STORIA DONNA. Federazione Italiana Laureate e Diplomate Istituti Superiori. La donna e la società, ieri e oggi

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1 STORIA DONNA Federazione Italiana Laureate e Diplomate Istituti Superiori La donna e la società, ieri e oggi Anno XXXi numero 1 Giugno 2012

2 SOMMARIO EDITORIALE di Paola Bernardini Mosconi UNA DIVERSA VISIONE DEL MONDO: PERCHÉ? di Patrizia Balmas PER IL FUTURO, PER I GIOVANI, PER UNA BUONA OCCUPAZIONE di Elena Pastorino e Charlotte Dominique Xotti NOTE (IM)PERTINENTI SUL MONDO DEL LAVORO (E NON SOLO) di Luigia Favalli DOSSIER: IL VIAGGIO - GUARDARE IN AFRICA: VOLTI, PERCEZIONI, AZIONI di Roberta Cigolini e Elisa Salvaneschi - LA MIA CINA IN OTTO GIORNI Breve racconto di una prima esperienza in viaggio attraverso il gigante asiatico di Alberto Zannetti - IL VOLONTARIATO EUROPEO TRA GLOBALE E LOCALE di Dominique Charlotte Xotti XC Anniversario F.I.L.D.I.S, Roma 1922 Roma 2012 di Luigia Favalli e Elena Pastorino CONVEGNO ILDA BARTOLONI. UNA VOCE PER LE DONNE di Elena Pastorino ALPINISMO GIOVANILE: accompagnare i ragazzi alla scoperta della Montagna Un'esperienza di volontariato di Jvonne Rampoldi RECENSIONI - Appartenenza Tremosine: storie di emigrazione negli Stati uniti d America 25 - Un miracolo nel Botswana: I casi di Precious Ramotswe, la detective n 1 del Botswana 27 ATTIVITÀ E APPUNTAMENTI 28 Foto di copertina: Periodico semestrale del Centro rappresentazione elaborata Studi Storia Donna collegato alla di Africa, Cina e Romania FILDIS, sez. di Pavia e alla IFUW (International Federation of University Women). Fondato nel 1980 da Paola Bernardini Mosconi Direttore Responsabile Sandra Artom Redazione Barbara Airò Paola Bernardini Mosconi Chiara Bregantin Luigia Favalli Silvia Gabrieli Paola Gastoni Charlotte D. Xotti Alberto Zannetti Grafica e impaginazione Silvia Gabrieli Traduzioni Alberto Zannetti 2 Hanno collaborato a questo numero: Patrizia Balmas Roberta Cigolini Elena Pastorino Jvonne Rampoldi Elisa Salvaneschi Redazione e amministrazione via Mentana 4, Pavia fildispavia@gmail.com tel. 0382/ Stampa Tipografia Commerciale Pavese s.n.c., Pavia Registrazione al Tribunale n. 250 del 27/03/1980

3 EDITORIALE Un nuovo target: passare il testimone di Paola Bernardini Mosconi L Unione Europea ha proclamato il 2012 Anno Europeo dell invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni. Non se n è parlato molto finora, ma a noi pare importante dedicare a questo evento qualche riflessione. Il primo pensiero deriva direttamente dalla principale caratteristica della nostra Associazione che dalla sua nascita (1920) è stata a lungo composta da donne (poche!) che a fatica avevano raggiunto un titolo di studio e, quindi, una professione finalmente acquisita le quali intendevano farsi carico delle più giovani e aiutarle negli studi. Le socie di oggi, con il raggiungimento di un sempre maggiore numero di laureate, nell età giovanile, impegnate con la crescita dei figli e magari un lavoro stressante non sempre possono dedicarsi alla FILDIS, associazione che richiede una certa attività e disponibilità di tempo. Solo concluso l impegno con i figli, arriva l attività associativa, e prosegue a lungo con donne agguerrite e volitive. C entra naturalmente l avanzamento della medicina, ma c entra anche la freschezza intellettuale che aiuta a conservare un attività spesso feconda e prolungata. Per questo la nostra Associazione da alcuni anni ha deciso di lavorare su un nuovo target, non solo dare un aiuto all alfabetizzazione e gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo, ma poiché anche le nostre storiche battaglie non sono del tutto terminate, il nostro obiettivo locale è diventato quello di promuovere un attività solidale con le giovani generazioni, per stabilire con loro un ponte ideale, ma anche pratico. Ed eccoci in prima linea a richiedere fondi per progetti che prevedono stages di giovani universitari, con la benedizione della IFUW, ed anche tenendo conto degli obbiettivi del Servizio Volontario Europeo, perché i giovani riconoscano l importanza delle lingue, affrontino con piacere viaggi e soggiorni in nuovi Paesi, in una educazione informale necessaria che aiuti a comprendere i significato vero della globalizzazione (vedi dossier). Questo per la nostra Associazione. Ma il fenomeno è certamente più ampio e ben ha fatto l Unione Europea a mettere in rilievo l importanza per l anziano di conservare al meglio possibile una vita attiva che valorizzi il suo utile contributo alla società e all economia, favorendo opportune condizioni di lavoro e di partecipazione alla vita sociale. In tale quadro, la solidarietà e la cooperazione tra le generazioni rappresentano un elemento trasversale che sottende le azioni e le attività di sensibilizzazione sul tema. Non che tutto questo sia facile nel clima di novità e di cambiamenti accelerati ai quali abbiamo accennato, ed è proprio quando un proposito diventa azione che tutto si complica. Ma ne vale la pena: noi, a Pavia, da alcuni anni abbiamo chiesto e ottenuto per questo il riconoscimento formale come Associazione di Promozione Sociale ed a queste motivazioni e strategie organizzative intendiamo dedicare il prossimo dossier insieme ai nostri volontari e alle reti che si vengono di volta in volta formando. Fildis come cultura Frequentando le Conference triennali ci si rende conto della opportunità di incontrare figure prestigiose con le quali si sviluppano interessanti e spontanee amicizie che possono durare a lungo. Ho conosciuto studiose come Erna Hamburger, una delle prime laureate al Politecnico di Zurigo, Hellen Purves illustre docente universitaria neozelandese insignita da Elisabetta II del titolo di Dame (corrisponde a Sir); Huguette Delavault di Parigi grande organizzatrice di scuole agrarie in Africa; politiche come le Presidenti di Finlandia e Irlanda; membri del Congresso americano, australiano e indiano ma anche Antonia Blaser che insieme a Maria Simonetta mi aveva insegnato il mestiere di CRI (Coordinatrice delle Relazioni Internazionali), o la canadese Nancy Alcott, moglie di un diplomatico che si prese a cuore il mio inglese cercando affettuosamente di raddrizzarlo. Ma è stato anche un illuminante processo decidere con le sorelle europee la formazione dell UWE (University Women of Europe) attraverso i convegni della quale ci si rese conto delle enormi differenze tra noi e del lavoro che si sarebbe dovuto fare insieme. Poi arrivò la globalizzazione e il cambiamento fu epocale. Nacque, allora, l esigenza di dialogare con le più giovani con le quali lavorare, quasi un ritorno alle origini, in un contesto così ampio da essere disorientati. 3

