ieloma Mmultiplo Andrea Nozza Armando Santoro Humanitas Cancer Center Istituto Clinico Humanitas Rozzano (Milano)

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2 ieloma Mmultiplo Andrea Nozza Armando Santoro Humanitas Cancer Center Istituto Clinico Humanitas Rozzano (Milano)

3 INTRODUZIONE Nel plasma, la parte liquida del sangue periferico, è presente un gran numero di proteine con funzioni ormonali, di trasporto ed anticorpale. La loro concentrazione fisiologica varia nel soggetto adulto da 6,5 a 8 grammi/decilitro: l albumina ne costituisce il 50% e le immunoglobuline, il 20% circa. Un semplice esame di laboratorio ormai utilizzato di routine, l elettroforesi delle sieroproteine, permette di separarle (zona albuminica, zona α1, α2, β e γ ) evidenziandone eventuali alterazioni quantitative e qualitative. Nella zona γ dell elettroforesi riscontriamo prevalentemente le Immunoglobuline (Ig), proteine con funzione anticorpale, fisiologicamente sintetizzate da specifiche cellule del midollo osseo: le plasmacellule. Fisiologicamente, le Ig aumentano nel siero in caso di stimolazione del sistema immunitario secondaria ad infezioni, infiammazioni, neoplasie: in questi casi le Ig sono diverse, prodotte da plasmacellule differenti e l incremento è definito policlonale. 2

4 Può invece capitare di riscontrare all elettroforesi un picco nella zona gamma costituito cioè da un unico tipo di immunoglobuline, prodotte da un unico clone patologico di plasmacellule, in assenza di cause infettive e immunologiche. In questi casi l incremento è definito come componente monoclonale (CM). 3

5 COMPONENTE MONOCLONALE: MA COSA SIGNIFICA? Nella popolazione il riscontro di una CM aumenta con il passare dell età, da meno dell 1% in soggetti di età inferiore a 35 anni all 8% circa in età superiore a 65 anni. Nella maggior parte dei casi il riscontro di una CM sierica avviene occasionalmente nel corso di accertamenti clinici di routine e non sempre identifica una condizione morbosa che necessita di terapia. Infatti le patologie che maggiormente si correlano ad una CM sierica sono essenzialmente: Gammopatia monoclonale di incerto significato (MGUS), che richiede solo periodici controlli. Queste forme erano una volta impropriamente definite come gammopatie monoclonali benigne, evidenziano invece una tendenza alla trasformazione neoplastica di circa 1% all anno Mieloma multiplo (MM), neoplasia ematologica che necessita nella maggior parte dei casi di trattamenti specifici. Macroglobulinemia di Waldenström, la malattia delle catene pesanti o leggere. 4

6 Amiloidosi Pertanto nel caso in cui venga riscontrata una CM sierica, ci si deve sottoporre ad accertamenti atti a determinare la causa di questa alterazione delle proteine. Questi accertamenti comprendono una completa routine ematologica (emocromo, funzionalità renale ed epatica, elettroliti, calcemia, esame delle urine, immunofissazione del siero e delle urine, dosaggio catene leggere libere nel siero), accertamenti radiologici e prelievo di sangue midollare (morfologia, istologia e citogenetica- FISH). 5

7 GAMMOPATIA MONOCLONALE DI INCERTO SIGNIFICATO (MGUS) La diagnosi di MGUS è sempre una diagnosi di esclusione, effettuata dopo un attenta valutazione delle condizioni cliniche del paziente, della sua anamnesi e del risultato degli accertamenti eseguiti. Il paziente con MGUS non presenta sintomi specifici e gli esami ematochimici risultano nei valori di norma, la valutazione radiologica dello scheletro non evidenzia lesioni osteolitiche e la CM sierica è solitamente di modica entità, correlata ad un minimo incremento della plasmacellule midollari (inferiori al 10% delle cellule midollari). Nel corso degli anni la MGUS può evolvere verso un MM conclamato: attualmente non si dispone di strumenti atti a stabilire la benignità della condizione o la probabilità che questa evolva verso il MM, sebbene la persistenza di bassi valori di CM sierica e la mancanza di soppressione delle altre classi immunoglobuliche (la cosidetta immunoparesi) siano fattori altamente probanti di una non evolutività clinica. Evidenze recenti dimostrano come sia possibile 6

8 determinare il rischio di evoluzione nei pazienti con MGUS utilizzando tre semplici parametri che sono il tipo di CM, l entità della stessa CM e l alterazione del rapporto delle catene leggere libere K o L sieriche prodotte in eccesso (FLC ratio). La MGUS non richiede alcun trattamento ma unicamente dei controlli atti a valutarne l evoluzione nel tempo: pertanto va impostato un programma di follow-up periodico, la cui frequenza varia tra i 6 e i 12 mesi, tempistica correlata all entità della CM e dall alterazione dei fattori prognostici. Un eventuale progressione di malattia solitamente avviene con un incremento della CM e/o comparsa di dolori ossei in circa il 15% dei pazienti entro 10 anni dalla diagnosi di MGUS. Se durante il follow-up viene confermata la stazionarietà del quadro, i soggetti con MGUS non necessitano di alcuna terapia. 7

9 PLASMOCITOMA SOLITARIO Con il termine Plasmocitoma solitario (PS), si definisce una singola lesione causata da una proliferazione localizzata di plasmacellule patologiche a livello osseo (Plasmocitoma Osseo) solitamente localizzata a livello delle ossa della colonna vertebrale, del bacino e dei femori oppure a livello delle mucose prevalentemente del distretto orofaringeo (Plasmocitoma extramidollare). Rispetto al MM, il PS interessa pazienti più giovani (50-55 anni). In questi pazienti l analisi del midollo osseo risulta normale, non vi sono ulteriori lesioni osteolitiche, non si evidenzia nè anemia, nè insufficienza renale, nè ipercalcemia. Solo nella metà dei casi è documentabile una CM sierica o urinaria, che scompare con l asportazione o il trattamento del plasmocitoma. La terapia per il PS è di tipo chirurgico e/o radioterapico. Purtroppo, il PS (soprattutto osseo) può evolvere in MM anche dopo molti anni dal trattamento. 8

