LO SPECCHIO DELLA FESTA

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3 LO SPECCHIO DELLA FESTA Si può ripercorrere la storia del Servizio di riabilitazione Asiamente tramite l evoluzione della festa Sulle tracce dell inaudito e dell invisto. Claudio Sbaffi Quello di non finire segregati e rinchiusi dentro una struttura di riabilitazione psichiatrica insieme con gli utenti, è stato subito il desiderio e la volontà degli operatori dell SRR-CD Asiamente, nonché la loro sfida (v. Paolo Ripanti, Una sfida per gli operatori, Capo Horn n. 2, ottobre 2001), per liberarsi della gravosa distinzione tra sano di mente e alienato e recuperare la specificità dell uomo nel suo essere-nel-mondo. Ecco così che gli operatori, accanto alle attività interne alla struttura più specificamente sanitarie e terapeutiche, hanno promosso una serie di iniziative verso l esterno, riguardanti la comunicazione, la collaborazione, la casa, il lavoro, lo sport e il turismo sociale, avviando un processo ampio e variegato di relazioni tuttora in evoluzione, che situa oggi il Servizio non solo dentro la rete sanitaria, bensì in quella sociale, economica e culturale. La cartina riprodotta sulla copertina di questo numero allude a questa realtà allargata e alla necessità dell orientamento. La festa Sulle tracce dell inaudito e dell invisto, che giunta alla sua settima edizione si è svolta quest anno il 21 maggio, è una di queste iniziative, ma sicuramente nella sua evoluzione riflette più di ogni altra questo processo. Lo riflette fin dalla sua prima realizzazione, avvenuta il 6 maggio 2000: una piccola e calorosa festa comunitaria, che tuttavia, a due anni dalla nascita del Servizio, esprimeva già tutta la volontà di uscire allo scoperto e stabilire contatti, nella fattispecie col mondo giovanile e col mondo dell arte. Non a caso il 26 di quello stesso mese venne costituita l Associazione sportiva e culturale Asiamente, con cui il Servizio poteva aprirsi più liberamente al mondo dell associazionismo e del volontariato, agli enti pubblici e privati, in ambito sportivo, ricreativo e culturale. E alla fine di quello stesso anno nasceva col numero zero questa rivista, preceduta di qualche mese dalla sua nascita telematica. La seconda festa del 25 marzo 2001 diventa così la prima grande festa pubblica di Asiamente, grazie al progetto Il viaggio che ottiene un contributo economico da parte del Comune di Jesi. Per valutarne l entità e la pluralità, basta ricordare la partecipazione di quattro gruppi musicali, di un gruppo teatrale, di un gruppo fotografico, di due danzatori nonché animatori, di due animatori per i bambini, di due pittori, di due vasai, di una ceramista e di alcuni nostri poeti. Ma questa festa getta le basi e lo schema per tutte le successive feste, ad eccezione dell ultima. La presenza di due palchi, uno montato all interno della struttura l altro all esterno sul piazzale antistante al cancello d ingresso, non risponde solo ad esigenze artistico-organizzative, bensì vuole rappresentare la realtà problematica e ambivalente di quel percorso umano che si muove tra il dentro e il fuori, tra la protezione e l autonomia. A parlare di maggiore autonomia c era stata nei primi mesi del 2001 l apertura del Gruppo appartamento di via Scotellaro, una struttura che può ospitare fino a cinque utenti che si trovino nella fase finale del programma riabilitativo. Ormai il Servizio si trova e sarà sempre più proiettato verso l esterno, per integrarsi con tante iniziative che agiscono sulle varie dimensioni dell uomo: ad 5

4 esempio diventa ormai abituale la nostra partecipazione alle manifestazioni sportive nazionali organizzate dall ANPIS, e ricordo anche il nostro viaggio a Livorno per il Convegno delle redazioni dei giornali nelle strutture di salute mentale, oppure gli incontri dei Gruppi di auto mutuo aiuto. Si pone così la questione non solo di intervenire nel mondo, ma anche quella di sostenere il mondo e il suo sguardo, di conseguenza di aiutare il mondo a comprendere. Ecco così che la terza festa del 2002 acquisterà il nome definitivo: Sulle tracce dell inaudito e dell invisto, che manterrà fino ad oggi. C è da superare lo sbarramento delle cose udite e di quelle viste, di ciò che si ascolta e di ciò che si vede, per avvicinarsi a se stessi o trovare l altro in se stessi, senza mai rimanere attaccati a qualcosa di definitivo, come fa il viandante, che lascia sul terreno qualche traccia appena. Così i piedoni bianchi, dipinti sul manto stradale di via Contuzzi, diventeranno il simpatico logo della festa. Certo, abbiamo a che fare con qualcosa di enorme, che rinvia al rinnovamento stesso della nostra cultura: perciò nel 2003 la festa confluirà nella rassegna Malati di niente, ideata nel 2001 dalla Comunità sociale Soteria e a sua volta confluita nel 2003 nel Progetto Sollievo (con cui la Regione finanzia i progetti sociali sulla salute mentale, affidandone la gestione al Comune), come ad unire le forze per un grande progetto. La festa diventa così l evento conclusivo della rassegna, dopo dibattiti, incontri con le scolaresche, corsi di arteterapia, spettacoli musicali e teatrali, ecc. Nell aprile 2003 il Progetto Sollievo jesino produce anche la nascita del Centro di aggregazione sociale di via Politi, per cui il nostro Servizio potrà dislocare alcune attività, che saranno maggiormente individualizzate e più protette nel setting. Ad esempio dal Laboratorio di voce e canto, movimento e drammatizzazione nascerà il Gruppo Le Pastiglie Valda, che faranno la loro prima apparizione pubblica il 3 marzo 2005 al Teatro San Floriano nello spettacolo-happening Insupertravisioni, dove Asiamente Group con una formazione composta da utenti e operatori replicava già il suo secondo spettacolo, dopo Lassedia che aveva 6 segnato il suo debutto nella festa del 18 maggio Inoltre Capo Horn potrà dotarsi di una seconda redazione, più finalizzata ad interviste ed inchieste sul sociale. Momento cruciale della festa del 30 maggio 2004 è la presentazione del cd audio L amore non è un piripì, dove un famoso professionista della voce, l attore-doppiatore Luca Violini, interpreta le composizioni poetiche di alcuni utenti. Nel frattempo vengono incrementate le occasioni di lavoro, favorendo gli inserimenti lavorativi degli utenti del nostro servizio. In quanto al problema della casa nel luglio 2005 nasce in via Tessitori un nuovo Gruppo appartamento, che può ospitare quattro utenti. Ma intanto, favoriti dal Gruppo dei familiari dei pazienti, si sono formati anche Gruppi in appartamento privato. Nel giugno 2005 il Progetto Sollievo jesino, denominato Progetto Malati di niente, ottiene a Rimini il Premio nazionale per l innovazione nei Servizi sociali, grazie non solo al giudizio di una giuria di esperti, ma soprattutto per la massiccia votazione on-line della gente, segno di una coscienza civile in atto. A Giugno 2006 si inaugurerà la Web radio Tana Libera Tutti, dove la nostra redazione del Centro Sollievo trasmette Le onde di Capo Horn. Tutto questo, che invia un immagine del Servizio ampiamente socializzato e articolato, non poteva non trovare la sua espressione nell ultima festa, che modifica lo schema ormai consueto dei due palchi. Viene infatti meno il palco esterno, simbolo del fuori, che ormai si è dissolto e concretizzato nelle molteplici esperienze individuali e collettive che il Servizio ha saputo e sa promuovere, procurare e sostenere nella città e oltre. La festa perciò si estende su via Contuzzi con il meraviglioso spettacolo-parata Fiesta del Teatro Due Mondi di Faenza, per salutare una via da dove si parte per una nuova e rinnovata vita, senza nascondere le difficoltà e i possibili fallimenti di questa partenza, come hanno cantato le Pastiglie Valda ad inizio di festa nel loro Il repartorio. La prossima festa sarà laddove il viandante lascia le sue lievi e delebili tracce. (Le Pastiglie Valda in Il repartorio. Foto di Francesca Ventura e Paolo Ripanti)

5 PUBBLIZZITÀ ANNUNCIO ESTIVO Le Pastiglie Valda, gruppo vocale tra i più famosi al mondo (sia consentita questa indicazione del tutto pleonastica, che tocca l ossimoro, solo per i pochi ignari e distratti), augurano a tutti i suoi numerosi fans una quieta estate. E raccomandano loro di non prestare alcuna attenzione ad annunci e voci che affermano che le Pastiglie Valda sono lì, sono là, a fare spettacoli o a ritirare premi. Per cui desiderano anche metterli in guardia dalle eventuali contraffazioni ed imitazioni. Le Pastiglie Valda se ne stanno ritirate nel loro alveo estivo, inoperose e quiete a contatto con la fonte della loro voce. 7

