NEWSLETTER RICERCA E INNOVAZIONE N. 12

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1 NEWSLETTER RICERCA E INNOVAZIONE N. 12 MONOGRAFIE Plasma atmosferico e tessuti Il plasma atmosferico, apparso nel panorama scientifico già nel diciannovesimo secolo, mette attualmente a disposizione dell industria dei macchinari, sviluppati partendo da ozonizzatori a effetto corona, capaci di conferire alla superficie delle fibre tessili proprietà interessanti. Parliamo di superficie perché il trattamento al plasma agisce solo su di essa e non incide sul bulck della fibra. Il trattamento al plasma va ad aumentare l energia superficiale (bassa sia nei materiali sintetici che naturali) andando così a migliorare le proprietà ad essa correlate: adesione, bagnabilità, stampabilità, ritenzione del colore E anche un trattamento a basso impatto ambientale, eco-friendly, dato che si svolge in fase gassosa senza l uso o quasi di prodotti chimici. Il plasma (vedi anche Newsletter Ricerca e Innovazione n 2) è un normale gas che diventa ionizzato quando lo poniamo tra due elettrodi a cui è applicata un alta differenza di potenziale: il gas si trasforma in una miscela di elettroni e ioni che emette luce. Ed è proprio il plasma che noi vediamo nelle lampade al neon o nei globi al plasma dove evidenti scariche attraversano il gas dal centro alla superficie del globo. E l azione di questa miscela complessa di ioni, elettroni e luce che agisce sull energia della superficie del materiale da trattare. Forse è bene fare una puntaulizzazione: quando parliamo di plasma ci riferiamo ad un sistema a bassa pressione in cui il gas da ionizzare (argon, elio, azoto..) e gli elettrodi sono contenuti in una camera alla pressione di pochi millibar, 20 o anche meno: in pratica il processo avviene sotto vuoto. Per plasma atmosferico si intende invece il processo che avviene in una camera di ionizzazione alla pressione atmosferica, ossia in contatto con l ambiente circostante. Figura 1: schema di un plasma atmosferico industriale Di sistemi industriali a plasma atmosferico (Figura 1) se ne contano molti in particolare nel settore del packaging e nell industria elettronica, ma risultano relativamente nuovi per il settore tessile, legato tradizionalmente ai processi chimici o al limite enzimatici. Alcune industrie tessili hanno tentato la via del al plasma a bassa pressione (sotto vuoto per intendersi) per indurre idrofilia nel tessuto: questi sistemi sono sicuramente efficienti nella riuscita, ma estremamente costosi e non industrializzabili. L industria del packaging ha a disposizione svariati sistemi (dal corona standard alla torcia fredda) che differiscono per forma ed energie della scarica e che potrebbero essere trasferiti nel settore tessile con poche modifiche. Figura 2: elettrodi ceramici (a sinistra) e metallici (a destra)per trattatori corona UNIONE INDUSTRIALE PRATESE - Newsletter Ricerca e Innovazione n. 12 del 1 /7/2005 1

2 Un appropriata scelta del sistema esistente in relazione allo specifico risultato da raggiungere (migliore stampabilità, piuttosto che maggiore idrofilia) è la chiave per arrivare a processi tessili efficienti. Esistono due tipologie di plasma atmosferico: - APGD (Atmospheric pressure glow discharge): è caratterizzato da elettrodi operanti nelle radiofrequenze, con uno degli elettrodi ricoperto da un materiale dielettrico. Il tipo di gas utilizzato è quello che determina la stabilità e l omogeneità della scarica: l elio ad esempio dà luogo a una scarica omogenea mentre gas come ossigeno o argon possono produrre, al crescere della tensione, scariche filamentori. Con questi gas si può avere una scarica omogenea con un adeguata geometria degli elettrodi - DBD (Dielectric-barrier discharge) o trattatori