10 MIELOMA MULTIPLO Nel MM riscontriamo una proliferazione incontrollata di plasmacellule tumorali a livello del midollo osseo, con conseguente produzone di elevate quantità di CM, riscontrabile nel siero e nelle urine (proteinuria di Bence Jones). La CM solitamente è un Ig di classe G o A, (raramente di classe M, molto raramente di classe D e E). Le cause del MM non sono note e la sua patogenesi è ancora in corso di studio. Fra le possibili cause vi sono fattori ambientali, quali esposizioni a pesticidi o altri agenti chimici, radiazioni, agenti infettivi. Esistono sporadiche segnalazioni di MM familiare. L incidenza annua è di circa 3-4 casi su , variando tuttavia da paese a paese: da 1 caso annuo su in Oriente, si passa a 4 casi su nella maggior parte dei paesi occidentali. Nella popolazione di colore si riscontra un incidenza doppia rispetto ai bianchi. 9

11 In Italia il MM rappresenta l 1,2% di tutti i tumori diagnosticati tra gli uomini e l 1,3% tra le donne con un incidenza, media ogni anno di 9,5 casi ogni uomini e 8,1 ogni donne. Le stime indicano un totale di nuovi casi diagnosticati ogni anno fra i maschi e di fra le femmine. Il MM è una patologia dell età avanzata, l età mediana alla diagnosi è di 68 anni, circa il 2% dei pazienti all esordio ha meno di 40 anni mentre il 38% dei pazienti ha un età superiore a 70 anni. 10

12 MIELOMA MULTIPLO: CLINICA In circa il 30% dei casi la diagnosi MM risulta occasionale, con riscontro di una CM sierica e/o urinaria in corso di esami di controllo. Negli altri pazienti il sintomo che maggiormente indirizza al medico è il dolore osseo. Tutti i sintomi sono dovuti alla proliferazione delle plasmacellule neoplastiche: dolore osseo, immunodepressione, insufficienza midollare e sintomi legati alla CM. Dolore osseo. Le plasmacellule neoplastiche, tramite la produzione di varie sostanze chiamate citochine, determinano un incremento dell attività degli osteoclasti, cellule coinvolte nel fisiologico rimaneggiamento del tessuto osseo, causando rarefazione ossea e lesioni litiche spesso multiple. Queste lesioni sono maggiormente localizzate al bacino, alla teca cranica ed alla colonna vertebrale, causando spesso fratture patologiche. Il dolore osseo è solitamente localizzato, aumenta nelle ore notturne e peggiora con i movimenti. 11

13 Insufficienza midollare. A livello del midollo osseo la presenza di plasmacellule tumorali determina una diminuzione del normale tessuto emopoietico midollare, con conseguente riduzione delle normali cellule del sangue (globuli rossi, globuli bianchi e piastrine): ciò comporta un aumentato rischio di infezioni e di emorragie, nonché di anemia. Immunodepressione. La produzione di Ig monoclonali determina una riduzione delle normali classi immunoglobuliniche, causando nel paziente uno stato di immunodepressione che aumenta il rischio di infezioni. Componente Monoclonale (CM). La presenza di una CM sierica e/o urinaria può causare insufficienza renale, polineuropatie periferiche, amiloidosi e sindrome da iperviscosità. L insufficienza renale si manifesta alla diagnosi circa nel 20% dei casi e compare durante l evoluzione della malattia in almeno il 50% dei pazienti: può peggiorare a causa dell ipercalcemia dovuta al coinvolgimento osseo, assunzione di antiinfiammatori e disidratazione. Le manifestazioni neurologiche in corso di MM sono varie, ma per lo più sono polineuropatie che alterano la sensibilità e la motilità agli arti superiori o inferiori. La presenza della CM nel siero rende il sangue meno fluido: in circa il 4-10% dei pazienti si evidenzia un quadro clinico definito Sindrome da iperviscosità, caratterizzato da astenia, mal di testa, vertigini, sonnolenza, manifestazioni emorragiche (epistassi, gengivorraggie) ed insufficienza cardiaca. 12

14 COME DIAGNOSTICARE IL MIELOMA MULTIPLO (MM). Nel sospetto di MM si dovranno effettuare esami di laboratorio (emocromo, funzionalità renale ed epatica, calcemia, elettroforesi ed immunoelettroforesi sierica ed urinaria), esami radiologici (radiografia dello scheletro, TAC o RMN) e una valutazione midollare (biopsia ossea con esame istologico, aspirato midollare con analisi citogenetica e FISH sulle plasmacellule tumorali). Queste indagini ci permetteranno di effettuare una diagnosi differenziale ( MM vs MGUS), determinare l estensione della malattia (stadiazione), valutarne la prognosi (score prognostico) e l indicazione al trattamento (MM sintomatico vs MM smoldering). Si parla di MM quando si documentano una CM sierica e/o urinaria, associata ad un incremento di plasmacellule midollari (almeno superiore al 10%). Il sistema di stadiazione attualmente usato è quello di Durie & Salmon, che si basa sui valori della CM, dell emoglobina e della calcemia, sulla presenza e quantità di lesioni ossee e di al- 13