4 UNA DIVERSA VISIONE DEL MONDO: PERCHÉ? di Patrizia Balmas LE DONNE CAMBIANO Le donne cambiano: questo è il tema dell Assemblea delle donne CGIL che si è svolta a Roma presso il Teatro Capranica (a due passi da Montecitorio) il 5 e 6 giugno Due giorni densi e intensi. La platea e la galleria del teatro quasi non ce la facevano a contenere la moltitudine di donne provenienti da tutta la penisola, giovani e anziane, pronte a confrontarsi e a discutere sugli scenari creati dalla crisi che stiamo attraversando. La crisi, è stato detto sin dall inizio, ha cambiato i linguaggi, i modelli di comportamento, gli stili di vita. E le politiche. E le donne, in questo contesto, come stanno? Cosa è cambiato nel loro vivere quotidiano? Che cosa vorrebbero oggi, cosa vorrebbero fare domani? Nella relazione introduttiva Serena Sorrentino -Segretaria Confederale CGIL - avverte subito che una maggiore integrazione delle donne nell economia sarebbe: Economicamente conveniente. Farebbe, in altri termini, aumentare il PIL. Purtroppo, però, di fatto, oggi alla soglia dell accesso al mercato del lavoro come della pensione, la parità si rivela un illusione. Un illusione che spesso ha il volto della discriminazione e dell abuso. Affermazioni gravi, suffragate, tuttavia e purtroppo, da una marea di dati e di statistiche che Linda Laura Sabbadini Direttrice del Dipartimento Statistiche Sociali e Ambientali Istat- conferma e utilizza per illustrare La realtà delle donne e delle lavoratrici in Italia. In sintesi, tralasciando di ripetere numeri e percentuali, le donne in questa crisi hanno perso il doppio. Sono sempre più precarie e guadagnano sempre meno (se, e quando, riescono poi a lavorare). Spesso, a causa di un figlio (magari desiderato per anni, nella precarietà e nella ricerca affannosa di un occupazione, magari concepito solo dopo i trenta anni proprio a causa di contratti a termine e/o non sicuri che rendono problematico e rischioso ogni progetto; e tanto più l ipotesi di un altra vita da mettere al mondo ) perdono il lavoro. Le future madri non sono bene accette in questo Paese, che pure si esalta della mistica della maternità. Oppure, nei casi fortunati, assai rari, in cui, dopo la gravidanza e i tre mesi di allattamento, le donne possono rientrare nel loro posto di lavoro, la possibilità di fare carriera viene, di fatto, loro preclusa. Hai voluto essere madre? Quali altre pretese coltivi? Stattene al tuo posto: in casa! : questa è la legge non scritta ma in vigore in Italia. Le donne da noi non riescono, così dunque, a fare carriera. Ai vertici aziendali sono meno del 7%. Gli effetti di tale condizione si ripercuotono ANCHE SULLA TI- POLOGIA CONTRATTUALE: 35,2% contratto a termine o collaborazione contro il 27,6% degli uomini. Sono dati Istat, non lamentele o urla di rabbia di qualche donna esasperata. Tanto per ricordare qualche altro dato: l Italia è al settantaquattresimo (74) posto per disparità uomo-donna, al novantesimo (90) per partecipazione e opportunità nell economia, al cinquantacinquesimo (55) per presenza in politica. Vogliamo poi parlare della dirigenza? Le donne dirigenti sono solo il 13 per cento! Su di loro, sulle donne italiane, ricade, inoltre, e per intero, il lavoro di cura. Infanti, adolescenti, disabili, anziani, chi più ne ha più ne metta: non fa differenza. Almeno nel nostro Paese. Leggendo e analizzando ricerche e dati, mettendoli a confronto con quelli provenienti da altri Paesi europei, si scopre che è sulle donne della bella Italia che ricade sempre tutto. Compreso quello che c è da fare in casa nel quotidiano, i così detti lavoretti domestici. Logico dunque che si assista a un peggioramento della vita delle donne. E che, il motivo ricorrente di tutte le congressiste, accumunate dalla voglia di un cambiamento, diventi questo: Le donne non ne possono più. Il welfare che non c è rappresenta uno Stato che non è democratico. Un affermazione così perentoria non la si fa a cuor leggero perché, comunque la si pensi, lascia l amaro in bocca. Offende la memoria di chi ha lottato e perso la vita per conquistare e difendere la nostra attuale Costituzione. 4

