I Residui di Sparo - Formazione Ricerca Interpretazione

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1 - Formazione Ricerca Interpretazione Marco Morin, Cristian Bettin Padova, 2015

2 Premessa Questo testo nasce da una raccolta di informazioni tecniche contenute nelle perizie del prof. M. Morin e riassunte nel lavoro ufficialmente incompiuto e mai pubblicato scritto da M. Morin e L. Soldati nel 2009 Alcune nozioni sulla formazione dei residui di sparo e sulla loro ricerca e individuazione. Lo studio di Morin e Soldati fu scritto da periti per periti, copiando interi passaggi dei documenti del prof. Morin, integrati dagli estratti degli articoli citati e con riferimenti diretti agli errori analizzati nelle controperizie. Con il permesso del prof. Morin ho intrapreso la revisione nella forma della sua raccolta, per pubblicare un manuale scientificamente fondato sulle nozioni più importanti dell analisi dei residui di sparo con il SEM/EDX. Ai neofiti della materia si consiglia di leggere prima lo scritto GSR for dummies Guida irriverente ai residui di sparo, disponibile gratuitamente in internet, per avere un idea sommaria dell argomento e di approfondire in seguito lo studio con questo libro. Le informazioni riportate in questo testo sono tutte basate su ricerche scientifiche, citate volta per volta, e accettate dalla comunità scientifica internazionale. Esse rappresentano, alla data di stesura di questo lavoro, lo stato dell arte della ricerca dei residui di sparo con il microscopio a scansione elettronica. Dalla raccolta di appunti originale sono stati eliminati gli estratti e le immagini delle pubblicazioni coperte da copyright non di proprietà degli autori, e di perizie di terzi, cosi come gli innumerevoli riferimenti alle imperizie istituzionali ribaltate in sede giudiziaria. Il manuale viene messo a disposizione della comunità scientifica, nel rispetto del copyright delle immagini e dei disegni contenuti. Le foto e i disegni sono tutti di proprietà degli autori. Le fonti dei riferimenti bibliografici e delle immagini sono citate volta per volta tra parentesi quadre [-]. Le immagini e i diagrammi senza citazione della fonte provengono dagli appunti del prof. Morin. Per approfondimenti, commenti o suggerimenti è possibile contattare l autore all indirizzo crisbettin@libero.it. Ing. Cristian Bettin Padova, Gennaio 2015

3 Indice 1. Introduzione Il fenomeno esplosivo Classificazione degli esplosivi Decomposizione delle sostanze esplosive Le munizioni Munizioni a percussione anulare Munizioni a percussione centrale Cartucce a pallini Inneschi e miscele innescanti Gli inneschi Le miscele innescanti Sostanze contenute negli inneschi delle cartucce per armi da fuoco portatili Sostanze individuali Alcune miscele d innesco utilizzate nel passato e contemporanee Elementi rilevabili con EDX presenti nelle varie miscele Elementi rilevabili con EDX presenti nelle parti metalliche del bossolo Elementi rilevabili con EDX presenti nei proiettili Composizione di alcuni singoli inneschi Peso della miscela d innesco Formazione e caratteristiche dei residui di sparo I criteri d identificazione, l aspetto analitico e le varie modificazioni avvenute nel tempo Introduzione Approfondimento sull evoluzione storica dei criteri di identificazione Conclusioni Il microscopio a scansione elettronica Descrizione dell apparato Principi di funzionamento

4 7.2.1 La microsonda analitica La ricerca dei residui di sparo Il fattore tempo e il problema del transfer Alcuni tipici errori di interpretazione Errori di lettura degli spettri sovrapposizione dei picchi Riferimenti a documenti superati o non scientifici Scambiare una particella contenete Pb, Ba, Sb per GSR quando in realtà non lo è Conclusioni Bibliografia

5 1. Introduzione In campo criminalistico la possibilità di verificare scientificamente l avvenuto impiego di un arma da fuoco da parte di un indagato ha rappresentato sempre, per gli investigatori, uno dei traguardi più ricercati. I vari metodi impiegati nel tempo, dal famigerato guanto di paraffina alla ricerca degli elementi pesanti mediante raffinati metodi analitici, non hanno mai fornito risultati completamente soddisfacenti. Solo l impiego del microscopio elettronico a scansione dotato di microsonda analitica a dispersione di energia (SEM/EDX) ha permesso di riconoscere il particolato caratteristico che si forma nel corso del fenomeno di sparo. La presunta unicità di composizione di determinate particella è stata per decenni la base su cui si è retta l identificazione dei residui di sparo. Negli ultimi dieci anni è stato però dimostrato che particelle aventi la medesima composizione dei residui derivati dallo sparo di munizioni con innesco contenente stifnato di piombo, solfuro di antimonio e nitrato di bario (la miscela più comunemente utilizzata), possono avere anche origini diverse. Questa circostanza non ha inficiato completamente il metodo SEM/EDX, ma ne ha reso ancora più delicato l impiego, confermando che l analisi dei risultati deve essere affidata a scienziati capaci di interpretare i dati raccolti e non a semplici tecnici. Premesso che la conoscenza approfondita del materiale coinvolto nei fenomeni indagati appare del tutto indispensabile, nella prima parte di questo studio daremo alcune informazioni essenziali sul fenomeno esplosivo, descriveremo brevemente le cartucce per armi da fuoco, i loro inneschi e alcune miscele innescanti. In seguito saranno trattate la formazione dei residui di sparo e i criteri di ricerca, nonché la loro evoluzione nel tempo. Un capitolo è dedicato alla strumentazione necessaria per ricercare i GSR e uno alla procedura di ricerca scientificamente corretta. Il nono capitolo tratta il fattore tempo per la ricerca dei GSR e i problemi di inquinamento ambientale o per transfer dei campioni raccolti. In chiusura abbiamo riassunto alcuni tipici errori nell analisi dei dati e nella scelta della bibliografia a corredo delle perizie. Nel testo, al posto del termine residui di sparo faremo liberamente uso della sigla GSR, acronimo inglese di Gun Shot Residues (residui di sparo). 3

6 2. Il fenomeno esplosivo I più importanti aspetti della balistica forense hanno come punto di partenza il fenomeno chiamato esplosione. La balistica vera e propria, la ricerca di residui dello sparo e l esplosivistica traggono, infatti, origine dalla reazione esotermica di particolari sostanze. Il termine esplosione indica il fenomeno dovuto al rapido svilupparsi di una grande quantità di gas, ad alta temperatura, in uno spazio ristretto. L esplosione provoca elevate pressioni che si manifestano in un tempo brevissimo, con conseguenti energiche azioni meccaniche sulle pareti del recipiente entro il quale il fenomeno ha luogo o sui corpi vicini se l esplosione non ha luogo nell interno di un recipiente. Gli effetti dell esplosione sono di due generi differenti, e cioè rottura o deformazione dei corpi, e violenta proiezione di parti. Un esplosivo è una sostanza, generalmente allo stato solido ma talvolta anche liquida, che per l intervento di una causa esterna è in grado di sviluppare repentinamente una grande quantità di gas ad alta temperatura. Questo rapido sviluppo di gas trae origine in alcuni casi dalla decomposizione in elementi più semplici con distruzione di un complesso molecolare poco stabile oppure, più comunemente, da una reazione chimica (combustione), per effetto della quale gli elementi che costituiscono l esplosivo si combinano tra di loro e danno origine a prodotti gassosi ad altissima temperatura. Esempi del primo caso sono la decomposizione esplosiva dell azotidrato (o azoturo) di piombo: Pb(N 3 ) 2 Pb + 3 N 2 o quella del clorato di potassio: 2 KClO 3 2 KCl + 3 O 2 Nel secondo caso, per gli esplosivi attualmente in uso, la combustione avviene normalmente fra l ossigeno (il comburente) ed una o più sostanze combustibili contenute nell esplosivo stesso. L ossigeno viene fornito da un composto contenuto anch esso nell esplosivo. Al momento dell esplosione questo composto si decompone, liberando l ossigeno che si combina con il combustibile. Il combustibile potrà essere contenuto nello stesso composto chimico che contiene l ossigeno oppure in una sostanza diversa, e nel secondo caso comburente e combustibile dovranno essere intimamente mescolate. In sostanza possiamo dire che l esplosione consta di due diverse azioni chimiche: 1. la decomposizione del corpo che contiene l ossigeno; 2. l ossidazione del combustibile. Perché avvenga l esplosione è necessario quindi che in qualche modo inizi la decomposizione del corpo comburente in un punto della massa, cioè che la massa venga innescata. Il calore provocato dalla conseguente combustione è poi sufficiente per provocare l ulteriore decomposizione di tutta la massa. E evidente che la decomposizione avverrà più o meno facilmente a seconda della minore o maggiore 4