6 LA FALSA FOLLIA Riceviamo e pubblichiamo una lettera di una nostra amica, che non ha bisogno di commenti, ma solo di una constatazione. Occorrono altre mille riviste come Capo Horn, per farla finita con stigma e pregiudizio E forse non basteranno! Maria Rimoldi Mi chiamo Maria, ho 58 anni, sono mamma di tre figli e nonna di un bel bimbo di nove mesi. In passato ho sofferto per molti anni di una grave forma di depressione, che mi ha portato a tentare varie volte il suicidio. Da cinque anni frequento una comunità riabilitativa a Jesi e da un po di tempo il suicidio non mi fa più paura. Sono cinque anni che non ho ricoveri. E questo fatto mi fa star bene, mi rende felice e mi permette di guardare al futuro con serenità, di essere attiva e coltivare molteplici interessi. Purtroppo questo non significa che non debba lottare ancora e scontrarmi con certe realtà. Non molto tempo fa, ero in uno studio dentistico in sala d attesa. Due signore stavano uscendo. Una mi ha salutata, mentre l altra, subito dopo, le chiedeva, riferendosi senza dubbio a me: E la matta?. Sì! - rispose la prima. Potete immaginare la mia mortificazione, anche perché non era la prima volta che mi sentivo nominare con quel brutto epiteto. Altre volte sono stata chiamata: LAPAZZA! Ora lo scopo di questa mia lettera non è quello di chiedere una generica solidarietà, ma quello di voler chiarire una cosa. Il malato di mente, quale io sono, non è una persona diversa dagli altri SANI, perché oggi l infermità mentale si può curare. Con i farmaci che, grazie alla ricerca scientifica hanno fatto passi da gigante e in effetti, oggigiorno, ne esistono sempre più efficaci e con meno effetti collaterali. Con le sedute psicoterapiche, che mi hanno permesso di liberare il mio animo e di esprimere le mie difficoltà e problemi. Da queste sedute uscivo con più fiducia in me stessa: anche la dott.ssa, che si prende cura di me, ha riconosciuto il lungo percorso da me fatto. La mia conclusione dunque è semplice, quando dico e sostengo dicendo che anche il diverso è un essere umano con i suoi sentimenti, le sue emozioni, le sue capacità e risorse. E ora quindi che vengano rimossi i pregiudizi, che ledono la dignità del malato e lo fanno ulteriormente soffrire! Notizie Flash Associazione familiari Atena. Il 16 gennaio 2006 si è costituita a Jesi l Associazione Familiari dei pazienti psichiatrici ATENA. La nascita dell Associazione segna un ulteriore passo significativo nel cambiamento della percezione della malattia mentale sul nostro territorio. Rappresenta formalmente l uscita allo scoperto e la volontà di essere soggetti attivi da parte di quelle famiglie che vivono al loro interno l esperienza della sofferenza psichica e che hanno deciso di abbandonare la condizione di soggetti che attendono passivamente gli interventi dei tecnici, stretti in un isolamento carico di impotenza e sensi di colpa. Tale cambiamento è il risultato di un lungo percorso di crescita, iniziato nel 1996 quando, nell ambito delle prime esperienze di riabilitazione presso i servizi psichiatrici, sono iniziati gli incontri del Gruppo Supporto Familiari nella logica di un intervento diversificato e volto ad attivare tutte le risorse esistenti. Oggi questo gruppo ha acquistato dignità di Soggetto Istituzionale, che intende rappresentare in maniera unitaria le famiglie ed offrire contributi e stimoli alla definizione delle strategie attuali e future in favore della salute mentale, oltre che essere strumento di reciproco supporto. L Associazione si riunisce presso i locali del Centro Sollievo, in via Politi n. 27, il terzo venerdì di ogni mese alle ed è aperta a chiunque ne condivida le finalità. Per chi volesse incontrarla, ATENA sarà presente con un proprio banchetto alle prossime Fiere di San Settimio a Jesi. (a cura di Laura Zappelli) Flash Le onde di Capo Horn. Nel mese di giugno 2006 è stata inaugurata la Web radio TLT - Tana Libera Tutti - che fa parte del progetto Vuoti a perdere? No, grazie!. La web radio, gestita dai CAG (Centri di Aggregazione Giovanile), è a disposizione dei giovani e delle agenzie socio-educative. La radio non solo come mezzo di comunicazione, ma soprattutto come un grande occhio per guardare al variegato mondo dei giovani del territorio e dare visibilità alle loro forme di espressione ed interesse così diverse e altrettanto affascinanti, ed anche come un piccolo ritrovo per 8

7 tutti, in particolare per quelle persone e gruppi che hanno difficoltà a far ascoltare la loro voce. La redazione di Capo Horn del Centro Sollievo ha deciso di partecipare a questa iniziativa con la realizzazione di una sua trasmissione radiofonica: Le onde di Capo Horn, che viene trasmessa tutti i lunedì in tre fasce orarie. Un piccolo gruppo di partecipanti, coordinato da due educatrici, lavora per la trasmissione con tanta passione ed entusiasmo, preparando il programma sotto ogni punto di vista, ricercando testi e musica, interviste, articoli e tutto ciò che è necessario. Per l ascolto si vada su: (a cura di Lina Balzano) Flash Autolavaggio solidale. Asiamente e l Autolavaggio Solidale, è questo il titolo del progetto presentato da Asiamente in collaborazione con il DSM di Jesi nell ambito di bandi di concorso Officina Solidale, promosso dall Unione Europea, dal Ministero del Lavoro e delle politiche Sociali e dalla Regione Marche ed approvato con un finanziamento a fondo perduto di euro. Il progetto di autolavaggio si rivolge a persone portatrici di handicap fisici e mentali, a cittadini extracomunitari, a tossicodipendenti ed ex-tossicodipendenti, a persone inquadrabili nei fenomeni di nuova povertà e ad alcolisti ed ex alcolisti. Lo scopo del progetto consiste nel dare occasione di inclusione sociale a queste persone, che per la loro specifica condizione difficilmente potrebbero trovare collocazione nel mercato del lavoro attraverso canali c.d. normali. Per dare forma al progetto verrà costituita una cooperativa di tipo B Lavoro e Dintorni - onlus, cioè una cooperativa che per legge deve avere tra i soci una percentuale minima di invalidi. Infine il progetto ha la speranza di promuovere nei soggetti svantaggiati stimoli all autodeterminazione, proprio attraverso l avvio di una attività tutta loro per poter dimostrare, prima a se stessi e poi alla società, come sia possibile lavorare anche al di là dei vincoli dati dai ritmi produttivi spesso esasperati delle grandi aziende. L apertura dell Autolavaggio Solidale è prevista per il prossimo autunnoinverno. (a cura di Paolo Ripanti) Tarvisio Si è svolto a Tarvisio dal 7 al 12 gennaio 2006 il 6 Torneo nazionale ANPIS di pallavolo. Per l Associazione Asiamente erano presenti Gianni, Marcello, Fabrizio, Gabriella, Pietro, Denis ed Elvino, cui si aggiungevano le educatrici Laura Zappelli e Marzia Pennisi, a chiudere il dr. Ripanti con la moglie Daniela e la figlioletta Giulia. Su 13 squadre la nostra compagine, composta da atleti di Asiamente e dell Associazione Solidalea di Ancona, si è aggiudicata la coppa del 3 posto. L iniziativa è stata occasione per visitare alcune località del Friuli, come il Lago del Predil a Sella Nevea, i laghi di Fusine e il Monte Canin e per fare una capatina in Austria fino a Villach. Flash Creola. Nell ambito delle attività di riabilitazione e socializzazione ed in particolare per ciò che concerne lo sport ed il turismo sociale, le utenze dei DSM di Fano e Jesi hanno da questa estate la possibilità di vivere un esperienza velistica, grazie alla disponibilità della barca Creola, gestita dall Associazione Liberamente di Fano. Al progetto N a v i g h i a m o... L i b e r a m e n t e partecipano anche l Associazione polisportiva e culturale Asiamente di Jesi, le Cooperative sociali di tipo B della Vallesina (Tadamon), il Comune di Jesi con il Progetto Sollievo. Creola, pilotata dallo skipper-educatore Stefano Pietrella, sta già veicolando l amore e la passione per il mare nei diversi gruppi di utenti e di operatori, che si alternano sul ponte a governare vele e gettare ancore nelle acque dell Adriatico. I costi del progetto vengono condivisi tra i vari soggetti sopraccitati, con la partecipazione non casuale di uno sponsor segno d aria, come L Elica di Fabriano. (a cura di Paolo Ripanti) Notizie Flash 9

