di regolazione dello Stato, gli Stati nazionali stanno cercando di conservare il controllo sui principali spazi subnazionali, integrandoli con strategie di accumulazione, trasferite a livello operativo su

100 100 Stato, spazio, urbanizzazione urbana un altra scala ma coordinate a livello nazionale. Il concetto di strategie di glocalizzazione intende fornire una base teorica per comprendere la crescente importanza strategica delle politiche economiche urbane e regionali all interno di questa configurazione riscalizzata della spazialità dello Stato. Mentre gli Stati dell Europa occidentale cercano di gestire la tensione tra globalizzazione e localizzazione all interno dei loro confini, l organizzazione scalare dello spazio dello Stato è diventata oggetto di contestazione sociopolitica. Le strategie di glocalizzazione prima analizzate rappresentano un espressione importante delle lotte per riorganizzare le geografie della regolazione spaziale degli Stati in spazi subnazionali strategici come le città, le città-regioni e i distretti industriali. Appare tuttavia improbabile che tali strategie di glocalizzazione riescano a stabilire una nuova base di partenza per lo svi- luppo di un capitalismo sostenibile. Al contrario, sembra che assisteremo a processi di ristrutturazione istituzionale basati su tentativi diversi, mediati principalmente da strategie ad hoc di gestione della crisi. Per comprendere queste ultime, ho proposto un interpretazione critico- teorica delle tendenze recenti alla riscalizzazione regionale all interno degli Stati glocalizzati. Da tale prospettiva, le contraddizioni determinate dalle strategie di glocalizzazione forniscono una spinta importante alla loro ulteriore evoluzione, essenzialmente attraverso la produzione di nuove scale di regolazione spaziale dello Stato. Ritengo che sia proprio in questo contesto di forme emer- genti di gestione della crisi che si possa compren- dere il tanto discusso spostamento da un «nuovo localismo» a un «nuovo regionalismo» in molti Stati europei occidentali. Attualmente, i processi di globalizzazione, integrazione europea e allargamento dell Unione europea verso

101 La glocalizzazione come strategia spaziale dello Stato 101 l Est sono stati dominati da programmi neoliberisti che rafforzano la politica imprenditoriale della concorrenza interspaziale già descritta. Nel frattempo, il progetto di promuovere l equità territoriale all interno di unità politiche nazionali o subnazionali viene spesso accantonato come lusso di una passata «età dell oro». Eppure gli attuali processi di riscalizzazione, anche se sembrano chiudere alcune strade di regolazione economica, ridistribuzione socio-spaziale e controllo democratico, possono aprire nuove opportunità ad altri livelli. Per esempio, le arene istituzionali sovranazionali associate all ue possono ancora fornire un meccanismo cruciale grazie al quale le forze progressive applicano i programmi politici realizzati per alleviare le diseguaglianze, lo sviluppo ineguale e la libera concorrenza di mercato, questa volta su scala ancora più ampia di quella ritenuta possibile durante il fordismo. Resta quindi da vedere se le dinamiche attuali di riscalizzazione dello Stato continueranno a essere dirette alla perpetuazione delle geografie neoliberiste dello sviluppo ineguale o se, attraverso le contraddizioni che potrebbero esse stesse determinare, riusciranno a essere riconvogliate per elaborare un compromesso politico negoziato su scala europea, basato su priorità sostanziali e politiche come la democrazia, l uguaglianza e la diversità. Proprio perché il quadro istituzionale e scalare dello spazio degli Stati europei attraversa un periodo di profonda fluidità, il suo futuro può essere deciso solo attraverso lotte sociopolitiche su scale diverse, allo scopo di rielaborare le geografie di regolazione e di mobilitazione politica. In condizioni simili, la spazialità del potere politico è diventata l oggetto e la posta in gioco di queste lotte anziché la semplice arena nella quale si svolgono.

102 102 Stato, spazio, urbanizzazione urbana Riferimenti bibliografici Brenner N. (2004), New State Spaces: Urban Governance and the Rescaling of Statehood, Oxford University Press, Oxford. Brenner N., Jessop B., Jones M., MacLeod G. (eds) (2003), State/Space, Blackwell, Cambridge (ma). Cerny P. (1995), «Globalization and the Changing Logic of Collective Action», International Organization, 49, 4, pp Eisenschitz A., Gough J. (1993), The Politics of Local Economic Development, Macmillan, New York. Hall T., Hubbard P. (eds) (1998), The Entrepreneurial City, Wiley, London. Harloe M. (2001), «Social Justice and the City: The New Liberal Formulation», International Journal of Urban and Regional Research, 25, 4, pp Harvey D. (1989), The Urban Experience, Johns Hopkins Press, Baltimore. Jessop B. (1990), State Theory, Polity Press, London. Keating M. (1997), «The Invention of Regions», Environment and Planning C. Government and Policy, 15, pp Lefebvre H. (1978), De l État, vol. iv, Union Générale d Éditions, Paris. Leitner H., Sheppard E. (1998), «Economic Uncertainty, Inter-urban Competition and the Efficacy of Entrepreneurialism», in T. Hall, P. Hubbard (eds), The Entrepreneurial City, Wiley, London, pp MacLeod G. (2000), «The Learning Region in an Age of Austerity», Geoforum, 31, pp Martin R., Sunley P. (1997), «The Post-Keynesian State and the Space Economy», in R. Lee, J. Wills (eds), Geographies of Economies, Arnold, London, pp Painter J., Goodwin M. (1996), «Local Governance and Concrete Research», Economy and Society, 24, 3, pp Peck J., Tickell A. (1994), «Searching for a New Institutional Fix», in A. Amin (ed), Post-Fordism: A Reader, Blackwell, Cambridge (ma), pp

103 La glocalizzazione come strategia spaziale dello Stato 103 Ruggie J. (1993), «Territoriality and Beyond», International Organization, 47, 1, pp Swyngedouw E. (1997), «Neither Global nor Local: Glocalization and the Politics of Scale», in K. Cox (ed), Spaces of Globalization, Guilford Press, New York, pp

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105 Parte seconda L esplosione dell urbano

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107 Tesi sull urbanizzazione All inizio degli anni Settanta, un giovane sociologo marxista di nome Manuel Castells, che al tempo viveva in esilio a Parigi, diede l avvio a quello che sarebbe diventato un testo classico, La questione urbana, dichiarando la sua «sorpresa» per il fatto che le «questioni urbane» stessero diventando «un elemento essenziale delle politiche dei governi, delle preoccupazioni dei mezzi di comunicazione e, di conseguenza, della vita quotidiana di una larga parte della popolazione» (1972, p. 1, traduzione mia). Per Castells, questo stupore nasceva dall assunto, di ortodossia marxista, per cui l interesse per le questioni urbane era di tipo ideologico. Il motore reale del cambiamento sociale, secondo lui, si trovava altrove, nella mobilizzazione anti-imperialista e nell azione della classe operaia. Su questa base, Castells procedeva a decostruire quella che riteneva essere la prevalente «ideologia urbana» nel periodo del capitalismo manageriale del dopoguerra: la sua teoria prendeva sul serio la costruzione sociale del fenomeno urbano nel discorso accademico e politico, ma alla fine vedeva l origine di queste rappresentazioni da quelli che riteneva essere processi più essenziali associati al capitalismo e al ruolo dello Stato nella riproduzione della forza lavoro.

108 108 Stato, spazio, urbanizzazione urbana Quattro decadi dopo il classico intervento di Castells, è facile avvertire lo stesso senso di stupore di fronte al discorso sui temi urbani dell inizio del xxi secolo non perché mascheri le operazioni del capitalismo, ma perché è diventato una delle metanarrazioni dominanti attraverso le quali la nostra situazione attuale è interpretata, sia nei circoli accademici che nella sfera pubblica. Oggi l educazione avanzata di tipo interdisciplinare nelle scienze sociali urbane, nella pianificazione, nel design, sta fiorendo nelle maggiori università, inoltre storici, critici letterari e altri studiosi basati nelle studi umanistici si confrontano attivamente con i temi urbani. Gli scienziati informatici, i fisici e gli studiosi di sistemi ecologici stanno allo stesso tempo contribuendo agli studi urbani attraverso le loro esplorazioni delle nuove fonti di dati satellitari, alle analisi di georeferenziazione e alle tecnologie di sistemi informativi territoriali computerizzati (gis), che offrono prospettive maggiormente differenziate sulle geografie dell urbanizzazione di quanto sia stato possibile fino ad ora (Potere, Schneider, 2007; Gamba, Herold, 2009; Angel 2011). Testi classici quali Vita e morte delle grandi città (1969) di Jane Jacobs o Città di quarzo (2008) di Mike Davis continuano ad animare le discussioni all interno degli studi urbani contemporanei, e più di recente libri popolari sulle città, quali Il trionfo della città di Edward Glaeser (2013), Welcome to the Urban Revolution (2010) di Jeb Brugmann e Who s Your City? (2008) di Richard Florida, insieme con film documentari come Urbanized (diretto da Gary Hustwit, 2011) e Megacities (diretto da Michael Glawogger, 1998) sono ampiamente discussi nella sfera pubblica 1. Il tema dell Expo di Shanghai del? 1 Per una critica molto pertinente di Florida, 2008, Brugmann, 2010 e Glaeser, 2013, si veda, tra gli altri, Gleeson, 2012.

109 Tesi sull urbanizzazione era «Una città migliore, una vita migliore» e i principali musei, esibizioni e biennali da New York e Venezia a Christchurch ed Hong Kong stanno consacrando sempre più attenzione ai temi della cultura urbana, della progettazione urbana e dello sviluppo (Seijdel, 2009; Kroeber, 2012; Madden, 2012). Il Programma delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani (un-habitat, 1996) ha dichiarato l avvento di un «era urbana» dovuta alla rapidità con cui cresce la popolazione urbana mondiale 2. Questa versione città-centrica del momento geotropico presente è stata ulteriormente resa popolare attraverso una serie di conferenze sull era urbana in alcune delle maggiori città del mondo, organizzate e finanziate attraverso il programma comune tra la London School of Economics e la Deutsche Bank (Burdett, Sudjic, 2006). Anche i dibattiti sul cambiamento climatico e sul futuro della biosfera vengono direttamente collegati al tema dell urbanizzazione. L antropizzazione planetaria ovvero l infrastruttura sociomateriale dell urbanizzazione è ora riconosciuta come un contributo diretto a importanti trasformazioni dell atmosfera, degli habitat biotici, delle superfici coltivate, e sulle condizioni degli oceani che hanno delle implicazioni di lungo termine per il metabolismo delle forme di vita umane e non umane (Luke, 1997; Sayre, 2010). Questi orientamenti culturali e intellettuali sono in sintonia con un largo numero di trasformazioni spaziali di larga scala, di riorganizzazioni istituzionali e di mobilitazioni sociali che hanno intensificato il significato e la scala delle condizioni urbane (figura 1). In primis, le geografie dell urbanizzazione, che sono proclamato? delle? 2 Per una contestualizzazione storica e una critica dettagliata di questa affermazione delle Nazioni Unite, si veda Brenner e Schmid, 2012a.