7 stabilità chimica del composto che contiene l ossigeno. Questa minore o maggiore stabilità determina l entità dell impulso iniziale (riscaldamento, urto, sfregamento, ecc.), detto innescamento, necessario affinché l esplosione abbia luogo. 2.1 Classificazione degli esplosivi E possibile suddividere le sostanze esplosive in miscugli esplosivi e in composti chimici esplosivi (esplosivi chimici). I primi sono costituiti da un intima mescolanza di varie sostanze, che in genere non hanno da sole proprietà esplosive, delle quali alcune contengono l ossigeno e altre il corpo combustibile. Tipico esempio di miscuglio esplosivo è la così detta polvere nera che è formata da nitrato di potassio KNO 3, carbone di legno e zolfo in vari dosaggi (uno dei più comuni è la proporzione ). Il nitrato di potassio è la sostanza che fornisce l ossigeno necessario alla combustione, il carbone e lo zolfo sono i combustibili. Gli esplosivi chimici sono costituiti da un principio unico, chimicamente definito, che contiene in se riuniti nella molecola sia l ossigeno comburente che l elemento combustibile. Si tratta generalmente di composti ossigenati ottenuti mediante l azione della così detta miscela nitrosolforica (acido nitrico + acido solforico) su opportune sostanze organiche. In base alla loro costituzione chimica si distinguono in eteri nitrici, ottenuti dalla nitrazione degli alcoli (della serie grassa) e delle cellulose, e in derivati nitrici ottenuti dalla nitrazione degli idrocarburi della serie grassa o di quella aromatica e dei loro fenoli. A titolo di esempio ricordiamo quello che forse è il più importante esplosivo conosciuto e cioè la nitroglicerina C 3 H 5 N 3 O 9, ottenuta per nitrazione della glicerina (un alcole alifatico trivalente). Come ben si vede nella stessa molecola è contenuto il comburente (l ossigeno) e i combustibili (carbonio e idrogeno). La nitroglicerina, molto raramente usata pura, trova vastissimo impiego come componente degli esplosivi di lancio e di quelli di scoppio (dinamiti). Per nitrazione del toluene, un idrocarburo aromatico, si ottiene invece il tritolo C 7 H 5 N 3 O 6, uno degli esplosivi più usati soprattutto in campo militare. 2.2 Decomposizione delle sostanze esplosive La decomposizione delle sostanze esplosive può avvenire in tre modi diversi: 1. Per conducibilità calorifica o combustione lenta. 2. Per deflagrazione. 3. Per detonazione. Nella decomposizione per conducibilità calorifica o combustione lenta la durata è dell ordine di diversi secondi o minuti e non si hanno effetti meccanici sensibili. Solo se la quantità di esplosivo è rilevante, la tensione dei gas prodotti può talvolta fare elevare la temperatura fino a determinare un effetto di scoppio vero e proprio. 5

8 La decomposizione per deflagrazione avviene con le cariche di lancio (per esempio le munizioni per armi da fuoco leggere) ed è la forma meno rapida di esplosione. La velocità di propagazione della reazione deflagrante è inferiore alla velocità del suono nella sostanza. La trasformazione in gas dell esplosivo avviene però con rapidità sufficiente per determinare effetti di propulsione. Nella deflagrazione è possibile osservare tre fasi ben distinte: a) L accensione; interessa quella parte di esplosivo su cui viene a cadere l impulso iniziale (dardo di fiamma dell innesco, rapido riscaldamento per compressione adiabatica di sacche d aria causata da corpo percuotente, filo di resistenza reso incandescente elettricamente, ecc.) b) L infiammazione; l accensione iniziata in un punto della massa si propaga a tutto l esplosivo con velocità più o meno elevata. c) La combustione; fenomeno generale che può avvenire in modo più o meno rapido. La decomposizione per detonazione si verifica con gli esplosivi dirompenti. La rapidità di decomposizione è elevatissima (superiore alla velocità del suono nella sostanza) e non risulta possibile distinguere nel fenomeno le tre fasi considerate nella deflagrazione. Queste tre forme di reazione esplosiva non rappresentano altrettante forme ben distinte di decomposizione, poiché tra l una e l altra esiste una grande serie di gradazioni. In molti casi uno stesso esplosivo può, a seconda delle circostanze, passare dalla combustione lenta alla deflagrazione e da questa alla detonazione. La detonazione può avvenire con maggiore o minore rapidità e dar luogo ad effetti più o meno violenti, anche in funzione dell energia del mezzo innescante impiegato. La reazione esplosiva può così assumere un infinità di forme diverse, i limiti delle quali sono segnati dalla combustione libera di strato in strato (tipica delle polveri di lancio) e dalla detonazione contemporaneamente della sostanza in tutto il suo volume (come nel fulminato di mercurio). Questo breve discorso ci permette di affrontare uno dei tre aspetti criminalistici afferenti alla balistica forense: la formazione dei residui di sparo. Ricordiamo subito che il fenomeno esplosivo viene sfruttato nelle armi da fuoco utilizzando la forte pressione generata dalla deflagrazione della polvere da sparo che provoca il moto del proiettile e, in particolari tipi di armi, l estrazione e l espulsione del bossolo con successiva introduzione in canna di una nuova cartuccia. La conoscenza delle cartucce, della loro struttura e della natura dei vari componenti risulta indispensabile per un proficuo studio della formazione e del riconoscimento dei residui di sparo. 6

9 3. Le munizioni Poiché l argomento di questo studio sono i residui di sparo, proponiamo una prima suddivisione delle munizioni impiegate nelle armi da fuoco portatili a retrocarica sulla base dei tipi d innesco utilizzati. Esistono, infatti, tre tipologie d innesco comunemente usate. La percussione anulare, adoperata in una vasta famiglia di cartucce deboli e di piccolo calibro.22 (5.6mm) e due modelli d innesco a percussione centrale, chiamati Berdan e Boxer. Fig. 1 Schemi d innesco usati nelle munizioni per armi portatili leggere, da [1]. Nell innesco anulare la miscela innescante è a diretto contatto con la polvere da sparo. 3.1 Munizioni a percussione anulare Per illustrare il sistema a percussione anulare prenderemo in considerazione la cartuccia.22 LR che serve ottimamente allo scopo. Le cartucce calibro.22 Long Rifle, Long e Short a percussione anulare (inglese: rimfire) sono fra le munizioni più impiegate. Il bossolo (ottone da cartuccia fatto con 70% rame e 30% zinco o in ferro placcato) presenta alla sua base un ringrosso anulare destinato a contenere nel suo interno la miscela d innesco e a posizionare correttamente la munizione nella camera di cartuccia dell arma. Nelle cartucce a percussione anulare la miscela d innesco è a contatto diretto con la carica di lancio. Si tratta di un particolare importante in quanto ci spiega la ragione per la quale nell innesco della maggioranza di queste munizioni sono assenti l antimonio, il calcio, il silicio e l alluminio. Al momento dello sparo il percussore schiaccia un punto del ringrosso anulare facendo deflagrare l innesco (Figura 2). La carica di lancio è composta da polvere senza fumo che non lascia residui inorganici, fatta esclusivamente da sostanze organiche (nitrocellulosa, nitroglicerina, tetracene, ecc.). Il proiettile è realizzato in piombo leggermente indurito da antimonio. La percentuale di antimonio nei proiettili per cartucce calibro.22 LR è compresa fra 0.75 e 2% (FROST 1990), un dato confermato anche RANDICH 2002 et al. che fornisce valori di concentrazione compresi fra e 0.753% nei campioni esaminati dal suo studio. In alcuni casi la superficie proiettili è ramata elettroliticamente per diminuire l imbrattamento della canna. 7

10 Fig 2. Una cartuccia calibro.22 LR. Si noti la miscela di innesco contenuta nel rigonfiamento anulare alla base del bossolo e a diretto contatto con la carica di lancio. 3.2 Munizioni a percussione centrale Una completa rassegna delle munizioni a percussione centrale esula dallo scopo di questo lavoro. Ci limiteremo a prendere brevemente in considerazione le tre tipologie più comuni nell impiego in armi portatili e i tre tipi d innesco generalmente utilizzati, per approfondimenti si rimanda al testo [1]. Il merito dell'invenzione della cartuccia contenente il suo innesco viene in genere attribuito allo svizzero Samuel Johannes Pauly ( ) che nel 1812 ottenne a Parigi un brevetto per un sistema a retrocarica con cartuccia di carta dotata di fondello metallico riutilizzabile. Il fondello presentava una cavità al centro, in cui si metteva polvere detonante, accesa poi da un percussore caricato a molla. Le munizioni delle armi attuali sono composte da (vedi fig.3): 1. Il proiettile. 2. Il bossolo 3. La polvere 4. L innesco Il bossolo adempie a molteplici funzioni, le più importanti delle quali sono: a) collegare le varie parti che costituiscono la cartuccia, b) assicurare la perfetta conservazione della carica e dell innesco, c) garantire la chiusura ermetica della culatta grazie alla sua dilatazione elastica al momento dello sparo, d) determinare esattamente e invariabilmente la posizione della cartuccia nella camera di scoppio. Solo con l invenzione della cartuccia metallica le armi da fuoco portatili furono in grado di fornire le prestazioni a cui oggi siamo abituati. Il metallo impiegato nella fabbricazione dei bossoli è prevalentemente l'ottone con 70% rame e 30% zinco, anche se dall ultima guerra mondiale i tedeschi iniziarono ad usare con successo l'acciaio. Il bossolo di una Fig.3 Parti di una cartuccia per arma rigata, da [1]. 8

11 cartuccia per fucile presenta in genere un profilo a bottiglia, formato da un tratto posteriore leggermente troncoconico (che facilita notevolmente il processo di estrazione) detto corpo, raccordato a un altro tratto cilindrico di minore diametro e lunghezza, detto colletto e da un fondello circolare che chiude il corpo inferiormente. Nell'interno del corpo trova posto la carica di lancio. Il colletto serve a trattenere il proiettile e, dilatandosi, a dare la chiusura ermetica al momento dello sparo. Il raccordo, chiamato spalla, nelle cartucce prive di collarino determina l'arresto della cartuccia nella camera di scoppio. L innesco è alloggiato nel fondello, in un opportuno vano centrale (oppure lungo la corona nelle cartucce a percussione anulare). Al limite inferiore del corpo, il bossolo deve presentare una presa per l'estrattore e questa può essere una sporgenza anulare detta collarino oppure un incavo anulare detto solco o gola di estrazione. Se il bossolo ha un collarino, si ha il vantaggio di precisare la posizione della cartuccia mediante l'appoggio sul vivo di culatta o su di un apposito incastro praticato allo sbocco della camera. Il bossolo delle cartucce per pistole e per revolver è, di norma, cilindrico o leggermene troncoconico. Tra le poche cartucce dotate di bossolo a forma di bottiglia le più note sono la 7.62mm Tokarev, la 7.63 Mauser e la 7.65mm Parabellum. Fig.3 Schema di un bossolo a collo di bottiglia ed esempio di un bossolo cilindrico con collarino di estrazione (per revolver) e un bossolo a collo di bottiglia ma con cintura di estrazione (per calibri Magnum da carabina), da [1] 9