5 La Costituzione in cui crediamo e che affidiamo alle nuove generazioni come patrimonio da tutelare, sempre. Tuttavia, uno Stato, com è stato detto e ripetuto più volte nell Assemblea, si racconta attraverso le sue leggi. EE qui, purtroppo, le cose rivelano la faccia della realtà in atto, lo stato di fatto della condizione femminile. Non c è una politica basata sull equità di genere. La Senatrice Anna Finocchiaro ipotizza la realizzazione di un nuovo patto tra donne -politica - istituzioni. Ritiene che proprio questa debba essere la prossima tappa storica. Per cui, auspica, la forza delle donne dovrebbe essere l elemento trascinatore ; in grado di pensare o ripensare un nuovo modello di Welfare per raggiungere una democrazia effettivamente paritaria. Il tema del cambiamento viene ripreso anche da Carla Cantone (SPI CGIL). Le donne tutte, giovani e meno giovani, cambiano la politica, il lavoro e pretendono un nuovo modello di sviluppo. Chiedono regole di democrazia reale e combattono il virus dell antipolitica appellandosi alla giustizia sociale. Susanna Camusso (Segretaria Generale CGIL), cercando di trarre le conclusioni, da due giorni di vivace dibattito e da varie proposte provenienti da tutte le regioni, ricorda che, come sempre, bisogna DIFENDERE IL SENSO DEL LAVO- RO per tutte le persone, uomini e donne. Tra tutti, a suo parere, emergono tre temi: cittadinanza, lavoro, legalità. Dobbiamo chiederci come si declinano oggi, come si risolvono oggi si chiede e chiede ai presenti il segretario del più grande sindacato italiano. Le donne cambiano, le donne scelgono. Però dobbiamo tutti chiederci in cosa si cambia o si sta per cambiare in questo Paese. Ripartendo dal lavoro, deve anche essere possibile cambiare i rapporti tra lavoratrici e lavoratori. La contrattazione deve contenere innovazione. Oggi più di ieri: se la strategia delle pari opportunità non ha fino ad ora cambiato il lavoro delle donne. Adattarsi e attardarsi in una posizione di difesa può far rimanere le donne in una posizione perdente. Il Welfare invece può, potrebbe costituire, un elemento vincente per tutta la società, non solo per le donne. Deve essere un Welfare lavoristico, pubblico e nazionale dove l istruzione è un processo che si sviluppa lungo tutto l arco della vita e fornisce una possibilità di riscatto permanente, una via di eguaglianza reale; dove la sanità può diventare anche welfare locale se è per funzionare meglio. Dove (è il sogno o l utopia che tutte condividono plaudendo) ogni distanza tra Paese legale e Paese illegale si avvii ad essere risolta e abolita. Per consentire, finalmente, la ricostruzione del senso collettivo. L unico, forse, in grado di farci uscire oggi dalla crisi; cancellando la mancanza di fiducia verso il futuro che caratterizza la vita di molte donne. Che non hanno ancora trovato e provato la forza e l entusiasmo dell essere insieme a lottare: per cambiare. 5

6 PER IL FUTURO, PER I GIOVANI, PER UNA BUONA OCCUPAZIONE di Elena Pastorino e Charlotte Dominique Xotti Con un forte slogan inizia il Convegno della CGIL che si è tenuto al Teatro Fraschini di Pavia il 6 aprile La giornata ha dato la possibilità a diversi rappresentanti di varie categorie di esprimere direttamente la loro opinione e la loro esperienza sui più attuali temi di questa intensa primavera italiana. I vari interventi hanno fatto emergere quelle che sono le reali problematiche che esistono attualmente nel mondo del lavoro, fra i quali: precariato, caro vita, disoccupazione - disillusione giovanile e pensioni. Forte è stata la voce degli studenti, rappresentati dall UDU, Unione degli Universitari, che hanno espresso le loro opinioni, spesso inascoltate. Fra gli ospiti anche l attuale Segretario Generale della CGIL, Susanna Camusso, che è intervenuta con Il lavoro non è una merce. Il suo discorso affronta in maniera esplicita l articolo 18 e le polemiche che vi ruotano intorno, così come vengono interpretate dall ente sindacale da lei rappresentato; il tono è quello di una donna decisa che parla per esperienza e con consapevolezza delle responsabilità che le toccano. Non si può negare che Susanna Camusso sia stata la protagonista dell evento, essendo una delle attuali protagoniste al femminile della politica italiana. Su di lei, infatti, si è concentrata l attenzione della stampa provinciale, regionale e nazionale, a cui ha risposto pazientemente dando spazio sia a grandi che a piccole realtà. La FILDIS ha quindi colto l occasione di porre due domande in base ai temi che la riguardano in prima persona, ossia i giovani e le donne, che vi proponiamo di seguito: Qual è per Lei la prospettiva identitaria delle giovani donne che si affacciano oggi al mercato del lavoro? In parte le giovani donne sono le prime che affermano una dimensione di se non subalterna ai ruoli familiari, con un investimento nello studio e un investimento nel lavoro; esse, cioè, incarnano l idea che sono loro a poter fare e non il ruolo che viene loro attribuito dalla società a permetterglielo; tenendo conto che questo apre una grande contraddizione fra, per esempio, l affermazione di sé, lo studio, il lavoro e una maternità che viene sempre più negata nonostante rientri, invece, nel ruolo classico femminile. Quindi, forse la sfida che si presenta è su come ricostruire una identità comune tra i propri progetti personali e familiari, e il non rinunciare ad essi, per fattori che si possono presentare, invece, nel palcoscenico. Cosa pensa del nuovo disegno di legge in materia lavorativa e che cosa consiglia ai giovani che stanno entrando nel mondo del lavoro? Innanzi tutto i tirocini devono essere realmente ricondotti al grado di esperienza lavorativa e non di lavoro gratuito mascherato, una differenza, quella fra i due, che dovrà essere particolarmente precisata in seno al disegno di legge che risulta un po sfumato sull argomento. Discorso simile si può fare anche riguardo il valore del contratto di apprendistato; deve essere posta l attenzione anche e soprattutto sull aspetto formativo di questo, il quale necessita di una reale certificazione. Il nodo vero di tutte queste cose è che occorre far ripartire il lavoro e valorizzare il lavoro e i lavoratori precari. La generazione 1000 euro, che ora purtroppo non esiste più, soppiantata dalla generazione 800 euro, fa emergere uno dei grandi problemi del Paese: la ridistribuzione del reddito dei lavoratori, che ha colpito sempre il nostro mercato del lavoro con le politiche sia di risanamento che di rigore; la necessità, quindi, è quella di spostare tale peso e riequilibrare il sistema. Il messaggio che mi sento di dare ai giovani è che occorre provare di nuovo tutti insieme a riscommettere sul futuro di questo Paese e non sulla necessità di fuggire, oltre ciò è importate continuare ad alimentare la loro speranza e le loro aspettative per migliorale continuamente, anche nel prossimo futuro. 6

