LA SISTEMATICA IMITAZIONE (CD. PARASSITARIA) DI POLITICHE AZIENDALI
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- Filippa Riccio
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1 LA CONCORRENZA SLEALE (PARTE QUARTA) PROF. GUIDO BEVILACQUA
2 Indice 1 LA SISTEMATICA IMITAZIONE (CD. PARASSITARIA) DI POLITICHE AZIENDALI LE VIOLAZIONI DI NORME PUBBLICISTICHE LE ALTRE FORME DI VIOLAZIONE DEI PRINCIPI DELLA CORRETTEZZA PROFESSIONALE L IDONEITÀ A DANNEGGIARE L ALTRUI AZIENDA DANNO CONCORRENZIALE E POTENZIALITÀ di 12
3 1 La sistematica imitazione (cd. parassitaria) di politiche aziendali Il parassitismo concorrenziale resta una delle problematiche fonte di maggiori conflitti dottrinali all interno dello studio della concorrenza: il contrasto, infatti, non riguarda in questo caso la classificazione degli atti rilevanti ai fini del giudizio di slealtà, né tanto meno la definizione delle problematiche probatorie. Ad un orientamento che propugna la configurabilità nel nostro ordinamento di tale condotta sleale, si contrappone, infatti, una concorrente di pensiero che ritiene legittima l attività definita parassitaria, siccome idonea a contrastare tendenze filo monopolistiche ed a favorire la libera apprensione dei ritrovati non coperte da tutele brevettuali. Nell ottica del suo più strenuo assertore la concorrenza parassitaria è forma di imitazione che non ha natura confusoria, perché non tende a creare alcuna confusione tra imitatore ed imitato, e che si concreta nel copiare tutto quello che fa il concorrente, l appropriarsi di ogni sua idea, il seguirlo passo passo in tutte le sue realizzazioni. Per sua natura, dunque, un siffatto comportamento, pur non ingenerando confusione di attività, impresa o prodotti (caso in cui potrebbe venire repressa ex art. 2598, n. 1) dovrebbe ugualmente essere da reprimere come tipicamente contrario a quelle pratiche professionali, a quegli usi, che presiedono all ordinato svolgersi della concorrenza. Il parassitismo, inteso come sopra, si è visto è, in altre parole, di per sé, un mezzo sleale di svolgere la concorrenza. L intera attività, che da esso è caratterizzata, diventa quindi sleale. Ed evidente è l idoneità a danneggiare l altrui azienda, secondo gli elementi costitutivi dell ipotesi di cui all art. 2598, n. 3. Hanno manifestato adesione alla teoria della concorrenza parassitaria diversi studiosi. Sul piano dogmatico la critica più radicale rivolta a tale teoria è certamente quella del Carnelutti : quel tipo di concorrenza sleale che il Franceschelli chiama concorrenza parassitaria, è una specie di <<miracolo logico>> in virtù del quale <<atti innocui>>, e perciò leciti come atti singoli, diventano nocivi e illeciti nel loro insieme, cioè nella loro continuazione; è vero che non vi si può applicare l art. 2598, n. 1, ossia la fattispecie della concorrenza sleale per confusione; ma la illiceità dell atto, cacciata per la porta, rientra per la finestra del n. 3 attraverso il vago concetto della correttezza professionale; siamo perciò veramente nel caso di una somma di zeri che produce una unità. 3 di 12
4 La nostra giurisprudenza ha ormai saldamente recepito il principio della slealtà della concorrenza parassitaria (ciò che ha indotto anche uno dei più tenaci avversari di tale teoria ad ammettere la configurabilità sul piano della slealtà, sollecitandone però una applicazione assai restrittiva). A proposito della slealtà dell imitazione parassitaria la giurisprudenza ha affermato che ha diritto di ingresso nel nostro sistema legislativo, sotto il n. 3 dell art cod. civ., la cd. concorrenza parassitaria, laddove l attività commerciale dell imitatore si traduca in un cammino continuo e sistematico (anche se non integrale) essenziale e costante sulle orme altrui, perché l imitazione di tutto o di quasi di tutto quel che fa il concorrente, l adozione più o meno immediata di ogni