8 INTERVISTA AD ASCANIO CELESTINI Spettacolo teatrale al Pergolesi: La pecora nera. Elogio funebre del manicomio elettrico NOSTRO MANICOMIO QUOTIDIANO Lunedì 3 aprile 2006 è andato in scena al Teatro Pergolesi l ultimo spettacolo di Ascanio Celestini: La pecora nera. Elogio funebre del manicomio elettrico, inserito nelle rassegne Teatro Giovani e Malati di niente. Il giovane e affermato attore romano inizia la sua carriera nel 1998 e ha ottenuto già prestigiosi riconoscimenti. Ha rilasciato questa intervista nel foyer del teatro nemmeno mezzora prima dell inizio dello spettacolo. E solo questo rivela già le eccezionali qualità dell artista, individuabili innanzi tutto in una straordinaria capacità affabulatoria, che si dispiega non in concentrata solitudine, nel chiuso di uno spazio isolato davanti ad una scrivania, ma nel rapporto di comunicazione diretta col prossimo, secondo una modalità propria della tradizione orale, cioè degli analfabeti come i nostri padri (per chi è vicino agli anta), i nostri nonni, o come Omero. Una modalità comunicativa e conoscitiva di cui forse non dovremmo abbandonarne l uso, se non vogliamo, in un mondo tecnologico e massmediatico, perdere il rapporto con le cose e le persone. Perdita che costituisce, come ci racconta Celestini, il dato essenziale del manicomio. Tra parentesi, l intervista si è interrotta al segnale d inizio dello spettacolo, ma non la verve comunicativa dell artista, che trasmigra intatta dal foyer al palco pur mutando parole e situazione. A cura di Marzia Pennisi e Claudio Sbaffi M: Perché uno spettacolo sul manicomio? Perché a me interessa raccogliere storie di persone che hanno vissuto all interno di istituzioni totalizzanti e cercare di capire in che modo la persona riesce a raccontare la propria vicenda e storia e quindi come percepisce la propria identità e come questa percezione diventi un racconto. Per questo ho lavorato sulla fabbrica, sul fascismo. E il manicomio mi sembrava, rispetto alle grandi istituzioni dell 800 e 900, rispetto alla scuola e al carcere, l unica istituzione dove una rivoluzione c era stata ed era andata a buon fine. Mi sembrava La realtà è che, lavorando per tre anni e raccogliendo storie, ho capito che l istituzione si è modificata, più che essere scomparsa. E non soltanto perché ci sono ancora i cosiddetti residui manicomiali e i manicomi non ancora chiusi del tutto, ma perché ci stanno quelli che una volta si chiamavano manicomi criminali e che ora sono OPG (Ospedale psichiatrico giudiziario nota dei curatori) e le cliniche private che sono manicomi. E non penso al manicomio come al luogo dove ci sta il matto che scrive con i propri escrementi sul muro. Sono posti che non importa se sono puliti o sporchi. A volte sono pure sporchi. Il problema è l istituzione, perché esiste un idea manicomiale anche nella nostra vita quotidiana. Il manicomio è il luogo dove il matto, lì dentro, non ha rapporti con altre persone. Si dice che un infermiere non controlla un matto, ma due ne controllano cento, perché molto spesso all interno di una istituzione così fortemente presente non c è solidarietà tra gli internati. Il manicomio è quello dove senza che per forza si mangi male, sia sporco o ti leghino; nonostante ci siano ancora posti dove si mangia male, dove ti legano e dove ci sta sporcizia, ma questo è soltanto l aspetto visibilmente peggiore. La mancanza di rapporti tra le persone e con le identità degli oggetti è una cosa che noi viviamo quotidianamente nella maggior parte dei luoghi che attraversiamo. Penso ad esempio al supermercato, perché ne parlo nello spettacolo. Noi, se entriamo nel supermercato, sappiamo esattamente come si consuma tutto quello che sta all interno, ma non sappiamo come si produce niente di quello che ci troviamo davanti. Questo significa entrare in rapporto con oggetti con i quali non riusciamo ad entrare in rapporto, se non per il fatto che sono oggetti di consumo. E sbagliato persino chiamarli prodotti, se della produzione non ne sappiamo niente. Ebbene, sono stato al manicomio di Roma, Perugia, Firenze, Reggio Emilia, Venezia, Bologna, Imola 10

9 INTERVISTA AD ASCANIO CELESTINI Spettacolo teatrale al Pergolesi: La pecora nera. Elogio funebre del manicomio elettrico e ho cercato soprattutto storie, piuttosto che la storia di quel posto, per cui molto spesso ho raccolto storie semplicemente perché erano letterariamente interessanti e non perché erano identificative di un luogo. Le interviste sono state fatte in qualche modo in maniera poco scientifica, nel senso che non ho cercato di ricostruire le storie dei luoghi in cui sono andato. Però da quello che ho raccolto mi sembra di aver capito che noi abbiamo distrutto quasi del tutto il manicomio, ma non l ideologia che c era dietro, un po come essere contro il campo di sterminio ma non contro il nazismo. C: Oltre ai contenuti, su cui ci sarebbe molto da dire e da discutere, ci interessa anche il tuo modo di fare teatro. Ti inseriscono spesso dentro un teatro di narrazione. Se è teatro di narrazione, che tipo di narrazione è la tua? Abbiamo visto e ascoltato altri attori di narrazione, come Marco Paolini, Mimmo Cuticchio e, in questa stessa rassegna di Teatro Giovani, Ulderico Pesce e Mario Perrotta. C è una differenza tra il tuo teatro e il loro? Differiscono solo i temi? C è differenza soprattutto nel momento in cui uno va in scena da solo ed è autore del suo andare in scena. Ad esempio Mario, che conosco molto bene, ha scritto il testo, ha fatto la sua regia, fa i movimenti, ma sostanzialmente è lui che costruisce il suo andare in scena. E chiaro che è molto diverso il lavoro che faccio io da quello che fa Mario, che fa Mimmo e fanno molti altri, perché siamo molto diversi noi. Io una volta all SPDC di Perugia non sapevo come chiamare i matti. Pazienti, matti, utenti, disagiati mentali. Parlando con il dottor Scotti, dirigente dell SPDC, io dissi: Queste persone. Lui mi disse: Non possiamo parlare di persone, perché sennò sembra che siano tutti uguali e invece noi dobbiamo partire dal presupposto che ognuno ha la sua identità. Sennò, se consideriamo questi tutti con identità simile, cadiamo anche noi nello stesso loro problema di percezione. Per cui in un teatro dove l attore è un solista, tutti gli approcci e gli spettacoli sono molto diversi. Io, quando penso alla narrazione, penso che tutto il teatro è narrazione, nel senso che si raccontano sempre storie. Con la differenza che c è un teatro dove le storie si raccontano attraverso la dinamica dei personaggi, per cui sostanzialmente si chiede allo spettatore di accettare una finzione, che è quella che ha davanti agli occhi. Cioè gli si dice: Immagina che io sia Amleto, come se non fossi a Jesi ma in Danimarca, come se non vivessimo nel 2006, bensì in un altra epoca del passato. Ecco: tutti questi come se nel mio teatro non ci sono. La finzione, se c è, è quella del racconto, è la storia finta, non quello che accade davanti agli occhi dello spettatore. E lo spettatore produce un immagine: è lo spettatore che immagina un personaggio, è lo spettatore che immagina i luoghi, non sono io che li faccio vedere. Credo che questo sia lo scarto rispetto al teatro a cui noi siamo abituati per convenzione, soprattutto dell 800 e del 900. Credo che il teatro del come se sia un po vecchio, anche se nella letteratura e nella storia dell arte e nella cultura difficilmente una cosa diventa vecchia. C: Un espressione ricorrente del tuo precedente spettacolo, Scemo di guerra, è: Tanto per dire. E così importante questo dire, anche quando sembra che non lo sia, perché è un parlare semplice e comune tra persone semplici e comuni? Per me è importante che le parole che dico siano poco importanti, perché è importante l immagine che sta dietro. Se veramente noi prendiamo la parola per il suo significato logico - che viene da logos: detto una volta per tutte - come prima cosa dovrei imparare il testo a memoria. E non lo so a memoria. Per me non esiste un testo a memoria. E come uno che torna da un viaggio: non è che se sei stato in India ti chiudi a casa due settimane e ti scrivi il viaggio, poi te lo impari a memoria e lo racconti agli amici. A volte anche questo è teatro, anzi buona parte del teatro funziona così ed è assolutamente rispettabile. Io penso che torno da un viaggio e racconto con parole mie in quel momento quel viaggio. Ad una persona gli posso raccontare in un quarto d ora, un altro che mi rompe le scatole in cinque minuti e un altro che mi sta a sentire in due ore. Per questo il dire per me è più importante delle parole che 11

