idee per l educazione DICEMBRE 2009

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1 idee per l educazione DICEMBRE 2009 NUOVA SERIE NUMERO 75 - DICEMBRE 2009 ( ) Tariffa R.O.C.: Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n 46) art. 1, DCB (Como) 8 EURO Educazione civica sovversiva Uno strappo al cuore e una speranza La pedagogia degli scarti e dei cortocircuiti Immigrati a vita o cittadini a pieno titolo? Le proposte di Sbilanciamoci! Se l arte ci prende per mano Il padre di Villi Il condominio di vetro Il ministro esterofilo Metafore per l insegnamento delle scienze Brutta storia la Storia contemporanea italiana Per essere cittadini digitali basta stare in rete? Un po apocalittico e un po nostalgico I giorni felici TEXT Il potere delle idee TEMA Ordine e discipline

2 c o s t r u i r e l u g u a g l i a n z a l i b e r a r e l e d i f f e r e n z e NUMERO 75 DICEMBRE 2009 EDIT 3 Educazione civica sovversiva ANDREA BAGNI PRE 4 Uno strappo al cuore e una speranza MARIA CRISTINA MECENERO e CHIARA NEROZZI TEMA ORDINE E DISCIPLINE a cura di CELESTE GROSSI 7 Il destino della scuola pubblica al di là della resistenza PAOLO CHIAPPE 9 Insegnare a chi non ci assomiglia ROSALBA CONSERVA 10 E se fosse una vendetta? FILIPPO TRASATTI 14 Ordine e disciplina. La situazione italiana e europea PINO PATRONCINI 16 Il cinema fatto dai bambini STEFANO VITALE 19 La scuola, il cinema, la collina A cura di FABIO CANI IDEE PER L EDUCAZIONE 22 La pedagogia degli scarti e dei cortocircuiti MONICA ANDREUCCI 24 Immigrati a vita o cittadini a pieno titolo? MAURIZIO DISOTEO 25 Le proposte di Sbilanciamoci! 26 ESPERIENZE NARRATE Se l arte ci prende per mano DONATA GLORI 28 NUOVI ARRIVI Il padre di Villi LIDIA GARGIULO 29 NOTE IN CONDOTTA Il condominio di vetro ANDREA BAGNI MAPPAMONDO 30 L ERBA DEL VICINO Il ministro esterofilo PINO PATRONCINI DE RERUM NATURA 32 Metafore per l insegnamento delle scienze MARCELLO SALA MODI E MEDIA 35 Brutta storia la Storia contemporanea italiana CELESTE GROSSI 37 NAVIGO ERGO SUM Per essere cittadini digitali basta stare in rete? EDOARDO CHIANURA 38 IL LIBRO Un po apocalittico e un po nostalgico PAOLO CHIAPPE 40 HUMUS 42 ANNI VERDI I giorni felici STEFANO VITALE TEXT 43 Il potere delle idee FILIPPO TRASATTI 48 TREND LORENZO SANCHEZ FOTO DI COPERTINA: LEONARDO MALTESE Redazione via Magenta 13, Como tel coecole@tin.it Direttrice responsabile Celeste Grossi Vicedirettore Andrea Bagni Redattori Bianca Dacomo Annoni, Francesca Capelli, Paolo Chiappe, Maurizio Disoteo, Marisa Notarnicola, Cesare Pianciola, Andrea Rosso, Gianpaolo Rosso, Giovanni Spena, Filippo Trasatti, Stefano Vitale Collaboratori Giovanna Alborghetti, Monica Andreucci, Guido Armellini, Antonella Baldi, Marta Baiardi, Antonia Barone, Gabriele Barrera, Annita Benassi, Giorgio Bini, William Bonapace, Franco Calvetti, Andrea Canevaro, Minny Cavallone, Edoardo Chianura, Angelo Chiattella, Rosalba Conserva, Vita Cosentino, Marina Di Bartolomeo, Lella Di Marco, Mauro Doglio, Lidia Gargiulo, Maria Letizia Grossi, Toni Gullusci, Monica Lanfranco, Mariateresa Lietti, Marco Lorenzini, Franco Lorenzoni, Francesca Manna, Raffaele Mantegazza, Corrado Mauceri, Cristina Meirelles, Alberto Melis, Luciana Mella, Bruno Moretto, Giorgio Nebbia, Filippo Nibbi, Enrico Norelli, Laura Operti, Carlo Ottino, Giuseppe Panella, Pino Patroncini, Vito Pileggi, Nevia Plavsic, Rinaldo Rizzi, Marcello Sala, Nanni Salio, Antonia Sani, Cosimo Scarinzi, Maria Antonietta Selvaggio, Angelo Semeraro, Scipione Semeraro, Rezio Sisini, Monica Specchia, Marcello Vigli Grafica e impaginazione Natura e comunicazione Como (Andrea Rosso con Marco Bracchi) Abbonamenti Attivazione immediata: tel , infoecole@tin.it Annuale: (4 numeri + 10 lettere telematiche + CDiario + 2 cd rom tematici): 45 euro Sostenitore: 70 euro Versamenti sul conto corrente postale n intestato a Associazione Idee per l educazione, via Anzani 9, Como. Registrazione Tribunale di Como n. 1/2001 del 10 gennaio 2001 Stampa Fotocomp snc via Varesina 3, Lurate Caccivio (Como) tel Proprietà della testata Associazione Idee per l educazione. Sede legale: via Anzani 9, Como Consiglio di amministrazione Bianca Dacomo Annoni (vice presidente), Andrea Rosso, Gianpaolo Rosso, Filippo Trasatti (presidente), Stefano Vitale

3 c o s t r u i r e l u g u a g l i a n z a l i b e r a r e l e d i f f e r e n z e edit Educazione civica sovversiva ANDREA BAGNI L educazione civica questo governo dovrebbe proibirla per decreto. Poche discipline appaiono così naturalmente rivoluzionarie. È la banalità della democrazia, l abc dello stato di diritto che sembrano fare problema. A partire dalla scuola. Nel collegio si vota il pof, l insieme dei progetti e dei progettini. Ci sarebbe da discutere un bel po, ma il collegio vota solo il pacchetto dei titoli, poi l rsu (organismo sindacale in cui potrebbero anche non esserci docenti) con il dirigente stabilisce tutto il resto: quante persone, quante ore, cioè quali priorità didattiche nell uso delle risorse. Gli insegnanti rsu partecipano al collegio, però mica intervengono. Tanto hanno la democrazia rappresentativa per correggere le decisioni della democrazia diretta. E lo dicono proprio, sono orgogliosi del loro potere di supervisione. Va da sé che qualcuno comincia a chiedere, ma se alla fine decidete voi eletti, allora perché venire a questi pallosissimi collegi? La democrazia è faticosa. Le assemblee sindacali non sono meno buffe certe volte. Gli ata chiedono di aumentare nel contratto di istituto la quota del fondo loro spettante. È cresciuto il lavoro delle segreterie con l autonomia. Naturalmente l aumento va a danno dei docenti. Che dicono subito, anche il nostro lavoro è aumentato. Va be votiamo. I prof sono trenta, gli ata dieci. I voti trenta a dieci, chi se lo sarebbe immaginato. Le assemblee degli studenti in autogestione quando fanno un esempio degli sprechi da tagliare invece della scuola, non fanno più il classico riferimento alle spese militari, dicono che lo spreco scandaloso è il parlamento. Sapete quanto guadagna un