15 terazioni della funzionalità renale, permettendo di dividere i pazienti in tre stadi. Attualmente, viene ampiamente utilizzato una altro score prognostico (International staging system, ISS) che basandosi alcuni parametri ematochimici valutati all esordio della malattia ( dosaggio dell albumina e della B2-microglobulina) permette di classificare i pazienti in tre gruppi a prognosi differente. Un dato fondamentale nella definizione prognostica del MM è la citogenetica con FISH eseguita sulle plasmacellule midollari: l identificazione di particolari delezioni o traslocazioni cromosomiche (esempio delezione cromosoma 17, traslocazioni (4;14), delezione cromosoma 1, traslocazione t(14;16) permette di identificare i pazienti ad alto rischio. Una recente revisione dell international Stagin system (ISS) ha infatti incorporato anche FISH all esordio nella definizione della prognosi dei pazienti affetti da mieloma (Revised International staging system, ISS) 14

16 MIELOMA MULTIPLO: COSA FARE? Abbiamo detto che una percentuale di plasmacellule superire al 10% associata alla presenza di CM sierica ed urinaria permette di porre diagnosi di MM. Da sottolineare però che non tutti i pazienti con MM necessitano di cure immediate. Infatti i pazienti senza segni e sintomi correlati alla malattia (i cosidetti sintomi CRAB: ipercalemia, insufficienza renale, anemia e malattia ossea) non necessitano d alcun trattamento immediato. Questi pazienti sono affetti da MM smoldering (SM) e, non diversamente dalle MGUS, dovranno essere tenuti in stretto controllo evidenziando precocemente eventuali segni di progressione sia laboratoristica/strumentale (incremento della CM, insufficienza renale, anemizzazione, lesioni ossee, alterazione del rapporto catene leggere libere sieriche FLC), sia clinica (astenia, dolori ossei, febbre). La malattia in stadio limitato/asintomatica (SM) può rimanere tale per molto tempo senza alcuna terapia specifica. 15

17 Da sottolineare come recentemente sono stati condotti studi in pazienti affetti da SM ma con caratteristiche biologiche ad alto rischio evolutivo entro breve tempo. In questi pazienti, l utilizzo di lenalidomide o anticipare il trattamento sembrerebbe potere da un lato ritardare l evoluzione a MM sintomatico, dall altro migliorarne la sopravvivenza. Questi dati peraltro hanno bisogno di conferme che dovranni arrivare dagli studi tuttora in corso. Diversamente, per i pazienti con MM sintomatico il trattamento va iniziato il prima possibile. L approccio terapeutico è sensibilmente modificato in questi ultimi anni: dall introduzione della talidomide negli anni 90, passando attraverso l utilizzo di Bortezomib e Lenalidomide ( nuovi farmaci ), i risultati terapeutici sono notevolmente migliorati e continuano a migliorare ulteriormente. Infatti in questi ultimi due anni, nuove molecole sono state messe disposizione dell ematologo per il trattamento del MM (per ora soprattutto per la malattia in recidiva), consentendo di ottenere risultati prima insperati. Tali molecole sono in parte evoluzioni dei vecchi nuovi farmaci (Pomalidomide, Carfilzomib, Ixazomib) in parte molecole con nuovi e innovativi meccanismi di azione (Daratumumab, Elotuzumab). Attualmente il programma terapeutico per i pazienti sintomatici è diverso in relazione all età e all eventuali patologie associate. 16

18 Nei soggetti di età inferiori a 70 anni, il trattamento prevede una fase di induzione con l utilizzo di farmaci in combinazione e successiva chemioterapia ad alte dosi con rinfusione di cellule staminali (il cosiddetto Trapianto autologo), seguiti da breve ciclo di consolidamento ed eventualmente un mantenimento. Nei pazienti non candidabili a terapie intensive (per età o patologie associate) il trattamento prevede la combinazioni di i farmaci per un periodo più o meno lungo. 17

19 GLI STORICI NUOVI FARMACI Come già accennato in precedenza, la prognosi del MM è cambiata dall introduzione delle cosidette nuove molecole: la Talidomide, il Bortezomib e la Lenalidomide. Talidomide. La talidomide negli anni cinquanta e sessanta veniva prescritta come sedativo e antiemetico soprattutto in gravidanza. Alla fine del 1961 venne ritirato dal commercio in seguito all evidenza di gravi effetti teratogeni sul feto: le donne che avevano assunto talidomide davano alla luce neonati con gravi alterazioni dello sviluppo degli arti (focomelia). Peraltro, negli anni 90, le sue proprietà antiangiogeniche e immunomodulanti ne hanno fatto farmaco efficace nel trattamento del MM, con evidenza di risposte anche nei pazienti pesantemente pretrattati. Da allora la talidomide è stata ampiamente utilizzata in questa patologia. Attualmente, in associazione a melfalan e prednisone (schema MPT) la Talidomie è prescrivibile nel paziente di età su- 18

20 periore a 65 anni all esordio, mentre, in associazione a Bortezomib e desamentasone (Schema VTD) è alla base della terapia di induzione del paziente candidato a terapia ad alte dosi. Può essere inoltre utilizzata come terapia di mantenimento post-trapianto ma per un periodo limitato, visto i suoi effetti collaterali. La talidomide è un farmaco che si assume per os. E una molecola che può avere diversi effetti collaterali quali neuropatia periferica, caratterizzata da riduzione della sensibilità alle dita delle mani e dei piedi e formicolio, stitichezza, sonnolenza e secchezza della cute. Questo effetto collaterale è dose e tempo dipendente. Inoltre come gli altri immunomodulanti (ImIDs) lenalidomide e pomalidomide, espone il paziente ad un aumentato rischio di trombosi, soprattutto nei primi mesi di assunzione. Bortezomib. Il Bortezomib è un inibitore di alcune molecole fondamentali per il ciclo della cellula (il proteosoma) con conseguente blocco della crescita e conseguente morte cellulare. Il proteosoma si trova in tutte le cellule dell organismo ma soprattutto nelle cellule tumorali e solo in piccola parte nelle cellule sane, dato che ne giustifica l azione mirata verso il MM. Il Bortezomib è disponibile per la somministrazione endovenosa e sottocutanea. Attualmente il Bortezomib è prescrivibile in associazione a Melphalan e prednisone (schema VMP) per il trattamento del MM non candidato a trapianto, e in associazione a talidomide e Desametasone 19