10 INTERVISTA AD ASCANIO CELESTINI Spettacolo teatrale al Pergolesi: La pecora nera. Elogio funebre del manicomio elettrico dico. C: La Pecora nera è anche il risultato di laboratori Storie da legare, condotti da te per studenti e giovani attori. Come si legano queste storie ascoltate, poi trasferite, dove, come? Si passa dall ascolto alla scrittura? Si passa ad una scrittura orale e non scritta, nel senso che io pian piano da queste storie inizio a pensare ad una storia che poi racconterò, che è fatta delle storie che ho ascoltato, ma è fatta anche da altre storie e da coincidenze e da storie che non c entrano niente con istituzioni psichiatriche. E pian piano io fisso la storia, non le parole. Quindi c è una prima scrittura che è orale, poi c è anche la scrittura scritta, nel senso che io, da quando ho debuttato con lo spettacolo, ho iniziato a scrivere il testo, perché diventerà un testo scritto, che pubblicherà l Einaudi a settembre. Però la scrittura scritta per me arriva in un secondo momento rispetto alla scrittura orale. Prima c è la storia e poi io mi metto a scriverla. C: Preferisci ascoltare storie che leggerle? Diciamo che ho letto abbastanza, anche se tendenzialmente mi piace più leggere libri, come quello di Alberto Papuzzi degli anni 70, pubblicato da Einaudi e intitolato: Portami su quello che canta. Processo a uno psichiatra. Sono raccolte di storie, fatte nel manicomio di Torino dove lavorava Giorgio Coda, questo psichiatra che faceva l elettromassaggio, che è come l elettroshock, ma l intensità è più bassa e dura secondi. E il paziente, che era alcolizzato, resta lì attaccato, mentre il medico gli diceva: E buono il barbera? Ti piace il sangiovese?. Intanto quello stava attaccato all elettricità. Se fosse stato un masturbatore, gli avrebbe chiesto se gli piacevano le donne bionde o more. Per cui mi è piaciuto di più leggere storie anziché i saggi. Poi è chiaro che i lavori di Foucault o di Jervis sono molto importanti, o le pubblicazioni di Basaglia e la raccolta di tante assemblee fatte negli anni 70 o 80 sono interessanti. Però a me interessava di più raccogliere le storie delle persone, perché nelle storie delle persone cogli anche delle contraddizioni che, quando uno si mette a scrivere un testo su cos è il manicomio, le contraddizioni sfumano. Pochi giorni fa per caso una sera, mentre litigavamo tra amici sul fatto se esiste una coscienza, una memoria o un identità collettiva o individuale, ad un certo punto uno ci dice che le cose che ha vissuto lui se le ricorda solo lui. E per esempio sulle leggi razziali ci racconta che nel 38, quando era ragazzino, torna a scuola a settembre e alcuni compagni non ci sono. Ne incontra uno per strada qualche giorno più tardi e gli chiede perché non è più in classe con lui. E questo gli risponde: Non vengo a scuola perché sono ebreo. E lui gli dice: Beato te che sei ebreo!. Questa è anche la retorica che abbiamo sulle leggi razziali. Ti racconta ugualmente che quel bambino non poteva venire a scuola perché era ebreo, ma non te lo dice con quella pesantezza un po in bianco e nero com è la giornata della memoria. Forse la cosa è persino più violenta, però è più concreta e riguarda più noi. Io le leggi razziali non le ho vissute. Il razzismo, quello dell ebreo che non può entrare a scuola, l ho vissuto solo sui libri. E invece l odio per la scuola, che uno sente in maniera viscerale soprattutto quando è bambino, l ho vissuto. L idea, che un mio compagno non veniva a scuola perché stava male, mi faceva pensare: Beato lui perché sta male!. Questa è concretezza, è la storia individuale la cosa importante. Certo, se poi svincoliamo la storia individuale da un avvenimento che riguarda la collettività, poi non ci capiamo più niente. Non raccontiamo Napoleone o Berlusconi attraverso la mia vicina di casa, però se ci stacchiamo dalla concretezza delle storie personali non ci capiamo più niente. Quando una persona mi racconta il lavoro che sta facendo e non mi parla di persone con un nome e un cognome, io non lo seguo più e non gli do nemmeno troppo credito. Le nostre esperienze sono individuali, poi certo le dobbiamo ricollegare, legare, gli dobbiamo dare un ambiente, un contesto, però le motivazioni nostre sono quasi sempre individuali. Abbiamo scelto di fare un lavoro perché siamo legati a quella persona piuttosto che ad un altra. C: Prossimo lavoro? Penso che lavorerò sul lavoro precario. Sto raccogliendo storie sul lavoro precario, probabilmente sui Call Center. (Foto di Laura Zappelli) 12

11 Esperienze in Gruppo-Appartamento E pensare che non sapevo neppure buttare giù la pasta! Fabrizio, la persona intervistata, vive in un gruppoappartamento (o casa-famiglia) del Dipartimento di Salute Mentale di Jesi. Si tratta di un appartamento che può ospitare fino a cinque persone, grazie a due camere da letto doppie e ad una camera da letto singola. L appartamento permette agli utenti del DSM, nell ambito di un progetto terapeuticoriabilitativo di autonomizzarsi dalle famiglie di origine e di salvaguardare, nello stesso tempo, i legami di affetto e di sostegno reciproco con i parenti. Quando un utente si inserisce in un GA, significa che è alla fine di un percorso terapeutico ed esistenziale, iniziato, spesso anni prima, con una presa in carico territoriale da parte del Centro di Salute Mentale e continuato, successivamente e per particolari motivazioni, in ambito residenziale attraverso la struttura intermedia dell SRR (Servizio Riabilitativo Residenziale). Intervista a Fabrizio Moretti a cura del Gruppo scrittura SRR Fabrizio, com è nata la tua esperienza in GA? Dopo tre anni di passati all SRR, a luglio del 2005 il dottore, visto che avevo raggiunto una buona maturità nell affrontare i problemi, mi propose di andare a condividere la vita di ogni giorno con quattro ragazzi in una casa-famiglia. Lì si fa vita di gruppo e per questo parliamo anche di gruppoappartamento. Si tratta di una struttura a carattere riabilitativo e si trova qui a Jesi in via Scotellaro, dove le persone vivono senza che ci sia la presenza continua degli operatori. Chissà che paura o che felicità? Io fui molto felice di accettare tale proposta, perché essa rappresentava una possibilità di vivere più autonomamente e quindi era per me un grande passo in avanti. Non avevo paura anzi ero sereno ed orgoglioso per i miei progressi, anche se, ripensandoci, un po di paura c era comunque. Ma allora incontrasti anche delle difficoltà? Sì, in realtà ebbi delle difficoltà, che all inizio erano soprattutto relative alla cucina, perché anch io, come tutti, dovevo essere capace di preparare dei pasti per gli altri compagni di appartamento. For- tunatamente Daniela, una delle ragazze che abitava in via Scotellaro, mi ha sempre aiutato e di fatto mi ha insegnato a cavarmela. E pensare che non sapevo neppure buttare giù la pasta! Quali differenze sostanziali hai incontrato fra la vita dell SRR e il Gruppo Appartamento? Come accennavo all inizio, al GA si ha più autonomia rispetto alle decisioni da prendere. Se, ad esempio, decidiamo di uscire, abbiamo la libertà di decidere dove, quando e come, anche se non è che tutto sia più semplice. Cioè? La comunicazione, per fare un altro esempio, è più difficile nel GA, perché ognuno ha i suoi problemi e non sempre pensa di condividerli, sia per una sorta di pudore personale sia per non dare pesi e fastidi agli altri. All SRR invece c é sempre comunque qualche operatore, che cerca di favorire il dialogo e che ha il compito di aiutarci a risolvere i nostri problemi. Al GA siamo più liberi, ma dobbiamo autogestirci e in queste situazioni, a volte, rischiamo di rinchiuderci, ognuno solo nella propria stanza, preso dalla malinconia. Chi sono gli altri ragazzi, che tipo di persone sono? All inizio gli altri ragazzi con cui condividevo i problemi di tutti i giorni erano Walter, Andrea ed Umberto, che già conoscevo e con cui sono sempre andato d accordo. Fermo restando le difficoltà di comunicazione cui accennavo prima, con tutti avevo comunque un dialogo vivo e vero, anche se ciò è stato possibile ancora una volta grazie a Daniela. Lei era brava tanto sul piano dell organizzazione, quanto su quello della capacità di coinvolgimento. Con Daniela era più facile parlare. Quando lei se ne andò, a settembre, perché aveva trovato un appartamento dove poter vivere da sola, io mi sentii un po più triste, perché avevo l impressione che si fosse rotto un equilibrio, in cui tutti e non solo io ci sentivamo a nostro agio. Successivamente arrivarono Gajur, un giovane macedone, al posto del vecchio Umberto. Anche lui se ne andava, ma in un altro gruppo-appartamento. L atmosfera nella casa era cambiata. Avevamo perso la nostra guida e quindi ci sentivamo un po demoralizzati. Fortu- 13