parlamentare? E non mettono in conto coca trans ed escort... Hanno fatto nascere un nuovo soggetto politico, i maggiorenni firmatari: loro è la responsabilità, loro le decisioni, tocca a loro concedere autogestione o occupazione. Un dono dell élite per le masse. Il principio di maggioranza invece salta fuori contro la sentenza europea sul crocifisso nelle aule. Non è un simbolo religioso che offende i non cattolici, si dice: è un nostro simbolo culturale, una tradizione. Come gli spaghetti. La pommarola. E Claudio Magris ironizza sui delicatini che si sentono discriminati. Guai pensare che le cose spirituali sarebbe bene viverle spiritualmente, al riparo dalle burocrazie degli stati. Guai pensare che non può deciderlo un appartenente alla confessione che quel simbolo non è di appartenenza confessionale. Siamo la maggioranza decidiamo noi. Ti scoraggi un po, sia per gli studenti che per i Maestri. Poi leggi che il Presidente del Consiglio dice che il governo italiano, voluto dal popolo, è frenato da altre istituzioni che non sono elette dagli elettori. È uno scandalo, un golpe contro la volontà popolare. Uno scandalo? È l essenza dello stato di diritto, della divisione dei poteri, l idea stessa di democrazia costituzionale. Porre dei limiti al potere in nome dei diritti dei singoli. Allora quando spiegheremo queste cose in classe ci diranno che siamo sovversivi. Che facciamo politica. Sarà vero, ovviamente. Merito del vecchio sapere disciplinare. Il fatto è che non si difende la Costituzione se non si pratica: se non si porta sulla scena pubblica la vita che circola nelle scuole, nelle piazze, nella società, a partire da noi stessi. Se non si vive quella vita. Se solo si sceglie ogni cinque anni il sorriso migliore, affidandosi all imperatore e alla sua corte luccicante. La democrazia è faticosa. Ma potrebbe essere entusiasmante.

4 parte di tante colleghe che, tutto sommato, possono sentirsi rassicurate da un impianto organizzativo ancora temporaneamente garantito. Vorremmo mostrare quello che è in gioco, secondo noi. Siamo affezionate alla nostra scuola e appassionate al nostro lavoro, ci teniamo. Abbiamo bisogno che la consapevolezza di quello che si sta rischiando si ampre Uno strappo al cuore e una speranza Lottiamo ancora per incontrare con piacere l infanzia nella scuola primaria pubblica MARIA CRISTINA MECENERO E CHIARA NEROZZI La scuola pubblica sta profondamente cambiando. Chi non se ne occupa direttamente, ma è un po curioso e attento, capisce che è in atto una crisi; chi ci lavora o se ne interessa direttamente (genitori e insegnanti), per tutto lo scorso anno scolastico, ha impiegato energie per capire e far capire cosa sarebbe accaduto e ora si trova in uno stato di stordimento: da un lato si cerca ancora di far emergere ciò che sta avvenendo a causa dei tagli di personale, dall altro si oscilla tra stati di impotenza e di resistenza. Per alcune è già rassegnazione, per altre la scuola è difficile da difendere perché non andava bene neanche prima. L annunciata demolizione del tempo pieno ha scatenato le ribellioni dello scorso anno, ma l erosione attuata in questi mesi non ha lo stesso effetto di reazione da école numero 75 pagina 4

5 plifichi e che questo momento buio diventi occasione per riaccendere un interesse sul valore che ha per una società un sistema scolastico pubblico che riesce a incontrare e ad accogliere l infanzia. Apparenze Io, Chiara, sono una maestra di Bologna e la mia scuola è già l immagine di quello che lentamente accadrà al sistema scolastico. Le maestre che sono andate in pensione non sono state sostituite. L anno scorso, il lunedì, la mia classe andava a rotazione per piccoli gruppi nel laboratorio di informatica o in biblioteca; il martedì e il giovedì si organizzavano, al bisogno, piccoli gruppi di rinforzo e recupero o attività d arte particolari; il venerdì due miei alunni potevano essere seguiti in un percorso di alfabetizzazione. Quest anno nessuna di queste attività è praticabile. Nel mio plesso convivono due organizzazioni orarie (modulo, 30 ore; tempo pieno 40). La normativa prevede per il modulo un unica insegnante (22 ore di lezione) riconoscendo così un tempo scuola che non corrisponde alla realtà delle richieste delle famiglie: anche considerando l inglese e religione non si raggiungono le 30 ore. Per le classi a tempo pieno sono previste due insegnanti per una classe. Apparentemente il tempo pieno sembra non perderci nulla. Le maestre del tempo pieno spendevano, fino all anno scorso, tutte le loro ore di lezione su un unica classe, si avevano così due momenti settimanali dove le due insegnanti erano assieme: le cosiddette ore di compresenza. La normativa (DPR n. 89 del 20/3/2009) afferma che quelle ore non sono più della classe ma dell istituto e, prioritariamente, vanno utilizzate per coprire il tempo scuola richiesto dalle famiglie e in subordine, per altre attività volte a potenziare l offerta formativa ovvero: quel che resta si può utilizzare per uscite didattiche, gruppi di recupero e/o approfondimento, laboratori¹. Il problema è quel che resta: non resta a tutte le scuole lo stesso numero di ore e questo porta ad avere occasioni formative diverse da istituto a istituto (in alcune realtà scolastiche non resta praticamente niente). Ritmi e tempi Altro aspetto da sottolineare di questa nuova organizzazione è la devastazione dei ritmi e dei tempi dell attività didattica: alcune maestre esauriscono il loro orario su un unica classe, altre lo completano insegnando alcune discipline o occupandosi del tempo della mensa di altre classi. Altre ancora non lo esauriscono nelle classi e rimangono a disposizione del plesso prioritariamente per alunni e alunne disabili (nella mia scuola abbiamo 10 ore scoperte in due classi con handicap grave) o per gruppi di recupero formati da bimbi e bimbe di diverse classi (solo 12 ore in tutto per 14 classi: a questo si è ridotta l offerta formativa). Il risultato è un incastro orario che ha del perverso: ci sono bambini e bambine che hanno otto insegnanti che turnano