sua iniziativa, seppure non realizzi una confusione di attività e di prodotti, è contrario alle regole che presiedono all ordinario svolgimento della concorrenza. Al contempo, però, si sancivano rigorosi limiti a presidio del giudizio di slealtà: la repressione della concorrenza parassitaria non legittima alcuna posizione di monopolio al di là dei limiti in cui la privativa è ammessa dalla legge, perché l accento non viene tanto posto su una pretesa illimitata tutela di un determinato oggetto, di una idea, di un risultato, ma sulla continua e sistematica imitazione di tutte le iniziative di un determinato concorrente, nello sfruttamento a proprio vantaggio delle idee e delle organizzazioni altrui nel che si ravvisa quel comportamento sleale che la legge condanna. La Suprema Corte ha inteso soprattutto ribadire la fondamentale importanza di una attività reiterata nel tempo ai fini dell individuazione del parassitismo sleale. Sul punto, una recente statuizione individua nell attuazione o meno di una forma di concorrenza di tipo parassitario il discrimine tra illiceità e liceità della condotta di un ex dipendente che utilizzi la professionalità acquisita presso l impresa di provenienza in danno di quest ultima. Tra la magistratura di merito in epoca recente si segnala una statuizione che riconnette la liceità di una condotta apparentemente parassitaria alla necessarietà dell adozione, per lo svolgimento di talune attività e per l offerta di taluni servizi, di modalità analoghe poiché strettamente connaturate a quelle attività ed a quei servizi. Il gestore di una carta, che attribuisce ai titolari la fruizione agevolata di servizi resi da esercizi convenzionati, non compie atto di sleale concorrenza per concorrenza parassitaria se immette sul mercato un prodotto la carta che tipologicamente corrisponde a quello inizialmente concepito e diffuso da altro imprenditore, anche se per lanciare la nuova carta, si attuino le stesse modalità dell imprenditore concorrente trattandosi di modalità che costituiscono per certi profili passaggi obbligati o, per altri profili, passaggi comunque naturalmente connessi al tipo di servizio che è 4 di 12
5 oggetto della comune offerta, al tipo di utenti cui essa è destinata, al tipo di esigenze promozionali che l offerta medesima inevitabilmente prospetta: modalità ed aspetti in relazione ai quali, cioè, ben pochi margini di differenziazione della propria attività sussistono rispetto all attività concorrente una volta assunta la decisione legittima di lanciare sul mercato un prodotto analogo a quello già offerto. Vi è da precisare che il medesimo requisito della sistematicità rappresenta il discrimine tra la condotta in esame e la imitazione servile non confusoria che ha invece carattere episodico: ciò, sebbene una recente statuizione abbia ammesso che la concorrenza parassitaria ricorre anche in presenza di un solo atto se lo stesso è idoneo a realizzare la sleale adozione sistematica del complesso delle scelte organizzative e commerciali di altro imprenditore concorrente. A tal proposito il commentatore ha correttamente precisato che <<il riferimento al termine atto>> deve essere considerato frutto di imprecisione <<trattandosi piuttosto di unica iniziativa, compiuta con più atti>>. 5 di 12
6 2 Le violazioni di norme pubblicistiche Fatta eccezione per coloro che individuano nella correttezza professionale un principio puramente etico (e che quindi ricollegano automaticamente alla violazione di norme pubblicistiche una condotta scorretta: cd. teoria della sufficienza della violazione), l orientamento dominante in dottrina è di tipo problematico: nel senso che vi sarebbero norme pubblicistiche munite di valenza direttamente concorrenziale, la cui violazione darebbe automaticamente luogo ad un illecito ex art. 2598, n. 3; e norme pubblicistiche estranee al regime della concorrenza per le quali