12 Esperienze in Gruppo-Appartamento natamente, qualche settimana dopo, arrivò anche Teresa, che nonostante le sue paure quasi adolescenziali, riportò un po di solarità e di fiducia tra noi tutti. Ora la comunicazione sembra essersi un poco riattivata. Il senso terapeutico del vivere assieme consiste nella possibilità di combattere la chiusura nei confronti del mondo e la solitudine. Ma tu, Fabrizio, frequenti altre persone oltre ai compagni dell appartamento? A parte i parenti, ho delle conoscenze al bar, ma non delle vere amicizie. Al mio paese ho degli amici, ma tutti si sono costruiti una famiglia, per cui i rapporti con loro si sono allentati. Cambiamo argomento. Il tempo libero, dopo cena, è davanti alla TV? Alle 21 e 45 circa prendiamo la nostra terapia e ce ne andiamo a letto abbastanza presto. E non vedete neppure i programmi delle 23? No. (Ovvio, mica siamo normali! - Nota della redazione) Riguardo all organizzazione, trovi utile l istituzione dei due gruppi settimanali coordinati dalle operatrici? Naturalmente stai facendo riferimento al gruppo organizzativo, che affronta la gestione pratica della casa e a quello comunicativo, che si tiene per favorire il dialogo e scambio affettivo tra di noi. Sì, si tratta di due strumenti utili, anche per quello che spiegavo prima. In effetti non è facile dire le cose: a volte si ha paura di offendere, di dire cose sbagliate ed anche di provocare reazioni spiacevoli. Il risultato è che si comunica poco. Mi trovo bene, però, con Teresa e con lei ogni paura cessa e, anche se spesso mi prende in giro, alla fine mi sento compreso e sono disponibile a ricevere i suoi consigli. Questo a volte però può essere un problema, perché il rapporto confidenziale che si crea tra due persone rischia di escludere gli altri e di innescare sentimenti di gelosia. Ma forse sono troppo analitico. In fondo Gajur, l altro giorno, mi ha aiutato a tagliare le unghie dei piedi. (Fabrizio ha i postumi di una frattura all omero) Ma, in sostanza, come si vive, oggi, in casa-famiglia? Tra di noi, in questo periodo, c è più agitazione. Io mi sento più agitato anche per motivi personali, perché penso alla mia casa di Filottrano e ne ho nostalgia. Però, al di là dei sentimenti personali, c è un emozione che pervade un po tutta la nostra casa ed il nostro spazio in comune, che non riguarda tanto i problemi organizzativi che, grazie alle riunione settimanale con le operatrici, possono essere affrontati. Quello che agita me e gli altri sono le preoccupazioni che ognuno di noi può avere e che non riesce né a tenersi per se stesso né a condividere in modo costruttivo con gli altri. Bene, pertanto, il gruppo di comunicazione di cui parlavamo prima. Tu sei molto sensibile. Come reagisci quando vedi che qualcuno sta male? Beh, confesso che qualche volta mi metto a piangere. Altre volte, invece, cerco di fare coraggio, di rassicurare chi è in difficoltà. Dacci una nota conclusiva, positiva! Oggi posso dire che vivere in casa famiglia ci rende più autonomi nella vita di tutti i giorni. Ci induce ad un dialogo continuo con i compagni di appartamento, per affrontare mille questioni, a cominciare dai soldi che spendiamo. In fondo, se mi volto e guardo indietro, un po di strada l ho fatta! A questo punto un lavoretto come custode ce l ho... Mi è rimasto solo di trovare una donna per poter convivere... E scusate se è poco! 14

13 Teresa Nicoletti Il peso del mondo è amore (A. Ginsberg) Ho trascorso i miei più brutti giorni di malattia, fino a poco tempo fa, nel Gruppo Appartamento che attualmente è la mia casa, condivisa con altri quattro ragazzi. Spero di essermi lasciata definitivamente alle spalle la febbre alta, la sciatica, le vertigini ed il vomito, anche se non so come ho fatto finora. In certi momenti, addirittura, penso di avere qualche fattura addosso! E pensare che avevo trovato quel posticino di lavoro in palestra. Mi piaceva tantissimo. Anche se ripenso a quanta fatica facevo per andare e quante paure dovevo superare... Beh, allora non so se varrà la pena proseguire con questo impegno, che ogni giorno diventa più pesante. E pensare, poi, che avevo anche proposto ai miei amici di Asiamente di fare una romantica gita a Venezia E invece ho trascorso i miei più brutti giorni di malattia! E invece holasciatica! Che è quasi diventata una tiritera, un ossessione e un mio modo di sentire e non (solo) una parolaccia. Però, bene o male, me la sto cavando da sola e, anche se ogni tanto i miei genitori passano a casa nostra, ormai, posso dirlo, vivo finalmente fuori casa. E dunque... Coraggio! Cronache dal Gruppo-Appartamento HOLASCIATICA! (ma le mie reni cantano ancora) La vita, i dolori, le difficoltà, i sogni e le speranze di una donna che tenta un percorso di autonomia. In effetti ho continuato a fare quello che è necessario fare in casa, soprattutto cucinare. Il risotto alla milanese, le polpette con i piselli al ragù, il polpettone, il dolce con il cacao e il pan di Spagna, sicuramente sono meglio dell aspirina e del voltaren, avendo anche un buon effetto antidepressivo. Così adesso non so se sono stanca, perché ho i dolori della sciatica, oppure perché lavoro tutto il giorno. Spero solo di ritrovare la forza di cantare, perché quando ero ragazzina quello era il mio sogno. Diventare una grande, bella e splendida cantante! 15

14 L ultimo giorno de fadiga di un uomo raro AGOSTINO SE NE VA Il saluto di un operatore della psichiatria, che ha fatto dell impegno e della dedizione al lavoro e soprattutto agli utenti una pratica tenace ed autentica. A lui sono dedicate due poesie: l una di Marco Bordini, jesino del rione San Pietro, poeta vernacolare e commediografo, l altra di Leonello Marchionni, psichiatra e già direttore del DSM di Jesi. Agostino Ciciliani Ciao a tutti gli operatori che lavorano nel DSM e a tutti gli utenti e familiari che usufruiscono dei servizi. La decisione di ritirarmi dal lavoro non è venuta come un lampo a ciel sereno, ma è stato il frutto di riflessione interiore profonda e di una valutazione ponderata degli aspetti positivi e/o negativi. Mi ritengo fortunato, perché ho avuto dal mio lavoro molto di più di quanto potessi immaginare, quando a 20 anni scelsi di svolgere la professione di infermiere. I passaggi più importanti della mia vita lavorativa hanno avuto inizio con il percorso formativo legato a questa professione. Tutto è andato bene con la teoria ma, quando iniziai la pratica nei reparti, ho visto un sistema di assistenza che mostrava già i suoi limiti. In un primo periodo ho lavorato presso i laboratori protetti. Quello di Jesi venne aperto proprio nel 1973, per poi essere chiuso negli anni 80. Dal 1975 lavorai presso l ospedale psichiatrico di Ancona ed ho assistito alla trasformazione dei reparti, che non erano più assegnati con i numeri, ma a settori per città referente, come Ancona, Jesi, Senigallia, Fabriano, Osimo. All interno di ogni settore erano presenti tutte le patologie e da questa trasformazione, secondo il mio modesto parere, avvenne la svolta. Nell anno 1978 la legge 180 aprì tutte le porte degli ospedali psichiatrici e già due anni prima della sua entrata in vigore era presente a Jesi un ambulatorio chiamato C.I.S. (Centro di Igiene Sociale). Nel luglio del 1978 si aprì a Jesi il reparto di psichiatria, dove ho lavorato fino ai primi anni 80 per poi andare nell ambulatorio territoriale. Molta strada è stata percorsa, ma altrettanta ne rimane da percorrere. I cambiamenti attraverso esperienze nuove, che riguardano i servizi offerti all utenza come esperienze di gruppi appartamento, strutture riabilitative, ecc... cercano di avvicinare i confini delle diverse patologie e sono stati valorizzati anche grazie alle esperienze passate. In questo lavoro non bisogna mai lasciar cadere le richieste come se fossero irrealizzabili, ma si deve guardare oltre quello che sembra irraggiungibile e cercare di L ultimo giorno de fadiga Oggi è l ultimo giorno, vo n pensiò! Cchiudo ccuscì na pagina de vida! Forse girò a fa niè, forse nigò! Chissà que me riserva la fadiga? Sarà solo rimpianto del passado? Amici cari che non vedrò più? Oppure, n sentènnome occupado, me scoprirò che n servo più a niscjù? L core, pure lu, ngià s è avvilido sente ch è rivado a sta fermada. Que la baldanza, quanno ch è partido, l ha persa piano piano pe la strada. Vorìa spaccàsse n piccoli pezzetti sentisse ancora vivo pe qualcò. Vorìa po rcoje su tutti i coccetti pe facce n consuntivo de nigò. Solo na cosa è certa, è veridà quanto ce tiengo, l sà solo Dio! Vorìa l saludo che ve stò pe dà fosse n arrivederci, no n addio!!! Marco Bordini 16