sulla loro classe (ma in altre scuole, per esempio in provincia di Verona, sta andando anche peggio e si arriva fino a 12 insegnanti). Davanti a questo scenario le reazioni sono le più diverse e fantasiose: genitori giustamente preoccupati che si offrono di accompagnare le maestre nelle uscite didattiche²; Regioni che offrono soldi per progetti; il Ministero, attraverso gli Uffici Scolastici Territoriali, che offre la retribuzione di ore di straordinario alle insegnanti di ruolo per coprire le supplenze o le ore di inglese, invece che nominare nuove maestre; Comuni che pensano di coprire le mense con educatori e chi più ne ha più ne metta. In alcune scuole i dirigenti hanno chiesto alle maestre di usare una parte delle ore di compresenza per le supplenze; alcune maestre hanno fatto sostituzioni perfino durante l attività alternativa alla religione cattolica, a scapito dei bambini a cui sono destinate quelle ore. Bisognerebbe che le insegnanti pretendessero ordini di servizio per tutte le richieste di supplenza: solo una dimostrazione oggettiva dei cambiamenti può essere motivo di denuncia, ma le maestre faticano a contrapporsi ai dirigenti e a stare in un aperto conflitto. Difficile è anche per i dirigenti contrapporsi alla politica del ministero: a Milano sette presidi hanno ricevuto una lettera di richiamo e stanno subendo un ispezione per aver dichiarato ai media l insolvenza economica dello Stato nei confronti delle scuole. Le scuole non hanno i finanziamenti necessari, ma i dipendenti non devono dichiararlo pubblicamente! La strategia in atto, però, è chiara sempre più a molte di noi. I cambiamenti vengono provocati poco per volta, il disegno che li orchestra è preciso, ma gli effetti immediati sono differenti. Relazioni A Bologna c è un modo di dire: piuttosto che niente meglio piuttosto. Citiamo questa espressione perché ha molto a che fare con la tendenza delle maestre e delle madri ad essere pratiche, cercando, davanti al poco, di fare comunque il meglio per il benessere delle piccole e dei piccoli. Tendenza questa che abbiamo sempre giudicato positiva e creatrice di pratiche di cura e educative sulle quali si è fondata la scuola primaria e dell infanzia. Questo atteggiamento, negli anni 70, ha portato ad integrare l handicap nella scuola quando ancora, in termini di legge, non era prevista l insegnante di sostegno e ha dato origine a vere e proprie invenzioni didattiche per andare incontro a tutte e a tutti (lavorare per piccoli gruppi, utilizzare il territorio come un immensa aula didattica per dare occasioni vive e pratiche di apprendimento, organizzare laboratori creativi utilizzando il sapere dei nonni). E dai primi anni Novanta andare incontro all infanzia ha voluto dire pensare e costruire un ambiente scolastico che tenesse assieme bimbe e bimbi di diverse culture. Abbiamo sempre avuto classi formate da figli di famiglie di estrazione sociale differente: madri docenti universitarie, badanti e signore delle pulizie, direttrici di banca. Tutte loro si sono affidate alla stessa scuola, delegandole l istruzione e la crescita dei loro figli non avvertendo, anche chi poteva permetterselo, il bisogno di cercare qualcosa in più nella scuola privata (e si noti bene che quest anno sul nostro territorio le iscrizioni alle private sono aumentate). Oggi però la tendenza delle maestre ad aggiustare e adattare idee e soluzioni per il bene delle piccole e dei piccoli ci si ritorce contro: le politiche educative-economiche la stanno sfruttando e strumentalizzando. Stiamo vivendo in diretta la cancellazione di tutto quello che le maestre hanno costruito: una scuola elementare che teneva assieme. La nostra scuola pubblica avrebbe avuto bisogno di un opera di restauro in termini di interventi per sostenerla, proprio come si fa con un tessuto di pregio che si è nel tempo scolorito, strappato in alcuni punti, ma di cui si riconosce il valore, e quello lo si vede nelle parti, ancora molte, che mantengono tinte e trame e disegni come erano all inizio: era, anzi è necessario un investimento economico per rilanciare e valorizzare le realtà che funzionano e portare supporto alle altre. La sottrazione di insegnanti, invece, toglie possibilità organizzative creando vortici di vuoto: una schizofrenica ansia da funzionamento che compromette la relazione con bambine e bambini. Ci viene chiesto di far fronte ad ogni emergenza: sostituire una collega o suddividere le classi, sostituire a turno l insegnante di sostegno, sia per mancanza delle ore necessarie che per assenza; accogliere un bambino appena arrivato che non parla l italiano; fronteggiare, in solitudine, e stare vicino a una qualsiasi crisi che bambini e bambine attraversano nelle ore di scuola perché è lì che passano la maggior parte del loro tempo di vita. È la frantumazione del nostro lavoro. Questo funzionamento schizofrenico sta creando nelle maestre un grande contraccolpo emotivo che devasta quel territorio relazionale, su cui poggia lo stare a scuola con i piccoli e le piccole. A Bologna ci sono madri e padri, maestre e maestri affezionati alla scuola (per esempio nell esperienza dell Assemblea delle scuole ) che stanno facendo grandi sforzi per riattivare spazi di confronto e sostegno. È in atto un interlocuzione anche con gli Enti del territorio perché tutti ripensino alle proprie responsabilità, perché ci si chieda cosa vogliamo farne della relazione con l infanzia, per riaprire, ci auguriamo, spazi di luce. NOTE 1. È il Collegio docenti che deve deliberare sull utilizzo di tali ore. Là dove non è accaduto o le insegnanti si sono affidate alla gestione dei dirigenti, le ore destinate all offerta formativa sono state impegnante tutte per supplenze (possibilità non prevista dalla normativa). 2. Per le uscite didattiche, la normativa stabilisce un insegnante ogni quindici alunni. Nella quasi totalità dei casi abbiamo classi che superano i venti alunni. école numero 75 pagina 5