7 NOTE (IM)PERTINENTI SUL MONDO DEL LAVORO (E NON SOLO) di Luigia Favalli Art. 1 - L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. Così recita la nostra Costituzione. E il primo pensiero che può passare per la testa a chi sta vivendo questo periodo di crisi economico-finanziariooccupazionale pare proprio quello di stare in una nazione piuttosto precaria, a termine, sottopagata, e davvero con poco potere per la popolazione, specie d acquisto. Le riforme che ultimamente hanno coinvolto il mondo del lavoro stanno stravolgendo tutto l impianto delle regole previdenziali e sindacali nate, a suo tempo, per proteggere i lavoratori dai ricatti dei padroni delle ferriere e cercare di dare loro qualche sicurezza per la vecchiaia. Partendo dall idea che l italiano medio, soprattutto se impiegato statale, sia solo uno scansafatiche assenteista per natura (almeno secondo quanto spesso asserito dall ex Ministro Brunetta) è chiaro che una politica del lavoro stile Marchionne potrebbe oggi sembrare l unica strada capace di far marciare il Governo e le Imprese. Ma è davvero così? Quante volte si è sentito dire in passato che solo un ambiente lavorativo sereno e soddisfacente può essere in grado di garantire una produttività costante; per questo erano nati i Comitati Pari Opportunità e quelli Antimobbing. Oggi sembra piuttosto che per incrementare la produttività (oppure esclusivamente il reddito di imprenditori e azionisti?) si debba reintrodurre una visione da fabbrica dantesca, come quella rappresentata così bene negli anni 30 da Fritz Lang nel suo splendido film Metropolis. La situazione peggiore pare effettivamente quella del precariato, dei contratti costantemente a termine, dei subappalti al minimo, dei lavori in affitto, delle cooperative usa e getta, della facile delocalizzazione delle imprese e della finanza verso paesi meno sviluppati (e più ricattabili?) o paradisi fiscali. Non ci vuole molto a capire che un giovane, o peggio una giovane coppia, sempre in angustia nel barcamenarsi tra un contratto da fame e l altro non penserà affatto di potersi costruire un benessere futuro (che ovviamente rimarrebbe del tutto incerto). I vari contratti coco, inoltre, non solo non garantiscono grosse risorse per chi lavora, ma neppure producono il loro giusto, significativo e costante contributo alle casse dello Stato, attraverso regolari imposte e tasse. Il miglior sistema per sanare il deficit dello Stato e riportare in pareggio il bilancio non sarebbe quindi quello di fornire meno ammortizzatori e più lavoro reale e continuativo? Vale la pena di considerare come molte delle attività di servizio siano oggi svolte da organizzazioni del Terzo settore. Meno male che il volontariato non scarseggia in Italia (ma come: gli italiani non erano tutti posapiano e scansafatiche?). Le Associazioni che si occupano di bambini, anziani, musei, donne maltrattate, supporto ai malati o agli immigrati, e che riescono a garantire il pane (e un po di companatico) quotidiano ai poveri, specie se extracomunitari, licenziati, disoccupati e pensionati al minimo, costituiscono ormai un impalcatura di servizi che risulta indispensabile per sostenere molte amministrazioni statali e/o comunali, quelle che ormai normalmente scalchignano nel trovare risorse sociali a favore dei loro cittadini. Grazie amici del volontariato, continuate così perché ora più che mai c è bisogno di voi! Il nuovo Governo, affidato all emerito economista Monti, è partito con il vento in poppa e con i migliori auspici di buon lavoro da parte di tutti. La Presidente del CNDI, Prof. G. Corduas, ha subito inviato ai nuovi Ministri una lettera di compiacimento per il fatto che finalmente alcune delle posizioni decisionali più significative dello Stato fossero state affidate a donne. Nonostante il numero delle Ministre risulti infatti diminuito, rispetto al Governo Berlusconi, non c è dubbio che le qualifiche delle nuove nominate le facciano risultare tutt altro che belle statuine. Eppure le prime decisioni, le prime leggi del Governo dei Professori ormai definitivamente votate da Camera e Senato sono pesantissime per la qualità di vita del ceto medio, e destruenti per il potere d acquisto dei vecchi e nuovi poveri. Anche i gatti del Colosseo hanno capito subito che persino per loro non ci sarebbe stata più neppure la proverbiale trippa. Riducendo gli incrementi di pensioni e salari legati agli indici di inflazione e aumentando alla grande tasse e balzelli, l econo- 7

8 mia reale, quella fatta di retribuzioni atte a sostenere consumi e servizi indispensabili per una esistenza accettabile, è ovviamente andata a carte e quarantotto. Ora del fattaccio si sono accorti persino gli economisti, e gli organi d informazione, le agenzie di statistica (ISTAT in testa) e gli Enti di controllo come la Corte dei Conti, che hanno cominciato a lanciare grida di allarme recessione. Forse persino le autorità europee si stanno accorgendo che tutta l impostazione delle varie manovre e manovrine imposte al ceto produttivo italico, per non parlare della Spagna e della Grecia, finiranno per pesare come macigni capaci di affossare qualunque normale bilancio familiare o d impresa. La prospettiva, senza un serio accordo tra capitale, Governo e lavoro, è forse quella di allegri licenziamenti effettuati, anche per cause ingiuste, in modo da eliminare operai e impiegati di mezza età (che potrebbero aver maturato stipendi appena appena cospicui) in favore di giovani apprendisti da reclutare a minor prezzo e da caricare di oneri da schiavi in nome della maggiore produttività, e forse ancora con qualche ingegnosa forma di contratto a termine? L ultima trovata della BCE pare sia quella di un sostanzioso prestito per garantire liquidità alle Banche. In una via centrale di Pavia sono 4 gli Istituti di Credito che si susseguono in poche decine di metri, intervallati da un solo negozio che pare resistere come un isola di economia reale tra i colossi finanziari. Quello che fa più rabbia a chi scrive è il fatto che una delle suddette Banche abbia preso il posto di un mitico luogo di delizie del palato, il ristorante Bixio. Come mai se le banche sono in sofferenza economica le loro filiali si sono sviluppate esponenzialmente peggio dei funghi? Meditate, gente meditate. Qualche buontempone ha detto che le decisioni prese da questo Governo dei Professori poteva proporle persino il ragionier Fantozzi C è da credere invece che gli interventi eventualmente approntati dal suddetto ragioniere sarebbero stati decisamente più umani. Quante volte si sono visti lavoratori in procinto di licenziamento che gridavano a gran voce, magari dall alto di qualche gru o torre, la loro voglia di lavorare. Impiegare tutte queste persone non farebbe gioco alla tanto decantata produttività così reclamata dagli imprenditori? Più lavoro, meno Cassa integrazione sul groppone della collettività. Più lavoro, più introiti da sani contributi da lavoro a tempo indeterminato nelle casse dello Stato. Più giovani al lavoro, meno ultras disponibili a menare le mani nel tempo libero dentro e fuori gli stadi. Più lavoro e supporti sociali alle donne per incrementare le giovani generazioni e cancellare il fenomeno delle dimissioni in bianco e del lavoro nero. Care Forze Economiche e Politiche cercate, per favore, di leggere ed applicare al meglio l articolo 1 della Costituzione Italiana. E magari procurate di valutare meglio anche i bilanci dello sviluppo e della civiltà. In modo da considerare non solo il PIL ma, come sostenevano economisti di valore come Amartya Sen e Paolo Sylos Labini, anche la qualità di vita dei cittadini e, perché no, il Bilancio di Genere. Ritengo che per sanare una situazione incancrenita come quella attuale sia necessario un nuovo sviluppo di idee, una nuova considerazione della sussidiarietà che in realtà, almeno a Pavia e dintorni, non mi pare sia mai decollata, forse per carenza, timidezza o ignavia di chi avrebbe potuto sostenere a partire dal settore privato le necessità pubbliche dei più fragili. Considerando che i classici meccanismi economico-finanziari forse non bastano più a sanare i contrasti. E come citato da un Professore di Economia dell Università di Bologna durante un convegno sull importanza del volontariato attivo per la società, non resta che meditare la seguente: Storia di uomini e cammelli "Un vecchio carovaniere si sente vicino alla morte e stila un testamento perché i suoi beni, 11 cammelli, siano divisi tra i suoi 3 figli. Destina quindi la metà del capitale al primogenito, un quarto al secondo e un sesto al terzo. Dopo la morte del padre i 3 fratelli discutono su come dividere l'eredità: il primo erede chiede che gli siano dati 6 cammelli, perché ammazzarne uno per ottenerne 5 e mezzo non sarebbe utile alla loro "impresa" di carovanieri. I fratelli però non sono disposti a sacrificare parte della loro già inferiore eredità e presto, in nome dell equità e del rigore, dopo qualche discussione, vengono alle mani. In quel momento passa un altro vecchio carovaniere sul suo unico cammello. Vede i giovani che si picchiano e interviene per sanare la controversia. Dopo aver saputo la materia del contendere l ultimo arrivato si offre di donare il suo cammello ai tre perché possano così dividere meglio le risorse: con 12 cammelli di "budget" il primo figlio ottiene i suoi 6 animali, corrispondenti alla metà del capitale, il secondo un lotto di 3 bestie, cioè un quarto, e l'ultimogenito 2 cammelli, ossia un sesto. Poiché le quote di sono poi corrispondenti solo a 11 cammelli, il vecchio chiede ai ragazzi che per gratitudine gli concedano in dono quanto resta; e se va felice con il suo bel cammello." 8