15 L ultimo giorno de fadiga di un uomo raro capire fino in fondo il bisogno profondo della persona che si ha in cura. Il DSM cerca di dare sempre più risposte mirate al bisogno, soprattutto in senso farmacologico e sociale, per soddisfare le aspettative di una vita migliore. Queste nuove realtà che vivono i pazienti psichiatrici sono certamente il risultato di un lungo cammino di trasformazioni, lotte e ricerche condotte da tutti gli operatori, che hanno sempre creduto in un futuro migliore per questo tipo di patologie. Le esperienze vissute direttamente dagli operatori, che si sono trovati in prima linea ad affrontare problematicvhe che oggi si danno per scontate, sono certamente una ricchezza che non dovrebbe andare perduta, ma dovrebbe essere valorizzata per garantire un passaggio di nozioni tra generazioni e per far capire meglio il lavoro da svolgere sia nelle realtà sanitaria che in quella sociale. Per me questa è stata una meravigliosa esperienza che è durata più di 35 anni e nonostante le difficoltà incontrate, le critiche, le lotte, gli aggiornamenti professionali, lo studio e l impegno di ogni giorno, penso di aver ricevuto più di quanto sono riuscito a dare. Questo lavoro, che ho sempre svolto con passione, mi ha permesso di guardare avanti e di essere portatore di idee innovative, a volte anche contrastate, che in diverse occasioni sono risultate vincenti. Non è facile dimenticare tutti i pazienti che, con le loro ragioni, hanno fretta di uscire dal tunnel della sofferenza e con i quali ho condiviso un tratto di strada piena di insidie e difficoltà, che però hanno arricchito con esperienze diverse la nostra vita. Mi mancheranno i colleghi con i quali ho avuto modo di avere scambi di opinioni su vari problemi, le riunioni ricche di contrasti ma anche di apprezzamenti e la quotidianità dello stare insieme, per svolgere una professione che non si impara solo sui libri, ma si vive soprattutto con il cuore. Ai miei colleghi vorrei chiedere scusa, se a volte ho disatteso le loro aspettative e non sono stato all altezza del compito che mi era stato assegnato. Posso assicurare che ho sempre cercato di dare il meglio di me stesso, agendo in buona fede e cercando di coinvolgere tutti gli operatori trasmettendo la mia voglia di fare e di amare la mia professione. Con la speranza di rimanere nei vostri ricordi, vi auguro un buon lavoro. Ciao a tutti. Gli uomini rari Gli uomini rari per monti e per mari non sono graditi. Tra aziende e partiti in macchina o a piedi neanche li vedi. Col dito e con gli occhi neanche li tocchi, con voglia ed intenti neanche li senti, in lite o in perdono neanche ci sono. D inverno e d estate non ve ne occupate, dall alba al tramonto non se ne fa conto, tra siepi e tra rovi è lì che li trovi, a volte li pesti o li pesteresti. Sarà la loro assenza a dirne la presenza, più lontano e tanto più vicino sarà sant Agostino, oggi della pensione siamo al varo addio Agostino più unico che raro. Leonello Marchionni 17

16 Bilancio di un anno e mezzo di attivita socioriabilitativa nel reparto UN EDUCATORE IN REPARTO Si sa che il reparto rappresenta la cittadella o la roccaforte della psichiatria, cioè di una psichiatria ancora legata alle sue figure tradizionali e storiche, lo psichiatra e l infermiere, e ad una terapia a dominio farmacologico. Sapere perciò che nel reparto del Murri da circa un anno e mezzo vi lavora anche un educatore è sorprendente e ciò rappresenta sicuramente una innovazione. Ma cosa ci fa un educatore in reparto? E lo stesso educatore a dircelo, nel momento in cui ne trae un bilancio. Vittorio Lannutti Dopo quasi un anno e mezzo che lavoro nel reparto psichiatrico di Jesi, come educatore, è giunto il momento di fare qualche bilancio e di condividerlo con i lettori di Capo Horn. Quando a febbraio dell anno scorso mi fu fatta questa proposta, l accettai con molto entusiasmo, anche perché per un educatore, per evitare il burn out, è salutare, di tanto in tanto, cambiare settore. La proposta, che mi è stata fatta un anno e mezzo fa circa e che sto rispettando, era di svolgere con i pazienti ricoverati attività con finalità socioriabilitative, per due volte la settimana: i pomeriggi di martedì e giovedì. In questo lavoro vengo affiancato dalla validissima volontaria del servizio civile, Silvia Coltorti, che oltre a svolgere la funzione di osservatrice, spesso interviene, per integrare i miei interventi. La presenza di un educatore all interno del reparto psichiatrico potrebbe sembrare per alcuni una stranezza, mentre per il sottoscritto è la conseguenza naturale sia di un percorso professionale sia dell essenziale rivoluzione apportata da Franco Basaglia in questo settore. L idea di far entrare un educatore nel Spdc (Servizio psichiatrico di diagnosi e cura) chiaramente non è del sottoscritto, bensì del primario. Secondo il dottor Mari, infatti, con il tempo la psichiatria dovrà sempre più demedicalizzarsi e uno dei mezzi per raggiungere questo obiettivo è proprio la mia presenza nel reparto. L attività socioriabilitativa ha una continuità con i gruppi terapeutici (condotti da psichiatri e tirocinanti psicologi), che si svolgono nelle mattine di lunedì, mercoledì e venerdì. Infatti il venerdì, dopo il gruppo, partecipo alla riunione settimanale con gli altri componenti dell equipe del reparto. In questa riunione, oltre a discutere dell andamento delle attività e dei gruppi, si valuta quali possono essere le tematiche e le attività che posso proporre la settimana successiva. Le attività socioriabiliative che propongo ai pazienti sono di vario tipo. Quella maggiormente svolta con la bella stagione è la passeggiata nel parco del Murri, mentre quando si resta in reparto, tendo sempre a stimolare il loro grado di consapevolezza attraverso vari strumenti, quali il disegno e/o la scrittura, l ascolto della musica o l osservazione dei disegni rappresentativi che forniscono loro, sui quali riflettere. In particolare, per quanto riguarda le espressioni creative, queste vengono sempre stimolate da un tema, come per esempio: l autorappresentazione, il porsi delle aspettative riguardo alle dimissioni o alla sfera sentimentale. Per fare un esempio concreto: se nella riunione del venerdì emerge che tra i pazienti c è molta rabbia nei confronti dei genitori, la settimana successiva proverò a lavorare su questo sentimento, se permane anche il martedì, chiedendo loro di pensare all ultima situazione (descrivendola su un foglio, in modo che abbiano l opportunità di riorganizzare il proprio pensiero), in cui hanno provato rabbia e se sono riusciti ad esprimere questo sentimento o al contrario se sono stati in silenzio. In questo caso si fa leva, proprio sul non detto, per cercare di arrivare a far prendere consapevolezza al paziente del proprio sentimento, qualora non si permetta di viverselo. Essendo quella del reparto una realtà molto variabile e con un alto tasso di turn over, si è reso indispensabile avere un certo bagaglio di attività da proporre di volta in volta ai pazienti. La situazione di acuzie che si trova nel reparto è incompatibile con un approccio eccessivamente rigido e normativo, per cui, ogni volta che vado nel reparto ho sempre due o tre proposte da fare ai pazienti ed in ogni caso, prima di esporle, ascolto loro per capire quali sono le loro esigenze. Quando poi la situazione è particolarmente confusa, cerco un filo conduttore sul quale cercare di strutturare un attività. Dovendo fare un bilancio mi ritengo abbastanza soddisfatto, perché l affluenza dei pazienti è generalmente tra un terzo e la metà di quelli ricoverati, e perché gli stimoli sono stati spesso efficaci, dato che in diverse occasioni i pazienti hanno intrapreso o alimentato il loro percorso di autoconsapevolezza, che poi hanno continuato a sviluppare nei gruppi terapeutici o nei colloqui con gli psichiatri. Per quanto riguarda gli aspetti meno positivi, c è da rilevare la resistenza di alcuni pazienti, che vengono ricoverati con una certa continuità, a partecipare alle attività, così come ai gruppi terapeutici. Questo lavoro comunque continua ad essere molto stimolante ed intrigante, soprattutto perché sto sperimentando sempre più la possibilità di entrare con loro in empatia e di instaurare una relazione d aiuto. 18