corona: certamente sono anch essi sistemi APGD, ma si preferisce lasciare la sigla APGD ai sistemi dove la scarica tra gli elettrodi è uniforme ed omogenea. Ovviamente questa differenza di scarica si riflette sensibilmente nella differenza di prezzo fra APGD e DBD (più alto nel primo caso). Figura 3 Le differenze di efficienza nel trattamento fra sistemi APGD e DBD sono imputabili alla diversa omogeneità della scarica: in Figura 3 si può vedere una scarica omogenea di un sistema APGD (in alto) e quella filamentosa di un sistema DBD a (in basso). I sistemi atmosferici però non scherzano in velocità di trattamento: nei processi di stampa per il packaging il film da trattare viaggia alla velocità di 100 m/min. o anche più alta: talvolta si possono raggiungere anche i 500 m/min. C è un punto fondamentale che dovrebbe convincere l industria tessile a investire nell enorme potenziale dei sistemi APGD e soprattutto DBD: sono in continua crescita per uniformità dì trattamento ed energia, crescita fortemente veicolata dal packaging. Concentriamoci su due esempi specifici per essere riuscire meglio a capire i vantaggi. - Il cotone prima di essere tessuto è sottoposto a bozzima con amidi. La bozzima va eliminata prima dei processi tintoriali e di finissaggio con una forte dispendio di acqua ed energia; se poi si usa del PVA per la bozzima, le cose si complicano e la rimozione non è sempre così semplice. Un reattore APGD che lavora in atmosfera di ossigeno ed elio porta ad una percentuale del 99% di rimozione dell amido. In altre condizioni non si hanno rimozioni così elevate, ma l agente amidante rimanente può essere facilmente rimosso in acqua fredda, tanto è l aumento di solubilità dell amido. Con il microscopio elettronico, al North Carolina Textile Research Center, i ricercatori hanno visto una superficie della fibra perfettamente pulita dopo il trattamento al plasma, cosa che invece non avviene se il tessuto è semplicemente lavato in acqua calda. Possiamo quindi ben immaginare la riduzione del consumo di acqua ed energia ottenibile in una lavorazione fondamentale come quella del cotone anche con un semplice trattatore DBD. - Il polipropilene è quello dove è più di facile incrementare l energia di superficie, per favorire l adesione di inchiostri e coating. Con i trattatori DBD ed APGD, la Enercon ha verificato l adesione degli inchiostri a base acquosa sul polipropilene: una superficie non trattiene inchiostro se non è trattata, lo ritiene al 90% se trattata corona ed al 100% se trattata APGD. Dal punto di vista di un aziende il problema economico è centrale: ci si pone immediatamente il problema del costo del nuovo macchinario, del suo ammortamento nel tempo e dell eventuale risparmio rispetto alle vecchie metologie di lavorazione (nel nostro caso di acqua ed energia) di cui si beneficerà. Un sistema a plasma a bassa pressione (sotto vuoto) è decisamente costoso e non consente di lavorare in continuo. Un sistema DBD da ottimi risultati con investimenti economici che sono alla portata di tutti. Anche nel caso di trattamenti con gas puri esistono adesso nuo- UNIONE INDUSTRIALE PRATESE - Newsletter Ricerca e Innovazione n. 12 del 1 /7/2005 2

3 vi sistemi con costi contenuti di alimentazione del trattatore e recupero dei gas esausti. E più realistico concludere dicendo che un trattamento corona non si pone in genere come un sostitutivo dei tradizionali processi chimici, quanto una integrazione dei medesimi. Tratto da Moda e Industria Maggio/Giugno 2005 Numero 3, a cura di Amelia Sparavigna, Dipartimento di Fisica, Politecnico di Torino, e Rory Wolf, Enercom Industries Corp., Menomonee Falls, Winsconsin,USA Figura 4: un trattatore corona PUBBLICAZIONI Tingere con le laccasi La laccasi è un particolare