6 TEMA Ordine e discipline Il controllo sociale nella formazione scolastica CELESTE GROSSI Il tema di questo numero raccoglie la sintesi delle relazioni svolte dalle donne e dagli uomini che ci hanno accompagnati nella discussione nel seminario Ordine e discipline. Il controllo sociale nella formazione scolastica che école ha organizzato, in collaborazione con la Fitcemea - Federazione Italiana dei Cemea (Firenze, 12 settembre 2009). Nei materiali preparatori Filippo Trasatti scriveva: «Si fa ancora fatica a capire quanto nell attuale politica scolastica della ministra sia dovuto a mere esigenze di cassa (tagli nel personale docente, ata, ecc.) e quanto a un coerente progetto politico culturale di destra, volto a instaurare un autoritarismo dolce, populista e familista, che riporta nella scuola e nella formazione alcuni aspetti peculiari dell orientamento complessivo di questo governo, decisionista a colpi di decreti e ben poco impaurito dal conflitto sociale. [ ] Anche nell ambito delle discipline, si vuol spacciare per ritorno allo studio serio, dopo anni di permissivismo (dove?) la ripresa di contenuti tradizionali, il ritorno al Canone, il sudore dello studio, spazzando via decenni di sperimentazioni, di riflessione pedagogica e didattica, e tutta intera la tradizione dell attivismo che è l unico vero argine per una minima democrazia nella scuola che non sia burletta da barzellettieri». Questione ripresa da Paolo Chiappe: «[ ] Il ministro Gelmini ha ragione a dire che gli insegnanti sono contenti delle nuove norme sul voto di condotta. Non è una svolta ma una verifica: nei consigli di classe delle superiori già prima di Gelmini c era chi discuteva con foga se dare otto o nove in condotta nonostante la mancanza di effetti pratici. Un dispositivo è stato rimesso all opera con discreto successo. Come minimo assistiamo a un tentativo di premiare in modo molto più sensibile di prima studentesse e studenti che si mostrano in consonanza con le regole, i rituali, i ritmi e lo stile comunicativo di questa scuola che non ha modificato il set da tempo immemorabile. [ ] Se da un lato il corpo della scuola in tutto questo non ha fatto altro che seguire le mode sociali securitarie, dall altro esiste una specificità della condizione e del trattamento degli adolescenti. La società e le famiglie concedono in modo mercificato e consumistico anche troppe libertà e sembrano voler compensare questa incapacità di porre limiti seri con l affidamento per circa sei ore al giorno dei ragazzi a una istituzione che non fa altro che porre limiti e proporre premi di buona condotta abbastanza simili ai bigliettini colorati di cui faceva incetta Tom Sawyer trafficando con i compagni alla scuola domenicale». È vero i movimenti delle scuole attivi all inizio dello scorso anno scolastico non hanno avuto molto da ridire sulle campagne ministeriali su grembiulino, voto di condotta e tutto ciò che ci si può collegare, se non che fossero depistaggi dalle vere questioni, polverone per occultare i tagli. E non si sono resi conto, come ha detto Andrea Bagni «l economicismo di Gelmini e Tremonti è una pedagogia, e straordinariamente invasiva. Disegna la sua scuola. Voti e grembiulini, trasmettere conoscenze e controllare le condotte. Selezionare. Discipline e disciplinamenti. Svuotare di etica il fare scuola e moltiplicare dall alto i giudizi morali: condotta, crediti formativi, ora di religione. Per questa scuola della semplificazione bastano pochi insegnanti: niente laboratori, compresenze, ricerca; niente uscite, gite, cura delle relazioni di gruppo. Importa che le cattedre poggino di nuovo sul piedistallo (da cui le aveva fatte scendere il 68, che dev essere ancora vivo vista la paura che suscita) e che il registro sia pieno di numeri». Sulla decisione di scegliere come argomento del seminario la questione del controllo sociale nella formazione scolastica ha pesato la consapevolezza che Mariastella Gelmini (e i suoi compagni di governo) avessero vinto la prima mano della partita con le scuole. Non avevamo previsto che la seconda mano della partita sarebbe stata meno favorevole al governo. L anno scolastico 2009/2010 è iniziato con la scuola sui tetti (così come non avevamo previsto che il 2008/2009 iniziasse con le lezioni in piazza e con l Onda). Ma, come dopo l onda è venuta la risacca, così le precarie e i precari sono scesi dai tetti e tornati alla loro solitudine triste. E certo tra le lezioni in piazza e i precari sui tetti vediamo delle differenze. Gli studenti dell Onda erano un soggetto collettivo, a settembre ci è sembrato che ci fossero più persone arrabbiate dello scorso anno genitori, studenti, ex-precari licenziati, ma sul proprio caso singolo. Noi siamo convinti che niente cambierà finché le lotte degli insegnanti e degli studenti saranno solo fatti stagionali, finché i milioni di cittadine e di cittadini interessati accetteranno passivi, le regole di questa scuola del voto e del registro, in cambio della propria sicurezza individuale. Niente cambierà finché non si ricomincerà a parlare seriamente di democrazia. école numero 75 pagina 6

7 Il destino della scuola pubblica al di là della resistenza La burocratizzazione della scuola moderna è un processo non intenzionale, che apre spazio, per reazione, fra l altro alla demagogia semplificatrice delle destre e a quella di Brunetta in particolare che ha vari ammiratori non solo a destra. Esiti non voluti dei tentativi di ridurre la complessità e di eliminare l imprevedibilità e il rischio sono la crescente complicazione, la ridondanza normativa e la difficoltà decisionale PAOLO CHIAPPE Certo questo non è fenomeno solo scolastico, e non è solo per questo motivo, ma anche per le mutazioni antropologiche dei giovani, che diventa sempre più opaco e faticoso vivere e far emergere il momento dell incontro educativo sorgivo primordiale, sia sul piano cognitivo che relazionale, quel momento che è motore di autenticità e che richiede una dose di disponibilità ingenua, di libertà da entrambe le parti, educatori e educati. È invece intenzionale il tentativo di questo governo (ma anticipato da Fioroni) di ricostruire un principio di severità o l immagine di un tale