110 110 Stato, spazio, urbanizzazione urbana state a lungo comprese in riferimento alla popolazione densamente concentrata e agli insediamenti urbani delle città, stanno oggi assumendo nuove morfologie, su sempre più vasta scala; che perforano, tagliano e infine fanno esplodere la divisione tra rurale e urbano (si veda la figura 1). Come Edward Soja e Miguel Kanai (2006, p. 58, traduzione mia) spiegano: L urbanizzazione come modo di vita, una volta confinato alla tipologia classica della città centralizzata, si è espansa all esterno, creando densità urbane e nuove città «fuori» e «ai margini» in quelle che erano frange suburbane e campi verdi o siti rurali. In alcune aree, l urbanizzazione si è espansa su scale regionali anche più vaste, creando giganti galassie urbane con una popolazione e dei gradi di policentrici che vanno molto al di là di quello che si poteva immaginare solo alcune decadi fa In alcuni casi le città-regione si stanno evolvendo in agglomerati più larghi attraverso un processo che si può chiamare «urbanizzazione regionale estesa».? In secondo luogo, attraverso ciascuna delle maggiori regioni dell economia mondiale, delle iniziative di politiche pubbliche spazialmente selettive sono state mobilitate dai governi nazionali e dalle amministrazioni provinciali per creare nuove matrici di investimenti di capitale transnazionale e di sviluppo umano attraverso vaste zone dei loro territori (Ong, 2000; Brenner, 2004; Correa, 2011; Park, Child Hill, Saito, 2011). Mentre queste strategie alle volte sono mirate ai centri metropolitani tradizionali, allo stesso tempo producono vaste articolazioni di accumulazione e di regolazione spaziale che sfociano in corridoi di sistemi intercontinentali di trasporto; reti di infrastrutture, di telecomunicazione ed energetiche di larga scala; zone di libero scambio; triangolazioni tran-

111 Tesi sull urbanizzazione 111 snazionali ad alta crescita; e zone di frontiera internazionali. Questo paesaggio urbano espanso è oggi un campo di forza che permette di evitare le strategie di regolazione statale volte a territorializzare gli investimenti di lungo termine e di vasta scala all interno delle zone urbane. Lo stesso paesaggio urbano permette anche di canalizzare i flussi di materie prime, di energia e di beni, di lavoro e di capitale attraverso lo spazio transnazionale (si vedano le figure 2 e 3). In terzo luogo, nel contesto di questa tumultuosa riorganizzazione socio-spaziale e di regolazione su scala mondiale, nuovi vettori di lotta sociale urbana si stanno cristallizzando. Michael Hardt e Antonio Negri hanno di recente suggerito che le metropoli contemporanee sono diventate un luogo di mobilitazione socio-politica analogo al ruolo delle fabbriche durante l epoca industriale. Per loro, la metropoli è diventata lo «spazio del comune» (Hardt, Negri, 2010) e dunque la base territoriale per l azione collettiva in condizioni di capitalismo globalizzato, di Stati neoliberali e di un Impero che si ricostituisce. In molte regioni urbane nel mondo, la nozione di diritto alla città, sviluppata nei tardi anni Sessanta da Henri Lefebvre, è ora diventata una parola d ordine per i movimenti sociali, le coalizioni e i riformatori, sia moderati che radicali, e per diverse organizzazioni non governamentali, come l Organizzazione delle Nazioni Unite per l educazione, la scienza e la cultura (unesco), e il Forum Urbano Mondiale (Mayer, 2012; Merrifield, 2012; Schmid, 2012; Harvey, 2013). L urbano non è dunque più solo il luogo o l arena delle lotte politiche, ma ne è diventato una delle poste in gioco essenziali. Riorganizzare le condizioni urbane è sempre più visto come un mezzo di trasformazione delle strutture politiche ed economiche e delle forgovernative?

112 112 Stato, spazio, urbanizzazione urbana mazioni spaziali del capitalismo mondiale dell inizio del xxi secolo in generale (si veda figura 4). Queste tendenze sono sfaccettate, volatili e contraddittorie, e il loro significato generale dipende dall interpretazione che se ne dà. Come minimo, tuttavia, esse sembrano significare che gli spazi urbani sono diventati essenziali alla vita politico-economica, sociale e culturale del pianeta, alla vita culturale e alle condizioni socio-ambientali. Attraverso vari ambiti di ricerca sociale, di interventi di politiche pubbliche e discorsi pubblici, la configurazione degli ambienti e delle istituzioni urbane è oggi pensata come molto influente per il futuro del capitalismo, della politica e dell ecosistema planetario in generale. Per coloro i quali si occupano di questioni urbane da lungo tempo, sia in teoria, nella pratica o per scopi di ricerca, questi sono sviluppi ovviamente interessanti. Ma sono anche accompagnati da nuove sfide e pericoli non ultimo quello della proliferazione di una vasta confusione circa la specificità dell urbano stesso, sia come categoria di analisi della teoria e della ricerca sociale sia come categoria della pratica politica e della vita quotidiana 3. Scrivendo alla fine degli anni Trenta, il sociologo urbano della Scuola di Chicago Louis Wirth (1969 [1937]) ha delineato, in modo ormai classico, i contorni analitici dell urbano in riferimento alla triade delle proprietà sociologiche l ampio numero di abitanti, l alta densità della popolazione, e gli alti livelli di eterogeneità demografica. Per Wirth, la coesistenza spaziale di queste pro- 3 La distinzione tra categorie di analisi e categorie della pratica è sviluppata in modo produttivo da Rogers Brubaker e Frederick Cooper (2000). Per una riflessione approfondita sulla sua applicazione alla questione urbana, si veda Wachsmuth, 2014, e, in un contesto precedente, Sayer, 1984.

113 Tesi sull urbanizzazione 113 prietà all interno delle aree urbane distingueva queste zone da tutti gli altri tipi di insediamento e giustificava l uso di strategie di ricerca specifiche e lo sviluppo di strumenti specifici al campo della sociologia urbana per analizzarli. Al contrario, all inizio del xxi secolo, l urbano sembra essere diventato il significante vuoto per eccellenza: privo di ogni parametro chiaro che lo definisca, di coerenza morfologica o di fissità cartografica, «urbano» è oggi usato in riferimento a condizioni socio-spaziali contemporanee, a processi, a trasformazioni, a traiettorie e a potenziali allo stesso modo apparentemente indistinte. Ash Amin e Nigel Thrift (2002, p. 1, traduzione mia) descrivono questo stato di cose nel modo che segue: La città è dovunque e in ogni cosa. Se il mondo urbanizzato è adesso una catena di aree metropolitane connesse da luoghi/corridoi di comunicazione (aeroporti e autostrade, stazioni e ferrovie, parcheggi, autostrade del l informazione) allora cosa non è urbano? La cittadina, il villaggio, la campagna? Forse, ma solo in modo limitato. Le impronte della città sono in tutti questi posti, visibili attraverso i pendolari, i turisti, i mezzi di comunicazione e l urbanizzazione dei modi di vita. La divisione tradizionale tra città e campagna è stata perforata. I processi emergenti di urbanizzazione estesa stanno producendo un tessuto urbano variegato che, piuttosto che essere semplicemente concentrato nei punti nodali o confinato all interno di regioni specifiche, è adesso intessuto in modo asimmetrico e tuttavia sempre più denso attraverso ampie zone del mondo intero. Questa costruzione non può essere individuata facilmente attraverso i concetti tradizionali di città, di metropoli, o attraverso le divisioni binarie di urbano/rurale, che presuppongono una separazione areale coerente di tipi distinti di insedia-

114 114 Stato, spazio, urbanizzazione urbana? mento. Non può nemmeno essere compresa in modo chiaro sulla base dei concetti recenti di città globali, perché molte di queste varianti presuppongono ugualmente la chiusura territoriale delle unità urbane, anche se comprese come legate in modo relazionale con altre città attraverso la rete transnazionale del capitale, del lavoro e delle infrastrutture di trasporto e di comunicazione 4. In modo paradossale, tuttavia, nel momento in cui l urbano sembra avere acquisito un significato strategico senza precedenti per una vasta gamma di istituzioni, di organizzazioni, di ricercatori, di attori e di attivisti, i suoi contorni definizioni sono diventati confusi in modo inimmaginabile. L apparente ubiquità della condizione urbana contemporanea sembra renderne impossibile la comprensione. In queste condizioni, il campo della teoria urbana, che abbiamo ereditato da Wirth, Castells e altri maggiori urbanisti del xx secolo, è in uno stato di disorganizzazione. Se l urbano non può più essere concepito come un tipo specifico di spazio ovvero un tipo di insediamento specifico, distinto e relativamente delimitato nel quale hanno luogo tipi specifici di relazioni sociali allora cosa può giustificare l esistenza di un campo di ricerca devoto alla sua analisi? Oggi, il mondo accademico degli studi urbani mostra una varietà di «sintomi di malattia» che manifestano l ultima delle crisi che hanno scosso in modo periodico questo campo dalle sue origini circa un secolo fa 5. Tra i ricer- 4 Si veda Brenner, Schmid 2012a. Cities, di Amin e Thrift (2002), sviluppa una versione produttiva di questa critica, anche se orientata verso un diverso percorso metodologico rispetto a quello qui argomentato. 5 A proposito delle crisi precedenti, si veda Castells, 1976, e Abu-Lughod, Sulle sfide contemporanee, si veda, tra gli altri, Roy, 2009; Roy, Ong, 2011; Zukin, 2011.

115 Tesi sull urbanizzazione 115 catori più specializzati e orientati al lavoro empirico, il compito fondamentale della raccolta di dati, del lavoro metodologico e dell investigazione concreta continua ad avere la precedenza rispetto alla sfida di cimentarsi con le basi epistemologiche decadenti del campo di ricerca. La specializzazione disciplinare produce così quello che Lefebvre (1973, traduzione mia) ha definito un «campo cieco» nel quale le analisi empiriche di temi venerabili continuano ad accumularsi, anche se «il fenomeno urbano, preso nel suo insieme» resta nascosto alla vista 6. Allo stesso tempo, tra quegli urbanisti che si preoccupano, in modo riflessivo, di confrontarsi con questi temi, c è una confusione crescente circa le basi analitiche della ragion d essere del campo di ricerca nella sua totalità. Anche un esame rapido dei lavori recenti in teoria urbana rivela che i disaccordi fondativi prevalgono su ogni questione dalla concettualizzazione di quello che gli urbanisti studiano (o dovrebbero studiare) alle giustificazioni del perché lo stanno facendo (o dovrebbero farlo) all elaborazione di come perseguire al meglio i loro obiettivi 7. Questa situazione ha generato una specie di «Babele accademica» (Lefebvre, 1973) nella quale, anche in mezzo a innovazioni concettuali produttive, la frammentazione delle realtà urbane nelle pratiche politico-economiche e culturali quotidiane viene replicata in modo relativamen- 6 Il concetto di campo cieco deriva dalla polemica feroce di Lefebvre contro la specializzazione estrema negli studi urbani, una situazione che, secondo lui, contribuiva alla frammentazione del suo oggetto di analisi e a mascherare la totalità planetaria costituita dall urbanizzazione capitalista. Si veda Lefebvre, Per una visione d insieme e un analisi critica di questo stato di cose, si veda Soja, 2007, e Roy, Un altra utile risorsa su questi dibattiti è il giornale CITY: Analysis of Urban Trends, Culture, Theory, Policy, Action, che dedica ampia attenzione alle discussioni delle basi teoriche ed epistemologiche della disciplina e alle loro ramificazioni politiche.

116 116 Stato, spazio, urbanizzazione urbana te acritico all interno del campo discorsivo della teoria urbana. Una tendenza particolarmente problematica è la svolta «contestualista» che è diventata di moda tra molti studiosi urbani che sono stati influenzati dalla teoria actornetwork di Latour e dai concetti neo-deleuziani ad essa associati, tra cui quello di assemblaggio. Questi approcci, specialmente nelle loro varianti ontologiche, rifiutano forme di argomentazione astratte o macrostrutturali in favore di narrazioni legate ai luoghi e di descrizioni dettagliate, che si ritiene forniscano mezzi più diretti per accedere ai contorni microsociali di un panorama urbano in rapido cambiamento 8. Queste posizioni possono parzialmente superare alcuni dei difetti di posizioni dall approccio meta-teoretico strutturalista precedenti, e alcune di esse riescono anche a scoprire nuovi orizzonti di ricerca sui processi urbani, in particolare in relazione al ruolo degli agenti non umani nella strutturazione degli spazi. Tuttavia, molti lavori sugli assemblaggi urbani non iniziano nemmeno ad affrontare, non diciamo a risolvere, i problemi epistemologici di fondo di cui sopra 9. Anche in questo caso, il concetto di urbano è messo in relazione con una grande varietà di referenti, di connotazioni e di condizioni, che derivano troppo spesso dalle categorie della pratica quotidiana e che sono poi convertiti in modo irriflessivo in concetti analitici. L indeterminazione teoretica del campo di studi urbano è così rinforzata, 8 Testi chiave in questa linea di ricerca sono Latour, Hermant, 2006 (1998); Farías, Bender, 2010; Mcfarlane, 2011a, 2011b. 9 Un importante eccezione è il lavoro di Ignacio Farías, che discute esplicitamente questi temi e propone un ripensamento radicale, anche se controverso, della questione urbana. Una valutazione più prudente del potenziale di questi approcci nella ricerca urbana è presentata in Bender, 2010.