enzima che appartiene alla categoria delle ossidoriduttasi ed è attiva su substrati ossidabili quali polifenoli, amminofenoli, poliammide, arilammine e lignina. La particolarità della laccasi deriva dal fatto che essa ha il rame come gruppo prostetico e la sua attività si differenzia in base al sito al quale si lega il rame. L idea di utilizzare la laccasi nel processo di tintura nasce dalla necessità di abbassare i costi e, nel contempo, di operare in condizioni poco aggressive al fine di minimizzare i danni sui tessuti. Partendo dai precursori dei coloranti, assai meno costosi dei coloranti stessi, ed utilizzando specifici enzimi, è possibile raggiungere entrambi gli scopi suddetti. Nell articolo sono presentate numerose ricette (ben 27) per la tintura di tessuti in lana e misti lana, per cui risulta difficile delineare una procedura standard. Per sommi capi un trattamento tipo prevede, in un primo momento, la preparazione di una soluzione acquosa del precursore alla quale è aggiunto il tessuto da tingere. Si introduce quindi la laccasi nel bagno di tintura che, liberando una modica quantità di perossido d idrogeno, ossida il precursore del colorante ed innesca una successione di reazioni che portano alla formazione del colorante (vedi Figura 1). Con un adeguato tempo di trattamento si ot- Figura 1 Figura 2 Figura 3 UNIONE INDUSTRIALE PRATESE - Newsletter Ricerca e Innovazione n. 12 del 1 /7/2005 3

4 tiene la colorazione dei tessuti. In particolare i ricercatori si sono soffermati nello studio di 3 arilammine, solubili in acqua, ed utilizzate come precursori (vedi Figura 2) per comprendere meglio le reazioni a cascata che portano alla formazione di coloranti. Dall arilammina 1 è possibile ottenere un colo- La rimozione delle parti non cellulosiche dalla fibra di lino ne fa aumentare il pregio conferendogli una mano migliore. Nel tempo sono stati messi a punto molti trattamenti ad hoc per realizzare l eliminazione delle sostanze non cellulosiche. I trattamenti convenzionali, cioè chimici, a base di soda caustica rimuovono l emicellulosa e, più o meno, il 75% delle altre impurezze, causanrante giallo (ëmax=464,5 nm) (vedi Figura 3). Da una miscela delle arilammine 2 e 3 è possibile ottenere tre coloranti: blu intenso (ëmax=553 nm), viola (ëmax=550 nm) e rosso (ëmax=518 nm) (Figura 4). Tratto da: Textile Res. J. 74(3), (2004) e da Patent No US Figura 4 Trattamenti enzimatici del lino Il lino è una fibra cellulosica che si ottiene dal Linum usitatissium, una pianta coltivata per scopi tessili fino dall antichità. Le sue fibre formano dei fasci racchiusi all interno di una corteccia che, rimossa per macerazione con batteri e funghi, permette di ottenere la separazione delle singole fibre tessili. La fibra che si ottiene, di natura cellulosica, contiene tuttavia ancora molte parti non cellulosiche (emicellulosa, pectine, lignina, grassi, cere e altro ancora). Tabella 1: composizione chimica del lino grezzo Componente Percentuale (%) Cellulosa 66,14 Emicellulosa 16,24 Pectina 2,14 Lignina 2,00 Grassi e cere 1,09 Altro 12,39 do però una perdita in peso del 25% ed una significativa diminuzione della resistenza alla trazione. Quanto maggiore è la perdita di peso, cioè tanto più efficiente è la rimozione della parte non cellulosica, tanto migliore sarà al mano del prodotto finale ma, allo stesso tempo, tanto maggiori saranno le modificazioni negative delle proprietà fisico-meccaniche del prodotto in quanto la parte asportata funge da cementante delle fibre di lino stesse. In pratica tanto più severe e meno controllabili sono le condizioni di reazione, tanto maggiori sono le conseguenze negative. Negli ultimi tempi si sta quindi guardando, con interesse crescente, a processi biologici a base di