sarebbe necessario di volta in volta indagare se la violazione di esse integri gli estremi dell atto sleale. La giurisprudenza tende a prescindere da classificazione di qualsivoglia genere ed ad effettuare una valutazione caso per caso: atteggiamento, questo, che finisce per negare rilevanza alla teoria secondo cui la violazione della norma pubblicistica rappresenterebbe anche (oltre, cioè, alla illiceità penale e/o amministrativa) una condotta illecita concorrenziale. In tal senso si è sostenuto che qualora il comune direttamente svolga un attività di tipo imprenditoriale, quale quella inerente al servizio delle onoranze funebri, senza però praticare prezzi non remunerativi o comunque non sostenibili dagli operatori privati, il verificarsi di concorrenza sleale in danno di questi ultimi non è ravvisabile nella circostanza che detta attività non rientri fra quelle per le quali è consentita l assunzione da parte degli enti territoriali, atteso che gli eventuali limiti posti dalla legge in proposito rispondono ad esigenze pubblicistiche e non costituiscono posizioni di diritto soggettivo in capo agli imprenditori privati. Ancora più chiaramente espressiva del medesimo approccio problematico ed al contempo risolutiva della problematica sottesa, è la recente statuizioni secondo cui in tema di concorrenza sleale, i comportamenti lesivi di norme di diritto pubblico non è necessario che integrino, di per se stessi, atti di concorrenza sleale, ai sensi dell art. 2598, n. 3, cod. civ., atteso che l obiettivo anticoncorrenziale può essere raggiunto anche attraverso comportamenti che, benché non siano previsti dalla legge, siano connotati dallo stesso disvalore di quelli espressamente regolati. Più in particolare la violazione delle norme pubblicistiche è sufficiente ad integrare la fattispecie illecita quando essa è causa diretta della diminuzione dell altrui avviamento ovvero quando essa, di per se stessa, anche senza un comportamento di mercato, abbia prodotto il vantaggio concorrenziale che non si sarebbe avuto se la norma fosse stata osservata. 6 di 12
7 In applicazione di tale principio, la Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso la sussistenza dell illecito concorrenziale nel fatto di un gestore di una sala cinematografica che aveva ampliato la capienza del locale, portandolo da 308 a 1000 posti, senza alcuna autorizzazione amministrativa. La medesima linea di tendenza si riscontra nella giurisprudenza di merito. In senso inverso è il recente orientamento giurisprudenziale, che ha escluso il carattere illecito di una vendita promozionale di tappeti per cessazione dell attività, sulla base dell accertamento compiuto dal giudice circa l effettiva cessazione della stessa, pur se non erano state osservate alcune prescrizioni formali relative alle vendite promozionali e nella quale è affermato il principio secondo cui la violazione di norme pubblicistiche può costituire anche atto di concorrenza sleale, sempre che non si risolva nella violazione di prescrizioni meramente formali, ma sia stato posto in essere con il fine obiettivo di danneggiare i concorrenti. 7 di 12
8 3 Le altre forme di violazione dei principi della correttezza professionale In quanto illecito atipico, quello disciplinato dal n. 3 della norma in commento sfugge naturalmente a schemi classificatori eccessivamente rigidi: sicché, quelli esaminati, rappresentano i modi usuali con i quali è venuta a manifestarsi nel tempo la violazione della correttezza professionale. Ciò non toglie che lo sviluppo tecnologico possa dare e darà certamente luogo a nuove forme sintomatiche di scorrettezza (si pensi all amplissimo terreno di prova che si apre con la diffusione delle comunicazioni via internet). La dottrina e la giurisprudenza sono concordemente orientate ad escludere la rilevanza concorrenziale della cd. imitazione servile non confusoria e (non