9 IL VIAGGIO D O S S Il viaggio è l ardente desiderio di scoperta. È la brama di conoscenza. È la speranza di rinascita. È l alba di una nuova consapevolezza, di sé e del mondo. Il nostro dossier è dedicato a terre lontane e visi sconosciuti. Rappresenta la voglia di chi, dedicando parte di se e del proprio tempo, ha consapevolmente accantonato le proprie convinzioni per abbracciare un mondo altro. Vogliamo dipingere i caldi colori della Terra Africana, stupirvi con la travolgente evoluzione cinese e rendervi partecipi della misteriosa Romania. coscienti che: Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell avere nuovi occhi (Marcel Proust). I E R 9

10 GUARDARE IN AFRICA: VOLTI, PERCEZIONI, AZIONI di Roberta Cigolini e Elisa Salvaneschi Fin dal 2010 la nostra Sezione FILDIS di Pavia ha avviato una serie di Corsi di Formazione per Volontari interessati alla cooperazione con l Africa. Una attenzione speciale è stata rivolta alle problematiche di una difficile zona del Kenya (Loiyangalani, Lago Turkana). L iniziativa si è concretizzata lo scorso gennaio nella missione effettuata da una corsista, Roberta, insieme ad Elisa, una dottoranda dell Ordine degli Ingegneri di Pavia - Commissione Solidarietà e Cooperazione, partner nel progetto di sviluppo sostenibile che la FILDIS intende portare avanti nei prossimi anni. Anche per far conoscere i principali obiettivi realizzabili nella comunità, ecco qui di seguito una relazione sugli incontri, le emozioni e le riflessioni del loro viaggio. La prima volta in Kenya 4 gennaio 2012: partiamo alla volta del grande continente africano: per la prima volta, un operatrice del settore sociale, Roberta, che ha fatto dell aiuto verso gli altri una professione e un ingegnere, Elisa, quasi un estremista nel vedere il mondo come una serie di problemi da analizzare, scomporre e risolvere in maniera efficiente, nel modo migliore e nel minor tempo possibile. Due ragazze sotto i 30 anni, che non si conoscono, con diversi background e approcci alle situazioni, ma accomunate dalla sensazione di non avere una visione completa del mondo e della realtà, di vivere in un sistema troppo chiuso in se stesso, che spinge sempre di più i giovani a cercare nell altro, nell altrove una risposta alla propria identità. Perché prima di tutto, partire per un progetto umani 10 tario è un atto egoistico nell accezione positiva del termine, è cercare di dare un senso al proprio agire e guardare oltre: vicino, lontano non importa. Partiamo, un po all improvviso, senza avere ben chiaro cosa ci aspetta. Entrambe abbiamo la testa piena d immagini di povertà e sofferenza con cui la nostra generazione è cresciuta attraverso i media, e i fiumi di inchiostro che sono stati scritti per sensibilizzare la società occidentale verso il continente africano. Provare compassione sembra un dovere morale. Oggi il termine compassione è quasi sinonimo di provare pena per qualcuno, il che significa porre una distanza verticale tra due individui: il benefattore - che pensa di essere migliore, più ricco, più capace - aiuta il sog-