emicellulasi e pectinasi che sono maggiormente controllabili, più blandi ed ecologici rispetto al tradizionale. E stato trattato in varie condizioni del lino con l enzima BGLU (che rimuove principalmente l emicellulosica) orientandosi verso una diminuzione di peso del 10-16% (valore che consente di avere una buona mano senza una significativa diminuzione della resistenza meccanica) e, successivamente, sono state monitorate le proprietà fisico-meccaniche. Le considerazioni che ne emergono sono le seguenti: - Indice di bianco: si nota un significativo incremento dell indice di bianco (da 5,1% fino anche al 30,3%, ma in condizioni di reazioni spinte). In un primo momento l enzima rimuove UNIONE INDUSTRIALE PRATESE - Newsletter Ricerca e Innovazione n. 12 del 1 /7/2005 4

5 le sostanze solubili in acqua e parte di quelle emicellulosiche; in un secondo momento attacca massicciamente l emicellulosa e, quando siamo vicini all esaurimento di questa sostanza, è presente un accelerazione dell attacco alla parte cellulosica con conseguente notevole incremento dell indice di bianco assieme ad un elevata perdita in peso. - Tingibilità: si nota un notevole aumento del grado di adesione del colore, rispetto al prodotto trattato col metodo tradizionale, in quanto c è un migliore assorbimento dei coloranti diretti sulla superficie delle fibre. Benché a prima vista la superficie del prodotto trattato col metodo convenzionale e con l enzima appaiano simili, ad una più attenta osservazione si notano, sul prodotto trattato con enzima, fratture e cavità non presenti nel pro- RICERCHE Fibre attive bio-riassorbibili Alcune università americane stanno sviluppando una nuova classe di fibre sintetiche bioassorbibili (tipo suture interne) ed attive dal punto di vista biologico (che possono ad esempio interagire con il corpo umano). Queste fibre (PEA) sono polimeri contenenti amidi ed esteri che già in una prima fase di sperimentazione mostrano buoni risultati; una volta industrializzate dovrebbero risultare più economiche di quelle attualmente presenti sul mercato. Nelle Figure 1 e 2 sono rappresentati due diversi PEA, 8-L-Phe-6 e 8-L-Phe-4 presi in esa- dotto trattato col metodo convenzionale. Le fratture e cavità consentono una migliore adesione del colore. Se paragonato ai convenzionali trattamenti si osserva un miglioramento dell adesione per i coloranti diretti fino al 124,7% e, per quelli reattivi, fino al 106,2%. Per avere qualche riferimento numerico, un trattamento di 10 ore in una soluzione a ph=5, con una concentrazione di enzima del 12% ed una temperatura di 55 C, provoca una perdita di peso del 15,5%, un incremento del grado di bianco del 20,1% e una diminuzione del carico di rottura del 20%. Si può concludere che il trattamento enzimatico in studio, pur essendo simile a quello chimico, permette una maggiore rimozione di impurezze con moderate perdite di peso. Tratto da: Textile Res. J. 74(7), (2004) me (L si riferisce alla configurazione ottica dell alfa-amminoacido usato). due diversi PEA sono caratterizzati da strutture chimiche che differiscono solamente per il numero dei gruppi CH 2 nel frammento del diolo: 6 per il 8-L-Phe-6 e 4 per il 8-L-Phe-4. Il gruppo CH 2 in meno nel 8-L-Phe-4 dovrebbe assicurargli maggiori interazioni intermolecolari e, come conseguenza, qualora usassimo la stessa via sintetica per ottenerli, un più alto punto di rammollamento e una più alta temperatura di transizione vetrosa (T g ). Dal momento che non c è alcuna esperienza nell estrusione delle PEA via melt spinning, la Figura 1: 8-L-Phe-6 Figura 2: 8-L-Phe-4 UNIONE INDUSTRIALE PRATESE - Newsletter Ricerca e Innovazione n. 12 del 1 /7/2005 5