21 (VTD) nell induzione pre-trapianto nel paziente giovane. Il Bortezomib è un farmaco molto efficace (sia in induzione che in caso di trattamento nella recidiva) con un ottimo profilo di tossicità. I primi anni in cui il farmaco era disponbile per il trattamento del MM, veniva somministrato per via endovena: ciò comportava l insorgenza di una neuropatia periferica agli arti inferiori, in alcuni casi con dolore urente alla pianta dei piedi, che regrediva nella maggioranza dei casi, con una riduzione della dose o con la sospensione del farmaco. Attualmente con la somministrazione sottocutanea, l incidenza della neuropatia da Botezomib è nettamente ridotta, consentendo di completare la terapia senza riduzione dei dosaggi nella maggior parte dei casi. Il farmaco inoltre determina una transitoria riduzione del valore piastrinico e alcuni pazienti riferiscono astenia e stanchezza durante il trattamento. Alcun studi, vista la modalità di somministrazione sottocutanea e il buon profilo di tossicità, stanno valutandone la reale efficacia come terapia di mantenimento. Per la segnalazione di riattivazione dei virus erpetici durante la terapia con Bortezomib, indispensabile profilassi antivirale con aciclovir giornaliera per tutta la durata del programma terapeutico Lenalidomide. Questa molecola è un derivato della talidomide, rispetto alla quale ha maggiore efficacia senza evidenza di neurotossicità. La lenalidomide viene assunta per bocca per 21 20

22 giorni al mese, in cicli di 28 giorni. Lenalidomide in associazione a desamentasone (schema RD) è approvata come terapia di prima linea nei pazienti non candidabili a terapia ad alte dosi. La medesima associazione RD (da solo o in combinazione con nuove molecole quali Elotuzuman e Carfilzomib) è approvata come terapia di seconda linea nei pazienti recidivati (vedi capitoli successivi). E un farmaco ben tollerato: gli effetti collaterali riportati sono essenzialmente una tossicità ematologica (cioè riduzione dei leucociti, globuli rossi e piastrine), tossicità cutanea (comparsa di rossore diffuso e prurito) e rischio di sviluppare trombosi (praticamente annullata dall assunzione di profilassi antitrombotica concomitante). Molti pazienti segnalano alterazioni dell alvo (diarrea) in seguito alla somministrazione di Lenalidomide. Praticamente assente invece la tossicità neurologica. Qualche tempo fa era stato segnalato un incremento del rischio di sviluppare seconde neoplasie con l assunzione prolungata di Lenalidomide, dato peraltro non confermato da valutazioni ed analisi più recenti. Durante la terapia con immunomodulanti (talidomide, lenalidomide e pomalidomide) è indispensabile profilassi antivirale e antitrombotica. La sua somministrazione orale e il buon profilo di tossicità, rendono tale molecola il candidato ideale per terapie di mantenimento (vedi capitoli successivi) 21

23 I NUOVI NUOVI FARMACI POMALIDOMIDE La Pomalidomide è il terzo farmaco della famiglia degli ImIDs) a disposizione per il trattamento del MM. Come i due predecessori (talidomide e lenalidomide) i suoi meccanismi d azione non sono completamente chiariti, anche se viene postulata una azione diretta verso la cellula neoplastica associata alla stimolazione della risposta immunologica del paziente. Attualmente la Pomalidomide in associazione a desametasone, è indicata nei pazienti che abbiamo già effettuato due precedenti terapie (contenenti un inibitore del Proteosoma ed un ImIDs). L efficacia del farmaco è documentabile anche in pazienti che abbiamo già assunto o talidomide o lenalidomide. Farmaco da assumere per os, 21 giorni al mese, molto ben tollerato, anch esso con possibile tossicità midollare, rischio di trombosi, rischio teratogeno. CARFILZOMIB Farmaco della classe degli inibitori del proteosoma di nuova generazione, il Carfilzomib è una molecola molto promettente, da poco approvata in combinazione con Lenalidomide e desametasone per il trattamento del MM recidivato dopo una precedente terapia (schema KRD): l aggiunta di carfilzomib consente di migliorare molto i risultati rispetto alla sola terapia con RD sia in termini di risposta, durata della risposta e di sopravvivenza globale. 22

24 Il Carfilzomib viene somministrato endovena per due giorni alla settimana per 3 settimane consecutive ogni 5 settimane, in associazione a lenalidomide e desamentasone (per bocca). Gli effetti collaterali del trattamento includono ipertensione ed possibili eventi cardiaci: per tale motivo il paziente durante le fasi della terapia, dovrà eseguire un controllo dei valori della pressione arteriosa, con accurato monitoraggio degli elettroliti. Con il Carfilzomib sono state segnalate anche tossicità renale, astenia e tossicita ematologica. Diversamente dal Bortezomib (anch esso inibitore del proteosoma) assente la neuropatia periferica. IXAZOMIB Anche Ixazomib è un inibitore del proteosoma ma, diversamente dai precedenti, viene assunto per via orale una volta alla settimana. La sua efficacia in associazione a RD è stata dimostrata nei pazienti pretrattati: a breve la combinazione dovrebbe essere disponibile anche per i nostri pazienti. Farmaco ben tollerato: rara è l insorgenza di neuropatia periferica, mentre più frequentemente viene registrata tossicità gastrointestinale e cutanea. ANTICORPI MONOCLONALI (ELOTUZUMAB e DARATUMUMAB) Come già accade da tempo in altre emolinfopatie (linfomi, leucemia linfatica cronica), gli anticorpi monoclonali stanno sempre più 23