12 3.2.1 Cartucce a pallini Nelle armi da caccia a canne lisce, la cartuccia è di forma cilindrica e ha in genere un bossolo di plastica o di cartone. Il fondello è in acciaio ottonato (più raramente di ottone), dotato di collarino e alloggia al centro la capsula d innesco. All interno della cartuccia vi è uno strato di polvere compressa da una borra di plastica, più raramente di feltro, lana, sughero o altra sostanza similare, che allo scoppio funziona come uno stantuffo espellendo i pallini sovrastanti e separandoli dalla polvere e dai gas di combustione. Le cartucce sono chiuse all apice dall orlo del bossolo ripiegato o da un cartoncino o un dischetto di chiusura. Fig. 4 Schema delle munizioni per canna liscia caricate a pallini, da [1]. 4. Inneschi e miscele innescanti 4.1 Gli inneschi Innesco è un termine generico che indica tutto ciò che dà l impulso iniziale atto a determinare la decomposizione esplosiva di una massa di materiale energetico. L innesco deve essere commisurato al grado di sensibilità dell esplosivo da accendere, ma anche proporzionato all'entità degli effetti che si vogliono ottenere dall esplosione. Gli inneschi possono essere di vario tipo, suddivisi secondo il modo di funzionamento (inneschi a urto, a sfregamento, elettrici, ecc.), la forma (capsule, cannelli a vite, cannelli fulminanti, petardetti, micce, stoppini, ecc.) e l'impiego (per bossolo, per spoletta, per mina, ecc.). Possiamo inoltre suddividerli in due grandi categorie, distinguendo gli inneschi fusanti dagli inneschi detonanti. I primi agiscono per mezzo di fiamma e sono particolarmente adatti per le cariche di lancio. I secondi sono invece usati per le cariche di scoppio. 10

13 Gli inneschi usati nelle munizioni delle armi da fuoco leggere sono capsule innescate ad urto, che accendono cariche di lancio per mezzo fiamma. Il tipo Boxer (fig.1 in centro) fu inventato dal colonnello inglese Edward Boxer, ed è composto da una capsula metallica contenete la miscela di innesco e una piastrina detta incudine, contro cui viene schiacciata la miscela al momento della percussione. La capsula è inserita nell'apposita sede ricavata nel fondello, che comunica con l interno del bossolo tramite un piccolo foro di vampa, vedi fig. 3. Negli inneschi inventati dal colonnello statunitense Hiram Berdan (fig.1 a destra), il vano del fondello presenta invece una protrusione centrale che forma una incudine conica contro cui si appoggia la capsula. Il sistema Berdan è più semplice ed economico da produrre rispetto al Boxer, ma le cartucce con innesco Boxer sono più facili da ricaricare. 4.2 Le miscele innescanti Nelle munizioni per armi da fuoco l innesco ha la funzione di incendiare e far deflagrare la carica di lancio, a sua volta destinata a fornire l energia che lancerà il proiettile lungo la canna e fuori dall arma. All urto del percussore, la miscela d innesco deve deflagrare [4] e non detonare. Se l innesco detonasse, si potrebbe avere la conseguente detonazione della carica di lancio con il possibile rovinoso scoppio dell arma. Una miscela d innesco contiene normalmente (in percentuali variabili): una sostanza innescante, una sostanza ossidante, e una sostanza con funzione di carburante. La sostanza innescante (o esplodente) può essere per esempio lo stifnato di piombo o il fulminato di mercurio. Come sostanza ossidante si può usare il nitrato di bario, il nitrato di piombo o il clorato di potassio, mentre come esempio per una sostanza con funzione di carburante citiamo il solfuro di antimonio, il siliciuro di calcio e l alluminio. A titolo di curiosità ricordiamo che in Italia la prima cartuccia metallica per arma da fuoco portatile militare, il fucile Vetterli modello 1870, usava un innesco formato per 1/3 ciascuno da fulminato di mercurio, clorato di potassio e solfuro di antimonio [5]. I moderni inneschi non mercurici e non corrosivi per munizioni a percussione centrale contengono in genere stifnato di piombo, solfuro di antimonio e nitrato di bario. I relativi residui di sparo possono pertanto contenere, tutti o in parte, gli elementi non volatili presenti in origine e quindi piombo, antimonio, zolfo e bario. In fig. 5 riportiamo gli spettri analitici, ottenuti con microsonda a dispersione di energia (EDX), di stifnato di piombo (in cristalli), solfuro di antimonio (in cristalli) e nitrato di bario (in cristalli). Appare evidente che lo spettro analitico di una particella residuo di sparo potrà contenere tutti, o in parte, i picchi presenti nelle tre immagini. Segue lo spettro di una particella residuo di sparo, anche se non segnalato è presente lo zolfo che si somma al piombo. 11

14 In determinati inneschi possono inoltre essere presenti anche siliciuro di calcio e/o alluminio, aggiunti in tenui quantità (~ 5%), nel qual caso nei residui si potranno trovare anche silicio, calcio e alluminio. Per quanto riguarda le cartucce a percussione anulare, nelle quali la miscela innescante viene a trovarsi a diretto contatto con la carica di lancio, l innesco non necessita della presenza di sostanza carburante. Questa è la ragione per la quale la maggior parte delle munizioni calibro.22, Short, Long e Long Rifle, hanno miscela d innesco priva di solfuro di antimonio. I relativi residui di sparo potranno quindi contenere come elementi di maggiore concentrazione solo piombo e bario. Fig. 5 Spettri ottenuti mediante EDX di stifnato di piombo, solfuro di antimonio, nitrato di bario e una particella di GSR. E bene tenere sempre presente questa circostanza nella ricerca dei GSR, poiché i residui di sparo delle cartucce a percussione anulare senza solfuro d antimonio non contengono che piombo e bario (con talvolta tracce di silicio provenienti dalla graniglia di vetro aggiunta per migliorare la frizione della miscela d innesco e renderne più facile l accensione al momento della percussione). Anche con le tecniche analitiche più sensibili non si riscontra la presenza di antimonio da cartucce di questo tipo [6]. Il seguente spettro analitico (fig.6), mostra un GSR di cartuccia.22 12

15 Winchester e permette di documentare in modo incontrovertibile questo dato di fatto. A questo punto è necessario ricordare che negli ultimi tre decenni si sono iniziate ad impiegare miscele di innesco prive di piombo, soprattutto per munizionamento utilizzato in poligoni chiusi. Queste miscele possono contenere sostanze con elementi pesanti quali nitrato di stronzio, nitrato di potassio, nitrato di bario ed elementi come boro, alluminio, ecc. Il riconoscimento di eventuali residui di sparo richiede quindi un attento studio delle morfologie e la disponibilità dei bossoli o dei proiettili sparati [7]. Fig. 6 Spettro analitico di residuo proveniente da una cartuccia Winchester calibro.22 LR che evidenzia la presenza di solo piombo e bario. Notare le rispettive altezze dei due picchi del piombo posti verso destra. E necessario quindi, ove possibile, controllare la natura delle miscele d innesco impiegate nelle munizioni sparate e non impostare a priori un analisi sugli elementi Pb, Ba, Sb. Anche se le miscele contenenti piombo, antimonio e bario sono oggi la maggioranza, composizioni diverse sono tutt altro che rare, cosi come l assenza di antimonio negli inneschi delle cartucce a percussione anulare calibro.22, che residuano particelle che possono contenere piombo e/o bario, però del tutto inutili a stabilire l eventuale presenza di GSR. Molte munizioni di vecchia produzione o di provenienti dall est europeo presentano ancora miscele d innesco a base di fulminato di mercurio e clorato di potassio. Altri produttori di munizioni caricano invece inneschi contenenti la miscela Sintox a base di titanio e zinco (senza Pb, Ba,Sb). E evidente che simili cartucce non potranno assolutamente residuare particelle a base di piombo, antimonio e bario. Il controllo degli inneschi impiegati, eseguibile preferibilmente sui bossoli ma possibile anche sui proiettili, risulta pertanto una operazione necessaria e sarebbe impensabile non effettuarla qualora possibile. 13

16 4.3 Sostanze contenute negli inneschi delle cartucce per armi da fuoco portatili Sostanze individuali L asterisco indica la sostanza più comune. L elenco è indicativo e non esaustivo. Iniziatore o esplosivo *Stifnato di piombo (trinitroresorcinato di Pb) [C 6 HN 3 O 8 Pb) Fulminato di mercurio [Hg(CNO) 2 ] Sensibilizzante *Tetrazene [C 2 H 8 N 10 O] TNT Pentrite Ossidante *Nitrato di bario [Ba(NO 3 ) 2 ] Nitrato di piombo [Pb(NO 3 ) 2 ] Clorato di potassio [KClO 3 ] Biossido di piombo [PbO 2 ] Carburante *Solfuro di antimonio [Sb 2 S 3 ] *Siliciuro di calcio [CaSi 2 ] Solfocianato di piombo [Pb(CNS) 2 ] *Alluminio Frizionatore (per percussione anulare) *Vetro al borosilicato Legante *Gomma arabica *Gomma dragante Alcool polivinilico Alginato di sodio Gomma karaya 14