117 Tesi sull urbanizzazione 117 mentre il contesto del contesto le dimensioni geopolitiche e geoeconomiche dei processi di urbanizzazione contemporanea e le forme ad essi associate di ristrutturazione del capitalismo mondiale, dell espropriazione e del lo sviluppo spaziale diseguale diventa un punto analitico cieco 10. Qual è il futuro della teoria urbana in un mondo in cui l urbanizzazione è generalizzata? Gli urbanisti forse dovrebbero semplicemente affermare l apparente carattere amorfo del loro terreno di ricerca e rassegnarsi al compito di descrivere la vita sociale e spaziale in luoghi genericamente definiti? Oppure gli studi urbani oggi dovrebbero essere perseguiti usando la cornice interpretativa a- spaziale proposta in modo polemico da Peter Saunders negli anni Ottanta (1989), cornice che enfatizzava i processi sociali costituiti (in particolare i consumi collettivi) piuttosto che la loro materializzazione in forme spaziali? Oppure, in modo ancora più radicale, è forse tempo di parlare del campo di studi un tempo noto come studi urbani, consegnando il lavoro in quest ambito di analisi a una fase della modernità capitalista le cui condizioni sociospaziali sono ormai superate? In una riflessione provocatoria recente, l eminente sociologo urbano Herbert Gans (2009) suggerisce proprio questo, proponendo di rimpiazzare la problematica degli studi urbani così come l abbiamo ereditata con una «sociologia degli insediamenti» basata sulle tipologie reinventate dell organizzazione spaziale umana e su una comprensione meno rigida delle frontiere tra i luoghi. A differenza di Saunders, Gans insiste che il campo di studi in discussione deve 10 Sulla nozione di contesto del contesto, si veda Brenner, Peck, Theodore, Una variante di questo tipo di critica è sviluppata in Brenner, Madden, Wachsmuth, 2010, e anche da Wachsmuth, Madden, Brenner, 2011.

118 118 Stato, spazio, urbanizzazione urbana mantenere una componente spaziale, ma opta per abbandonare la cartografia degli insediamenti urbani spaziali che ha a lungo sostenuto la sociologia urbana, incluse le sue analisi pionieristiche iniziate negli anni Sessanta. Può essere facile cedere alla tentazione di seguire la posizione di Gans e così di confrontarsi con i panorami urbani emergenti a partire da un punto di partenza che assomiglia a una tabula rasa, priva del bagaglio concettuale associato con i dibattiti lunghi un secolo sulle città, sulle forme metropolitane e sui problemi urbani. Ma fare questo significherebbe reintrodurre una versione del rifiuto di Castells del discorso urbano come pura ideologia. Questa posizione non ha gli strumenti per spiegare la continua, potente influenza dei fenomeni urbani in diversi ambiti della teoria e della ricerca, così come il fatto che l urbano viene spesso invocato come un progetto o un sito in così tanti ambiti di riorganizzazione istituzionale, di strategia politico-economica e di lotte popolari. Di certo, l intensificazione del confronto con le condizioni e le potenzialità urbane, che abbiamo delineato nelle pagine precedenti, è indicativa di trasformazioni sistemiche socio-spaziali in corso nel mondo contemporaneo e dello sforzo di costruire quello che Frederic Jameson (1998, pp ) una volta ha chiamato mappa cognitiva attraverso la quale è possibile assicurare un orientamento cartografico in condizioni di profonda dislocazione fenomenologica 11. Qualunque siano le sue dimensioni ideologiche, e sono notevoli, la nozione di urbano non può essere ridotta a una categoria della pratica; resta uno strumento concettuale cruciale per ogni 11 Il concetto neo-althusseriano di Jameson si fonda sulla nozione strettamente fenomenologica, che poi supera, introdotta dal designer urbano Kevin Lynch nel suo testo ormai classico L immagine della città (1980).

119 Tesi sull urbanizzazione 119 tentativo di teorizzare la distruzione creativa in corso dello spazio politico-economico nel regime capitalista dell inizio del xxi secolo. Come ammesso da Lefebvre (1973), questo processo di distruzione creativa (con le sue parole, di «implosione-esplosione») non è confinato a nessun posto, territorio o scala specifica; genera invece una problematica, una serie di condizioni emergenti, di processi, di trasformazioni, di progetti e di lotte che sono connessi alla generalizzazione ineguale dell urbanizzazione su scala planetaria. Per questo bisogna difendere la teoria urbana, anche se questa deve essere reinventata criticamente in modo che sia riconosciuta la natura perpetuamente dinamica, e gli effetti di distruzione creativa del «fenomeno urbano» (Lefebvre, 1973) nel quadro del capitalismo, e su questa base la teoria urbana può aspirare a decifrare gli schemi emergenti dell urbanizzazione planetaria. Secondo la formulazione combattiva di Ananya Roy (2009, p. 820), questo è di sicuro un momento ideale nel quale «scoperchiare nuove geografie teoretiche» per un approccio rinnovato agli studi critici urbani. Senza pensare di aggirare un tale processo di sperimentazione di cui non si può prevedere il risultato, il resto di questo saggio presenta una serie di tesi che intendono provocare il dibattito circa la condizione planetaria urbana contemporanea, così come circa lo stato della nostra eredità intellettuale nei campi accademici dedicati a investigare questo tema, e circa le prospettive per sviluppare nuove strategie concettuali per decifrare le realtà urbane emergenti e le potenzialità attraverso luoghi, territori e scale diverse. Molte di queste tesi sono legate alla vasta letteratura accademica nell ambito degli studi urbani che si è sviluppata nell ultimo secolo. Altre di queste tesi si confrontano con un terreno analitico con il quale

120 120 Stato, spazio, urbanizzazione urbana poca ricerca urbana dialoga, oppure che è stato avvicinato attraverso strade che di solito si trovano al di fuori dell ambito degli studi urbani, almeno nel senso in cui questo campo è stato tradizionalmente compreso. Mentre queste tesi portano avanti un argomento che rivendica una continua attenzione ai temi urbani, esse propongono una visione ridefinita del «sito» a cui appartengono queste questioni. Come è stato produttivamente enfatizzato da Andrea Kahn (2005, p. 287, traduzione mia), la demarcazione dei siti urbani implica sempre delle manovre complesse di tipo epistemologico, politico e cartografico; i siti urbani sono «scenari multiscalari e caratterizzati da linguaggi eterogenei per interazioni e intersezioni» piuttosto che artefatti spaziali delimitati, precostituiti e compresi in se stessi. In modo più astratto, tuttavia, l orientamento teorico qui sviluppato suggerisce che il carattere urbano di ogni sito, dalla scala del quartiere a quella dell intero pianeta, può essere definito solo in termini sostanziali, in riferimento ai processi socio-spaziali storicamente specifici che lo producono. Nel modo in cui è inteso qui, dunque, l urbano è un «astrazione concreta» nella quale le contraddittorie relazioni sociospaziali del capitalismo (mercificazione, circolazione del capitale, accumulazione del capitale, e le forme associate di regolazione/contestazione politica) sono al contempo territorializzate (incluse in contesti concreti e così frammentate) e generalizzate (si espandono attraverso il luogo, il territorio e la scala e sono così universalizzate) (Brenner, 1998; Schmid, 2005; Stanek, 2011, pp ). Come tale, il concetto di urbano ha il potenziale per illuminare la dinamica secondo la quale si creano i modelli di distruzione creativa dei paesaggi socio-spaziali moderni, non solo all interno delle città, delle regioni metropolitane e delle altre zone tradizionalmente consi-

121 Tesi sull urbanizzazione 121 derate a impatto urbano, ma attraverso lo spazio del mondo nella sua totalità 12. Da un punto di vista metodologico, se non di sostanza, queste proposizioni si ispirano a quella che Lefebvre (1973, traduzione mia) chiama una metafilosofia dell urbanizzazione un approccio esplorativo che «fornisce un orientamento apre percorsi e rivela un orizzonte» piuttosto che fare annunci circa una condizione attuale o dei processi completati. Man mano che le mappe cognitive della condizione urbana che abbiamo ereditato si sono dimostrate inadeguate, se non obsolete, il carattere sperimentale di questo metodo appare come cruciale. C è urgente bisogno di una nuova mappa cognitiva, ma i suoi elementi centrali devono ancora acquisire una loro forma coerente che li renda intellegibili. Di conseguenza, molte delle proposizioni che seguono non sono altro che primi abbozzi per modalità di concettualizzazione e di investigazione che devono ancora essere perseguite. Il loro potenziale di influenzare future mappature della condizione urbana planetaria resta da esplorare e da elaborare. Il diagramma 1 offre un riassunto schematico di alcune delle distinzioni presentate nel testo. 1. L urbano come costruzione teoretica. L urbano non è un sito, uno spazio o un oggetto dato di per sé la sua de- 12 Le nozioni di globale, planetario e mondiale sono concetti contestati sia da un punto di vista filosofico che politico e richiedono un esame ulteriore. Si veda Elden, 2011; Sarkis, 2011; Madden, 2012, e i vari testi raccolti in Lefebvre, Per i nostri scopi, è sufficiente notare che il mondiale, come usato qui, si riferisce alle zone di azione, di immaginazione e di potenzialità planetarie che sono co-prodotte in modo dialettico con l urbano; non è semplicemente riempito attraverso l estensione globale dell urbanizzazione ma è attivamente costituito e perpetuamente riorganizzato attraverso le relazioni socio-spaziali urbane. Questo punto è sviluppato con lucidità in Madden, 2012.

122 122 Stato, spazio, urbanizzazione urbana marcazione come una zona di pensiero, di rappresentazione e di immaginazione o di azione può solo avvenire tramite un processo di astrazione teoretica (Martindale, 1958; Abu-Lughod, 1969; Castells, 1972). Queste astrazioni condizionano «come facciamo venire fuori il nostro oggetto di studio e quali proprietà pensiamo che degli oggetti specifici abbiano» (Sayer 1984, p. 281, traduzione mia; si veda anche Sayer, 1981). Come tali, esse hanno un impatto nella strutturazione delle analisi concrete di tutti gli aspetti del paesaggio urbano e della ristrutturazione socio-spaziale. In questo senso, le questioni di concettualizzazione sono al centro di tutte le forme di ricerca urbana, anche di quelle più empiriche, contestualizzate e orientate al dettaglio. Non sono semplici condizioni di sfondo o strumenti di inquadramento ma costituiscono il tessuto interpretativo attraverso il quale gli urbanisti compongono le metanarrazioni, gli orientamenti normativo-politici, le analisi di dati empirici e le strategie d intervento. 2. Il campo e l oggetto della ricerca urbana sono contestati nella loro essenza. Dall istituzionallizazione formale della sociologia urbana all inizio del xx secolo, la demarcazione concettuale dell urbano è stata un tema di intenso dibattito e di disaccordo attraverso le scienze sociali. Da allora, la traiettoria della ricerca urbana ha implicato non solo l accumulazione di investigazioni concrete su e negli spazi urbani ma anche la riarticolazione teorica senza sosta della loro specificità come tale, sia sociale che spaziale. Durante lo scorso secolo, molto dei grandi passi in avanti nel campo degli studi urbani si sono compiuti attraverso l elaborazione di nuovi «tagli» teorici di quella che è la natura della questione urbana (Gottdiener, 1985; Saunders, 1988; Merrifield, 2002). 1989?