25 dimostrando la loro efficacia anche nel MM. Il meccanismo di azione di queste molecole si basa su una azione diretta contro il tumore ma anche, cosa più importante, stimolando la risposta immunologica del paziente verso la plasmacellula patologica. Attualmente sono due gli anticorpi monoclonali a disposizione dell ematologo: Daratumumab ed Elotuzumab DARATUMUMAB Anticorpo monoclonale diretto contro una molecola di superficie espressa dalla plasmacellule CD38). Il Daratumumab è da poco disponibile per il trattamento in monoterapia del MM che abbia già ricevuto almeno 3 linee terapeutiche. In questi pazienti, dove le possibilità di ottenere risultati soddisfacenti sono veramente poche, la somministrazione del farmaco ha consentito di ottenere una risposta in più di un terzo dei casi trattati. Si presume peraltro che l anno prossimo, Daratumumab in associazione a Velcade (schema DaraVD) o lenalidomide (DaraRD), sarà disponibile per il trattamento dei pazienti affetti da MM recidivati dopo una prima linea di trattamento. Infatti l associazione di Daratumumab alla lenalidomide o al Bortezomib, consente di ottenere un ulteriore miglioramento delle risposte con riduzione del rischio di progressione in circa il 60% dei casi trattati. Come per tutti gli anticorpi monoclonali, anche per il Daratumumab gli effetti collaterali riportati sono essenzialmente reazioni infusionali soprat- 24

26 tutto durante la prima somministrazione. Per questo motivo, mandatoria una profilassi ad ogni somministrazione di Daratumumab. Altri effetti collaterali riportati sono diarrea, nausea, tossicità ematologica di grado moderato e un incremento delle infezioni delle vie aeree superiori. Il Daratumumab viene somministrato endovena a cadenza settimanale per due mesi, poi ogni 15 giorni per ulteriori due mesi e a seguire a cadenza mensile. ELOTUZUMAB Anticorpo monoclonale diretto verso una proteina altamente espressa dalle plasmacellule patologiche (SLAM-F7), non ha dimostrato molta efficacia nel MM se somministrato in monoterapia. In uno studio randomizzato, l aggiunta di elotuzumab alla combinazione lenalidomide-desamentasone, consente invece di migliorare il tasso di riposta e la sua durata, riducendo il rischio di progressione, con miglioramento della sopravvivenza. Anche per Elotuzumab, il 10% dei pazienti trattati evidenzia una reazione infusionale di grado lieve-moderato soprattutto alla prima somministrazione del farmaco. Altri effetti collaterali sono diarrea, nausea e un incremento di infezioni delle vie aeree superiori 25

27 PAZIENTE GIOVANE: TERAPIA AD ALTE DOSI CON REINFUSIONE DI CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE PERIFERICHE Il paziente candidabile a tale procedura, esegue 3-4 cicli di terapia di induzione per ridurre la massa neoplastica. Generalmente gli schemi di induzione comprendono Bortezomib, Desametasone e Talidomide o Ciclofosfamide, e consentono di ottenere una risposta rapida in oltre la metà dei pazienti. In un futuro probabilmente non molto lontano gli schemi di induzione utilizzeranno anche i nuovi farmaci (carfilzomib e lenalidomide), consentendo di migliorare ulteriormente la percentuale di risposte. Al termine dell induzione, il paziente viene sottoposto ad una terapia di mobilizzazione con lo scopo di rendere circolanti nel sangue periferico le cellule staminali totipotenti, normalmente presenti solo a livello del midollo osseo. La terapia di mobilizzazione prevede la somministrazione sottocute di fattore di crescita emopoietico (GCSF), per 4-5 giorni, eventualmente preceduto la settimana precedente da ciclofosfa- 26

28 mide endovena. A seguito di questo trattamento, con un semplice prelievo del sangue, si contano le cellule staminali circolanti nel sangue periferico: in caso di valori idonei, il paziente eseguirà una o più procedure di leucoaferesi, per raccogliere e criopreservare le stesse cellule staminali. In caso contrario, il paziente effettuerà nuovo controllo nei giorni successivi, proseguendo la somministrazione di G-CSF sottocute. 27

29 LA LEUCAFERESI La leucaferesi è la procedura che permette di raccogliere le cellule staminali circolanti nel sangue periferico del paziente sottoposto a terapia di mobilizzazione. Al paziente si reperiscono due accessi vascolari (due vene periferiche o meglio un catetere venoso centrale ed una vena periferica); tramite i quali si collega allo strumento per la leucaferesi. Da un accesso vascolare infatti il sangue viene aspirato e fatto circolare attraverso particolari filtri, permettendo cosi di riconoscere, separare e raccogliere le cellule staminali circolanti. Il sangue filtrato, viene reinfuso al paziente tramite il secondo accesso vascolare. Questa procedura di filtraggio viene ripetuta più volte: il tutto dura solitamente tre ore e non richiede ricovero. Le cellule staminali raccolte, vengono conservate in azoto liquido (Criopreservate, a -180 C) fino al giorno del trapianto. 28