17 4.3.2 Alcune miscele d innesco utilizzate nel passato e contemporanee Cartuccia per armi Carcano ad ago. Clorato di potassio 70 parti Solfuro di antimonio 80 parti Zolfo in polvere 6 parti Carbone di nocciolo 5 parti Cartucce per armi Vetterli. Solfuro di antimonio 1/3 Clorato di potassio 1/3 Fulminato di mercurio 1/ Cartucce per pistola M.74. Solfuro di antimonio 5 parti Clorato di potassio 5 parti Fulminato di mercurio 7,5 parti Cartucce per fucile M.91. Solfuro di antimonio 1 parte Clorato di potassio 1 parte Fulminato di mercurio 2 parti 1898 clorato di potassio 49,6 % solfuro di antimonio 25,1 % zolfo 8,7 % polvere di vetro 16,6 % Si tratta della composizione H-48 adottata negli USA per la cartuccia.30 Krag fulminato di mercurio 39 % nitrato di bario 41 % solfuro di antimonio 9 % acido picrico 5 % polvere di vetro 6 % Si tratta del primo innesco non-corrosivo, prodotto in Germania dalla RWS clorato di potassio % solfuro di antimonio % zolfo % Si tratta della composizione FH-42 del Frankford Arsenal fulminato di mercurio 55 % solfuro di antimonio 11 % perossido di bario 27 % 15

18 TNT 7 % Si tratta di composizione per cartucce calibro.22 a percussione anulare prodotta dalla RWS clorato di potassio 53 % solfuro di antimonio 17 % tiocianato di piombo 25 % TNT 5 % Si tratta della composizione 35-NF della Winchester Repeating Arms Company realizzata quando si scoprì che le miscele tiocianati/clorati erano sensibili all'urto. Questa miscela, con la sigla FA-70, venne adottata dal Frankford Arsenal e utilizzata, per cartucce.45 ACP e.30-06, durante la II guerra mondiale fino agli anni ' fulminato di mercurio nitrato di bario polvere di vetro tiocianato di piombo 1928 stifniato di piombo % biossido di piombo 5-10 % nitrato di bario % solfuro di antimonio 0-10 % siliciuro di calcio 3-15 % tetrazene % A questo tipo di miscela della RWS, la prima non mercurica e non corrosiva, venne dato il nome di "Sinoxid" fosforo rosso nitrato di bario idrossido di alluminio 1962 nitroaminotetrazolato di piombo nitrato di bario solfuro di antimonio alluminio tetrazene Inneschi tedeschi DM 1016 e DM 1028 per cartucce calibro 7.62 x 51 NATO, DM 41 e DM 41 A1: tricinato-tetrazene 43 % nitrato di bario 42 % ossido di piombo 5 % siliciuro di potassio 10 % NB. Il tricinato non è altro che lo stifniato di piombo. 16

19 4.3.3 Elementi rilevabili con EDX presenti nelle varie miscele S, Cl, K, Si, Sb, Hg, Pb, Ba, Ca, Al, P, Elementi rilevabili con EDX presenti nelle parti metalliche del bossolo Cu, Zn, Ni, Fe. Possono essere presenti, in tracce minime, Pb, As, Bi, Sb. Le capsule in ferro sono placcate in zinco o cupro-nickel Elementi rilevabili con EDX presenti nei proiettili Nucleo: Pb, Sb, Sn e, raramente, Cu, Zn, Sn, Fe, U. Incamiciatura: Cu, Zn Composizione di alcuni singoli inneschi SELLIER & BELLOT 1) Pb, Ca, Ba e Sn 2) Pb, Ca, Ba e Si (da: JFSCA, Vol.36, IV) SINTOX (RUAG) Ti e Zn FIOCCHI (NATO) stifnato di piombo 39 ± 5 % nitrato di bario 41 ± 5 % tetrazene 4 ± 2 % perossido di piombo 5 ± 2 % solfuro di antimonio 6 ± 2 % siliciuro di calcio 5 ± 2 % FIOCCHI (cartucce calibro 9mm corto) stifnato di piombo 40 % nitrato di bario 40 % tetrazene 2 % perossido di piombo 5 % solfuro di antimonio % Nei relativi residui di sparo possono pertanto essere presenti i seguenti elementi: Pb, Ba, Sb, S, Si e Ca oltre ovviamente quelli eventualmente ceduti dal bossolo e dal proiettile e cioè, 17

20 Cu, Zn, Ni, Pb, e As Peso della miscela d innesco Il peso della miscela d innesco può variare fra g a g secondo il tipo di cartuccia. Quello degli inneschi delle cartucce a percussione anulare è in genere compreso fra a 0.02 grammi. 5 Formazione e caratteristiche dei residui di sparo La formazione dei residui di sparo è stata studiata in particolare da WOLTEN e NESBITT [8] e da BASU [9]. Il saggio pubblicato da quest ultimo rappresenta, ancora oggi, il più completo e approfondito lavoro su questa materia. La sua conoscenza si rivela indispensabile per tentare una corretta definizione delle particelle individuate e sospettate essere residui dello sparo. Nel seguito cercheremo di sintetizzare quanto esposto dal Basu, fornendo prima alcune informazioni sulla deflagrazione di una cartuccia, aiutandoci con la figura 7 e i grafici di fig. 8 e 9. Fig. 7 Sezione di una cartuccia al momento dello sparo. Nella fig. 7 la lettera (A) indica il percussore che urta l esterno della capsula schiacciando la miscela di innesco contro l incudine. La percussione causa la deflagrazione della miscela contenuta nella capsula (B) e la proiezione della vampa di accensione attraverso il foro di vampa (C) e contro la carica di lancio contenuta nel bossolo. La carica di lancio deflagra a sua volta (D) producendo notevoli quantità di gas ad altissima temperatura (E) e causando un forte aumento di pressione nell interno del bossolo. Quando la pressione supera un determinato valore, il proiettile si distacca dal bossolo e inizia il suo moto lungo la canna. Questo moto è dapprima piuttosto lento perché la pressione deve vincere l inerzia del proiettile e la resistenza data dall intaglio della rigatura su parte della superficie del proiettile stesso, cioè sul suo corpo di forzamento. Con l avanzamento del proiettile aumenta ininterrottamente il volume a disposizione dei gas e la deflagrazione della carica, fenomeno non ancora terminato, dopo avere rapidamente raggiunto un valore di 18

21 pressione e di temperatura massima si esaurirà determinando una costante diminuzione della pressione e della temperatura. I fenomeni appena descritti sono estremamente veloci. In un fucile militare il massimo di pressione e temperatura si raggiungono in circa 0,5 millisecondi (fig. 8). La carica di lancio è totalmente deflagrata dopo 0,7 ms circa e il proiettile esce dalla canna dopo 1-1,2 ms. Notiamo inoltre che il proiettile si stacca dal bossolo dopo circa 0,2 ms [10]. In una pistola i tempi sono più rapidi in quanto, essendo la canna più corta che in un fucile, la carica di lancio delle cartucce impiegate è costituita da polvere più vivace. La conoscenza di questi tempi è indispensabile per valutare la durata dell azione della temperatura sui vari componenti della cartuccia e dell arma. Dai tempi di durata dei fenomeni si può intuire come il contributo alla formazione dei residui di sparo da parte di elementi pesanti appartenenti al bossolo, al proiettile e all arma è alquanto limitato, se non addirittura impossibile per quanto riguarda l acciaio delle canne. Fig. 8 Diagramma pressione/tempo in una canna di fucile. Il diagramma di fig. 9 riporta qualitativamente la velocità del proiettile e l andamento della pressione in funzione del movimento del proiettile. Si osserva che il picco massimo della pressione si registra poco dopo il distacco del proiettile dal bossolo, e la deflagrazione della carica di lancio non è ancora finita quando il proiettile comincia a muoversi. Lo studio di questo diagramma ci aiuterà a comprendere il processo di formazione dei residui di sparo così come indicato da Basu. Nel suo lavoro [9] Basu riporta un diagramma che schematizza la formazione dei residui di sparo cosi come dedotto dagli esperimenti eseguiti (fig.10). Guardando le didascalie del diagramma, potrebbe sembrare strano che l asse delle ascisse è contrassegnato con la duplice scritta PRESSURE OR TEMPERATURE (pressione o temperatura), ma questi valori in un fenomeno politropico che però, per semplicità, può essere considerato adiabatico, sono ad andamento parallelo. Con l aumento del volume disponibile, causato dallo spostamento del proiettile, si ha a carica 19

22 completamente deflagrata una diminuzione correlativa della pressione e della temperatura. Per un approfondimento del problema si rimanda ai trattati di termodinamica o di balistica interna. Fig. 9 Valori della pressione e della velocità in funzione dello spostamento del proiettile nella canna. Fig. 10 Formazione delle tre principali classi di particelle residui di sparo secondo il Basu [9]. Basu analizzò le particelle di sparo per forma, composizione e morfologia, aiutandosi anche con delle microsezioni. Egli descrisse quindi non solo l aspetto superficiale, ma anche la parte morfologia interna delle particelle tagliate a fettine sottilissime. Per descrivere il lavoro con le parole dell autore riportiamo l abstract di [9], tradotto 20