parassitaria), sulla scorta del convincimento secondo cui nell ordinamento, al di fuori della confondibilità, l imitazione è lecita: ed ammettere l illiceità di una simile pratica significherebbe garantire perpetuamente il divieto di libera apprensione delle idee, il che non è consentito neppure nella disciplina dei diritti di privativa. Per un quadro sintetico delle forme <<asintomatiche>> di violazione della correttezza professionale, possono richiamarsi i seguenti enunciati: Cass. Civ. 1259/1999 ha ritenuto sleale la comunicazione pubblicitaria attuata da un quotidiano locale con la promozione di un gioco identico a quello ideato da un quotidiano nazionale; Cass. Civ /1997 ha ritenuto scorretto l invio di lettere di diffida (non integranti denigrazione a causa della mancata comunicazione al pubblico) dirette a far valere un brevetto della cui nullità il mittente era consapevole ; Cass. Civ. 6887/1996 ha escluso la slealtà di un comportamento attuatosi nella commercializzazione, mediante catalogo di prodotti di una nota casa di moda che aveva dato l assenso a tale commercializzazione per i propri prodotti relativi a collezioni fuori mercato; chiarisce la statuizione in esame che la concorrenza sleale deve, comunque, consistere in attività dirette ad appropriarsi illegittimamente dello spazio di mercato ovvero della clientela del concorrente, che si concretino nella confusione di segni prodotti, nella diffusione di notizie e di apprezzamenti sui prodotti e sull attività del concorrente o in atti non conformi alla correttezza professionale; con la conseguenza che l illecito non può derivare dal danno commerciale in sé, né nel fatto che una condotta individuale di mercato produca diminuzione di affari nel concorrente, in 8 di 12
9 quanto il gioco della concorrenza rende legittime condotte egoistiche, dirette al perseguimento di maggiori affari, attuate senza rottura delle indicate regole legali della concorrenza. Trib. Torino , DInd, 1998, 350, ha ritenuto sleale la condotta dell imprenditore che non si era adeguato ad un provvedimento del Giurì di autodisciplina; Trib. Napoli , DInd, 1997, 867, ha ritenuto sleale la condotta di una emittente locale concretizzatasi nella comunicazione di dati di ascolto non veritieri; Trib. Milano , DInd, 1997, 189, che ha escluso la rilevanza sul piano concorrenziale di accordi diretti a garantire al solo inventore l esclusiva di sfruttamento di intenzioni non brevettate (o non validamente brevettate) né <<segrete>>, riservandone l area di operatività alla sola normativa anti monopolistica. 9 di 12
10 4 L idoneità a danneggiare l altrui azienda Il secondo requisito cui l art. 2598, n. 3 cod. civ. subordina la <<slealtà>>, vale a dire l illiceità dell atto di concorrenza, è costituito come abbiamo detto a suo tempo, dalla idoneità di esso a danneggiare l altrui azienda. A proposito di questo requisito si dice di solito che, trattandosi, comunque, di atti di concorrenza, l idoneità a danneggiare dovrebbe esistere per definizione. Si può tuttavia rilevare che, a rigore, un atto di concorrenza (in senso economico) può anche essere innocuo, e che l idoneità a danneggiare è perciò un elemento costitutivo della fattispecie <<concorrenza sleale>> in senso tecnico-giuridico. Il requisito in questione, dunque, non è superfluo in quanto discrimina fra atti di concorrenza innocui e dannosi, attribuendo rilievo solo a quest ultimi. E stato correttamente osservato che l idoneità dannosa dell atto, per integrare la fattispecie che ci interessa, deve essere qualificata: nel senso che deve essere maggiore rispetto alla <<normale>> dannosità di un atto dello stesso tipo non scorretto. L osservazione, tuttavia, vale soltanto per le ipotesi in cui dell atto scorretto sia ipotizzabile un omologo corretto, vale a dire nei casi in cui il primo sia riconducibile ad un tipo di atti che possano essere corretti. Così