11 getto che ha mosso la compassione, il beneficiario. Allora come facciamo a sentire con gli altri, mettendoci in comunicazione con chi vogliamo aiutare? Difficile rispondere se non si cerca di cambiare il proprio punto di vista e se non si capisce che, da un esperienza umanitaria, siamo noi a ricevere i più grandi benefici. Considereremo i volti delle persone che abbiamo conosciuto, le sensazioni che abbiamo provato e le riflessioni su cosa sia giusto fare o non fare, con una vena forse di cinismo e distacco per non cadere in una visione romantica e compassionevole della nostra esperienza. VOLTI Vorremmo partire da chi ci ha accompagnate e si è presa cura di noi, un po smarrite e impaurite, disperse nel variegato e selvaggio territorio dell Africa orientale, a cavallo dell equatore. Il volto di Nancy Una donna, nel significato più bello che noi diamo a questa parola, che va oltre gli stereotipi. Una mamma che ogni mattina alle 5 si svegliava per pregare e telefonare ai suoi tre figli, che lavora per garantire loro l istruzione adeguata e che sopporta, nonostante i problemi alla schiena, un viaggio di 650 disagevole kilometri, per lavorare su ciò che ritiene abbia valore: lo sviluppo economico, sociale -e anche spirituale diremmo- delle comunità locali. Una mamma anche per noi, con cui parlare della vita, dei valori che contano, dei nostri sogni. Una moglie che lotta quotidianamente per il suo diritto ad avere una formazione universitaria e un lavoro che la appassiona, mantenendo la capacità di gestire la casa, il marito, i figli e i parenti. Un amica che desiderava farci conoscere meglio la sua città, le persone care, i luoghi più importanti e una guida che ci ha organizzato le visite più belle. Una lavoratrice con profonda conoscenza sul campo, ma che continua a studiare per essere sempre più preparata alle problematiche dello sviluppo e della cooperazione. La Presidente di un Associazione di donne che cerca di promuovere la formazione delle bambine e ragazze, in luoghi in cui non è così scontato il diritto all istruzione. L arcivescovo di Nairobi L incontro con l arcivescovo appartiene a quelle visioni del passato che parlano di racconti attorno al fuoco. Parlano di un mondo altro, in cui scompare tutto il superfluo per lasciare spazio all autenticità, alla semplicità, alla vera condivisione. Entrate in una delle cosiddette gate community l impressione è stata quella di non essere nemmeno più in Africa. In mezzo al caos di Nairobi (macchine vivaci e sgangherate, gente che cammina scalza e chiede l elemosina, cantieri sempre aperti, milioni di persone che vivono nelle baraccopoli) ci sono angoli di paradiso: ville che si raccolgono vicine l una all altra, incredibilmente belle, confortevoli e sicure. E in una di queste comunità protette che vive l arcivescovo di Nairobi con Padre Anthony e un giovane cooperante. E qui che siamo state accolte per raccontare la prodigiosa avventura che volevamo compiere: andare al nord, in un luogo di cui pochi anche a Nairobi sentono parlare, per studiare un progetto di sviluppo. Non sappiamo dire se e per quanto tempo ci siamo raccontati a vicenda le nostre avventure. Poi è andata via la luce e tutto è diventato più intimo, ci si poteva parlare ad un livello più profondo. Ricordiamo sono gli occhi scuri, che risplendevano al lume di una candela, dell arcivescovo ottantenne, occhi che sembravano sprigionarsi dal legno d ebano, come delle fiamme di speranza, e di buon augurio, Come le sue sincere parole di ringraziamento al 11

12 termine della serata. Il volto di Rose Il suo sorriso svelava una grande forza d animo. Sorrideva. Sorrideva e ci offriva il pane che aveva cucinato, raccontandoci di tutti i problemi che, come infermiera capo del Distretto, incontrava ogni giorno. Bambini malnutriti; donne che non volendo partorire in dispensario, muoiono per mancanza di fiducia e di cultura; giovani con l Aids; donne che subiscono mutilazioni genitali e tante altre problematiche di fronte alle quali ognuno di noi vorrebbe solo scappare. Lei no. Dopo aver studiato a Nairobi, è tornata nel suo paese di nascita, per aiutare davvero il suo popolo, non solo materialmente, lavorando con sapienza alle numerose tradizioni e abitudini che possono influire sulla salute, sulla cura e sulla prevenzione. Le stesse cose, dette da una persona di Nairobi o, ancor peggio, da un occidentale, non avrebbero lo stesso impatto. Rose sorrideva, e siamo sicure che ancora continua a sorridere, infondendo alle persone che la conoscono una grande fiducia nella sua professionalità e sensibilità. Straordinario esempio di una curatrice, integrata nella comunità ma proiettata comunque al futuro, di una mamma che decide di fare solo 3 figli per poterli mandare all Università. Questo esempio parla più di tante campagne per la programmazione famigliare. Sempre sorridente ci saluta con gratitudine ma con un po di malinconia e incertezza sulla riuscita dei nostri progetti. PERCEZIONI Inversione della dimensione spazio temporale Una delle percezioni più forti che abbiamo provato fin dall inizio, è stata uno sfasamento rispetto alle dimensioni spazio-temporali proprie del nostro modo di vedere la realtà. La dimensione urbana, che in teoria avrebbe dovuto esser più paragonabile al nostro sentire, si è rivelata ancora una volta lontana: Nairobi è, come la maggioranza delle città del Sud del Mondo, una megalopoli di slums in cui si trova un arcipelago di quartieri urbani. Circa il 90% della popolazione vive nel 5% del suolo: è quindi difficile considerarla come una città nel senso occidentale del termine.. Altro fattore di diversità è stata la percezione che Nairobi sia un agglomerato di limiti, confini che separano un dentro da un fuori: il limite di uno slum, il muro di cinta di una scuola, il muro di separazione delle grandi ville immerse nei loro giardini verdeggianti, il limite dei centri commerciali, sorvegliati da guardie con metal detector per paura di bombe... Gli spazi pubblici, le strade, seppur brulicanti e caotiche, non creano luoghi collettivi ma solo percorsi per andare da un punto all altro. Fatta esclusione dei ragazzi di strada che, perloppiù sdraiati all ombra degli alberi o in piedi agli incroci, stanno. A fare cosa? Aspettare. Aspettare cosa? Un lavoro, un opportunità, un po d acqua, di cibo. Individui che non hanno nulla, non solo materialmente, ma anche a livello d istruzione o di capacità professionali, esclusi da tutti i meccanismi economici formali e informali. Lo spazio nel paesaggio africano assume proporzioni amplificate: attraversando la savana da Nairobi a Loiyangalani ci siamo trovate immerse in una profondità di orizzonte, tale da non avere più alcun punto di riferimento dimensionale. Un senso di straniamento e di soggezione che ha accompagnato il nostro viaggio in jeep: 3 giorni di acacie, bush, struzzi e giraffe, lungo una strada sconnessa puntata dritta verso l orizzonte. La nostra velocità non era di quei luoghi, il nostro mezzo rumorosamente alieno. Se la dimensione spaziale è esasperata nella grandezza, quella temporale lo è nella contrazione. L Africa è un continente in cammino, oltre al significato più simbolico, fotografa efficacemente la condizione della maggior parte della popolazione del continente. Nei nostri spostamenti ci siamo spesso imbattute in gruppi di uomini o donne o bambini che all alba si mettevano in cammino per raggiungere un mercato, un pozzo o la scuola; il viaggio è una parte predominante della loro esistenza, percezione che noi, nella nostra società contemporanea, abbiamo completamente perso: la nostra velocità non è più basata sulla natura dell uomo ma sulla nostra tecnologia. In Africa, invece, gli orizzonti tornano ad essere limitati, a scapito di quel concetto, espresso dall economista Amartya Sen, in cui a sviluppo si associano la libertà di scegliere e avere occasioni. Il secondo aspetto, si lega invece alla percezione di una contrazione del tempo: ogni giorno dura 12 ore esatte, di cui almeno 8 sono caratterizzate da un caldo insostenibile. La forte ciclicità delle azioni, vista con lo sguardo occidentale, ci è sembrata angosciante perché sembra non permettere di guardare lontano. Cambiando i parametri di riferimento si genera un differente modo di percepire la realtà, per comprendere appieno la tradizionale visione del mon- 12