23 liberamente in italiano: La microscopia elettronica a scansione, abbinata all analisi per dispersione di energia (SEM-EDX), è stata utilizzata per determinare nuovi criteri strutturali, utili per confermare ulteriormente l ipotesi che le particelle di GSR possiedono una struttura caratteristica. Poiché le particelle GSR si formano attraverso un raffreddamento rapido, partendo da temperature estreme e pressioni alte, esse dovrebbero contenere caratteristiche di prodotti di condensazione anche nel loro interno oltre che sulle superfici. Sia le superfici sia le sezioni interne (delle particelle, ndt) sono state esaminate con mappatura a raggi X degli elementi e con analisi topografica. Il piombo, antimonio e bario vaporizzati possono condensare in modo uniforme e concomitante, oppure irregolarmente e in modo discontinuo, oppure formando uno strato di piombo intorno a un nucleo di antimonio e bario. Questi tre modi di formazione dei GSR potrebbero corrispondere allo stato di equilibrio della miscela gassosa prodotta dall esplosione dell innesco, a una sua condizione di aumento della temperatura, e alla sua condizione di diminuzione della temperatura. La maggior parte dei GSR aventi un diametro inferiore ai 10 μm vengono formati come gocce allo stato di equilibrio. Le sfere di dimensioni maggiori crescono per coalescenza di gocce più piccole. Questi residui passano attraverso vari stati metastabili per poi solidificare. Solo pochi sferoidi semisolidi di bario e antimonio possono catturare vapori di piombo provenienti dal proiettile intagliato e da residui bruciati e queste particelle assumono la caratteristica forma di arancia sbucciata. Nel diagramma originale del Basu si vede come, nel momento in cui il percussore fa deflagrare la miscela d innesco, da condizioni ambientali standard (temperatura 25 C e pressione di 14 psi, circa 1 kg /cm 2 ) si passa in una frazione di millisecondo a una temperatura che può variare fra i 1500 e i 2000 C (a secondo del tipo di innesco) e a una pressione del valore di circa 1400 psi (= 98, 4 kg /cm 2 ). In queste condizioni ambientali si ha la formazione dei residui di sparo che l autore definisce di Tipo I. Questo genere di particelle è caratterizzato da una morfologia sferoidale, più o meno regolare, con la possibile presenza di noduli superficiali, dalla riscontrata presenza analitica degli elementi pesanti presenti nella miscela di innesco (e talvolta nella capsula, i.e. rame e zinco) e dalla distribuzione omogenea di piombo, antimonio e bario in tutta la massa della particella. Le particelle di Tipo I rappresentano sul totale di quelle trovate da Basu una proporzione variabile dal 59 al 68%. Le particelle di Tipo II si formano quando pressione e temperatura raggiungono i loro valori massimi. Basu ha riscontrato nelle loro sezioni una distribuzione irregolare e discontinua del piombo, antimonio e bario. Il grosso delle sezioni prodotte contiene una distribuzione abbastanza omogenea degli elementi e l eterogeneità si è verificata a causa di una distribuzione finale irregolare delle masse. Le particelle del Tipo III rappresentano solo il 5-6% del totale e si formano durante la fase finale della deflagrazione. Sono le sole che possono eventualmente catturare del piombo vaporizzato proveniente dalla pallottola, piombo che si solidifica intorno a un nucleo di bario e antimonio. 21

24 Per le foto dei tre tipi di particelle descritte da Basu si rimanda al suo studio "Formation of Gunshot Residues, Journal of Forensic Sciences JFSCA, Vol. 27, No. 1, Jan. 1982, pp In definitiva la formazione delle particelle residui di sparo, per come descritta da Basu, inizia quando le sostanze che compongono la miscela innescante vaporizzano. Se nella capsula erano presenti stifnato di piombo, solfuro di antimonio e nitrato di bario, nei gas prodotti troviamo in stato aeriforme gli elementi piombo, zolfo, antimonio, bario, azoto, idrogeno e ossigeno. Per nucleazione omogenea in ambiente supersaturo si formano poi delle sfere prima liquide e poi solide contenenti soprattutto gli elementi pesanti piombo, zolfo, antimonio e bario. Dette sfere (Tipo I) attraversano velocemente la polvere della carica di lancio incendiandola. La velocità di cui sono dotate evita alla maggior parte di loro, e in particolare a quelle di diametro inferiore, di vaporizzare nuovamente e così fuoriescono dall arma insieme alle particelle Tipo II e Tipo III formatesi nel modo prima descritto. La suddivisione qualitativa è riportata nella tabella 1. Tab. 1 Distribuzione di piombo, bario e antimonio nelle sezioni dei residui di sparo, da [9] Tipologia di distribuzione degli elementi N di sezioni dei GSR Tipo I - uniforme e concomitante (Pb, Ba, Sb) 80(T) 65(P) Tipo II distribuzione disomogenea e 30(T) discontinua o entrambe (Pb, Ba, Sb) 39(P) Tipo III distribuzione a strati (Pb 6(T) attorno ad un nucleo di Ba e Sb) 7(P) T Particelle di GSR recuperate dal bersaglio (T- target) P Particelle di GSR recuperate dall innesco (P- primer) Range diametro sezioni [μm] % di GSR per tipo nel gruppo T o P La tabella riporta il numero di sezioni di GSR approntate da Basu con le particelle recuperate su oggetti posti davanti all arma (T - Target) e con quelle recuperate direttamente nell interno del bossolo (P - Primer = innesco), oltre alle variazioni di diametro delle sezioni in μm e la percentuale di particelle dei singoli tipi sul totale recuperato. Si nota che la percentuale delle particelle della categoria III, quelle cioè che possono raccogliere il piombo vaporizzato dal proiettile, è molto bassa e compresa fra il 5 e il 6%. La formazione di GSR contenete elementi provenienti dal proiettile, ma assenti nell innesco, può diventare un argomento rilevante quando si analizzano munizioni senza elementi caratteristici nell innesco ma con questi presenti nel proiettile. E il caso delle munizioni calibro.22 a percussione anulare, che per i motivi descritti nel capitolo 4 non hanno antimonio nell innesco, ma è usato nel proiettile per indurire il piombo. L argomento è stato studiato da Zeichner et al.[11], giungendo alla conclusione che malgrado sulla superficie esterna di un proiettile calibro.22 LR in lega Pb-Sb si abbia per una profondità inferiore ai 10 μm una concentrazione di 22

25 antimonio superiore rispetto alla media riscontrata nel totale della massa (nelle cartucce.22 LR la percentuale di Sb nominale è solitamente inferiore all 1%), risulta infrequente trovare particelle GSR (ovviamente del Tipo III) di cartucce calibro.22 LR contenenti quantità apprezzabili di antimonio. La concentrazione di antimonio sulla superficie dei GSR, misurata nella ricerca [11], è stata del 0.6% mentre nella parte interna la concentrazione è scesa allo 0.3%. Le prove sperimentali effettuate da Zeichner e colleghi, sparando cartucce con inneschi privi di antimonio, hanno dimostrato che solo saltuariamente si formano residui di sparo contenenti apprezzabili concentrazioni di questo elemento derivato dal piombo delle pallottole. Citando un passaggio dello studio, si afferma che (tradotto liberamente) solo una piccola percentuale (in media inferiore al 2%) delle particelle contenenti piombo e bario sono state trovate contenere anche una notevole quantità di antimonio (quantità maggiore di quella riscontrata nella massa del proiettile). Ciononostante, in tutte queste particelle aventi un contenuto di antimonio più elevato (rispetto alle altre provenienti dalla stessa cartuccia, ndt), detta concentrazione è relativamente bassa rispetto al normale contenuto di antimonio nei GSR originati da inneschi contenenti questo elemento. Le conclusioni dello studio recitano (tradotto liberamente): Si è trovato che la concentrazione di antimonio di un proiettile in lega di piombo risulta più elevata sulla superficie che nel totale della massa. E stato notato che questo arricchimento superficiale è diverso secondo la marca delle cartucce esaminate. Si è scoperto che sussistono poche probabilità di trovare residui di sparo (GSR) contenenti considerevoli concentrazioni di antimonio se l innesco della cartuccia sparata non contiene questo elemento, e questo anche se la superficie della pallottola ne è altamente arricchita. 6 I criteri d identificazione, l aspetto analitico e le varie modificazioni avvenute nel tempo 6.1 Introduzione Le prime ricerche fondamentali sull analisi dei residui di sparo, sono state eseguite da Nesbitt, Wolten et al. e riassunte nel Final Report on Particle Analysis for Gunshot Residue Detection (Aerospace Report No. ATR-77 [7915]-3), edito nel Settembre 1977 [12] e riassunti in tre saggi nel Journal of Forensic Science. Le informazioni essenziali sono riportate nel primo dei detti saggi, G.M. Wolten et al. Particle analysis for the detection of gunshot residue. I: Scanning Electron Microscopy/Energy Dispersive X-Ray characterisation of hand deposits from firing. JFSCA, Vol.24 no.2, April 1979 [13]. Mentre i tre articoli pubblicati sul JFSCA avevano scopo informativo dei risultati ottenuti, il Final Report on Particle Analysis for Gunshot Residue Detection (documento [12]) voleva essere una manuale per l uso 23