30 CHEMIOTERAPIA AD ALTE DOSI E REINFUSIONE DI CELLULE STAMINALI Questa fase prevede la somministrazione di chemioterapia (Melphalan) ad un dosaggio elevato, seguita dalla reinfusione delle cellule staminali emopoietiche in precedenza raccolte e criopreservate, il cosiddetto trapianto di cellule staminali autologhe. Il trapianto consiste in realtà nella infusione delle cellule staminali attraverso catetere venoso centrale, con una procedura simile ad una normale trasfusione di sangue (anche se effettuata in molto meno tempo). Il razionale del trapianto autologo si basa su alcuni concetti: Gli elevati dosaggi di Melphalan, superando la barriera della chemioresistenza tumorale, consentono in linea teorica di eradicare la plasmacellule midollari persistenti dopo la terapia di induzione. Questo fatto peraltro comporta la distruzione anche delle normali cellule midollari. Per questo motivo vengono precedentemente raccolte e poi reinfuse le cellule staminali del pa- 29

31 ziente, per ripopolare il midollo osseo dopo l azione citotossica della chemioterapia. Infatti nei giorni successivi alla reinfusione delle cellule staminali (che normalmente segue di 1-2 giorni la chemioterapia con alte dosi di Melphalan) si evidenzia un progressivo e costante abbassamento dei valori delle cellule di sangue: il paziente entra nel cosidetto periodo di aplasia (ovvero la carenza di globuli bianchi, globuli rossi e piastrine). In questa fase l azione del chemioterapico è completa e le cellule staminali reinfuse stanno lentamente ripopolando il midollo osseo, differenziandosi nelle diverse linee emopoietiche. Dopo circa 10 giorni dalla reinfusione di staminali si documenta solitamente la risalita dei globuli bianchi che si completa entro la quindicesima giornata. Quindi con questa modalità terapeutica si riduce la tossicità ematologica relata alla chemioterapia, accorciando il periodo di aplasia, con conseguente diminuizione del rischio infettivo e del fabbisogno trasfusionale. La reinfusione della cellule staminali non è pertanto curativa di per se, ma ci permette di effettuare dosi elevate di chemioterapia (più efficaci), riducendone peraltro la tossicità ematologica. 30

32 TOSSICITÀ E TRAPIANTO AUTOLOGO La tossicità di questa procedura risulta accettabile nella maggioranza dei casi: infatti l utilizzo delle cellule staminali periferiche, dei fattori di crescita emopoietici e il miglioramento della terapia di supporto (soprattutto antibiotica e antidolorifica) consentono di ridurre gli effetti collaterali e il periodo di degenza di questi pazienti. Gli effetti collaterali che si riscontrano sono essenzialmente: Nausea e vomito, di solito di modica entità. E nei giorni successivi alla chemioterapia Pancitopenia: di grado elevato, che nella maggior parte dei casi richiede un supporto trasfusionale e somministrazione di fattori di crescita emopoietici, anche se generalmente per pochi giorni. Infezioni, legate alla neutropenia: per limitare il rischio infettivo i pazienti sono posti in regime di isolamento protettivo per la durata della neutropenia, mediamente di 7-10 giorni Mucosite: caratterizzata da dolore al cavo orale, difficoltà ad alimentarsi e a bere, addominalgie con diarrea. Il ricovero ospedaliero complessivamente può durare tre settimane. In base alla risposta ottenuta dopo il trapianto, possibile effettuare una secondo trapianto a distanza da 3-6 mesi dal precedente 31

33 CONSOLIDAMENTO E MANTENIMENTO La terapia di consolidamento ha l obiettivo di migliorare ulteriormente la risposta ottenuta con il trapianto; prevede l utilizzo di un regime terapeutico altamente efficace, somministrato per un breve periodo di tempo, per ridurne al minimo la tossicità. Normalmente i regimi di consolidamento sono basati sui medesimi schemi utilizzati in induzione, attualmente comprensivi di Bortezomib, talidomide e desamentasone. E stato ampiamente dimostrato come l effettuare una terapia di consolidamento permette di ottenere un aumento del numero delle risposte complete. La terapia di mantenimento è finalizzata invece a conservare nel tempo la risposta ottenuta dopo induzione, trapianto e consolidamento e possibilmente a prolungare la sopravvivenza dei pazienti, senza alterare in modo significativo la qualità di vita. La terapia di mantenimento prevede l assunzione di un singolo farmaco (preferibilmente per bocca o sottocute) a bassi 32

34 dosaggi, per un periodo di tempo prolungato (anche alcuni anni). Fino a 10 anni fa circa, le uniche possibilità erano rappresentate dall utilizzo dell interferone e dallo steroide, trattamento che peraltro oltre che tossici si sono dimostrati poco efficaci. L impiego di talidomide come terapia di mantenimento ha in alcuni studi determinato un miglioramento della durata della risposta e della sopravvivenza globale: il problema principale relativo all impiego di questa molecola come terapia di mantenimento a lungo termine riguarda la sua neurotossicità, che determina la sospensione del trattamento nel 60% dei pazienti. La lenalidomide in considerazione dell assenza di neurotossicità e della sua modalità di assunzione, appare farmaco ideale come terapia di mantenimento. Recentemente è stato documentato come la lenalidomide in mantenimento determini un miglioramento sia della durata della risposta che della sopravvivenza. Da definire ancora la durata di tali trattamenti. L impego del Bortezomib come terapia di mantenimento sottocute, è stato valutato in ambito di studi clinici, documentandone l efficacia in assenza di tossicità maggiori. Anche per altre molecole sono in corso studi per valutarne l efficacia se impiegati come terapia di mantenimento 33

35 TRAPIANTO ALLOGENICO Pur senza dimenticarci che rimane una procedura proponibile ad un numero limitato di pazienti con MM (giovani e con donatore HLA compatibile), attulamente il ruolo del trapianto allogenico non è ancora del tutto chiarito sia come terapia di prima linea sia alla recidiva. A differenza del trapianto autologo, dove il ruolo terapeutico viene svolto dal chemioterapico ad alte dosi mentre le cellule staminali (del paziente) ne limitano solo gli effetti collaterali, nel trapianto allogenico sono proprio le cellule staminali (del donatore) ad avere un ruolo terapeutico. La procedura prevede un trattamento di condizionamento che può essere di tipo mieloablativo (cioè ad alte dosi) o di tipo ad intensità ridotta (meno tossico), seguito dalla infusione di cellule staminali di un donatore HLA identico, da ricercarsi principalmente tra i familiari o da 34