17 Museo-Laboratorio della mente Ospedale psichiatrico Santa Maria della Pietà, Roma I FAGOTTI Due operatori in visita all ex manicomio romano di Santa Maria della Pietà ne fanno il resoconto, riflettendo e commovendosi di fronte alla realtà manicomiale, testimoniata da un filmato, da documenti, oggetti storici, nonché da una guida particolare. Di questa realtà emergono così i suoi elementi costitutivi: il concentramento, la discriminazione, la spoliazione, la perquisizione, l isolamento, la sorveglianza, la contenzione e i trattamenti biologici. Luca Di Maio ed Emanuela Abriani La prima parola che ci viene in mente per cercare di trasmettere ad altri quello che abbiamo vissuto, insieme ad alcuni amici, il 17 giugno a Roma nel visitare il Museo-Laboratorio della Mente dell Ospedale Psichiatrico Santa Maria della Pietà è impressionante. Questo aggettivo è per noi quello che esprime meglio le sensazioni di sgomento, depressione e rabbia con i quali ci siamo ritrovati a fine giornata. Non è nostra intenzione giudicare negativamente questa esperienza, anzi abbiamo l intento di sottolineare l estrema importanza ed utilità per un operatore della salute mentale di andare a vedere un luogo del genere. Ma lasciamo spazio al racconto. Seduti comodamente sulle poltrone della Sala Franco Basaglia dell ex manicomio, ascoltiamo la nostra guida, il sig. Adriano Pallotta, un infermiere che ha lavorato per quarant anni in questo stesso ospedale. Parla dell istituzionalizza zione del malato mentale e degli operatori Ci stavamo quasi annoiando, quando ad un tratto dice: Adesso vedrete delle immagini che non risalgono all ottocento, ma a circa trenta anni fa. Vi assicuriamo, da operatori impegnati nella salute mentale, che tutto quello che abbiamo studiato su centinaia di pagine di manuali di psicologia e psichiatria, in anni di università e tirocini formativi, è stato spazzato via in pochi attimi durante la visione del filmato. Storia della follia di Foucault non rende l idea di quello che è la manicomialità. Persone di tutti i generi, uomini, donne, bambini, prostitute, minorati mentali, uomini affetti da handicap, tutti insieme, con addosso pochi stracci o camicie di forza, convivevano in recinti di pochi metri. Le immagini scorrevano lentamente e ad ogni persona, ad ogni storia, ad ogni volto commentato da una voce e da una musica di sottofondo, non abbiamo potuto trattenere le lacrime. Cosa può portare un essere umano a trattare un suo simile in quel modo? Che scuse si possono avanzare? Ancora con le immagini del filmato in mente, ci dirigiamo verso la sezione del museo allestita con documenti storici e sale tematiche. Con un certo trasporto affettivo l infermiere ci racconta come era ed è tuttora impossibile riuscire a dare un senso, una spiegazione logica, alle regole che governavano il manicomio. I primi ad essere sottoposti a questo non-senso sociale erano proprio loro, gli operatori. L Ospedale, infatti, era diviso in due grandi settori, quello maschile e quello femminile, tra i quali non dovevano esserci contatti. Questa divisione non era solo per i pazienti ma anche per gli infermieri, che dovevano entrare in servizio separati, gli uomini alle ore otto e le donne alle ore nove. Forse c era una sorta di paura del contatto? Di un rapporto umano? Altro elemento da notare: i padiglioni dei pazienti erano a tema. C era il padiglione dei tranquilli, dei cronici, dei violenti, dei tubercolotici, etc. I simili con i simili. Poco dopo entriamo nel museo vero e proprio, ricavato da uno di questi ex padiglioni, e la guida ci fa vedere una stanza allestita con oggetti originali. Su dei ripiani erano riposti alcuni pacchi di carta ruvida, chiamati fagotti, e in mezzo alla stanza due manichini con divise diverse. Che stanza era? (Fig. n 1). Qui i pazienti venivano spogliati di tutte Fig. n 1 le loro cose, dei vestiti, delle foto, dei libri, degli occhiali e rivestiti con una divisa simile a quella dei carcerati. Sembrava che dovevano essere spogliati della loro umanità, della loro storia, della loro soggettività per afferire allo status di malato mentale! Assurdità nell assurdità, tutte le sere dovevano essere perquisiti! L intero Ospedale era un luogo autosufficiente, perché dotato di una propria azienda agricola, di medicheria, di calzoleria, di sartoria. Un luogo 19

18 che sembrava bastare a sé stesso. Un piccolo mondo a parte, costruito all interno del mondo reale, dove niente sembrava riabilitare o guarire, ma solamente alienare ed isolare. Rimanere nella stessa condizione di come era entrato era la cosa migliore che poteva accadere ad un malato mentale. Sedute di elettroschok, cinghie di contenzione ed altri trattamenti, chiamati biologici, erano infatti all ordine del giorno. Ci hanno colpito alcune parole scritte in uno dei cartelloni appesi al muro, memoria di un paziente sottoposto ad elettroschok: Intanto uno di loro mi ha bagnato le tempie e Suor Romilda mi ha premuto sopra due elettrodi collegati con un cavo alla macchina. Pronto?, ha chiesto il dottore. Pronto!, ha risposto Suor Romilda premendo con forza, mentre io, immobilizzato e spaventato, seguitavo ad invocare la mamma. Poi più nulla. Ho perduto immediatamente coscienza. Chi il vero folle qui? Dove la psicosi? Particolarmente toccante la visione della camera di isolamento e contenzione. Legate alle sponde di un lettino di ferro, c erano due diverse cinghie di stoffa, una più spessa e larga e l altra più fina e stretta. A cosa servivano quelle più piccole? chiede il sig. Pallotta. Osa una signora con un filo di voce: per i bambini. Nelle parole dell infermiere, che per anni aveva dovuto eseguire i comandi dei medici, tutta l angoscia di avere fatto passare per malattia mentale un moto naturale di gioia, di vivacità ed allegria di un bambino che bisticciava con un compagno. Eseguire o non eseguire un comando, essere aguzzino o insubordinato? (Fig. n 2) Il sig. Pallotta conclude il nostro giro facendoci vedere il vero strumento dell infermiere: il mazzo di chiavi che teneva appeso alla cintola, con cui apriva Fig. n 2 tutte le porte e le finestre, e la trombetta di corno di bue con cui si poteva chiamare aiuto, se c era una situazione difficile o se un paziente era riuscito a fuggire (Fig. n. 3). Non abbiamo potuto fare a meno di notare, che il sig. Pallotta teneva le sue chiavi di casa appese alla cinta dei pantaloni. Forse ci sono abitudini dure a morire (Fig. n. 4). Salutandoci gli abbiamo Museo-Laboratorio della mente Ospedale psichiatrico Santa Maria della Pietà, Roma chiesto: Signor Adriano, dove la troviamo se la volessimo rincontrare?. Dopo pochi secondi: IN MANICOMIO!. Ci ha colpito come in questo uomo, dopo tanti anni passati al servizio dei Fig. n 3 malati mentali, coesistano ancora una grande ironia e la capacità di commuoversi al solo trasmettere oralmente queste storie. Più volte, infatti, nel corso della giornata lo abbiamo visto con gli occhi lucidi. Sentivamo i brividi che ci percorrevano la schiena e le sue parole entrarci in vena. Fig. n 4 Sarebbe troppo lungo e impossibile da trasmettere tutto quello che ci ha dato l andare a vedere il Museo della Mente. Se lavorate nell ambito della salute mentale ve lo consigliamo vivamente. Probabilmente capirete e capiremmo di più e meglio la natura umana, a volte divina e troppe volte animalesca che ci abita. E stato un viaggio per non dimenticare, un viaggio per interrogarsi, riflettere e assaporare la storia seppur tragica di quelle persone. Forse con il museo si è tentato appunto questo, non dimenticare, esorcizzare. Ascoltando la nostra guida ci siamo chiesti: Ma non prova dolore a rievocare continuamente tutte le barbarie che ha dovuto eseguire?. Pensiamo di no, è un modo per tentare di dare finalmente dignità alle persone che sono passate lì in quegli anni. Nella stanza dei fagotti c erano due manichini con le divise femminili e maschili, l uno accanto all altro e sembravano quasi tenersi per mano Be, finalmente insieme. La vista al Museo-Laboratorio della Mente è gratuita. Va prenotata contattando la segreteria del Museo dal lunedì al venerdì ore ai numeri di telefono (Foto di Emanuela Abriani) 20