123 Tesi sull urbanizzazione Le maggiori correnti degli studi urbani non riescono a demarcare il loro campo e oggetto di ricerca in termini teorici riflessivi. Nella maggior parte degli studi urbani del xx secolo, le città e gli spazi urbani sono stati ritenuti come acquisiti nella loro coerenza empirica, e come ambiti di ricerca trasparenti. Di conseguenza, il carattere urbano della ricerca urbana è stato pensato semplicemente in riferimento al fatto che il suo punto focale si situa all interno di un luogo denominato «città». Tuttavia, queste posizioni empiriste dominanti non possono rendere ragione delle loro stesse condizioni di possibilità geografiche e storiche; essi presuppongono in modo necessario determinati assunti teorici circa la specificità della città e/o dell urbano che influenzano in modo forte la traiettoria della ricerca concreta, di solito in modo irriflessivo. La riflessività critica negli studi urbani potrebbe essere raggiunta solo se questi assunti sono resi espliciti, assoggettati ad analisi sistematiche, e rivisti continuamente in relazione all evoluzione delle questioni di ricerca, agli orientamenti normativo-politici e alle preoccupazioni pratiche (Castells, 1976). 4. Gli studi urbani hanno tradizionalmente delimitato l urbano in rapporto agli spazi ritenuti non-urbani. Dalle sue origini, il campo degli studi urbani ha pensato l urbano come un tipo specifico di spazio d insediamento, uno spazio che è ritenuto differente, qualitativamente, dagli spazi ritenuti non-urbani che lo attorniano da quello suburbano, a quello della cittadina, del villaggio, dello spazio rurale, della campagna e allo spazio selvaggio (Wirth, 1969 [1937]; Gans, 2009). I sociologi della Scuola di Chicago, gli economisti che si occupano di territorio, i demografi urbani, i teorici delle località centrali, i geografi neomarxisti e i teorici delle città globali possono essere in

124 124 Stato, spazio, urbanizzazione urbana disaccordo sulla specificità dell urbano, ma tutti si confrontano con la manovra analitica comune di delineare il carattere urbano attraverso un contrasto esplicito o implicito con le condizioni sociospaziali che si trovano «altrove» 13. In effetti, il terreno del non-urbano, questo «altrove» eternamente presente, è servito a lungo come un fuori costitutivo che stabilizza l intelligibilità stessa del campo degli studi urbani. Il non-urbano appare simultaneamente come l Altro ontologico dell urbano, il suo opposto radicale, e come la sua condizione epistemologica di possibilità, la base a partire dalla quale l urbano può essere riconosciuto come tale 14 (si vedano figure 5 e 6). 5. La preoccupazione per le tipologie d insediamento (essenze nominali) deve essere superato dall analisi dei processi socio-spaziali (essenze costitutive). Lo sviluppo delle tipologie degli spazi di insediamento, urbani o di altri tipi, richiede di delineare l essenza nominale attraverso la quale deve essere compresa la specificità di forme socio-spaziali particolari. Quest aspirazione metodologica ha a lungo preoccupato le maggiori correnti della teoria urbana del xx 13 I dibattiti sulla questione urbana come una questione di scala (Brenner, 2009) rappresentano una parziale eccezione a questa generalizzazione, perché implicano la distinzione analitica tra l urbano e il livello sovraurbano (un vettore di comparazione verticale) piuttosto che tra l urbano e i territori extraurbani (un vettore comparativo orizzontale). 14 L opposizione binaria urbano/non-urbano è fatta saltare in modo produttivo nel libro classico di William Cronon sullo sviluppo simultaneo di Chicago e del Grande Ovest, Nature s Metropolis (1991). Le stesse tematiche sono esplorate in modo molto convincente nel brillante studio di Alan Berger (2006) sui panorami di detriti e sull urbanizzazione orizzontale nell America del Nord deindustrializzata. Uno dei primi tentativi di trattare esplicitamente il non-urbano come una zona di significato teorico per il progetto della teoria urbana è il numero del 2012 di MONU (Magazine on Urbanism) intitolato Non-urbanism (n. 16).

125 Tesi sull urbanizzazione 125 secolo, e permane all interno di molte tradizioni importanti della ricerca urbana contemporanea. Tuttavia, è tempo per gli urbanisti di abbandonare la ricerca di un essenza nominale che possa distinguere l urbano come un tipo di insediamento (sia esso concepito come una città, una città-regione, una metropoli, una megalopoli, o altro) e le concezioni ad esso associate degli altri spazi (suburbano, rurale, territori selvaggi) come nonurbani a causa della loro supposta separazione dalle condizioni, dalle tendenze e dagli effetti urbani. Invece, per cogliere la produzione e la continua trasformazione della differenziazione spaziale, la teoria urbana deve dare priorità all analisi delle essenze costitutive i processi attraverso i quali i variegati paesaggi del capitalismo moderno sono riprodotti 15 (figura 6). 6. C è bisogno di un nuovo lessico della differenziazione sociospaziale. Le geografie del capitalismo sono intensamente variegate: i processi contemporanei di urbanizzazione non hanno affatto superato lo sviluppo spaziale diseguale e l ineguaglianza territoriale a ogni scala geografica. Tuttavia, c è bisogno di un nuovo lessico di differenziazione socio-spaziale per cogliere i percorsi emergenti della riorganizzazione dell urbanizzazione planetaria. Oggi la differenza spaziale non assume più la forma della 15 La distinzione tra essenze nominali e costitutive deriva da Sayer, Sulla teoria basata sui processi, si veda Harvey, 1982, e Ollman, Il metodo basato sui processo proposto qui ha a lungo sostenuto gli approcci materialisti storico-geografici alla teoria socio-spaziale, ma, con alcune eccezioni degne di nota (Heynen, Kaika, Swyngedouw, 2006; Swyngedouw, 2006), le sue implicazioni per le basi teoriche della ricerca urbana devono ancora essere elaborate. In particolare quando è spogliato dal suo «metodo città-centrico» (Angelo, Wachsmuth, s.d; Wachsmuth, 2012), il concetto di «metabolismo» urbano è uno strumento analitico estremamente utile per portare avanti questa metodologia.

126 126 Stato, spazio, urbanizzazione urbana divisione tra urbano e rurale, ma si articola attraverso un esplosione di percorsi di sviluppo e di possibilità all interno di una trama sempre più fitta del tessuto, strutturato in modo ineguale, dell urbanizzazione mondiale 16. Di conseguenza, i vocabolari ereditati con cui descrivere gli insediamenti spaziali, sia vernacolare che sociali-scientifici, offrono poco più che un punto di partenza epistemologico per questo tipo di impresa. Essi possono essere resi efficaci per un lavoro critico all interno di una struttura interpretativa che enfatizzi il perpetuo ribollire delle formazioni sociospaziali nei contesti capitalisti piuttosto che all interno di una lettura che ne presupponga la stabilizzazione all interno degli spazi urbani, delle formalizzazioni giuridiche o dei paesaggi ecologici. Quest approccio è stato introdotto con grande sistematicità da un gruppo di studiosi, di architetti e di designers dell eth Studio di Basilea, che ha portato allo sviluppo del «ritratto urbano» della Svizzera illustrato nella figura 7 (Schmid, 2001, 2012b). Le zone delimitate sulla mappa sono concepite non come arene territoriali delimitate o come incarnazioni di diversi tipi di insediamenti, ma come indicatori di processi contraddittori e tuttavia interconnessi di ristrutturazione socio-spaziale in condizioni di riorganizzazione industriale, del lavoro, di regolazione politica o dell ambiente. Esse demarcano l eredità geografica dei precedenti periodi di ristrutturazione urbana e la struttura territoriale nella quale le future potenzialità e i futuri percorsi urbani si produrranno. 7. Gli effetti urbani permangono all interno di un panorama socio-spaziale intensamente variegato. Si deve fare lo sforzo? manca in bibliografia 16 Questa è la tesi centrale di Diener et al., 2001.

127 Tesi sull urbanizzazione 127 di prestare attenzione alla continua produzione e ricostituzione delle ideologie urbane, incluse quelle che propagano visioni della città come specifica, distinta e territorialmente definita, sia in opposizione al rurale o alla natura, sia come sistema contenuto in se stesso, come un tipo ideale, o come un obiettivo strategico di intervento (Wachsmuth, 2014; si veda anche Goonewardena, 2005). Mentre la decostruzione critica di questi effetti urbani è stata a lungo centrale al progetto della teoria critica urbana, questo compito ha acquisito un urgenza rinnovata nelle condizioni attuali di urbanizzazione planetaria, nella quale il divario tra mappe cognitive quotidiane e paesaggi mondiali di distruzione creativa si sta accrescendo 17. Quali pratiche e strategie produce il persistente effetto dato dall esperienza della specificità sociale urbana, dai limiti territoriali o dalla coerenza strutturata? Come variano questi elementi attraverso i luoghi e i territori? In che modo queste pratiche e strategie, e i loro effetti, sono stati trasformati nel corso dello sviluppo capitalista mondiale e nelle condizioni contemporanee? 8. Il concetto di urbanizzazione richiede una sistematica reinvenzione. Per la sua corrispondenza con la problematica delle essenze costitutive, il concetto di urbanizzazione è uno strumento cruciale per investigare i processi urbani planetari. Per rispondere a questo scopo, tuttavia, le tradizioni che mettono al centro la città, che non interrogano il presupposto metodologico del territorio e che sono prevalentemente demografiche devono essere rimesse in discussione nella loro centralità nel concetto di urbaniz- 17 Una preoccupazione simile per il divario tra l esperienza e la totalità prodotta dal capitale anima la teorizzazione classica delle mappe cognitive di Jameson, 1988.

128 128 Stato, spazio, urbanizzazione urbana zazione. Gli approcci tradizionali identificano l urbanizzazione con la crescita di particolari tipi di insediamenti (città, aree urbane, metropoli), che sono concepiti come limitati territorialmente, come unità contenute in se stesse e incluse in un paesaggio rurale o non-urbano più vasto. Inoltre, questi approcci privilegiano di solito i criteri puramente demografici, come le soglie di popolazione e/o i gradienti di densità, come la base a partire dalla quale classificare i percorsi dello sviluppo urbano. L urbanizzazione è così ridotta a un processo nel quale, all interno di ogni territorio nazionale, le popolazioni di luoghi densamente popolati (le «città») sono ritenute espandersi in termini relativi o assoluti. Questo è un modello che è stato usato dalle Nazioni Unite da quando ha iniziato a produrre dati sui livelli di popolazione urbana all inizio degli anni Settanta, e questa lettura influenza le dichiarazioni contemporanee per cui un «età urbana» è oggi in corso perché più della metà della popolazione vive all interno di città (si veda la figura 8) 18. Mentre queste interpretazioni catturano dimensioni significative del cambiamento demografico all interno di un sistema di insediamento globale in evoluzione, esse hanno sia dei limiti empirici (i criteri per le tipologie di insediamenti urbani variano molto tra i diversi contesti nazionali) sia teorici (manca loro una concettualizzazione storica dinamica della specificità urbana). Al contrario, molte tradizioni marginali o sotterranee della teoria urbana del xx secolo ci può offrire degli elementi concettuali utili e degli orientamenti cartografici per una teoria dell urbanizzazione rivitalizzata (si veda Gottmann, 1970; Friedmann, Miller, 1965; Doxiadis, Papaioannou, 1974; e, in partico- 2012a. 18 Queste affermazioni sono criticate con ampiezza in Brenner, Schmid,

129 Tesi sull urbanizzazione 129 manca in bibliografia? lare, Lefebvre, 1973). La possibilità che le geografie dell urbanizzazione trascendano la città, la metropoli e la regione è stata considerata solo in modo occasionale dai teorici urbani del dopoguerra, ma nelle condizioni attuali di urbanizzazione planetaria ha un indubbio fascino (si veda la figura 9). 9. L urbanizzazione contiene due momenti dialettici concentrazione ed estensione 19. La teoria urbana ha a lungo concepito l urbanizzazione essenzialmente in termini di agglomerazione la densità della popolazione, delle infrastrutture e degli investimenti in certi luoghi comparata con un piano territoriale più vasto e meno densamente insediato. Mentre si da per acquisito che la scala e la morfologia di queste concentrazioni cambia nel tempo, l urbanizzazione è stata generalmente definita in primis in riferimento a questa tendenza sociospaziale di fondo (si vedano le figure 10 e 11). Molta meno attenzione è stata dedicata ai modi in cui il processo di agglomerazione si è basato su, e a sua volta contribuisce a, trasformazioni di ampio spettro dell organizzazione sociospaziale e delle condizioni ecologico-ambientali attraverso il resto del mondo. Anche se largamente ignorate o relegate allo sfondo analitico dai teorici urbani, queste trasformazioni materializzate in circuiti di lavoro, di merci, di forme culturali, di energia, di 19 Questa tesi, e in particolare la distinzione tra urbanizzazione concentrata ed estesa, deriva dal lavoro in collaborazione con Christian Schmid; gli sono grato per il permesso di presentare qui il nostro lavoro in modo sintetico. Questa concettualizzazione è sviluppata in modo esteso in Brenner, Schmid, 2012b, e anche nel nostro libro Planetary Urbanization. Il concetto di urbanizzazione estesa è stato inizialmente proposto da Roberto Luis de Melo Monte-Mór (2004, 2005) in un investigazione pionieristica dell Amazzonia brasiliana.