36 un registro internazionale Le cellule allogeniche così infuse, lentamente modificano il sistema immunologico del paziente (ormai diventato tollerante verso le cellule tumorali) facendo in modo da attivare una risposta immuno-mediata diretta, efficace e continua contro il MM. La tossicità del trapianto allogenico, che permane elevata pur con i condizionamenti ridotti, rimane un fattore limitante l utilizzo di tale procedura nel MM, senza dimenticare che i risultati sull efficacia del trapianto allogenico nel MM non sempre sono univoci nei diversi studi pubblicati. Pertanto il trapianto allogenico nel MM andrebbe effettuato solo nell ambito di studi clinici, probabilmente limitato a pazienti ad alto rischio. 35

37 PAZIENTI NON CANDIDATI A TERAPIA INTENSIVA Nei pazienti non candidati a terapia intensiva, gli obbiettivi principali del trattamento sono: - l ottenimento di un risposta di qualità, al fine di prolungarne la durata e la conseguente spettanza di vita. - ridurre il più possibile la tossicità, per non modificare eccessivamente la qualità di vita di una categoria di pazienti considerata più fragile. Per conseguire questi obiettivi, la terapia deve essere adeguata non solo alle caratteristiche della malattia, ma anche all età biologica e al performance status del paziente; in tale senso, in tutta la storia terapeutica del paziente con MM, la terapia di supporto attualmente ha un ruolo fondamentale per la prevenzione ove possibile e per il controllo degli eventuali effetti collaterali del trattamento. Fino a pochi anni fa, per questi pazienti avevamo a disposizione poche armi terapeutiche, con scarse possibilità di ottenere una risposta 36

38 adeguata. Ora, abbiamo a disposizione associazioni a più farmaci con diverse modalità di somministrazione (per os, sottocute, endovena), cadenze di accessi ospedalieri (settimanali, mensili), durata del trattamento (limitata o fino a progressione) e profili di tossicità diversi, tale da permetterci di valutare la miglior terapia per il singolo paziente. Attualmente gli schemi di trattamento per questi pazienti prevedono associazione di un nuovo farmaco con un chemioterapico o con un cortisonico Lo schema MPT (tutto in compresse), che prevede Melphalan, prednisone associati a basse dosi di Talidomide attualmente è poco utilizzato, soprattutto per la neurotossicità della talidomide ma anche per la minor efficacia rispetto ad altri schemi di trattamento. Lo schema VMP (Bortezomib sottocute a somministrazioni settimanali, associato ad Alkeran e prednisone assunti per 4 giorni in compresse) consente di ottenere ottimi risultati con un buon profilo di tossicità. La somministrazione sottocutanea di Bortezomib ha consentito di ridurre notevolmente l incidenza della neuropatia. La terapia ha durata fissa (9 cicli complessivi, per una durata di circa 12 mesi). Indispensabile profilassi antivirale. Dal gennaio 2017 la Lenalidomide in associazione a desamentasone (schema RD) è prescrivibile in pazienti anziani non precedentemente trattati. Lo schema terapeutico (tutto per bocca) 37

39 viene somministrato in cicli mensili fino a quando la malattia risulta responsiva. E uno schema molto ben tollerato, anche in pazienti più anziani, anche se è indispensabile una profilassi antitrombotica e antivirale. Lo schema RD consente di ottenere ottime risposte di lunga durata anche in pazienti di età avanzata. Inoltre, la buona tollerabilità, la somministrazione per bocca e la tempistica degli accessi in Ospedale (1 volta al mese), rendono schema RD indicato per molti pazienti anziani ove, oltre al problema di dover trattare la neoplasia, subentrano fattori esterni quali la presenza di un care-giver, vicinanza all ospedale, ecc 38

40 RADIOTERAPIA: QUANDO UTILIZZARLA Diversamente da altre neoplasie oncoematologiche, dove la radioterapia viene affiancata alla chemioterapia con intento curativo, nei pazienti affetti da MM è utilizzata solamente a scopo sintomatico. Il MM è una neoplasia altamente radiosensibile ma essendo una malattia sistemica, in altre parole diffusa, si dovrebbe irradiare tutto l organismo, con gravi effetti collaterali per il paziente. Questo tipo di trattamento (chiamato Irradiazione corporea globale) è attualmente utilizzato solo come regime preparatorio ad un trapianto di midollo o cellule staminali allogeniche. Solitamente la radioterapia è utilizzata per controllare localmente la malattia, in caso di localizzazione ossea e fratture patologiche (soprattutto a livello delle vertebre, del bacino e degli arti), allo scopo di ridurre o eliminare il dolore osseo. ACIDO ZOLEDRONICO Tutti i pazienti con MM all esordio, indipenden- 39

41 temente dal fatto che abbiano lesioni ossee, dovrebbero iniziare un trattamento con bifosfonati (Pamidronato, acido zoledronico) una volta al mese per endovena. Attulamente nel MM, bifosfonato di riferimento è acido zoledronico, somministrato endovena in 15 minuti una volta al mese. Una complicazione che si è registrata durante la terapia con bifosfonati è l insorgenza di Osteonecrosi della mandibola, una grave complicazione infettiva a livello del cavo orale. Tale complicazione è stata correlata con scarsa igiene orale e a manovre odontoiatriche (estrazioni, implantologia). Per evitare questa grave complicazione, prima di iniziare la terapia, il paziente dovrà effettuare una valutazione odontoiatrica con eventuale bonifica dentale, con periodico controllo dal dentista durante tutto l iter terapeutico. In casi di necessità di estrazioni o interventi odontoiatrici, si deve informare il dentista: in questi casi i bifosfonati andranno interrotti e riattivati alcuni mesi dopo l interventi odontoiatrici. La durata complessiva della terapia con acido zoledronico non è ancora chiaramente definita, anche se è ormai consuetudine prolungarla non oltre i due anni. 40