principio, cioè di dare dimostrazione di una capacità di controllo sociale. Questo tentativo è stato colpevolmente considerato innocuo o folcloristico o addirittura accettabile anche a sinistra. La lotta dei precari-disoccupati della scuola è prioritaria perché fa quasi tutt uno con la difesa della scuola pubblica intesa come offerta universale, obbligatoria per lo stato, laica gratuita e unificante per la società, premessa e frontiera di resistenza per qualsiasi passo avanti nella qualità. Nello stesso tempo questa lotta non delinea ancora l altro orizzonte educativo di cui c è bisogno per rispondere al carattere esplosivo del problema giovani nella società occidentale in piena globalizzazione. Se non si prendono le distanze dal modello burocratico-quantitativo, non c è una risposta all altezza della questione da parte del sistema pubblico. Questo potrebbe ridursi a un sistema povero e riservato alla custodia di elementi sociali sfavoriti, in preda alle proprie stesse pulsioni autodistruttive e barbariche. Certo nelle lotte dei precari si parla già di necessità di scuola-laboratorio, ma questo discorso non è ancora approfondito al di là dell argomento di propaganda. Il sistema ha una inerzia di autoriproduzione immensa, le furibonde discussioni scalfiscono appena la superficie. La scuola del futuro La resistenza ai cambiamenti è dovuta certo anche alla sotterranea consapevolezza degli insegnanti, stabili o precari, che la scuola del futuro se gestita in senso manageriale potrebbe essere una scuola a maggiore intensità di capitale tecnologico e minore intensità di lavoro. C è una naturale paura della competizione tra corsi che si verrebbe a rendere possibile con la caduta delle barriere geografiche. Ma i grandi processi epocali fanno ormai capolino dietro le speciali e speciose questioni italiane. Ci sono due modelli di insegnamento a confronto, quello dell età moderna in declino (ma non destinato a scomparire a breve) e un altro che sta nascendo e che riprodurrà in modi diversi lo scontro tra democrazia e oligarchie. La burocratizzazione della scuola moderna è un processo non intenzionale, che apre spazio, per reazione, fra l altro alla demagogia semplificatrice delle destre e a quella di Brunetta in particolare che ha vari ammiratori non solo a destra. Non mi riferisco alla burocratizzazione originaria della scuola in senso weberiano, cioè alla sua trasformazione in ente statale regolato da norme, ma alla implosione procedurale che si instaura a un determinato grado di sviluppo di questo sistema. Si tratta di un processo molecolare con effetto domino che è l esito non voluto dei tentativi di ridurre la complessità e di eliminare l imprevedibilità e il rischio. Questo esito è quello di crescente complicazione, ridondanza normativa e difficoltà decisionale, e certo non è fenomeno solo scolastico. Non solo per questo motivo, ma anche per le mutazioni antropologiche dei giovani, école numero 75 pagina 7

8 diventa sempre più opaco e faticoso vivere e far emergere il momento dell incontro educativo sorgivo primordiale, sia sul piano cognitivo che relazionale, quel momento che è motore di autenticità e che richiede una dose di disponibilità ingenua, di libertà da entrambe le parti, educatori e educati. Sul piano amministrativo poi c è da registrare il fenomeno grave dell ingorgo funzionale delle segreterie e del fallimento dei provvedimenti di semplificazione amministrativa più volte annunciati. La bomba giovani In questo contesto va collocato il tentativo soggettivo e intenzionale di questo governo (ma anticipato da Fioroni) di ricostruire un principio di severità o l immagine di un tale principio cioè di dare dimostrazione di una capacità di controllo sociale, tentativo che è stato colpevolmente considerato innocuo o folcloristico o addirittura accettabile anche a sinistra e che io propongo di esaminare per un momento depurato da tutti le pur inevitabili considerazioni umoristiche del genere senti da che pulpito. La legge Brunetta (l.15 del 2009) e altri provvedimenti e fatti mostrano che c è una diminuzione effettiva dell agibilità democratica e dei diritti individuali. Forse però tutto questo non si può interpretare nei termini di tradizionale repressione politica, che pure c è, come nel caso della dirigente consigliera comunale di cui è stata messa in discussione dall interno del governo la possibilità stessa di libere esternazioni, un fatto che mostra una pericolosa e fino a ieri inimmaginabile propensione di chi ci governa a militarizzare il personale. Dietro il presunto ritorno alla serietà c è anche una richiesta sociale tanto forte quanto confusa di dare certezze famiglie e inquadrare la bomba rappresentata dal pianeta giovani. C è una specie di tacito accordo generale nel mettere da parte il concetto e anche la parola democrazia riguardo alla gestione delle scuole, come sistema e come singolo istituto. Non solo di repressione politica partigiana si tratta quindi, ma anche e soprattutto di tentativo di autoconservazione o meglio autodilazione che nasce dall interno di un sistema. Non ci sono dubbi che Gelmini e soci voglio ridimensionare la scuola pubblica a favore di quella privata: è legittimo quindi parlare di vera e propria distruzione della scuola pubblica, cioè del servizio pubblico egualitario gratuito e aperto a forme di gestione dal basso. Ma se si guarda più in prospettiva siamo di fronte a un profondo conservatorismo della forme del fare scuola. Già Durkheim aveva notato la tendenza all autoconservazione e all autonomizzazione dei sistemi scolastici, secondo Bourdieu e Passeron (1970) questo è particolarmente caratteristico dei sistemi scolastici di origine gesuitica, come quelli italiano e francese. Ma la dilazione di questo sistema di scuola pubblica potrebbe portare semplicemente alla fine della scuola pubblica perché le impedisce di porsi le domande importanti in questo momento. Certo la società non esprime solo esigenze di efficacia nell apprendimento, esprime anche la richiesta di sicurezze e di stabilità pratica e simbolica. L impronta