130 130 Stato, spazio, urbanizzazione urbana materie prime e di nutrienti interconnessi al contempo si irradiano al di fuori della zona di immediata agglomerazione e implorano poi con lo svilupparsi del processo di urbanizzazione. All interno del campo sempre più mondiale dello sviluppo urbano, le forme di agglomerazione si espandono, si comprimono, e cambiano continuamente forma, ma sempre attraverso dense reti di relazione con altri luoghi, territori, e scale, inclusi gli ambiti che sono tradizionalmente classificati come al di fuori della condizione urbana. Questi includono, ad esempio, le città di piccola e media proporzione e i villaggi in zone periferiche e agroindustriali, i corridoi di trasporto intercontinentali, le linee di spedizione transoceaniche, i circuiti energetici di larga scala e le infrastrutture di comunicazione, i paesaggi sotterranei di estrazione delle risorse, le orbite satellitari e anche la stessa biosfera. Come intesa qui, tuttavia, l urbanizzazione implica sia concentrazione che estensione: questi momenti sono co-implicati in modo dialettico poiché al contempo si presuppongono e contraddicono l uno con l altro. Questa proposizione suggerisce che le condizioni e le traiettorie degli agglomerati (città, città-regioni ecc.) devono essere analiticamente connesse ai processi di larga scala di riorganizzazione territoriale, di circolazione (del lavoro, delle merci, delle materie prime, dei nutrienti e dell energia) e di estrazione delle risorse che alla fine include lo spazio del mondo intero (si vedano le figure 12 e 13). Allo stesso tempo, questa prospettiva suggerisce che le trasformazioni socioambientali importanti in zone che non sono generalmente legate alle condizioni urbane (dai circuiti di agrobusiness e dai terreni per l estrazione di petrolio, di gas naturale e del carbone alle reti di infrastrutture transoceaniche, ai gasdotti sotterranei e alle orincludono?

131 Tesi sull urbanizzazione 131 bite satellitari), queste trasformazioni sono sempre più legate ai ritmi di sviluppo degli agglomerati urbani. Ritorniamo così alla domanda classica posta da Castells nella Questione Urbana quattro decadi fa: «Esistono delle unità urbane specifiche?» (1972, traduzione mia). Nelle condizioni attuali di urbanizzazione generalizzata su scala planetaria, questa domanda deve essere riformulata nel modo seguente: «C è un processo urbano?». In modo simile alla forma-nazione, analizzata dai critici radicali del nazionalismo, la forma-urbana nell economia capitalista è un effetto ideologico di pratiche storicamente e geograficamente specifiche, che crea l apparenza strutturale di una specificità territoriale, di coerenza e di chiusura in un contesto di rapida trasformazione socio-spaziale più ampio e mondiale (Goswami, 2002) 20. Nella misura in cui il campo degli studi urbani ha a lungo presupposto il carattere di «unitarietà» dell urbano, o ha cercato di spiegarlo facendo riferimento a una presupposta essenza nominale che è inerente all organizzazione dello spazio di insediamento, l effetto urbano è stato naturalizzato piuttosto che visto come un puzzle che richiede teorizzazione e analisi. Nella misura in cui gli urbanisti perpetuano questa naturalizzazione attraverso le loro scelte di categorie analitiche, il campo di studi rimane vincolato da una camicia di forza analitica analoga a quella che limitava gli studi sul nazionalismo prima degli interventi di studiosi come Nicos Poulantzas, Benedict Anderson ed Étienne Balibar, tra gli altri, che 20 Questa tesi è sviluppata in modo interessante in relazione all ideologia urbana da Wachsmuth, 2012; una versione analoga di questo argomento è implicita all interno del concetto di coerenza strutturata formulato da David Harvey, 1998.

132 132 Stato, spazio, urbanizzazione urbana oltre trent anni fa enfatizzavano la natura processuale di tale fenomeno. Il compito di decifrare l interazione tra urbanizzazione e percorsi di sviluppo spaziale ineguale resta sempre più urgente che mai, ma le nozioni territoriali della città, dell urbano e della metropoli sono oggi concetti sempre più vuoti e dunque inadatti a questo compito. Queste considerazioni suggeriscono vari orizzonti futuri possibili per la teoria urbana e la ricerca, compresi i seguenti: La distruzione creativa dei paesaggi urbani. Le forme capitaliste di urbanizzazione hanno a lungo implicato processi di distruzione creativa nei quali le infrastrutture socialmente prodotte per la circolazione del capitale, per la regolazione statale e per le lotte socio-politiche, così come i paesaggi socio-ambientali, sono sottoposti a tendenze sistemiche alla crisi e vengono radicalmente riorganizzati. Gli agglomerati urbani sono semplicemente uno tra i vari siti socio-spaziali strategici nei quali questi processi di distruzione creativa si sono sviluppati durante lo sviluppo capitalista. Qual è la specificità delle forme contemporanee di distruzione creativa attraverso i luoghi, i territori e le scale e come trasformano le geografie globali/urbane ereditate, i paesaggi sociospaziali e i percorsi di sviluppo spaziale diseguale? Quali sono i progetti politici concorrenti, neoliberali e altro, che aspirano a ridefinirli e ricanalizzarli? Geografie dell urbanizzazione. Come si è evoluta la relazione tra urbanizzazione concentrata ed estesa durante la storia del capitalismo? Dalla prima rivoluzione industriale del xix secolo, i grandi agglomerati urbani e i centri metropolitani sono a lungo stati tra le principali arene della distruzione creativa capitalista essi

133 Tesi sull urbanizzazione 133 sono serviti come «linee del fronte» delle strategie di produzione, di circolazione e di assorbimento dei surplus di capitale e di lavoro e in tal modo hanno facilitato le dinamiche di accumulazione di capitale su scala mondiale (Harvey, 1998). In quale misura il paesaggio dell urbanizzazione estesa a livello planetario, con le sue infrastrutture sempre più pervasive per la circolazione del capitale, dei flussi di energia e di alimenti e per l estrazione di risorse, in quale misura quest insieme di processi è oggi diventato il principale terreno strategico della distruzione creativa capitalista? Nell epoca dell antropocene, nella quale la logica dell industrializzazione capitalista ha trasformato in modo permanente i sistemi della vita planetaria, vi sono forse delle nuove tendenze alla crisi e delle barriere socioecologiche inclusi periodi in cui manca il cibo, il consumo delle risorse, la scarsità dell acqua, nuove forme di vulnerabilità urbana e le differenti forme, specifiche a ogni luogo, di espressione del cambiamento climatico globale che stanno destabilizzando i ritmi di sviluppo dell urbanizzazione estesa al pianeta? Quali sono le implicazioni di questi processi per le forme ed i percorsi futuri di concentrazione urbane e, più in generale, per l organizzazione degli ambienti costruiti dall uomo? Orizzonti politici. I dibattiti recenti sul diritto alla città hanno portato l attenzione sulle politiche dello spazio e sulle lotte per i beni comuni locali all interno delle grandi città mondiali, le zone ad alta densità di popolazione associate ai processi di urbanizzazione concentrata. Tuttavia, l analisi in corso suggerisce che queste lotte devono essere legate ad una più vasta politica per i beni comuni globali che si sta combattendo anche altrove, da parte dei contadini, dei piccoli proprietari

134 134 Stato, spazio, urbanizzazione urbana terrieri, dei lavoratori delle fattorie, delle popolazioni indigene e da parte dei loro difensori, attraverso il panorama variegato dell urbanizzazione estesa. Anche qui, le dinamiche di accumulazione attraverso l espropriazione e le enclosures (l appropriazione di uno spazio che era comune) hanno avuto degli effetti di distruzione creativa sulla vita di tutti i giorni, sulla riproduzione sociale e sulle condizioni socio-ambientali, e queste sono politicizzate da una serie di movimenti sociali attraverso i luoghi, i territori e le diverse scale spaziali. Sempre di più queste trasformazioni e le contestazioni degli ambienti urbani costruiti per permettere la circolazione del capitale avvengono in parallelo con le lotte che da lungo hanno luogo negli e sugli agglomerati urbani 21. L approccio proposto qui apre una prospettiva per la teoria critica urbana nella quale si costruiscono connessioni, sia in modo analitico che strategico, tra le varie forme di espropriazione che sono prodotte e contestate attraverso il panorama socio-spaziale planetario. Una volta che il carattere di «unità» dell urbano è compreso come un prodotto strutturale delle pratiche sociali e delle strategie politiche, e non più come il loro presupposto, è possibile posizionare l indagine dell urbanizzazione, la distruzione create dello spazio politico-economico nel regime capitalista, come epicentro analitico della teoria urbana. È l estensione ineguale di questo processo di distruzione creativa capitalista sulla scala del- 21 Una tesi simile è suggerita nella letteratura sulle new enclosures, si veda in particolare De Angelis, Per delle analisi più ampie delle forme emergenti di contestazione sui beni comuni globali (incluse questioni relative all appropriazione della terra, dell acqua, dell aria e del cibo), si veda Heynen et al., 2007; Magdoff, Tokar, 2010; Peet, Robbins, Watts, ?

135 Tesi sull urbanizzazione 135 l intero pianeta, piuttosto che la formazione di una rete mondiale di città globali o di una sola, onnicomprensiva megalopoli, che costituisce il cuore della problematica contemporanea dell urbanizzazione planetaria. Bibliografia Abu-Lughod J. (1969), The City is Dead Long Live the City: Some Thoughts on Urbanity, Monograph 12, Center for Planning and Development Research, University of California, Berkeley. Amin A., Thrift N. (2002), Cities: Reimagining the Urban, Polity, Cambridge. Angel S. (2011), Making Room for a Planet of Cities, Policy focus report, Lincoln Institute of Land Policy, Cambridge (ma). Angelo H., Wachsmuth D. (n.d.), The Political Ecology of Urbanization, Unpublished manuscript, Urban Theory Lab / nyc, New York. Bender T. (2010), «Reassembling the city: networks and urban imaginaries», in I. Farías, T. Bender (eds), Urban Assemblages: How Actor-Network Theory Changes Urban Research, Routledge, New York, pp Berger A. (2006), Drosscape: Wasting Land in Urban America, Princeton Architectural Press, Princeton. Brenner N. (1998), «Between fixity and motion: accumulation, territorial organization, and the historical geography of spatial scales», Environment and Planning D: Society and Space, 16, n. 4, pp , doi: /d Brenner N. (2004), New State Spaces: Urban Governance and the Rescaling of Statehood, Oxford University Press, New York. Brenner N. (2009), «Restructuring, rescaling, and the urban question», Critical Planning, 16, pp Brenner N., Madden D.J., Wachsmuth D. (2010), «Assemblage urbanism and the challenges of critical urban theory», City, 15, n. 2, pp Brenner N., Peck J., Theodore N. (2010), «Variegated neolibe-