si potrà dire che la pubblicità mendace per assumere rilievo deve presentare una idoneità dannosa maggiore rispetto alla pubblicità veritiera o che lo storno di dipendenti potrà qualificarsi illecito solo in quanto capace di arrecare un danno superiore a quello di una corretta assunzione di ex dipendenti del concorrente. Un discorso analogo, però, non può farsi per la denigrazione, cui non fa riscontro alcun omologo corretto. La dannosità di cui si tratta deve concernere, secondo la lettera della legge, <<l altrui azienda>>. Questa espressione potrebbe far pensare alla nozione di azienda enunciata dall art cod. civ., vale a dire al complesso dei beni organizzati dall imprenditore per l esercizio dell impresa. Tuttavia un interpretazione che limitasse la dannosità rilevante a quella che concerne i beni costituenti l azienda sarebbe assurdamente limitativa, ed è perciò pacifico che ci si debba riferire a qualsiasi danno economico che colpisca l impresa del concorrente, vale a dire l imprenditore in ogni aspetto della sua specifica attività. 10 di 12
11 La dannosità rilevante potrà dunque concernere sia gli elementi organizzativi interni dell impresa del suo patrimonio tecnologico e più in generale la sua sfera di segretezza, sia la sua immagine esterna, la sua proiezione sul mercato, sia la sua clientela; se si vuole, tutti gli elementi che di solito si ritiene costituiscano il suo avviamento. E val forse la pena di sottolineare che l identificazione, spesso proposta, della dannosità di cui si tratta con l idoneità dell atto allo <<sviamento di clientela>> del concorrente, sia a sua volta riduttiva, dato che vi sono atti di concorrenza sleale, come abbiamo già accennato, la cui dannosità non concerne affatto la clientela. 11 di 12
12 5 Danno concorrenziale e potenzialità Al tipo di danno di cui abbiamo or ora parlato ci riferiremo d ora in avanti con l espressione <<danno concorrenziale>>. E vedremo come questo concetto possa talora assumere una notevole rilevanza interpretativa per discriminare, nei casi dubbi, le fattispecie illecite da quelle (almeno sotto il profilo che interessa) lecite: nel senso che solo quelle idonee a produrre appunto un <<danno concorrenziale>> potranno essere qualificate come concorrenza sleale, mentre non potranno esserlo quelle che pure provochino all imprenditore un danno, ma di tipo diverso, per esempio personale. E giurisprudenza consolidata, anche dalla Suprema Corte, quella secondo cui << a concretare l ipotesi della concorrenza sleale è sufficiente che l atto relativo sia idoneo a danneggiare l altrui azienda, indipendentemente da un danno concretamente verificatosi>>. E si tratta di orientamento certamente conforme alla lettera della legge che appunto di mera <<idoneità>> parla. Si potrebbe, tuttavia, chiedersi in che modo un atto che concretamente non abbia provocato danno possa considerarsi idoneo a provocarlo. Quando però si consideri che l attività di concorrenza ha normalmente una dimensione temporale, vale a dire che di solito presenta una continuità nel tempo o è costituita da una ripetizione di atti, la risposta diventa agevole. Si avrà potenzialità dannosa senza danno attuale ad esempio quando si tratti di attività concorrenziale continuata che dal punto di vista quantitativo non abbia ancora raggiunto una dimensione sufficiente ad incidere negativamente sul concorrente. Ed un altro esempio si avrà nell ipotesi di tentativo, cioè in un caso in cui per definizione, essendo appunto rimasta l attività allo stadio di tentativo, un danno non si sia provocato, ma ci si trova tuttora in una situazione di potenzialità dannosa per la probabilità che il tentativo venga reiterato. La potenzialità dannosa del tentativo stesso, poi, andrà evidentemente valutata ex ante, cioè prescindendo dalla mancata riuscita di esso. 12 di 12
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