paleomoderna della nostra scuola non vuole dire quindi automaticamente che la scuola di questo tipo sia una foglia secca che sta per cadere. Nell iperaccelerazione rivoluzionaria creativa ma anche minacciosa per tutti del mondo attuale c è un bisogno primario di certezze che si rivolge come ad un ancora di salvezza a ciò che è noto e ripetitivo. E questo potrebbe spiegare certe mode quasi ottocentesche accettate con entusiasmo dal senso comune. L ultima è quella di caricare di compiti e letture i ragazzi anche durante l estate. Il vissuto quotidiano scolastico peraltro si barcamena tra tentativi di politica delle relazioni, tentativi più o meno goffi o disperati o riusciti di salvare la serietà dello studio e l attaccamento al libro, e anche però è pervaso dalla conflittualità tra le due tribù dei giovani e degli adulti che tende a individualizzarsi e assumere forme paralegali all americana in una sorta di piccolo equilibrio del terrore reciproco (mi sembra interessante questo sito in proposito La bomba-giovani è uno degli argomenti del saggio di Marco Lodoli sulla scuola, Il rosso e il blu [vedi recensione in questi stesso numero di école]. Interessante nel libro il concetto di doppio binario dell esistenza degli adolescenti, doppio binario che indica, a mio parere, non un equilibrio ma una situazione di straniamento da se stessi. L accesso ai saperi In Italia abbiamo risposte provinciali anche se diverse, dalla introduzione degli immaginari dialetti regionali al ricorso massiccio a corsi di recupero che sono minestre riscaldate, o risposte burocratiche e ottuse come i test di accesso alle facoltà, come tentativi di stabilizzazione e rassicurazione di fronte a questioni enormi e destabilizzanti ma che sono anche sfide verso l unificazione umana come questi: fine dei mercati del lavoro nazionali e protetti, digitalizzazione della produzione, sradicamento di fabbriche e imprese dal territorio, intensificazione della comunicazione su base anglosassone nell intero pianeta, crescente rete di interdipendenze, declino delle strutture collettive e socializzanti nel lavoro, flessibilizzazione del tempo ecc. Per i genitori diventa impossibile calcolare per esempio quanto del tempo passato dai figli al computer ha carattere educativo. Con Internet l accesso al sapere non è più limitabile al formato libresco, e il controllo dell accesso a questo sapere e il controllo delle fonti diventa difficile se non impossibile, e questo a tutti i livelli di scuola e università. La schizofrenia dei binari paralleli Le conseguenze della globalizzazione sono visibili nel quotidiano e quindi agiscono come fattori educanti, anzi i più potenti, e certo se non si forniscono gli strumenti per orientarsi criticamente sono anche pericolosi. C è da chiedersi per quanto tempo ancora potrà andare avanti la schizofrenia del binario parallelo. In ogni caso è evidente che la qualità delle scuole del futuro non sarà certo ricercata nelle loro procedure di distribuzione dei voti, orario settimanale, organizzazione di progetti, materiali cartacei ecc. ma solo nella loro capacità di far acquisire competenze verificabili e vincenti. In una visione ampia il conflitto è tra le strutture o i ruderi delle strutture del fare scuola della modernità, fondate dai gesuiti e consolidate da Napoleone (tempo lineare diviso in segmenti orari, lavoro collettivo di classe, presenza fisica e radicamento nel luogo, velocità determinata dall uso del manuale) e quella dei nuovi media globalizzati in cui c è prima di tutto uso individuale del tempo e della tecnologia e certo un diverso modo di stabilire connessioni intellettuali e forse anche cerebrali. È perfettamente immaginabile un insegnamento adattato a questo schema flessibile e anche con riduzione dei costi e aumento dell efficacia almeno in certi aspetti. Si può già ottenere per esempio che tutti seguano lezioni di inglese tenute da madrelingua e l insegnamento matematico-scientifico può fare un balzo avanti di metodo e di contenuti. Lezioni seguite fisicamente a piccolissimi gruppi possono ormai alternarsi a esercitazioni di massa per via telematica: il momento di gruppo classe diventerebbe solo uno dei momenti e avrebbe caratteri di regia e tutoraggio e molto meno di lezione frontale ecc. Da questo punto di vista la scuola elementare è la sola in parte attrezzata per affrontare il cambiamento, non perché stia già facendo chi sa che, ma perché ha organizzazione e ritmi di lavoro meno segmentati. Siamo sulla soglia oltre la quale le scuole dovranno porsi la questione se sia accettabile l ammissione dei portatili individuali degli alunni e se fornire loro la connessione wireless. E sia dire di no che dire di sì sono scelte difficili che comportano conseguenze. Di fronte a queste prospettive dell avvenire immediato occorre ribadire che l educazione non può essere completamente individualizzata né affidata al solo mercato e che rimane compito dello stato garantire lo zoccolo duro dell istruzione in termini di conoscenze e di competenze, e ciò non solo per motivi di equità sociale ma anche di salvaguardia dall imbarbarimento intellettuale e dall impoverimento estetico tipico della mondializzazione capitalistica, ma questo sarà ancora possibile solo se la scuola pubblica accetta la sfida della trasformazione, altrimenti il terreno educativo sarà occupato da forze ostili e pericolose per la democrazia e per la cultura, dalle destre identitarie alle multinazionali dell istruzione e dell informatica. école numero 75 pagina 8