13 do locale. I danni dell assistenzialismo: essere considerati un bancomat e generare aspettative Un altra percezione avuta durante la nostra esperienza, purtroppo, è stata notare l evidenza di come, in molti casi, le azioni della cooperazione internazionale abbiano generato in realtà più danni che benefici, sia in senso materiale ed economico sia in senso sociale. La cospicua casistica di opere completamente avulse o inutilizzate dalle comunità è il risultato della mancanza di coordinamento o della impreparazione. Senza voler entrare nel merito delle problematiche legate alla cooperazione internazionale, si possono individuare due tipi di problemi: la grande cooperazione (grandi organizzazioni e governi), a causa delle rigide procedure burocratiche, genera un macchinoso e dispendioso processo che causa gravi sprechi economici. La piccola cooperazione (organizzazioni conosciute principalmente sul proprio territorio, gestite da volontari e offerte), seppur animata da nobilissimi e condivisibili scopi, non sempre riesce a gestire la complessità del processo di cooperazione. Manca una rete di contatti con le altre organizzazioni, il che comporta il venir meno dei principi della cooperazione decentrata. Conseguenza dello spirito volontaristico è che questo tipo di associazioni non riesce spesso a garantire né un adeguato supporto finanziario continuo, né un certo grado di professionalità; spesso tende a improvvisare processi privi di una chiara visione dell obiettivo generale da perseguire. Il risultato l abbiamo potuto riscontrare in questa parte dell Africa: lungo i circa 600 km che separano Nairobi da Loiyanagalani, abbiamo osservato un numero imprecisato di costruzioni occidentali, mezze diroccate o abbandonate, tutte con la targa dell'associazione di turno; scuole in mezzo alla savana, lontane km dal primo villaggio; chiese, magazzini, dispensari senza personale medico...esito probabilmente di un progetto votato non a uno scopo preciso, ma a quel tipo di aiuti che mettono la coscienza a posto. Oltre alle conseguenze di questo tipo di processo più immediate, ve ne sono anche altre di tipo sociale: molte comunità si sono abituate a percepire la nostra presenza di occidentali come fossimo dei Bancomat: il nostro compito è quello di elargire beni materiali ed economici a tutti e senza alcun coordinamento. Che cosa genera questo tipo di comportamento? Un sistema in cui i volontari arrivano, donano denaro o una costruzione poi ripartono, lasciando la comunità, molto spesso, senza la possibilità di svilupparsi perché non si è portato loro né conoscenze né lavoro, ma rendendoli, in un certo senso, dipendenti da aiuti esterni. Sarebbe questo il senso della cooperazione? Generare aspettative che non si possono soddisfare, aiuta a migliorare la condizione delle comunità? Elargire donazioni senza creare processi virtuosi, non genera una nuova forma di colonialismo? Queste sono alcune delle domande che hanno continuato a formarsi nella nostra mente nei giorni di permanenza a Loiyangalani: vedevamo l estrema povertà e la sofferenza di una popolazione afflitta da malaria, siccità, carestie, che, paradossalmente, è oggetto di diverse azioni umanitarie: si sta costruendo un grande orfanotrofio, ma non vi è un dispensario che funzioni e che permetta parti di emergenza o diagnosi di malaria; è stato costruito il Museo del Turkana, ma non ci sono soldi per il suo funzionamento e per permettere a giovani della comunità di svolgere un lavoro all interno del settore naturalistico, nella cosiddetta Culla dell Umanità. Ci sono continui arrivi di aiuti alimentari, ma non c è attualmente un programma che insegni tecniche agricole sperimentali adatte a climi aridi desertici. La sensazione scoraggiante è che questo sia, ormai, un sistema accettato e consolidato d interventi di cooperazione. Di buone intenzioni è lastricata la via per l Inferno. Queste sono state le riflessioni, le emozioni e i dubbi che ci ha suscitato il viaggio in Kenya. Chi ha avuto esperienze di cooperazione in Africa spesso al ritorno racconta del leggendario Mal d Africa, tanto questo continente è affascinante e magnetico; noi lo abbiamo sentito in due sensi: il primo dettato dalla meraviglia di una realtà immensa in tutti gli aspetti, capace di provocare una sensazione di estasi, in cui la nostra presenza umana sembra non avere significato. Il secondo scuote la parte etica morale della coscienza in quanto si è messi a contatto con la sofferenza vera e incondizionata, difficile da alleviare; uno stato che genera dapprima incredulità, per poi lasciar spazio alla precisa e lucida sensazione che i meccanismi del nostro tempo si siano inceppati generando un continuo nonsenso. Al ritorno, la difficoltà è quella di cercare di ridare un senso alla propria esistenza (per sè stessi) e quindi di agire per intervenire, con le proprie capacità, in questa situazione. Per questo il processo che speriamo sia portato avanti per 13