6 prima fase di studio è consistita nell acquisire dati dal processo da usare come parametri base. Nella seconda fase di studio, visto che le PEA in realtà sono dei polimeri a blocchi, è stato necessario capire quale fosse la relazione fra la struttura, intesa come sequenza dei blocchi, e i parametri di estrusione. Infine si è reso necessario trovare quale fosse la relazione logica tra le proprietà del PEA e la sua struttura in modo da ottimizzare sia la fase di estrusione, sia la progettazione di nuove fibre più efficienti. Sono stati sintetizzati i due PEA sia con la tecnica della polimerizzazione interfacciale (IPC), ovvero ottenendo il polimero per reazione dei monomeri all interfaccia del sistema cloroformio/acqua, sia con la tecnica della policondensazione attiva (ACP) sintetizzando, in pratica, il polimero in soluzione acquosa. I polimeri PEA mostrano una temperatura di rammollamento (T m ) che varia da 88 C a 110 C ed una temperatura di transizione vetrosa (T g ) che varia da 70 C ad 80 C. BREVETTI Microcapsule Le microcapsule sono minuscoli contenitori polimerici che possono contenere o meno altre sostanze. Possono essere applicate a substrati tessili per: - ottenere un lento rilascio nel tempo dei prodotti contenuti al proprio interno (fragranze, prodotti antimicrobici, vitamine.) con la rottura dell involucro stesso - consentire un migliore isolamento termico attraverso l introduzione all interno della microcapsula di materiale a cambiamento di fase; in questo caso la microcapsula prende il nome di PCM (Phase Change Material). Le microcapsule, in genere, sono ancorate sulla superficie dei tessili con film termoplastici; in pratica si applica il film sulla superficie del tessuto regolando opportunamente calore e pressione e poi si depositano, sul film stesso, le Sono stati condotti alcuni studi preliminari relativi alla filatura utilizzando un impianto pilota. Tutte le fibre PEA hanno mostrato una buona capacità di estrusione a 125 C con l eccezione del 8-L-Phe-6 sintetizzata con tecnica ACP che, aggregandosi in modo indesiderato, crea grossi problemi di estrusione e costringe, spesso, ad interrompere il processo. Studi successivi hanno evidenziato che nessun trattamento di post-filatura è in grado di indurre una significativa cristallinità nei campioni che filano in ogni condizione in forma amorfa. La birifrangenza ha valori compresi da 1,18*10-2 (8-L-Phe-6-IPC) a 1,05*10-4 (8-L- Phe-6-ACP), indicando questi valori uno scarso orientamento delle fibre. La maggior parte delle fibre sintetiche e naturali ha birifrangenza da 2 a 6,8*10-2, ma nel caso del poliestere si hanno anche valori di 1,88*10-1. La speranza dei ricercatori è quella di arrivare a valori compresi fra 5*10-2 e 1*10-1. microcapsule. In questo modo però si ottengono capi dotati di una minore traspirabilità all aria ed al vapore che diminuisce il comfort. Il problema della traspirabilità può essere risolto utilizzando microcapsule bicomponenti come quella schematizzata in Figura 1. La parte interna della parete è costituita da un polimero con elevata temperatura di fusione, mentre la parte esterna della parete è costituita da un polimero con bassa temperatura di fusione (polietilene, polipropilene ). In questo modo per legare le microcapsule al supporto tessile non è necessario ricorrere ad un film termoplastico, bensì è sufficiente semplicemente scaldarle (per esempio con una calandra a rulli o termofissando il tessuto su cui sono state appoggiate ) fondendo la parete esterna e ancorandole così al tessuto come mostrato nella Figura 2. Il legame tra tessuto e microcapsula è più efficace se si trattano tessuti costituiti da fibre sintetiche. Figura 1: sezione di una microcapsula Figura 2 UNIONE INDUSTRIALE PRATESE - Newsletter Ricerca e Innovazione n. 12 del 1 /7/2005 6