19 Pozzuoli. Torneo di calcio a sette La testa nel pallone L AFA (Asiamente Futuro Anteriore) è stata invitata dagli amici di Pozzuoli a partecipare al 2 Torneo di calcio a sette La testa nel pallone, che ha viste impegnate compagini da molte regioni d Italia. Consapevoli di non poter adeguatamente ringraziare per la loro calda ospitalità gli organizzatori e chi si è preso cura di noi (in particolare Gino e Raffaele), vogliamo almeno offrire la cronaca di quella che per noi è stata non solo la partecipazione ad una bella manifestazione agonistico-sportiva, ma anche e soprattutto un viaggio ed un esperienza. Gabriella Tiribelli Domenica 23 ottobre sono stata chiamata per telefono affinché partecipassi al Torneo nazionale 2005 di Calcio a sette di Pozzuoli, non tanto come giocatrice, quanto piuttosto come inviata di Capo Horn. Così, la mattina dopo, sveglia presto per la partenza alle ore 6. Simone, appena giunto alle 5.45 all S.R.R., mi ha detto già che probabilmente farà il portiere e, messa la valigia nel bagagliaio, ha fumato qualche sigaretta. Poi è giunto Leonardo dallo sguardo un po tenebroso e dall andatura un po da giaguaro. Walter al suo solito si direbbe in forma. Marcello è tutto compreso in se stesso e pare pensieroso. Fabio Marchi era, naturalmente, alla guida del pulmino. Sulla strada fuori Jesi, con un po di nebbia mattutina che si stava diradando, preleviamo Marco e il dottor Ripanti. Non si sa Fabio quanto sia bravo nella guida e sicuro di sé e della strada. A me dà le seguenti spiegazioni: dobbiamo attraversare il sud delle Marche con l autostrada, poi l Abruzzo, passare per l Aquila e il Lazio, prendere l autostrada Roma-Caserta. Destinazione: Villaggio Stella Maris. In quanti siamo? In otto. Siamo il dottor Paolo, Simone, Walter, Marcello, Leonardo, Fabio ed io. Marco è tutto contento e vuole giocare, costi quel che costi. Ripanti è calmissimo e ha comprato il giornale. Subito dopo mi passa il programma della manifestazione a cui parteciperemo dal titolo: 2 Torneo Nazionale 2005 di Calcio a 7 dei D.D.S.S.M. La Testa nel Pallone con un convegno nazionale di Riabilitazione Sportiva Zona Cesarini Esperienze a confronto. Lungo l autostrada per Giulianova ci fermiamo in un autogrill a prendere un caffè. Vediamo l Aquila, il Gran Sasso con i boschi ingialliti dell autunno e poi via, attraversiamo il Lazio. Alle 13 Fabio è alla ricerca del Villaggio Hotel Stella Maris (Zona Varcaturo, Giugliano) e alla fine riesce a trovarlo. E bellissimo ed enorme, pieno di vegetazione con molte casette bianche. Il ristorante è grande con il soffitto di legno lavorato. I tavolini sono quadrati di quattro posti e noi si è mangiato sempre molto bene, dai primi ai secondi, ad un ottima pizza, alla frutta e al dolce. Fuori c era la discoteca con la musica sempre in sottofondo e i tavolini all aperto. Nel primo pomeriggio di lunedì apre l intera manifestazione il convegno Zona Cesarini, organizzato dal D.S.M. che ha inteso fare un omaggio ad un grande giocatore, passato alla storia del calcio perché andava in gol spessissimo a fine gara. Ancora oggi ci insegna che fino all ultimo c è sempre la possibilità di rovesciare un risultato a nostro sfavore, nel calcio come nella vita! Sono presenti le 12 squadre che partecipano al torneo, oltre a numerose personalità pubbliche campane invitate. Parlano alcuni operatori della psichiatria e qualche dottoressa. Parlano della salute mentale e dell importanza dello sport., ecc. Poi ci dicono come sono organizzati i vari gironi in cui si articola il torneo e veniamo a sapere che noi di Asiamente debutteremo martedì, affrontando tre squadre. Se otterremo buoni risultati, potremo accedere alla finale. Martedì mattina ci avviamo col pulmino e, nonostante il traffico napoletano, riusciamo a raggiungere lo stadio comunale di Pozzuoli. Simone se la cava ottimamente nel ruolo di portiere. Marco, però, ci si rende conto a poco a poco, non è molto bravo come al solito suo. Risultato della prima La gazzella dello sport 21

20 Pozzuoli. Torneo di calcio a sette giornata: le tre partite sono perse senza appello! Più tardi Simone mi confesserà sconsolato: La palla è passata tra le gambe prima al dottor Ripanti poi a me!. Tutto sommato una sconfitta onorevole per 1 a 0 contro la squadra che avrebbe vinto il torneo. La seconda partita invece è persa tre a zero, mentre la terza per 2 a 0. L AFA subisce l impatto violento di un clima estremamente competitivo cui non era abituata. Marco è stato più volte richiamato a compiti tattici di copertura difensiva, da Fabio e dal dottor Ripanti che hanno giocato benissimo in attacco e in difesa (Strano però che abbiano perso sempre! - nota del curatore). Il dottor Ripanti si è battuto in difesa moltissimo, evitando i goal che Simone non sarebbe riuscito a parare (Come sopra! - nota del curatore). Il giorno dopo la squadra, percepito di più il clima agonistico e lasciando da parte i troppi screzi vacanzieri, si mostra più compatta, con grande spirito d iniziativa, più combattiva, vincendo così due partite su tre. Almeno la faccia è salva! Gran parte merito va a Leonardo che segna due gol, ma anche Marco torna al suo antico splendore, trasformando un importantissimo rigore. Marcello si trova al punto giusto al momento giusto e segna anche lui un bel gol. Una terza rete è firmata, infine, da Walter, alias il-poetadel-gol. Anche in queste partite il dottor Ripanti sembrava in splendida forma, battendosi in difesa e facendo le funzioni di caposquadra. Dopo le partite e la fatica a cui siamo sopravvissuti, possiamo ben passeggiare lungo le sponde del Lago Averno, tenebrosa porta degli Inferi della mitologia classica! Come si può notare, il nostro è stato un viaggio non solo sportivo, ma anche di studio, per conoscere meglio Napoli e il suo territorio. I Campi Flegrei, ovvero campi ardenti (gli Inferi, come abbiamo detto, stanno lì sotto) si trovano nelle immediate vicinanze di Napoli. Erano la zona preferita degli antichi romani per le cure con le acque sulfuree, per la pratica dei bagni termali, che nel tempo vennero acquistando sempre più fama e rinomanza. Mercoledì pomeriggio, con la guida di Raffaele, napoletano verace, andiamo a visitare la solfatara di Pozzuoli. Il paesaggio lunare, la terra arsa ed asciutta, il fuoco dappertutto che surriscalda, il vapor acqueo che avvolge i visitatori e l ambiente tutto creano un atmosfera strana ed irreale. Questa è veramente una strana terra! Simone prende una pietra abbastanza grossa e la scaglia al suolo: la terra rimbomba come se sotto ci fosse il vuoto. Tutto comunica un senso di instabilità e di provvisorietà sismica. Eppure il dottor Ripanti nota che nella zona più alta, proprio sui margini dell antico cratere che racchiude la solfatara, sono state costruite delle case, che Raffaele definisce immediatamente case popolari. Alla faccia delle case popolari! - esclama il dott. - Sono delle autentiche regge. Adesso capisco perché Lina non se ne vuole andare da Napoli. La sera andiamo a guardare le isole di Ischia e Procida e poi ritorniamo allo Stella Maris, non prima di sbagliare regolarmente strada (come tutte le sere): Ci siamo persi vero, Fabio?. Giovedì mattina partiamo per Cuma, sotto l ala protettiva di Raffaele, per ammirare i luoghi della favolosa Sibilla. Speriamo di riuscire a decifrare i suoi oscuri responsi... Virgilio nell Eneide nomina questi antichi antri quando narra delle predizioni fatte ad Enea. Sono i luoghi dove si deve recare l eroe troiano per dare origine tramite suo figlio alla Gens Julia. L entrata è gratis (grazie a Raffaele). L antica Cuma è tutta viottoli, acciottolati, scalini di pietra, dove ci si potrebbe effettivamente perdere. Ammiriamo l antro della Sibilla La gazzella dello sport 22

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