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140 140 Stato, spazio, urbanizzazione urbana levare la trad. ingl.? Roy A., Ong A. (eds) (2011), Worlding Cities: Asian Experiments and the Art of Being Global, Wiley-Blackwell, Oxford. Sarkis H. (2011), «The world according to architecture: beyond cosmopolis», New Geographies, 4, pp Saunders P. (1989), Teoria sociale e questione urbana, Edizioni Lavoro, Roma. Sayer A. (1981), «Abstraction: a realist interpretation», Radical Philosophy, n. 28, pp Sayer A. (1984), «Defining the urban», GeoJournal, 9, n. 3, pp Sayre N. (2010), «Climate change, scale, and devaluation: the challenge of our built environment», Washington and Lee Journal of Energy, Climate, and the Environment, 1, n. 1, pp Schmid C. (2001), «Theory», in R. Diener, J. Herzog, M. Meili, P. de Meuron, C. Schmid, Switzerland An Urban Portrait, Birkhäuser, Zürich, 1, pp Schmid C. (2005), Stadt, Raum, und Gesellschaft: Henri Lefebvre und die Theorie der Produktion des Raumes (City, region, and society: Henri Lefebvre and the theory of the production of space), Franz Steiner, Stuttgart. Schmid C. (2012), «Henri Lefebvre, the right to the city, and the new metropolitan mainstream», in N. Brenner, P. Marcuse, M. Mayer (eds), Cities for People, not for Profit: Critical Urban Theory and the Right to the City, Routledge, New York, pp Schmid C. (s.d.), «Patterns and pathways of global urbanisation: towards a comparative analysis», Unpublished manuscript, Urban Theory Lab eth Zürich. Seijdel J. (2009), «Editorial», in «The art biennial as a global phenomenon: strategies in neo-political times», special issue, Open, 16. Soja E. (2007), Dopo la metropoli: per una critica della geografia urbana e regionale, Patron, Bologna. Soja E., Kanai M. (2006), «The urbanization of the world», in R. Burdett, D. Sudjic (eds), The Endless City: The Urban Age Project by the London School of Economics and Deutsche Bank s Alfred Herrhausen Society, Phaidon, London, pp

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142

143 Pensare lo spazio urbano senza fuori Il riproporsi della questione urbana La questione urbana è stata a lungo un punto di scontro e di intense discussioni tra gli studiosi che si occupano della natura delle città e dei processi di urbanizzazione 1. Nonostante profonde differenze nel metodo, nella scelta del taglio analitico e negli orientamenti politici, durante il xx secolo i principali approcci a questo tema hanno posto come unità d analisi e luogo di investigazione principale un entità definita comunemente come la città (o sue varianti lessicali). Questa scelta epistemologica di fondo è stata canonizzata nel 1925, quando i fondatori della Scuola di Chicago, Ernest Burgess e Robert Park, hanno pubblicato il loro manifesto di sociologia urbana, dal titolo sintetico e al tempo stesso assertivo de La Città 2. In seguito, quella 1 Per avere una visione d insieme di questi dibattiti nella teoria urbana del xx secolo, si veda P. Saunders, Social Theory and the Urban Question, Routledge, London 1986, trad. it. Teoria sociale e questione urbana, pref. E. Mingione, Edizioni Lavoro, Roma 1989; e M. Gottdiener, The Social Production of Urban Space, University of Texas Press, Austin R. Park, E. Brugess (a cura di), The City, University of Chicago Press, Chicago 1967 [1925], trad. it. La Città, pref. R. Rauty, Comunità, Milano 1999.

144 144 Stato, spazio, urbanizzazione urbana che era una scelta è diventata un presupposto auto-evidente talmente ovvio che non aveva bisogno di ulteriori spiegazioni o giustificazioni che è stato accolto in modo più o meno acritico da varie tradizioni e in diversi ambiti empirici degli studi urbani. Infatti, nonostante le divergenze significative, sia di tipo epistemologico che metodologico e politico, rispetto alla sociologia urbana della Scuola di Chicago, le principali correnti degli studi urbani della metà o della fine del xx secolo si sono concentrate in modo principale, se non esclusivo, sulla città, o su forme ad essa riconducibili (unità socio-spaziali nodali, relativamente ampie, densamente popolate e autonome) come oggetto di analisi. Indipendentemente dai loro orientamenti metodologici, dalle domande a cui vogliono rispondere e dai diversi programmi teorico-politici, tutti gli approcci principali alla questione urbana hanno o (a) descritto e documentato la riproduzione di agglomerati di tipo cittadino su territori più ampi; oppure (b) hanno cercato di qualificare ulteriormente questa presupposta forma socio-spaziale generale, «la» città che diventa così mercantile, industriale, fordista-keynesiana, post-keynesiana, postfordista, globale, mega, neoliberale, ordinaria, postcoloniale e così via in modo tale da demarcare un proprio terreno di ricerca, che appare così come un sottogruppo di un campo più vasto 3. 3 La tradizione di ricerca urbana critica e radicale ha giustamente enfatizzato la periodizzazione dello sviluppo urbano capitalista, riconoscendo la specificità delle forme di urbanizzazione proprie del capitalismo così come le più vaste articolazioni spaziali del lavoro nelle quali le città capitaliste sono contestualizzate. Nonostante questo, però, queste teorizzazioni restano ancorate a un modello generico di una singola città la cui morfologia era considerata paradigmatica per la fase di urbanizzazione studiata. Si veda, per esempio, la classica distinzione tra tipi di città (mercantile, industriale, fordista-keynesiana oppure corporativo-monopolista, post-keynesiana) che è stata sviluppate da D. Gordon, «Capitalist development and

145 Pensare lo spazio urbano senza fuori 145 Di certo, svariati sono stati i termini candidati a qualificare la città-unità in questione metropoli, conurbazione, città-regione, area metropolitana, megalopoli, zona megapolitana, e così via. Questi termini riflettono la diversità dei percorsi di stanzialità degli uomini, che possono variare in termini di confini, di morfologie e di livelli o scale 4. Allo stesso tempo, attraverso e all interno delle tradizioni di ricerca citate, si sono scatenati degli intensi dibattiti riguardo alle origini, alle dinamiche interne e alle conseguenze della costruzione di città, e più in generale in merito alle funzioni delle città in relazione a più ampie trasformazioni politico-economiche, socio-culturali e demografiche 5. Tuttavia, al di là dei dibattiti, dei disaccordi e del continuo variare dei paradigmi che hanno animato la teoria urbana e la ricerca nell ultimo secolo, ha perdurato un consenso di fondo: la problematica urbana è pensata come incarnata, nel suo nocciolo fondamentale, dalle the history of American cities», in W. Tabb, L. Sawyers (eds), Marxism and the Metropolis, Oxford University Press, New York 1978, pp ; e D. Harvey, «The urbanization of capital», in The Urban Experience, Johns Hopkins University Press, Baltimora 1989, pp , trad. it. L esperienza urbana, il Saggiatore, Milano Una simile enfasi analitica su particolari tipi di città globale, mega, post-fordista, neoliberale, ordinaria, post-coloniale e così via sottende la maggior parte delle correnti degli studi urbani critici contemporanei. Per uno sguardo d insieme su questi ultimi approcci e sui dibattiti associati si vedano, tra gli altri, E. Soja, Postmetropolis: Critical Studies of Cities and Regions, Blackwell, Cambridge 2000, trad. it. Dopo la metropoli: per una critica della geografia urbana e regionale, a cura di E. Frixa, Patron, Bologna 2007; N. Brenner, R. Keil (eds), The Global Cities Reader, Routledge, New York 2006; e G. Bridge, S. Watson (eds), The New Blackwell Companion to the City, Blackwell, Cambridge Per una discussione di questa proliferazione terminologica negli ultimi anni, si veda P.J. Taylor, R.E. Lang, «The shock of the new: 100 concepts describing recent urban change», Environment and Planning A, 36/2004, pp Si veda P. Saunders, Social Theory and the Urban Question, cit., e M. Gottdiener, The Social Production of Urban Space, cit.

146 146 Stato, spazio, urbanizzazione urbana città definite come tipi di insediamenti caratterizzati da certi elementi indicativi (come l ampiezza, la densità e la diversità sociale) che li rendono qualitativamente distinti da un mondo sociale di non-città (suburbano, rurale e/o «naturale») situato «oltre» o «al di fuori» di essi 6. Nel mio lavoro attuale, insieme a un gruppo di ricercatori, presso lo Urban Theory Lab-gsd e in collaborazione con Christian Schmid dell eth di Zurigo, stiamo sviluppando un modo radicalmente diverso di pensare la problematica della teoria e della ricerca urbane e, più in generale, di concettualizzare l impatto e le operazioni dei processi urbani sul paesaggio planetario. Così facendo, abbiamo come obiettivo quello di portare avanti una corrente della ricerca urbana che è rimasta a lungo sotterranea e che, fin dalla metà del xx secolo, ha messo in dubbio l interpretazione dominante dell urbano come condizione socio-spaziale rinchiusa entro confini, nodale e relativamente autosufficiente, e questo in favore di concettualizzazioni territorialmente differenziate, morfologicamente variabili, multi-scalari e processuali 7. Basando- 6 La triade di dimensione, densità ed eterogeneità era essenziale per la classica definizione di urbanesimo proposta dal sociologo Louis Wirth della Scuola di Chicago nel Si veda L. Wirth, «Urbanism as a way of life», in R. Sennett (ed), Classic Essays on the Culture of Cities, Prentice Hall, Englewood Cliffs 1969 [1937], pp Anche se gli argomenti di Wirth sull urbanesimo sono stati largamente assimilati nell interpretazione generica della città come tipologia che ha prevalso nel campo degli studi urbani, questi contengono delle intuizioni utili allo sviluppo di un approccio maggiormente differenziato a livello spaziale. Per una discussione ulteriore, si veda N. Brenner, «Louis Wirth s radiant urbanism: a contribution to the investigation of world urbanization», Working Paper, Urban Theory Lab, Graduate School of Design, Harvard University, Per una valutazione critica di molti di questi approcci, si veda N. Katsikis, From Hinterland to Hinterworld: Territorial Organization Beyond Agglomeration, Doctoral Dissertation, Doctor in Design Studies Program (DDesS), Graduate School of Design, Harvard University (in corso).

147 Pensare lo spazio urbano senza fuori 147 ci su vari concetti, metodi e mappature che derivano da questi lavori, e in particolare dagli studi di Henri Lefebvre, il nostro obiettivo è quello di oltrepassare la divisione urbano/non-urbano che ha sotteso a lungo l epistemologia della ricerca urbana, e su questa base, di sviluppare una nuova visione di una teoria urbana senza un fuori. In questi sforzi scientifici, noi manteniamo la centralità analitica dell agglomerazione per la problematica della teoria urbana, ma la interpretiamo come solo una delle dimensioni e delle espressioni morfologiche della forma di urbanizzazione capitalista. Secondo questa lettura, lo sviluppo, l intensificazione e l espansione mondiale del capitalismo produce un vasto e variegato terreno di condizioni urbane che includono e al contempo si estendono al di là delle zone di agglomerazione che hanno a lungo monopolizzato l attenzione degli studiosi. Mano a mano che questo spazio un tempo non-urbano è compreso e reso operativo all interno di un processo mondiale e creatore di mondo 8 di urbanizzazione capitalista, il significato del termine urbano deve essere esso stesso fondamentalmente re-immaginato sia nella teoria che nella pratica. Implosioni ed esplosioni Perché la distinzione urbano/non-urbano dovrebbe essere oltrepassata, e perché adesso? Lo spazio degli insediamenti umani è stato da lungo tempo differenziato da nomi di luoghi, e sembra intuitivo demarcare il terreno dello spazio urbano, sia storicamente sia oggi, in riferi- 8 Secondo la formula di H. Lefebvre. [N.d.T.]