42 TERAPIE FUTURE (ma non troppo) Sono già in corso in molti paesi, tra cui l Italia, studi con nuove molecole spesso in combinazione: sono da segnalare i preliminari risultati positivi ottenuti con selinexor, venetoclax o pembrulizumab. Interessante inoltre l approccio immunoterapico con le cosiddette CAR-T cells. La tecnica consiste nel prelevare dal sangue del paziente alcune cellule specifiche (linfociti T), modificarle con tecniche di ingegneria genetica, in modo tale che riconoscano e uccidano le cellule del MM una volta reinfuse nel paziente stesso. Sono stati pubblicati risultati preliminari su pochi pazienti ma che fanno ben sperare per il futuro. 41

43 CONCLUSIONI In questi ultimi anni la terapia e di conseguenza la prognosi dei pazienti affetti da MM è radicalmente modificata, permettendo di superare l approccio palliativo dei decenni precedenti, consentendoci di migliorare non solo la dutata delle risposte ma anche la sopravvivenza. Pur con l introduzione di nuove molecole, nel paziente giovane, l utilizzo di programmi sequenziali ad alte dosi con trapianto di cellule staminali periferiche autologhe rimane ancora uno standard terapeutico che ci ha permesso di migliorare la qualità di vita di questi pazienti e, in ultima analisi, di prolungarne la sopravvivenza. Nel paziente anziano, l approccio di associazione tra farmaci biologici (talidomide, Borterzomib, lenalidomide) e chemioterapia o steroide, ha permesso di ottenere ottimi risultati, garantendo un trattamento adeguato anche 42

44 in questa categoria di pazienti ove, fino a poco tempo fa, le cure erano unicamente indirizzate al controllo dei sintomi. Lo sviluppo di modalità innovative e l introduzione di ulteriori nuovi farmaci (ma soprattutto la loro corretta combinazione ) sarà certamente in grado di migliorare ulteriormente ed in modo significativo i risultati terapeutici ottenuti in questa patologia, permettendoci forse un giorno di pronunciare senza timore, la parola guarigione. 43

45 Appunti 44

46 Questo opuscolo è stato realizzato grazie alla Fondazione Federico Calabresi Onlus Per l'informazione ai pazienti e lo sviluppo della ricerca in Oncologia Via Angelo Brunetti, Roma Tel/Fax: Cell: fond.f.calabresi@inwind.it BANCA FINECO IBAN: IT15 D CONTO CORRENTE POSTALE x1000 Codice Fiscale Le Guide della Fondazione Calabresi sono ora disponibili gratuitamente anche per tablet con Sistema Operativo ios e Android. È possibile scaricare l applicazione su o utilizzare il QRcode Se Vi è stato di aiuto sosteneteci a realizzarne altri! 45

47 Appunti 46

48 OPUSCOLI PUBBLICATI Combattere il dolore per combattere senza il dolore E. Arcuri Consigli alimentari durante il trattamento oncologico M. Antimi, P. Tarantini, F. Quatrini Radioterapia. Guida pratica per il paziente U. de Paula, A. Di Palma, L. de Paula Ipertrofia prostatica benigna: guida per il paziente M. Lamartina, M. Rizzo, G.B. Ingargiola, M. Pavone Macaluso Trapianto di midollo osseo o di cellule staminali periferiche S. Capria, A. P. Iori Chemioterapia... se la conosci, non la temi T. Gamucci, S. De Marco Sopravvivere al cancro infantile. Tutto e bene quel che finisce bene J. E. W. M. Van Dongen - Melman Mieloma multiplo A. Nozza, A. Santoro Neoplassie del colon-retto. Una terapia per ogni paziente C. Tasca, L. Ghilardi, R. Labianca Occhio... alla bocca F. Cianfriglia, A. Lattanzi Occhio a quel neo che cresce! I. Stanganelli Tumori e AIDS: prevenzione e terapia G. D. Vultaggio, U. Tirelli La terapia ormonale nel carcinoma mammario G. Masci, A. Santoro Il tumore del pancreas L. Ghilardi, C. Tasca, R. Labianca I tumori dei giovani adulti - La mammella E. Cammilluzzi, A. Maria Alberti et al. Perché devo smettere di fumare S. Ricciardi, C. N. Sternberg Perché proprio a me? Come affrontare il disagio emotivo quando si ha un tumore B. Barcaccia, T. Gamucci Nausea e vomito da chemioterapia: cosa fare? S. Fatigoni, M. Picciafuoco, F. Roila Un aiuto al paziente con reazioni cutanee in corso di terapia con Cetuximab O. Martelli, A. Mancuso, S. Marenda, R. Labianca Un gioco da ragazze. Prevenire il crcinoma della cervice uterina con il vaccino Anti Papilloma Virus (HPV) R. Giuliani, L. E. Gialloreti, C. N. Sternberg Insieme, contro il tumore del polmone A. Gelibter, A. Ceribelli L ascite neoplastica: come, quando e perché G. Scambia, D. Lorusso, M. C. Masi, A. Pietragalla. Libretto informativo per gli accessi venosi P. Basili, C. Canestri, V. Rizzo. L. Laurenzi, M. Perrone. E possibile stampare le Guide in formato pdf dal sito 47

49 Appunti Si ringrazia Celgene per il sostegno alla riedizione Finito di stampare dalla Pubblimax srl - Roma nel mese di novembre 2017

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