7 Microcapsule costruite con la stessa tecnica possono essere utilizzate come PCM. Attualmente le microcapsule PCM sono costituite da: - polimeri a base di urea o suoi derivati - polimeri a bese di formaldeide o di melammina-formaldeide e sono applicate sui tessuti disperse in soluzione acquosa con leganti o in schiume. Il problema di tali microcapsule consiste nel fatto che, in condizioni umide (cioè quando sono sottoposte a lavaggio con acqua o solventi) possono rilasciare formaldeide nell ambiente o sulla pelle dell utilizzatore. Le microcapsule PCM oggetto del brevetto analizzato sono avvolte da uno strato esterno di materiale termoplastico (polietilene, polipropilene.) che, pur lasciando invariate le proprietà di PCM, non permette la fuoriuscita di formaldeide. Inoltre questo strato esterno garantisce un migliore adesione delle microcapsule stesse al tessuto, cosicché può risultare necessaria una minore quantità di schiuma o di legante disperso in soluzione acquosa. CURIOSITA Filtration panel tester Per eliminare le particelle in sospese nell aria si utilizzano filtri costituiti da materiali tessili. In relazione alla quantità di particelle presente nell aria, che può variare da 1 g/m 3 fino a diverse centinaia di g/m 3, si deposita sui filtri uno strato di polvere che ne diminuisce l efficienza. Tale strato, ovviamente, deve essere periodicamente rimosso. Per valutare l efficienza di un filtro nel tempo è necessario quindi conoscere la massima filtrabilità (intesa come dimensioni delle particelle più piccole che il filtro è in grado di trattenere) ed il calo di pressione durante il processo di filtrazione. Inoltre occorrono anche informazioni precise sui cicli di pulizia, ovvero: periodicità efficienza quantità di polvere residua sul filtro e nel mezzo dopo il ciclo di pulizia. La conoscenza delle suddette caratteristiche è importante, oltre che per i produttori, anche per gli installatori e gli utilizzatori. Queste proprietà sono ottenibili col Testing of cleanable, textile filter media, eseguito secondo la norma VDI Standard I laboratori del CenTexBel sono dotati di un apparecchio conosciuto come Filtration Panel Tester (Figura1) capace di eseguire test secondo la suddetta norma. Sulla sommità del condotto (A), attraverso il quale fluisce la miscela (circa 5 m 3 /h) di aria e particelle, si trova l iniettore di particelle/polvere (B). Durante il percorso si provvede ad eliminare tutte le particelle che si sono caricate elettrostaticamente (C), ed è presente un sistema monitoraggio fotometrico (D) che, in tempo reale, misura le caratteristiche della miscela. Il flusso è letteralmente risucchiato nel condotto orizzontale (E) attraverso il filtro da testare (F) e, successivamente, passa attraverso un filtro totale (G) al fine di valutare la quantità e le dimensioni delle particelle rimaste in sospensione nell aria pulita. Ad intervalli di regolari di tempo viene creata una sovrappressione nel condotto di aspirazione (pulse-jet) per consentire, tramite la vibrazione così generata sul filtro, la sua pulizia; le polveri così liberate sono raccolte in un contenitore posto alla base della tubazione. E possibile scegliere 3 diversi tipi di polvere: ossido di titanio, ossido di calcio, carbonato di calcio. Il Filtration Panel Tester offre anche la possibilità di realizzare misure in condizioni sperimentali: l apparecchio è strutturato per poter variare i parametri di esercizio (velocità del flusso, concentrazione e tipologia delle particelle in sospensione, cicli di pulizia) in modo da essere in grado di paragonare i vari mezzi filtranti nelle diverse condizioni di operative. Figura 1 UNIONE INDUSTRIALE PRATESE - Newsletter Ricerca e Innovazione n. 12 del 1 /7/2005 7

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