148 148 Stato, spazio, urbanizzazione urbana mento ai nomi delle principali città mondiali Londra, New York, Shenzhen, Mumbai, Lagos e così via. Anche all interno dell intensa volatilità associata a un accelerazione del processo di ristrutturazione geo-economico, questi luoghi esistono ancora, e in realtà le loro dimensioni e la loro importanza strategica ed economica sembrano crescere, non diminuire. Ma cosa sono esattamente questi luoghi, oltre che dei nomi su una mappa che sono stati istituzionalizzati dai governi e commercializzati come luoghi di guadagno da gruppi di investimento? Cosa li distingue qualitativamente da altri posti all interno e oltre, ad esempio, il Sud-Est dell Inghilterra e dell Europa occidentale; gli Stati Uniti nord-orientali e il Nord America; il Delta del Fiume delle Perle e l Asia orientale; la zona del Maharashtra e l Asia del Sud; o la Nigeria meridionale e l Africa occidentale? Hanno delle qualità speciali che li rendono unici le loro dimensioni, forse, o la loro densità in termini di popolazione? Le loro infrastrutture? La loro centralità strategica nei flussi globali di capitale e di lavoro? Oppure, al contrario, le relazioni socio-spaziali urbane che un tempo erano contenute apparentemente in queste unità sono ormai esplose in modo caotico oltre di esse, attraverso delle catene di produzione e di consumo sempre più dense, attraverso circuiti di infrastrutture, flussi migratori e reti di circolazione e di logistica che oggi attraversano il pianeta? Ma, se le cose stanno così, quelle che un tempo erano dette città possono, qualsiasi sia la loro dimensione, considerarsi ancora come delimitate all interno di frontiere? Oppure le relazioni sociali quotidiane, le reti intraaziendali, i mercati del lavoro, i territori edificati, i corridoi di infrastrutture e le tracce socio-ambientali associate con questi raggruppamenti a elevate densità si sono ormai estesi, sono divenuti più intensi, si sono sovrappo-

149 Pensare lo spazio urbano senza fuori 149 sti e connessi l uno con l altro per creare quello che Jean Gott man aveva vividamente descritto come «un tessuto colloidale irregolare di paesaggi rurali e suburbani» su scala nazionale, internazionale, continentale e anche globale 9? Inoltre, visto il livello a cui questo sta accadendo, in un mondo in cui «la città è ovunque ed è in ogni cosa», non dovremmo abbondare l interpretazione dello spazio urbano che abbiamo ereditato come forma specifica di insediamento, oppure almeno ripensarlo radicalmente 10? Questa era la posizione proposta dal teorico dello spazio francese Henri Lefebvre oltre quarant anni fa, quando ha inaugurato il suo testo ormai classico, La révolution urbaine, con l ipotesi provocatoria che «la società è stata completamente urbanizzata» 11. Anche se Lefebvre vedeva la completa urbanizzazione come un oggetto virtuale una condizione emergente e non una realtà in atto, egli ha suggerito che i contorni generali di una forma completa di urbanizzazione si stavano già delineando negli anni Sessanta nell Europa occidentale. Si potevano ravvisare, ha sostenuto, nella frammentazione e nella distruzione delle città europee tradizionali; nella formazione di megalopoli territoriali di larga scala che vanno dall Inghilterra a Parigi, dalla Ruhr alla Scandinavia; nell estensione delle strutture logistiche, commerciali e turistiche fino ad aree prima remote; nella costruzione di 9 J. Gottman, Megalopolis: The Urbanized Northeastern Seabord of the United States, mit Press, Cambridge (ma) 1962, p. 5, trad. mia; trad. it. Megalopoli: funzioni e relazioni di una pluri-città, Einaudi, Torino A. Amin, N. Thrift, Cities: Reimagining the Urban, Polity, London 2002, p. 1, trad. it. Città: ripensare la dimensione urbana, il Mulino, Bologna H. Lefebvre, The Urban Revolution, University of Minnesota Press, Minneapolis 2003 [1970], p. 1; trad. it. La rivoluzione urbana, Armando, Roma 1973.

150 150 Stato, spazio, urbanizzazione urbana complessi industriali importanti e di vasti complessi abitativi su larga scala in zone prima periferiche in Francia, Spagna e Italia; nella distruzione di comunità agricole semi-autonome in zone precedentemente rurali; e nei processi ad ampio raggio di degrado ambientale che attraversano l intero continente 12. Una volta messe in atto su scala planetaria, suggerì Lefebvre, queste tendenze daranno vita all intrecciarsi senza sosta, anche se frammentario, di un tessuto urbano una «rete di trame ineguali» attraverso il mondo intero, includendo superfici terrestri, gli oceani, l atmosfera e il mondo sotterraneo, e tutto quest insieme potrà essere strumentalizzato in modo ancora più diretto e reso operativo per servire l appetito vorace di crescita industriale del capitalismo 13. In varie formulazioni sorprendenti, Lefebvre caratterizza la generalizzazione dell urbanizzazione capitalista come un processo di «implosione-esplosione», una frase che introduce per illuminare i legami che mettono in relazione reciproca le forme capitaliste di agglomerazione e le trasformazioni più ampie del territorio, del paesaggio e dell ambiente. In alcune delle sue formulazioni iniziali, Lefebvre usa la metafora dell implosione-esplosione in un modo vicino a quello di Mumford, per caratterizzare la distruzione delle città mercantili europee (il momento dell implosione) e la successiva crescita di formazioni territoriali megalopolitane per supportare l in- 12 Si vedano H. Lefebvre, «The right to the city», in E. Kofman, El Lebas (eds), Writings on Cities, Blackwell, Cambridge 1996 [1968], pp , trad. it. Il diritto alla città, Marsilio, Padova 1970; H. Lefebvre, The Urban Revolution, cit., pp. 1-23; e H. Lefebvre, «Reflections on the politics of space» e «The worldwide experience», in N. Brenner, S. Elden (eds), State, Space, World: Selected Essays, trans. by G. Moore, N. Brenner, S. Elden, University of Minnesota Press, Minneapolis 2009, pp. 190, H. Lefebvre, «The right to the city», cit., p. 71; H. Lefebvre, The Urban Revolution, cit., pp

151 Pensare lo spazio urbano senza fuori 151 dustrializzazione (il momento dell esplosione) 14. Ma Lefebvre successivamente estende il suo uso della metafora di implosione-esplosione alla descrizione di alcune delle trasformazioni territoriali di ampio respiro che si sono susseguite su varie scale spaziali durante la storia, vista come longue durée, dell urbanizzazione capitalista. Con l estensione delle città verso i territori che le circondano e con il loro amalgamarsi ad altre città attraverso le reti logistiche a lunga distanza, queste zone un tempo non cittadine sono ormai strettamente integrate nella divisione spaziale del lavoro su larga scala. Con l intensificazione, l accelerazione e l espansione territoriale delle forme capitaliste di crescita economica, le città precapitaliste e mercantili sono o rese periferiche oppure ristrutturate in quanto luoghi strategici all interno di territori altamente industrializzati. Successivamente, un ulteriore ondata di esplosioni socio-spaziali si produce quando le pratiche, le istituzioni, le infrastrutture urbane e i territori edificati sono proiettati in modo aggressivo verso e attraverso lo spazio precedentemente non-urbano, annullando ogni differenziazione trasparente tra la città e la campagna, e legando le economie locali e regionali in modo più diretto ai flussi transnazionali di materie prime, di beni, di forza lavoro e di capitale. In questo modo, i processi di concentrazione e di dispersione, così come le nuove traiettorie di polarizzazione centro-periferia, si sovrappongono gli uni con le altre attraverso i luoghi, i territori e le scale, creando un rimescolio quasi caleidoscopico di disposizioni socio-spaziali durante cicli successivi di sviluppo capitalista. La nozione di implosioneesplosione giunge così a descrivere la produzione e la 14 Si veda L. Mumford, The City in History, Harcourt, Brace and World, New York 1961, trad. it. La città nella storia, Castelvecchi, Roma 2013.

152 152 Stato, spazio, urbanizzazione urbana continua trasformazione di un tessuto urbano industriale in cui i centri di agglomerazione e i loro paesaggi operazionali sono legati l uno con l altro secondo modalità mutualmente trasformative essendo al tempo stesso coarticolate in un sistema capitalista mondiale 15. In un diagramma provocatore e ampiamente dibattuto presentato nel capitolo introduttivo di La révolution urbaine, Lefebvre usa la nozione di implosione-esplosione per descrivere la vasta costellazione di trasformazioni storico-geografiche che avrebbero, secondo il geografo francese, annunciato l inizio della completa urbanizzazione su scala mondiale in particolare, «la concentrazione urbana, gli esodi rurali, l estensione del tessuto urbano, la completa subordinazione dello spazio agricolo a quello urbano». Quando questo «punto critico» sarà raggiunto, suggerisce Lefebvre, la condizione di completa urbanizzazione non sarà più ipotetica, dunque un mero «oggetto virtuale» le cui tendenze si manifestano in modo selettivo in territori specifici, in Europa o altrove 16. Al contrario, sarà diventata un parametro basilare delle relazioni sociali e ambientali su scala planetaria, imponendo nuove limitazioni all uso e alla trasformazione dei territori edificati su scala mondiale, scatenando diseguaglianze potenzialmente catastrofiche, conflitti e pericoli, ma anche offren- 15 Su questo punto, la nozione di implosione-esplosione elaborata da Lefebvre offre degli importanti paralleli con la lettura che David Harvey fa della contraddizione tra fissità e movimento nella circolazione del capitale. Si veda D. Harvey, «The geopolitics of capitalism», in D. Gregory, J. Urry (eds), Social Relations and Spatial Strucutures, Macmillan, London 1985, pp Per una discussione ulteriore, si veda N. Brenner, «Between fixity and motion: accumulation, territorial organization and the historical geography of spatial scales», Environment and Planning D: Society and Space, 16, 5,1998, pp H. Lefebvre, The Urban Revolution, cit.

153 Pensare lo spazio urbano senza fuori 153 Figura 1 - Diagramma dell urbanizzazione completa della società di Henri Lefebvre LA RIVOLUZIONE URBANA L asse che descrive il processo si suddivide così: Città politica Città commerciale Città industriale Zona critica 0 100% Sbilanciamento dell agricolo verso l urbano IMPLOSIONE-ESPLOSIONE (concentrazione urbana, esodo rurale, estensione del tessuto urbano, subordinazione completa dello spazio agricolo e di quello urbano) Fonte: H. Lefebvre, The Urban Revolution, University of Minnesota Press, Minneapolis 2003 do nuove opportunità per l appropriazione democratica e l autogestione dello spazio a tutti i livelli. Nei tardi anni Ottanta, in uno dei suoi ultimi testi, Lefebvre suggeriva che il punto critico dell urbanizzazione totale era stato oltrepassato, e che quindi una «planetarizzazione dell urbano» si stava realizzando in pratica 17. Questa forma planetaria di urbanizzazione, recentemente consolidata, ha spostato, ha fatto esplodere, i confini socio-spaziali consolidati da lungo tempo non solo 17 H. Lefebvre, «Dissolving city, planetary metamorphosis,» in N. Brenner (ed), Implosions/Explosions: Towards a Study of Planetary Urbanization, Jovis, Berlin 2013, pp

154 154 Stato, spazio, urbanizzazione urbana Figura 2 - Il tessuto urbano globale emergente Fonte: Nikos Katsikis, Urban Theory Lab-gsd tra città e campagna, tra urbano e rurale, tra centro e periferia, tra metropoli e colonia, tra società e natura, ma anche tra la scala urbana, regionale, nazionale e globale creando in tal modo nuove formazioni di un paesaggio densamente urbanizzato i cui contorni sono estremamente difficili, se non impossibili, da teorizzare, ma meno difficili da mappare, sulla base degli approcci ereditati dagli studi urbani. L urbanizzazione e i suoi paesaggi funzionali Nell esplorare quest agenda emergente, la nostra tesi non è, come alcuni urbanisti hanno alle volte proposto, che le città (o, più precisamente, le zone di agglomerazione) si stanno dissolvendo in una società senza luoghi costituita da flussi globali, da una connettività senza confini o da una dispersione spaziale caotica 18. Non si tratta nemme- 18 Il locus classicus di questa tesi è M. Webber, «The post-city age», Daedalus, 94, 4, 1968, pp Per una revisione critica di versioni più