26 pratico del metodo di ricerca e analisi dei GSR. Il documento [12] è ancora oggi uno dei testi principali per imparare il metodo, ma lo studio sull interpretazione dei GSR deve essere accompagnato da lavori più recenti. Questa evenienza fu preventivata dagli stessi autori, che all inizio del loro lavoro mettono in guardia il lettore, specificando che le informazioni riportate sono valide al momento della stesura del documento e trattandosi di una scienza nuova e in evoluzione non esclusero future modifiche al metodo. L esperienza di altri laboratori e nuovi studi portarono, infatti, a una revisione dei criteri di valutazione delle particelle GSR proposta da Nesbitt e Wolten in [12]. Da 4 tipi di particelle caratteristiche dei GSR si scese a sole 2 con lo studio pubblicato da J.S. Wallace e J. McQuillan Discharge Residues from Cartridge-operated Industrial Tools del Journal of the Forensic Science Society, vol. 24 (1984) [14]. Con il passare degli anni, sulla scorta di sempre nuove esperienze e sperimentazioni, ci si rese conto che delle due particelle ritenute caratteristiche dei GSR in [14], quelle contenenti solo bario e antimonio non dovevano più essere considerate come certamente attribuibili a residui dello sparo ma solo compatibili con essi [15]. Per poco più di una decina d anni rimase un unica particella ritenuta caratteristica, quella contenente piombo, bario, antimonio. Con l inizio del nuovo millennio anche quest ultimo criterio di univocità venne declassato, annullando de facto ogni pretesa di certezza sulle potenziali particelle di GSR in base alla sola composizione chimica. Quest ultimo criterio cadde nel 1998 ad opera di un gruppo di ricercatori italiani, Morin M. e Gentile C. che su input di Keeley R. studiarono la possibile formazione di particelle contenenti piombo, bario e antimonio, ma provenienti da fonti diverse dalle armi da fuoco. La novità fu confermata da altri ricercatori indipendenti, per esempio Gentile C. et al. Brake Linings: A Source of Non-GSR Particles Containing Lead, Barium and Antimony, J. Forensic Sci., 2002;47(3); [16]. 6.2 Approfondimento sull evoluzione storica dei criteri di identificazione Non è raro leggere su perizie contemporanee dell univocità di alcune combinazioni chimiche, la cui individuazione è ritenuta sufficiente per una eventuale prova giudiziaria, a seguito di citazioni tratte da documenti scientifici. Nel paragrafo introduttivo abbiamo riassunto l evoluzione dei criteri, e appare evidente che per ogni argomentazione che si volesse sostenere a favore della propria tesi sui GSR è possibile citare un documento (superato) che affermi l univocità delle particelle. Purtroppo la formazione e gli aggiornamenti sull argomento sono carenti in Italia, e in sede giudiziaria sono ancora molti i periti che applicano criteri scientificamente superati per valutare i risultati delle analisi. Per fornire un idea approfondita dell evoluzione dei criteri analizzeremo più in dettaglio le informazioni riportate nei documenti citati. 24

27 Iniziamo con lo studio genitore del metodo d analisi, il Final Report on Particle Analysis for Gunshot Residue Detection [12] di Nesbitt e Wolten, La loro classificazione delle particelle residuate da uno sparo era la seguente: Criterio analitico per l'identificazione - Le seguenti quattro composizioni sono state fino a questo momento osservate solo nei residui di sparo e pertanto sono considerate caratterizzanti: 1) piombo, antimonio e bario; 2) bario, calcio e silicio, con tracce di zolfo; 3) bario, calcio e silicio, con tracce di piombo e assenza di rame e zinco; 4) antimonio e bario. Qualsiasi particella che presenta una di queste composizioni può anche contenere uno o più dei seguenti e solo dei seguenti elementi: silicio, calcio, alluminio, rame, ferro, zolfo, fosforo (raro), zinco (solo se è presente anche il rame), nichel (raro, e solo in presenza di rame e zinco), potassio e cloro. Poco stagno può essere presente in cartucce di vecchia produzione. Le seguenti composizioni sono compatibili con i residui di sparo ma non caratterizzanti in modo univoco: 1) piombo e antimonio; 2) piombo e bario; 3) piombo; 4) bario se zolfo è assente o presente solo in tracce; 5) antimonio (raro). Anche in questo caso qualunque degli elementi addizionali elencati precedentemente, e solo quelli, possono risultare presenti." Nel 1984 J.S. Wallace e J. McQuillan (entrambi scienziati del Northern Ireland Forensic Science Laboratory di Belfast) pubblicarono nel vol. 24 (1984) del Journal of the Forensic Science Society il loro lavoro Discharge Residues from Cartridgeoperated Industrial Tools [14], aggiornando la classificazione delle particelle residuo di sparo riducendo a due le combinazioni di elementi considerate univoche. Riportiamo una libera traduzione del passaggio nel loro lavoro: "Classificazione dei residui di sparo di arma da fuoco. Il seguente sistema di classificazione è una modifica di quello dato da Wolten e colleghi. E' basato su esperienza di lavoro con sistemi di analisi qualitativi e analisi di particelle, su prove di armi e munizioni (incluse quelle per strumenti da lavoro) eseguite in laboratorio e sulla letteratura disponibile concernente la chimica riguardante le armi da fuoco....omissis... Questo sistema di classificazione si applica a cartucce con bossolo in ottone e innesco a base di piombo, antimonio e bario e a cartucce con bossolo in ottone e innesco a base di piombo e bario. E' inteso solo come guida generale ed è riepilogato nella tab.2. 25

28 Tab. 2 Classificazione dei GSR secondo Wallace, McQuillan [14] UNICHE INDICATIVE Pb, Sb, Ba Ba, Ca e Si 2 Sb, Ba Pb e Sb Pb e Ba Sb (con S) Sb (senza S) Ba 2 Pb Pb, Sb e Ba assente 1. Le particelle di tipo indicativo sono elencate in un ordine approssimativamente decrescente di significatività. 2. S (zolfo) assente o accettabile solo in traccia quando il Ba è presente a livello maggiore. 3. Ciascuna delle sopra elencate combinazioni possono contenere parte o tutti dei seguenti elementi: Al, Ca, S, Si a livello maggiore, minore o in traccia; Cl, Cu, K, Fe, Zn (solo se Cu è anche presente e Zn/Cu < 1) a livello minore o in traccia; Mg, Na e P solo a livello di traccia. 4. Le particelle che non contengono Pb, Sb o Ba possono essere considerate indicative se sono composte esclusivamente degli elementi elencati al punto 3. e se sono accompagnate da altri tipi di particelle indicative. Nello schema, i tipi di particelle appartenenti alla categoria indicativa sono approssimativamente elencati in ordine di decrescente significatività. I termini 'livello maggiore, minore e in traccia' vengono definiti secondo l'altezza dei picchi piuttosto che secondo la concentrazione. L'altezza del picco più forte dovrebbe essere 'in scala' (i.e. non superare la scala verticale) e deve essere lasciato spazio per i livelli di fondo. Le altezze dei picchi dipendono dalle irregolarità superficiali del campione e dagli effetti matrice e vi è ulteriore complicazione con i picchi che si sovrappongono. Tenendo presente quanto sopra noi definiamo i termini come segue: Maggiore. Qualsiasi elemento la cui altezza del picco principale è più grande di un terzo dell'altezza del picco più forte presente nello spettro. Minore. Qualsiasi elemento la cui altezza del picco principale è compresa tra un decimo e un terzo della altezza del picco più forte presente nello spettro. Traccia. Qualsiasi elemento la cui altezza del picco principale è inferiore a un decimo dell'altezza del picco più forte presente nello spettro. Con il passare degli anni, sulla scorta di sempre nuove esperienze e sperimentazioni, ci si rese conto che le particelle contenenti bario e antimonio dovevano essere considerate non più come certamente attribuibili a residui dello sparo ma solo compatibili con essi. In altre parole il ritrovamento di sole particelle contenenti bario 26

29 e antimonio non venne più considerato come indicazione certa di sparo. A suffragio di questa affermazione citiamo quanto scritto da T. A. Warlow a pag. 199 della sua opera Firearms, the Law and Forensic Ballistics [15], della quale diamo una libera traduzione della parte che ci interessa: Quando si valuta, impiegando solo questa tecnica di analisi inorganica (il complesso SEM/EDX, n.d.t.), quali sono le particelle univoche GSR, sono stati stabiliti i seguenti criteri di combinazioni di elementi. 1) Pb, Ba, Sb. 2) Ba, Ca, Si. 3) Ba, Al, assente S. 4) Pb, Ba, Ca, Si, Sn. 5) Pb, Ba, Ca, Si. 6) Ba, Sb, assente S. 7) Sb, Sn. Solo la composizione N 1 deve essere considerata come univoca per i GSR. Le composizioni N 2, 4 e 6 devono anche essere considerate come univoche se la morfologia delle particelle è compatibile con i GSR. Anche Brian J. Heard riporta l Informazione del decadimento di una delle due particelle univoche nel suo Handbook of Firearms and Ballistics (1997) [17]. Nel paragrafo dedicato all interpretazione dei risultati si legge (tradotto liberamente in italiano): Se si prende in considerazione un innesco standard a base di stifnato di piombo, nitrato di bario e solfuro di antimonio, allora solo le particelle che contengono piombo (Pb), bario (Ba) e antimonio (Sb) possono essere sicuramente identificate come particelle residuo dello sparo (GSR). Queste recenti pubblicazioni non fanno altro che confermare che l analisi dei GSR è una scienza in evoluzione nell ambito della comunità scientifica internazionale. A titolo di esempio riportiamo anche lo studio di Mary-Jacque Mann e Edgard O Neil Espinoza The Incidence of Transient Particulate Gunshot Primer Residue in Oregon and Washington Bow Hunters Journal of Forensic Sciences, Vol. 38, No. 1, Gennaio 1993, che nel paragrafo System Optimization, a pag. 25 scrive (tradotto liberamente in italiano): Uno standard positivo di controllo, sulla base del quale il sistema venne originariamente ottimizzato, è stato oggetto di rianalisi routinaria dopo l esame di ogni 3 o 4 kits (da 12 a 16 stubs). Questo standard è stato ottenuto dal prelievo effettuato sulla mano destra di uno degli autori (MJM) dopo tre spari di prova effettuati sparando cartucce marca Winchester- Western con una pistola Beretta calibro.380 (9mm corto, N.d.A.). Questo standard conteneva particelle univoche a tre componenti e particelle binarie e monomere di supporto dalle dimensioni comprese fra <1 µm e > 20 µm. 27