9 Insegnare a chi non ci assomiglia Lo studio (studiare è una invenzione delle culture scritte: le culture orali non studiano) richiede concentrazione, uno stato di intimità (chiunque studi lo sa benissimo la composizione di un tema, per esempio, è una esperienza di intimità ). Legittimamente qualcuno si chiede se la storia, la grammatica, la letteratura servono oggi. La risposta è sì, ma solo se sono ben fatte. La tradizione non è sbagliata perché diversa dalla modernità o ad essa ostile: ci tramanda invece cose che sono sopravvissute nel tempo e che quindi hanno mostrato una loro saggezza e vitalità. Si tratta semmai di accogliere con pensieri nuovi, e calibrare sul nostro tempo, le cose buone del passato ROSALBA CONSERVA Vorrei superare le analisi sociologiche non che non ci aiutino (anzi, ci aiutano a capire questo nostro tempo). Esse hanno tuttavia il difetto (si fa per dire) di essere troppo convincenti (facilmente vengono prese come verità assolute), e potrebbero perfino rassicurarci! Se la realtà è questa (una politica scolastica sciagurata), che posso farci io?. E vorrei proporre di guardare alle medesime questioni alla luce di una teoria generale della conoscenza. Per condividere, da un altro punto di vista, la necessità di impegnarsi sul piano politico e culturale affinché la scuola pubblica cambi per sopravvivere. A che serve la scuola? Un necessario presupposto riguarda la specificità dell apprendimento culturale, di una cultura (la nostra) che, evolutasi attraverso la scrittura, ha suddiviso i saperi in discipline distinte, frazionate, che hanno lo svantaggio di non comunicare tra loro e il vantaggio di rendere gestibili i saperi. Quali che siano le nostre proposte innovative in ambito didattico, resta il fatto che una cultura scritta può essere trasmessa e appresa (e magari padreggiata nei suoi specifici linguaggi) solo ripercorrendo modi e forme della sua struttura e della sua peculiare razionalità. Ma andiamo ancora più a monte. Proviamo a chiederci se la scuola a parte la prima alfabetizzazione è davvero necessaria. A fronte di un quadro desolante (con tratti diseducanti), spesso mi sono chiesta: perché mai dovremmo mandare i nostri ragazzi a scuola? Nel corso di un convegno, un genitore pose questa stessa domanda e si diede da sé la risposta: «Lì trovano cose che altrove non troverebbero». Difatti è così: altrove troveranno chi insegnerà loro a danzare, per fare un esempio, ma la scuola, è l unico luogo dove un ragazzo imparerà a riassumere un testo altrui e a produrre testi (o discorsi parlati) coerenti, formalmente corretti intendo corretti sulla base di regole convenzionali, riconoscibili quindi come tali e stabilite dalla nostra tradizione culturale. La scuola insomma si occupa di cose che altrove nessuno sa o può insegnare: la matematica, la storia della scienza, l analisi di un testo poetico ecc. Nessuno negherà l importanza dei saperi fondamentali, quelli che identificano la nostra cultura (e che noi insegnanti non possiamo arbitrariamente negare), ma è proprio qui che incontriamo la difficoltà del fare scuola, di una scuola che contrasti «l impoverimento estetico» per usare un espressione di Paolo Chiappe. Disciplina mentale e disciplina fisica Nel coltivare a scuola il mio piccolo dominio ho capito che anziché ricorrere a facili (e inopportune) semplificazioni conviene elevare la qualità: i ragazzi sono sensibili ai ragionamenti sottili, profondi, e riconoscono, accettano il ruolo centrale della conversazione (l estetica del conversare ha però le sue regole). Ogni patrimonio culturale ha la sua base di operatività, ed è così che passa la memoria (consapevole e anche inconsapevole). Una didattica laboratoriale non è solo quella più adatta ai nostri ragazzi, incapaci di stare tutto il giorno seduti sul banco, è comunque e dovunque necessaria affinché gli apprendimenti si radichino, ed è quindi importantissimo che ogni materia (ogni apprendimento) comprenda attività di laboratorio. È anche vero che non tutte ma certe lezioni (e la parola lezione non mi spaventa, anzi la trovo parola adatta a riassumere il contesto di insegnamento-apprendimento) richiedono di necessità che si stia intenti e attenti nel proprio banco ad ascoltare, a prendere appunti, a seguire sul libro (o su altri supporti)... Ed è augurabile che il tutto avvenga nella giusta compostezza: se vogliamo parlare di unità di mente e corpo dobbiamo accettare il fatto che la disciplina mentale si accompagna necessariamente a una disciplina fisica, corporea: infatti lo studio (studiare è una invenzione delle culture scritte: le culture orali non studiano) richiede concentrazione, uno stato di intimità (chiunque studi lo sa benissimo la composizione di un tema, per esempio, è una esperienza di intimità ). Legittimamente qualcuno si chiede se la storia, la grammatica, la letteratura ecc. servono oggi. La risposta è sì, ma solo se sono ben fatte. La lettura di testi classici (letterari, scientifici ecc.) sono, oltre che fonte di conoscenze nuove, una palestra per ragionare, per rispondere a domande di senso. La grammatica è un serbatoio di regole, la parafrasi e il riassunto sono un addestramento a osservare le minuzie (non va mai incoraggiato l allievo a scrivere come gli pare : a scuola non tutta va bene). école numero 75 pagina 9

10 Un notevole aiuto ci viene dai libri di testo, i quali riducono i rischi di discontinuità di insegnamento: sono una guida materiale imprescindibile. Democraticamente, il libro offre (offrirebbe) a tutti la possibilità di studiare in tempi e luoghi a ciascuno più congeniali: la spiegazione dell insegnante può essere stata dimenticata, si può averla ascoltata distrattamente, si può essere stati assenti e così via; il libro invece è lì, fedele compagno di studio: basta mettersi a tavolino, con penna e foglio, con un buon dizionario, e studiarlo. Immaginazione e rigore fuori squadra So, per esperienza, quanto lontani sono i giovani d oggi da ciò che per noi conta davvero. Ma non dimentichiamo che un insegnante è il massimo esperto di apprendimento: nessuno come lui sa (dovrebbe sapere) come fare perché un allievo, date certe premesse (non tutte favorevoli) impari ciò che non sa, o impari a correggere i suoi errori di contenuto e di stile di apprendimento (errori nell ambito di certe convenzioni). Chi insegna non inventa da sé i saperi : inventa semmai le strade perché i giovani li acquisiscano. Insegnanti e allievi creano anche modi di apprendere nuovi e inediti, ma ogni trasgressione di norme e di linguaggi convenzionali si arresterà davanti a una soglia. Per fare un esempio, essi