155 Pensare lo spazio urbano senza fuori 155 no di suggerire che la densità di popolazione, i raggruppamenti intra-industriali, gli effetti di agglomerazione o la concentrazione di infrastrutture per citare solo alcune delle condizioni che sono comunemente associate con il fenomeno cittadino nel capitalismo moderno non sono più tratti funzionali significativi dell economia e della società. Al contrario, noi restiamo preoccupati essenzialmente dai processi di agglomerazione, dal loro ruolo che cambia nei regimi di accumulazione capitalistica, e dalle loro variegate espressioni in forme morfologiche e configurazioni spaziali diverse dalle regioni urbane di ampia scala, ai territori metropolitani policentrici ai corridoi urbani lineari fino alle reti inter-urbane ed alle gerarchie urbane mondiali. Questi processi indicano semplicemente, come propone sinteticamente Matthew Gandy, che «le città sono solo una delle forme di urbanizzazione», e quindi devono essere lette come luoghi che evolvono in modo dinamico, come arene ed effetti di processi socio-spaziali più ampi e di una trasformazione socio-ecologica 19. David Harvey offre una formulazione egualmente concisa di questa frase con il suo suggerimento che «la cosa che chiamiamo città è il risultato di un processo che chiamiamo urbanizzazione» 20. Ma come, precisamente, teorizzare questo processo di urbanizzazione e le sue variegate geografie? In realtà, questo compito pone delle sfide considerevoli, perché, anche se il concetto di urbanizzazione può sembrare inirecenti, si veda S. Graham, «The end of geography or the explosion of place: conceptualizing space, place and information technology», Progress in Human Geography, 22, 2, 1998, pp M. Gandy, «Where does the city end?», in N. Brenner (ed), Implosions/Explosions: Towards a Study of Planetary Urbanization, cit., p D. Harvey, «Cities or urbanization?» in N. Brenner (ed), Implosions/ Explosions: Towards a Study of Planetary Urbanization, cit., p. 61.

156 156 Stato, spazio, urbanizzazione urbana zialmente indicare le qualità dinamiche e processuali sottolineate da Gandy e da Harvey, è stato a lungo modellato dagli assunti epistemologico del «cittadismo» metodologico. Come altri meta-concetti, quali industrializzazione, modernizzazione, democratizzazione e razionalizzazione, il concetto di urbanizzazione ha una lunga storia nelle scienze storiche e sociali moderne, ed è stato generalmente usato per invocare uno degli «ampi processi» che, si suppone, pervadono tutti i fenomeni sociali delle formazioni capitaliste moderne 21. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, che si tratti di studi urbani, di teoria sociale o di sociologia storica, il termine «urbanizzazione» si riferisce, tout court, al processo di crescita della città: per definizione, questo concetto si riferisce in particolare allo sviluppo di ampi, e in alcuni casi densi o diversificati, insediamenti, in congiunzione con alcune delle altre tendenze macroscopiche della modernità capitalista. Anche se le sue origini possono essere ricondotte a varie correnti della teoria sociale del xix e del xx secolo, questa concettualizzazione è stata in particolare incarnata dalla definizione proposta, nella metà del xx secolo, dal sociologo americano Kingsley Davis dell urbanizzazione come espansione della popolazione residente in città in rapporto alla totalità della popolazione nazionale. Anziché definire le città in termini sociali, morfologici o funzionali, Davis, come è ben noto, ha usato delle soglie numeriche di popolazione in generale o per definirne la specificità come tipi di insediamento 22. Davis ha rias- 21 Su queste «grandi strutture» e «ampi processi», e sulla storia dei tentativi per interpretarli nelle scienze sociali e storiche, si veda C. Tilly, Big Structures, Large Processes, Huge Comparisons, Russell Sage Foundation, New York K. Davis, «The Origins and Growth of Urbanization in the World», American Journal of Sociology, 60, 5, 1955, pp ; K. Davis, H. Hertz

157 Pensare lo spazio urbano senza fuori 157 sunto sinteticamente quest interpretazione strettamente empirica nella formula: U = Pc / Pt (U = urbanizzazione; Pc = popolazione delle città; e Pt = totale della popolazione nazionale); e successivamente egli ha dedicato vari decenni di ricerca empirica alla sua applicazione internazionale, dando vita alla prima indagine comprensiva su scala mondiale sulle dimensioni della popolazione delle città 23. Come Christian Schmid e io abbiamo sostenuto ampiamente altrove, la definizione proposta da Davis nella metà del secolo scorso è oggi ampiamente istituzionalizzata nei sistemi di raccolta dei dati che sono ancora usati dalle Nazioni Unite (onu) e da altre organizzazioni globali, ed è ancora fermamente presente in ampie parti delle scienze sociali, della pianificazione urbana, delle politiche sociali e di salute pubblica contemporanee 24. In realtà, è proprio questa concettualizzazione empirista, centrata sulla città, che sottende l influente tesi attuale secondo cui è iniziata un «epoca urbana» grazie al ritenuto spostamento della maggior parte della popolazione mondiale dalla campagna alla città. Mettendo da parte i punti deboli empirici di questa tesi, che sono considerevoli dato che non vi è una definizione standard dei tipi di insediamento che sono usati nei dati dell onu, una tale Golden, «Urbanization and the Development of Pre-industrial Areas», Economic Development and Cultural Change, 3, 1, 1954, pp K. Davis, H. Hertz Golden, «Urbanization and the Development of Pre-industrial Areas», cit., p. 7; K. Davis, World Urbanization: , vol. ii: Analysis of Trends, Relationships and Development, Population Series No. 9, Institute of International Studies, University of California, Berkeley 1972; K. Davis, World Urbanization: , Volume I: Basic Data for Cities, Countries, and Regions, Population Monograph Series No. 4, Institute of International Studies, University of California, Berkeley K. Davis, H. Hertz Golden, «Urbanization and the Development of Pre-industrial Areas», cit., p. 7; K. Davis, World Urbanization: , vol. ii, cit.; K. Davis, World Urbanization: , vol. i, cit.

158 158 Stato, spazio, urbanizzazione urbana affermazione è profondamente fuorviante per capire la condizione urbana globale contemporanea. Presuppone un concetto di città ristretto, astorico e centrato sul dato della popolazione, concetto che non afferra in modo adeguato la straordinaria scala e diversità dei processi di agglomerazione che sono associati alle forme contemporanee di sviluppo urbano nel mondo. Allo stesso tempo, il concetto di epoca urbana non riesce a spiegare le operazioni e gli effetti ad ampio raggio dei processi di urbanizzazione oltre i grandi centri di agglomerazione, ivi comprese le zone di estrazione delle risorse, le aree agroindustriali, le infrastrutture logistiche e di comunicazione, le zone turistiche e le zone di smaltimento dei rifiuti, che spesso attraversano i luoghi periferici, remoti e apparentemente «rurali» o «naturali» 25. Se questi contesti funzionali possono non contenere densità di popolazione, proprietà di insediamento, tessuto sociale o equipaggiamento in termini di infrastrutture quali sono comunemente associati con le città, essi hanno a lungo svolto un ruolo strategico essenziale nel coadiuvare questi ultimi processi, sia attraverso il rifornimento di materia prima, di energia, di acqua, di cibo o di forza lavoro, sia attraverso le funzioni di logistica, di comunicazione o di gestione dei rifiuti. Più in generale, come ha riconosciuto Marx nella sua classica analisi dell accumulazione primitiva (ursprüngli- 25 N. Brenner, C. Schmid, «The urban age in question», International Journal of Urban and Regional Research, 38, 3, pp L urbanizzazione dei luoghi più «remoti» della terra è oggi l oggetto del progetto di ricerca collettivo dell Urban Theory Lab-gsd su «Extreme Territories of Urbanization». Tra le altre questioni, il nostro gruppo di ricerca sta studiando i processi di urbanizzazione sia storici che contemporanei nell Artico, in Amazzonia, nel deserto di Gobi e nei deserti dell Himalaya e del Sahara, così come nell Oceano pacifico e nell atmosfera terrestre: si veda il sito urbantheorylab.net.

159 Pensare lo spazio urbano senza fuori 159 Figura 3 - Rete ferroviaria europea 1862 un paesaggio funzionale per le città e per l Impero questa figura è da spostare nell ottavo a colori? Fonte: C. J. Minard, Des Tableaux Graphiques et des Cartes Figuratives, E. Thunot et Cie, Paris I grafici sono consultabili anche all indirizzo web che Akkumulation) nel libro primo del Capitale, la delimitazione, lo sfruttamento e la permanente riorganizzazione si questi paesaggi è stata cruciale nella storia del capitalismo in termini di espropriazione, spostamenti forzati e proletarizzazione delle stesse popolazioni che sono spesso ghettizzate all interno dei grandi centri urbani Si veda A. Sevilla-Buitrago, «Urbs in rure: historical enclosure and the extended urbanization of the countryside», in N. Brenner (ed), Implosions/ Explosions: Towards a Study of Planetary Urbanization, cit., pp ; e M. Ajl,

160 160 Stato, spazio, urbanizzazione urbana La forma capitalista di agglomerazione presuppone quin di la delimitazione e la trasformazione in centri funzionali dei territori di ampia scala situati oltre la città per sovvenire alle attività socio-economiche essenziali, ai cicli metabolici e agli imperativi di crescita 27. Oggi, questi paesaggi sono completamente prodotti, pianificati o ridisegnati attraverso un impennata degli investimenti in infrastrutture, delle strategie di pianificazione territoriali di larga scala e di ghettizzazione che devono fungere da supporto per una crescita accelerata e per un espansione degli agglomerati attraverso l intero pianeta. I loro ritmi di sviluppo sono così legati in modo ancora più diretto a quelli dei principali centri urbani attraverso una divisione spaziale del lavoro su scala mondiale; e la loro continua mercificazione, ghettizzazione e degradazione socio-ecologica stanno contribuendo alle forme di depauperamento e di spostamento di massa che sono catalogati, in modo acritico, o addirittura celebrate nel discorso sull età urbana contemporanea sotto la voce del cambiamento demografico «dal rurale all ur bano» 28. In conseguenza, se un epoca urbana globale sta iniziando «The hypertrophic city versus the planet of fields», in N. Brenner (ed), Implosions/Explosions: Towards a Study of Planetary Urbanization, cit., pp Questo tipo di argomentazione è sviluppato in una corrente importante della letteratura in ecologia politica urbana, specialmente da autori quali Mathhew Gandy, Maria Kaika e Erik Swyngedouw, per i quali la nozione marxiana di metabolismo serve come lente analitica essenziale per studiare la forma capitalista di urbanizzazione. Per una discussione e valutazione critica di questi approcci, si veda H. Angelo, D. Wachsmuth, «Urbanizing urban political ecology,» in N. Brenner (ed), Implosions/Explosions: Towards a Study of Planetary Urbanization, cit., pp Quest ultimo punto è sostenuto con forza da Ajl, «The hypertrophic city», cit. Per un analisi parallela di questi paesaggi funzionali di urbanizzazione, si veda anche T. W. Luke, «Global Cities versus global cities : rethinking contemporary urbanism as public ecology», Studies in Political Economy, 70, 2003, pp

161 Pensare lo spazio urbano senza fuori 161 Figura 4 - L Artico come paesaggio funzionale per un urbanizzazione globale questa figura è da spostare nell ottavo a colori? Fonte: A. Fard e G. Jafari, Urban Theory Lab-gsd adesso, questa circostanza non può essere compresa adeguatamente in riferimento alla formazione delle città globali o di regioni di mega-città su larga scala, ma richiede di analizzare in modo sistematico la tendente, seppur diseguale, trasformazione funzionale dell intero pianeta inclusi lo spazio terrestre, sotterraneo, oceanico e atmosferico per servire uno sviluppo urbano industriale che si sta intensificando in modo accelerato 29. Fino a quando il modello dominante di urbanizzazio- 29 Questa è una delle ipotesi centrali che esploriamo all Urban Theory Lab-gsd nel lavoro su «territori estremi di urbanizzazione», ed è al centro della mia collaborazione con Christian Schmid sulle geografie storiche e contemporanee dell urbanizzazione estesa.

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