14 Loiyangalani, possa essere un esempio virtuoso di cooperazione. Da parte nostra abbiamo concretizzato alcuni dei nostri obiettivi: eseguire rilievi fotografici e geometrici del camping e del dispensario; incontro e interviste con i rappresentanti di autorità locali e di gruppi sociali; indagine di mercato per raccogliere informazioni sui materiali disponibili e relativi costi; formazione di relazioni con possibili partners e responsabili locali. Cooperare non è mai facile, considerando i continui dubbi provocati dalle riflessioni su cosa sia giusto fare e non fare, su quali siano le priorità di intervento, sul ruolo che dobbiamo avere. È una sfida che pensiamo valga la pena vincere. Sempre. summary A closer look at Africa: faces, feelings, deeds In January 2012 Roberta Cigolini and Elisa Salvaneschi went to Kenya in order to visit the Turkana area, that is, the main destination of the volunteers formed during the annual training course Formare volontari per l'africa which is organised and held in Pavia by the association. During their experience in Kenya the two trainees met several people and recorded a great number of frames, images from Africa which will endure forever in their minds. To begin with the people who supported them during their stay, it is worth to remember Nancy, President of the local women's association. Nancy is described as an extremely good-tempered woman, who struggles hard to promote culture among young ladies and girls in the local community. But she is also a mother, who wakes up every morning at five in order to pray for her three sons and support them during their studies. Nancy's face is not the only friendly face met in Kenya: the Archbishop of Nairobi and Rose are two important acquaintances as well. Rose, in particular, completed her studies in Nairobi and then returned back to her community, to help her brothers safeguard the ancient tribal traditions of the ethnic group. One of the main issues which emerged during the trip to Kenya is related to charity. The key point is that small organisations formed by people from local communities are not always able to cope with the complexity of the cooperation process. The immediate consequence of this issue is a widespread inadequacy of the processes undertaken, often lacking a precise view of the needs of a certain portion of territory. The results are well noticeable along the 600 km between Nairobi and Loyangalani: a number of crumbling western-like buildings stand along the road, with the sign of the association involved in the building site right in front of them. Schools placed in the savannah, far from the settlements, churches, warehouses and outpatients' department without adequate personnel. The question posed by the two trainees is simple: is this the real sense of cooperation? Is generating expectations a good way to improve the local communities' condition? Does the mere donation of money represent a new form of colonialism? These were the considerations, emotions and doubts which aroused during the stay in Kenya. The goals of the trip were partially fulfilled: Roberta and Elisa were able to complete the surveys needed at the campsite and at the building site of the new outpatients' department. In addition, an accurate research was carried out in order to determine the availability of building materials, along with their cost. Information about possible partners was also gathered. Alberto Zannetti 14

15 LA MIA CINA IN OTTO GIORNI Breve racconto di una prima esperienza in viaggio attraverso il gigante asiatico di Alberto Zannetti Come ci si sente dopo aver visitato un paese come la Cina per la prima volta?. È questa la domanda che mi è stata rivolta più di frequente nelle due settimane successive al mio ritorno da un viaggio che, nel bene e nel male, ha cambiato la mia prospettiva sul Paese della Grande Muraglia. La risposta, forse banale, non può essere che una sola: meravigliato. Grazie al lavoro che sto svolgendo presso l'università di Pavia nell'ambito del Progetto Marco Polo, ho avuto la possibilità di recarmi in Cina come rappresentante dell'ateneo insieme ad una collega e interprete, coronando un sogno nel cassetto che risaliva al 2007, anno in cui ho iniziato a familiarizzare con la lingua e la cultura cinese. Il viaggio, della durata di otto giorni, prevedeva tappe in cinque città della Cina molto distanti tra loro, il che mi ha permesso (seppur in un lasso di tempo limitato) di sperimentare in prima persona le grandi differenze paesaggistiche, ma soprattutto culturali, che esistono all'interno di questo Paese. Al nostro arrivo a Pechino, ho avuto immediatamente a che fare con l'elemento che, forse, più colpisce gli europei in visita in Cina per la prima volta: le distanze. La capitale cinese è immensa, ti stordisce con il suo traffico congestionato e ti stupisce con l'ampiezza delle sue arterie; in passato per raggiungere l'aeroporto internazionale dal centro della città erano necessarie oltre due ore in alcuni giorni particolarmente critici, ma la situazione è notevolmente migliorata negli anni successivi ai giochi olimpici, dopo la costruzione di nuovi raccordi che collegano Tien An Men con il terminal internazionale. Il distretto finanziario è, a suo modo, un piccolo gioiello, con la futuristica costruzione che ospita la sede di CCTV (la televisione di Stato) che cattura gli sguardi estasiati dei turisti: un grattacielo unico al mondo, ispirato alla celebre figura impossibile, il Triangolo di Penrose. Devo ammettere che io stesso non ho staccato il naso dal finestrino del taxi per diversi minuti. Ogni angolo del centro di Pechino, dà l'impressione di essere un giusto connubio tra glorioso passato e sfavillante futuro, un alternarsi di palazzi in vetro e acciaio, pagode tradizionali ed edifici governativi nel tipico stile austero degli anni Settanta, ispirato al modello sovietico. Il rammarico di aver avuto poco tempo per visitare la capitale (la tabella di marcia era serrata e non erano previste riunioni a Pechino) rimane uno dei lati negativi della mia esperienza, ma nel futuro mi propongo di riporvi rimedio. Nemmeno il tempo di ambientarsi tra i grattacieli del centro che era già ora di ripartire in aereo alla volta di Hohhot, capoluogo della Mongolia Interna. Questa regione autonoma, posta al confine tra la Cina e la Mongolia, è stata creata dal governo centrale negli anni Quaranta e rappresenta una zona strategica della Cina moderna, grazie alla presenza di grandi giacimenti di ferro e carbone che riforniscono tutto il nord del Paese. A essere sinceri, Hohhot non è una città molto ospitale, anzi: circa cinque milioni di abitanti sono concentrati in un'immensa distesa di cemento, circondata da un deserto di montagne. Caldo torrido durante il giorno, amplificato dall'unica colata di asfalto rovente che copre la superficie della città, e freddo umido la sera. Da queste parti gli occidentali si vedono molto di rado e, al momento della mia visita, ero probabilmente l'unico europeo in zona, a parte un paio di emissari russi molto schivi che ho incontrato nella lobby dell'hotel, inviati da uno dei colossi dell'energia per acquistare carbone. Hohhot è una città che vive di contraddizioni: da una parte la classe media, che ha triplicato il suo reddito grazie all'estrazione delle materie prime e allo sviluppo mostruoso del settore terziario; appartamenti lussuosi arredati all'occidentale, automobili europee di grossa cilindrata e abiti d importazione. Dall'altra minatori, carpentieri, artigiani che lavorano in condizioni di sicurezza inesistenti e lottano per raggiungere la soglia si sostentamento per loro stessi e per la loro famiglia. Sono rimasto impressionato dall'organizzazione dei cantieri, dove però si lavora sospesi, anche a cento metri d'altezza, senza imbracatura e senza alcun tipo di norma antinfortunistica. Questa spaccatura tra benestanti e indigenti è visibile anche nella disposizione dei quartieri: la Hohhot che conta si ritrova la sera dopo il lavoro in pittoreschi ristoranti illuminati da neon colorati, in un quartiere per ricchi isolato dal resto della città, dove si mangia e si beve sino allo sfinimento, celebrando i successi commerciali di una regione ancora attaccata alle proprie origini (Gengis Kahn è 15

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