30 Il termine supporting, che abbiamo tradotto di supporto, chiarisce che le particelle binarie e monomere hanno valore di positività solo in presenza di particelle univoche a tre componenti. Nel Settembre 1998 Claudio Gentile e Marco Morin comunicavano via Internet alla comunità scientifica internazionale la possibilità che particelle contenenti piombo, antimonio e bario potessero avere origini diverse dallo sparo. Riportiamo la traduzione del testo in inglese destinato alla comunità scientifica: Alcune informazioni su particelle di piombo, bario e antimonio trovate su sistemi di frenatura a disco. Un anno fa abbiamo inviato alla Lista ForensL il seguente messaggio: Sulla base di informazioni ricevute da Robin Keeley del Forensic Science Service britannico, un gruppo di ricercatori coordinati dal mio collega Claudio Gentile (dipartimento di Fisica dell Università di Messina) ha rilevato nelle zone frenanti di varie automobili particelle di appropriate forme e morfologia contenenti, a concentrazione maggiore o minore, piombo, antimonio e bario. Queste particelle sono identiche a quelle prodotte dallo sparo di cartucce con innesco a base di stifnato di piombo, nitrato di bario e solfuro di antimonio. Sono in atto ricerche per verificare la possibilità, molto remota, di ripetute contaminazioni specifiche. Sembra pertanto che le particelle, fino a questo momento considerate unicamente prodotte da spari (vedere Wolten G.M. et al - Final Report on Particle Analysis for Gunshot Residue Detection - El Segundo, 1977; Wallace, J. S. ej. McQuillan - Discharge Residues from Cartridge-operated Industrial Tools - in: Journal of the Forensic Science Society 1984, 24) possono avere anche una diversa origine. E importante ricordare che siamo da tempo convinti, in sintonia con altri colleghi europei, che particelle contenenti antimonio e bario non devono più essere ritenute come unicamente riconducibili a fenomeni di sparo. Un importante caso di omicidio avvenuto a Roma ha dato origine a ricerche su prelievi effettuati nelle zone frenanti di vari tipi di automobili. I primi risultati ci apparvero interessanti: abbiamo trovato particelle sia sferiche sia irregolari contenenti piombo, antimonio e bario insieme a zolfo, ferro e rame. Dette particelle non potevano provenire da fenomeni di contaminazione specifica da spari. Nelle prime particelle osservate lo zolfo era sempre a un livello di concentrazione maggiore mentre il livello del piombo era abbastanza basso tanto che Robin Keeley ci ha avvertito che questa situazione doveva essere considerata come un allarme. Le ricerche sono proseguite (ma non si sono ancora concluse) e in prelievi effettuati su varie auto abbiamo trovato particelle perfettamente sovrapponibili a quelle provenienti da fenomeni di sparo. L unico segnale di allarme è la costante presenza di ferro, anche se in molti casi rilevabile solo a livello di traccia. Stiamo preparando un data base ma ci rendiamo conto che le nostre informazioni sono incomplete in quanto non 28

31 abbiamo informazioni su i veicoli statunitensi: particelle contenenti piombo, antimonio e bario sono state trovate su Volkswagen, Toyota e Nissan. Siamo stati informati che il prof. Carlo Torre di Torino ha trovato simili particelle sul sistema frenante di una Mini Minor. A questa breve nota alleghiamo due spettri analitici. Naturalmente qualsiasi aiuto sarà gradito e verrà doverosamente riconosciuto. Con i migliori saluti Conclusioni Lo studio dei documenti scientifici sulla classificazione dei residui di sparo mostra l evoluzione dei criteri di classificazione dei GSR. Nei primi anni si riteneva che esistessero particelle univoche dei fenomeni di sparo, ma il progresso scientifico diminuì gradualmente l importanza probatoria basata sulla sola composizione chimica. Le particelle di composizione univoca si ridussero da 4 certe a nessuna. Questa consapevolezza non ha però decretato la fine del metodo dell analisi dei residui di sparo tramite SEM/EDX, ma ne ha esaltato gli ulteriori aspetti di individuazione delle particelle GSR. Per molti anni, tante analisi e conseguenti condanne non si spingevano oltre la composizione chimica per giudicare il futuro di un imputato, tralasciando ulteriori criteri di valutazione ritenuti indispensabili già nel lavoro di Wolten e Nesbitt del 1977, che però molti operatori forensi non prendevano in considerazione (e in Italia non lo fanno ancora oggi). Il metodo dell analisi dei residui di sparo è ancora una tecnica efficace per stabilire se una particella sia realmente un GSR o solo qualcosa di simile, ma non basta solamente cercare certi elementi per giungere ad una conclusione. Bisogna applicare un metodo di analisi e di valutazione ben più esteso della sola ricerca elementare, come vedremo nei prossimi capitoli. 7 Il microscopio a scansione elettronica 7.1 Descrizione dell apparato Il microscopio elettronico a scansione (Scanning Electron Microscope, acronimo internazionale SEM) è uno strumento che oggi occupa una posizione molto importante nel laboratorio criminalistico. Quando è dotato di microsonda analitica a dispersione di energia (Energy Dispersive X-ray spectrometer, acronimo EDX) e/o di microsonda analitica a dispersione di lunghezza d onda (Wavelenght X-ray spectrometer, acronimo WDX) è possibile studiare campioni di infime dimensioni con ingrandimento, risoluzione e profondità di campo del tutto sconosciuti ai microscopi ottici, e di eseguire analisi chimiche qualitative e quantitative puntiformi 29

32 sul campione osservato. Concettualmente il funzionamento è abbastanza semplice. Per aiutarci nella descrizione facciamo riferimento allo schema di fig. 11. A sinistra del disegno si vede la colonna che alloggia il cannone elettronico (electron gun), un apparato che contiene la fonte degli elettroni e le varie lenti (in realtà bobine - condenser lens). Scendendo lungo la colonna si trovano poi diaframmi, il porta campioni su cui si sistema il pezzo da osservare il sistema che poma il vuoto nel microscopio. Sulla destra del disegno sono schematizzati i sistemi che permettono di ottenere le immagini in elettroni retrodiffusi e in elettroni secondari sugli appositi schermi monitor, oltre agli appositi selettori che permettono di scegliere il tipo di segnale desiderato. In genere, oltre alle immagini del campione ottenuta con gli secondari o con gli elettroni retrodiffusi, è possibile visualizzare il campo in scansione lenta, diviso in due parti o fare apparire i picchi di contrasto e di luminosità. Fig. 11. Disegno schematico di un microscopio elettronico a scansione (SEM). Gli acronimi WDS e EDS equivalgono a WDX e EDX. Nell interno della colonna, per non ostacolare la formazione del pennello elettronico, l atmosfera deve essere più rarefatta possibile e così una speciale pompa (aiutata da una seconda, del tipo turbomolecolare o a diffusione) porta il vuoto al livello necessario per il corretto funzionamento. Il sistema può essere anche dotato di una pompa ionica supplementare. Gli apparecchi più recenti hanno la maggior parte dei comandi automatizzati o comandati da un computer interno, così che all operatore non rimangono che poche e semplici operazioni. Anche gli strumenti meno recenti, per quanto possano 30

33 apparire complessi a causa dell elevato numero di interruttori e manopole, non sono di difficile impiego. 7.2 Principi di funzionamento Nel cannone elettronico un filamento di tungsteno a forma di V viene scaldato a circa 2700 K. L alta temperatura del filamento fa eccitare numerosi elettroni al punto di staccarsi dagli atomi del filamento, un processo noto col nome di emissione termoionica. Una volta liberi, gli elettroni verrebbero ricatturati velocemente dal filamento che, per averli perduti, si carica positivamente. Per evitare che ciò avvenga, si applica un alto voltaggio (tra i 2 e i 25 kv) tra il filamento e un vicino disco anodico collegato a terra e questo campo elettrico accelera il moto di distacco degli elettroni. Il filamento di tungsteno è contenuto in un cilindro metallico (chiamato cilindro di Wehnelt o catodo) con un foro centrale nel suo fondo. La carica negativa del catodo restringe il fascio di elettroni che si stacca dal filamento, facendolo emergere con un diametro compreso fra i 10 e i 50 m. Le successive lenti condensatrici riducono ulteriormente il diametro a circa 5 nm. Le lenti elettroniche non servono ad ingrandire ma a rimpicciolire, cioè a focalizzare di più il fascio di elettroni. Le sottostanti bobine di scansione, due coppie sistemate in posizione opposta e attraversate da una corrente ondulata prodotta dall apposito generatore, deflettono il fascio in modo costante, affinché si sposti velocemente per righe parallele, secondo un modello prestabilito sulla zona da esaminare. Quando gli elettroni colpiscono il campione in esame, si genera una varietà di segnali, i più importanti dei quali sono: gli elettroni secondari, gli elettroni retrodiffusi e i raggi X. Gli elettroni secondari sono emessi dagli atomi che formano la parte esterna del campione, e producono un immagine chiarissima della superficie che si vuole esaminare. Con gli elettroni secondari, il contrasto dell immagine costruita sullo schermo è determinato dalla morfologia del campione. Grazie al piccolo diametro del fascio elettronico (pennello) è possibile ottenere immagini ad altissima risoluzione. Gli elettroni retrodiffusi sono elettroni del fascio che vengono riflessi dagli atomi più interni del campione. Il contrasto dell immagine costruita sullo schermo è determinato dal numero atomico degli elementi presenti nel campione. Le immagini in elettroni retrodiffusi permettono quindi di verificare la distribuzione delle varie fasi chimiche nella zona osservata. Poiché questi elettroni sono emessi da una certa profondità del campione, la risoluzione ottenibile è inferiore a quella degli elettroni secondari. L interazione fra il fascio di elettroni sparato dal cannone e gli atomi del campione provoca spostamenti degli elettroni nei gusci (orbitali), che generano l emissione di raggi X. Questi raggi X variano in base alle caratteristiche energetiche degli elementi 31

34 da cui sono generati, e la rilevazione e misura della loro energia permette, mediante microsonda EDX o WDX, una analisi qualitativa degli elementi contenuti nel campione che si sta analizzando. In realtà vi sono due tipi di interazioni fascio-campione che provocano l emissione di raggi X: la diffusione dal nucleo, che porta a l emissione dello spettro continuo e la ionizzazione della corteccia interna, da cui trae origine lo spettro caratteristico. La ricerca dei residui disparo viene dapprima fatta in elettroni retrodiffusi, impostando una soglia di sensibilità della macchina. La macchina scansiona gli elementi presenti sul campione in analisi e segnala la posizione delle particelle con elementi di massa atomica entro la soglia desiderata. Finita la scansione automatica, l operatore torna sulle particelle segnalate e le analizza più a fondo, studiandone la composizione con i raggi X e valutandone l aspetto superficiale con gli elettroni secondari La microsonda analitica La microsonda analitica è un apparecchiatura che può essere facilmente applicata al microscopio elettronico e che permette di effettuare l analisi chimica elementare e quantitativa del campione sotto osservazione, sfruttando le emissioni di raggi X generate dal fascio di elettroni del microscopio. I dati raccolti dalla sonda sono proiettati su uno schermo sotto forma di grafico con tanti picchi. Ogni elemento atomico presente sul campione esaminato ha un proprio picco sull asse delle ascisse (l asse orizzontale). Esistono due tipi diversi di sonde: a dispersione di energia (EDX) e a dispersione di lunghezza d onda (WDX). La microsonda a dispersione di energia EDX non ha una risoluzione molto elevata (140/150 ev) e presenta quindi il possibile inconveniente della sovrapposizione di picchi aventi livelli di energia vicini. Questo può indurre in errore l operatore non sufficientemente esperto. Nel settore dei residui dello sparo spesso si confondono, con risultati tragici, i picchi del calcio con quelli dell antimonio. La microsonda EDX è rapida nell analisi qualitativa e presenta uno spettro completo degli elementi presenti, per questo motivo è lo strumento di elezione per l analisi preliminare dei potenziali GSR. La microsonda WDX ha una risoluzione molto superiore, circa 15 ev, ma è più lenta e non può essere quindi utilizzata nelle ricerche automatiche. Mostriamo la differenza di risoluzione delle due sonde negli spettri riportati di seguito, fig. 12 e

35 Figura 12. Spettro analitico EDX di un GSR. La presenza dello zolfo proveniente dal solfuro di antimonio è confermata dalle ridotte dimensioni dei picchi Lα 1 e Lβ 1 del piombo. Figura 13. Spettro analitico WDX di un GSR. Come si noterà la presenza di piombo, antimonio, bario e zolfo risulta accuratamente dimostrata. 33

36 8 La ricerca dei residui di sparo La ricerca dei residui di sparo comincia raccogliendo le presunte particelle dalla persona indiziata. Il prelievo del particolato si esegue tamponando il soggetto con dei supporti adesivi, sui quali rimangono appiccicate le particelle. Gli operatori preposti dispongono in genere di kit pronti all uso, i più semplici dei quali sono formati da portaoggetti da microscopia elettronica (STUB) con una porzione di nastro biadesivo attaccata sulla superfice. Con opportune cautele, mai eccessive dato il costante pericolo di inquinamenti specifici, l operatore tocca ripetutamente la cute delle mani del sospetto con la superficie adesiva. Generalmente per ogni mano si utilizza uno stub. Altri possono essere utilizzati per il volto e/o per i capelli. Si è tentato di ricercare i residui su prelievi effettuati nelle narici sia per soffiatura del naso con fazzoletti di carta, sia con introduzione nelle narici di stecchini tipo cottonfiock. I risultati sono stati apparentemente incoraggianti (il naso è un buon aspiratore e filtro dell atmosfera), ma non potendo stabilire i tempi di permanenza, non si ha la certezza che eventuali residui rinvenuti possano essere correttamente attribuiti all episodio criminoso per cui si indaga. Detti residui possono infatti essere stati aspirati in ambiente inquinato molto prima o molto dopo il delitto. Le superfici di prelievo dello stub vengono rese conduttrici dell elettricità mediante la deposizione di un sottilissimo strato di carbone in ambiente rarefatto di argon. Questa procedura è necessaria perché il campione che si vuole osservare con il microscopio a scansione elettronica deve per forza essere conduttivo. Gli STUB vengono poi introdotti nel microscopio a scansione e la ricerca potrà avere inizio in modo manuale o automatico. La ricerca, manuale o automatica, avviene utilizzando gli elettroni retrodiffusi. E possibile regolare la sensibilità del rivelatore in modo che saranno evidenziati solo gli elementi da uno specifico peso atomico in su (in genere maggiore di Z=26), per esempio partendo dal ferro. Non appena il sistema di ricerca automatico nota una particella luminosa, e quindi composta per la maggior parte da elementi pesanti, si blocca e ne fa l analisi chimica con la microsonda. Subito dopo memorizza le coordinate spaziali e la composizione, poi riparte alla ricerca di altre particelle pesanti. Sullo schermo del SEM, le potenziali particelle residuo dello sparo appariranno come punti luminosi. Le particelle cosi trovate saranno poi analizzate individualmente dall operatore con la microsonda, memorizzando e stampando lo spettro analitico. La presenza contemporanea nella medesima particella di piombo, antimonio e bario o di antimonio e bario (con le limitazioni che abbiamo più sopra riportato) sarà la conferma del primo criterio necessario per stabilirne la natura. Lo spettro ottenuto permette di riscontrare la presenza degli elementi caratterizzanti e quindi di provare l esatta natura della particella. Le particelle sferiche di diametro compreso fra 1 e 50 (o più) m possono, infatti, avere moltissime altre origini, comunque formate da processi di raffreddamento rapido di materia fusa o sublimata. Per esempio, su prelievi effettuati a fumatori, si trovano 34

37 molto spesso particelle sferiche molto luminose, ma contenenti ferro, cerio e lantanio, elementi tipici provenienti dai residui di pietrina da accendino. Oltre alla composizione chimica deve essere studiata anche la forma, la morfologia superficiale e la granulometria della particella (secondo criterio essenziale per il riconoscimento dei GSR). La particella deve essere: tondeggiante, non presentare morfologia cristallina. Allo scopo è necessario che la fotografia sia fatta in elettroni secondari e a notevole ingrandimento. In Italia i laboratori istituzionali, per ragioni che non vogliamo indagare, allegano ai propri lavori fotografie eseguite in elettroni retrodiffusi e generalmente a ingrandimento limitato, del tutto inutili per verificare la superficie della particella. In questo modo risulta impossibile verificare il secondo criterio di individuazione, essenziale per valutare la natura della particella indagata. Figura 14. Fotografia in elettroni secondari di una particella GSR del Tipo I. La particella raffigurata in fig. 14 è di grossissime dimensioni (oltre 35 m di diametro) ed è stata trovata su un prelievo effettuato immediatamente su una superficie investita dai gas della deflagrazione. La possibilità di trovarne una simile su un prelievo effettuato sulla mano, anche subito dopo lo sparo, è praticamente nulla. Una particella cosi grande cadrebbe quasi subito dalla cute. Si tratta comunque di una particella tipica dotata di noduli superficiali, nei quali risulta concentrato il piombo e l antimonio. Nel corpo maggiore è invece concentrato il bario e gli altri elementi secondari. Le particelle sferiche sono quelle che vengono perse per prime dalla cute e che pertanto potranno essere ritrovate solo se il prelievo viene effettuato subito dopo lo sparo o su prelievi effettuati a suicidi, sempre che i corpi non siano stati mossi. In prelievi effettuati dopo un paio di ore si troveranno quasi esclusivamente particelle 35

38 tridimensionali di forma irregolare, che proprio per la loro morfologia si staccano dalla cute più lentamente di quelle sferiche. Figura 15. Lo spettro EDX di una particella GSR come appare in un sistema SEM/EDX con ricerca automatica. La fig. 15 riproduce lo spettro analitico di un residuo di sparo proveniente da cartuccia con innesco tradizionale (piombo, antimonio e bario). Dobbiamo specificare che il picco di sinistra, contraddistinto dal simbolo Pb (piombo), in realtà è la somma dei picchi M 1-2 (a KeV) e M (a KeV) del piombo e di quello K 1-2 (a KeV) dello zolfo, elemento certamente presente sia perché è presente l antimonio, sia per ragioni di proporzione di altezza in relazione ai picchi L 1 (a KeV) e L 1 (a KeV) del piombo, peraltro non visibili nello spettro. Fig. 16 A sinistra, immagine in elettroni retrodiffusi. Le parti più chiare individuano i noduli superficiali formati da piombo. A destra l immagine in elettroni secondari. La forma è molto più netta e la superficie si rivela di natura non-cristallina. 36

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