potranno inventare e concordare regole nuove di analisi grammaticale della frase, ma, quale che sia il nome differente che daranno a nozioni quali soggetto e predicato, il loro nuovo modello di analisi dovrà dar conto della relazione reciproca tra soggetto e predicato, o come altrimenti vorranno chiamarli. «Il tempo è fuori squadra», scriveva Bateson nel L immaginazione ha superato di gran lunga il rigore: e chi deve combattere l obsolescenza? Noi accogliamo il nuovo che ci viene dai nostri allievi, ci fidiamo di loro, della loro creatività e spontaneità... Perché non dovremmo fidarci anche della nostra sensibilità, già educata, che può agire da filtro critico, che non incamera cioè automaticamente (e, chissà, sconsideratamente) i cambiamenti veloci della modernità? E se questa nostra resistenza ad accettare il nuovo fosse un correttivo a un epoca dove per dirla con Bateson immaginazione e rigore sono fuori squadra, avendo l immaginazione oltrepassato di gran lunga il rigore, vale a dire che sono stati accolti cambiamenti nuovi senza che siano stati adeguatamente vagliati. Saper leggere e scrivere a livelli alti, conoscere i fondamenti della fisica, l evoluzionismo, la storia passata e presente, e così via, è difficile dimostrare che siano un danno per un giovane. La nostra limitata sapienza Sorvolando sui dettagli, noteremo che gli insegnanti, pur rifiutando una didattica obsoleta, fanno le stesse cose. Forse le proposte alternative (quelle radicalmente alternative) non sono convincenti; oppure non abbiamo l immaginazione necessaria per combattere l obsolescenza e per praticare strade diverse. Oppure questo nostro sapere può essere trasmesso solo in quelle forme consolidate. Calibrare il programma alla classe, aggiornare metodi e contenuti: sembra facile. È un po come quando siamo davanti alla traccia di un tema: da dove comincio? E come districarsi nel mare magnum dei programmi?, dei saperi accumulati nelle biblioteche? Anche qui, oltre ai limiti imposti dalle circostanze e dal tempo di cui disponiamo, conviene accettare i limiti nostri come una risorsa: è proprio a partire dal riconoscimento che le nostre scelte sono definite, circoscritte in virtù della nostra (limitata) sapienza che possiamo giudicare giusta o sbagliata una nostra scelta. Riguardo all accumulo indiscriminato, acritico dei saperi e delle informazioni (i media, Internet e così via), noi possiamo attuare una affannosa rincorsa per far entrare la vita reale come suol dirsi nelle aule scolastiche, oppure possiamo agire in senso contrario: staccare la spina per occuparci non della quantità ma della qualità. La scuola diventa così obsoleta? Forse. Ma l obsolescenza della scuola anziché uno svantaggio potrebbe costituire una risorsa: mentre altrove la velocità domina, scarsa è la cura per le forme e per i minimi particolari, qui invece Trarremo profitto dal parziale isolamento (fisico e ideale) della scuola per occuparci d altro: dei processi più profondi, quelli che hanno una durata nel tempo. Credo che le suggestioni della modernità non debbano essere l unico e centrale oggetto di studio, se pure di studio critico. Il tempo che abbiamo è limitato: un anno scolastico, a dirlo, sembra tanto, invece Conviene sollecitare, ascoltare, coltivare nei giovani ragionamenti complessi e non banali. Solo così potranno, crescendo, immaginare soluzioni che in noi adulti sono viziate (si fa per dire) da pre-giudizi. E tuttavia questi i nostri pregiudizi, vale a dire le nostre più radicate convinzioni sono sia il nostro limite sia la nostra forza. Enciclopedie distanti La scuola di massa, la scuola di tutti che segna la più importante e decisiva discontinuità con il passato richiede una professionalità nuova e più alta. Dobbiamo avvertire l enormità dell impresa, la sua valenza politica al fine di garantire una vera democrazia. La scuola superiore fu concepita per pochi, entro una società diversa: fino a qualche decennio fa (un tempo recentissimo rispetto alla storia dell istruzione in Occidente) la scuola superiore selezionava preventivamente gli allievi da istruire, e insegnati e allievi erano omogenei, condividevano una stessa enciclopedia. Oggi capita spesso di insegnare a chi non ci assomiglia, a ragazzi e ragazze di famiglie poco alfabetizzate, accolti quindi nel- école numero 75 pagina 10

11 la scuola media e nella scuola superiore per via dei tempi mutati e delle nuove leggi. E così, tanti insegnanti di scuole così dette di serie B (tecnici e professionali) si sono specializzati a insegnare a chi non sa o non ama studiare. A pensarci bene, la reticenza ad accettare la fatica che lo studio comporta è un atteggiamento direi quasi naturale : sfuggire alla condanna dello stare inchiodato sul banco, e a fare i compiti a casa, accomuna generazioni di allievi, dal giovane scriba (come si legge sulle tavole assire) al bulletto romano che non risponde nemmeno se interrogato. Niente di nuovo sotto il cielo, quindi. Di nuovo c è, da qualche tempo e specie nelle scuole cosiddette di serie B, una distanza maggiore tra insegnante e allievo riguardo alle rispettive enciclopedie (non parlo di nozioni, ma di riferimenti e di atteggiamenti culturali). Questa distanza che è vera per il fatto che un insegnante la percepisce potrebbe costituire una risorsa: in virtù della differenza generazionale e culturale gli insegnanti imparano una differente visione del mondo da accostare alla propria; e c è di più: lavorando in situazioni difficili e studiando contemporaneamente (e per necessità) teorie della conoscenza, imparano a capire, e meglio, qual è la specifica natura dell imparare a scuola. Imparare a scuola non è oggi (né lo era nel passato) una comoda passeggiata. Un insegnante deve tenere sotto controllo e gestire tante variabili: i numerosi accidenti che gli rendono difficile portare avanti il programma, come suol dirsi, e tenere a bada e contrastare la tendenza di tanti allievi a non riconoscere le responsabilità che sono soltanto loro (nessuno può insegnare a chi non vuole imparare, né si può fare scuola a ragazzi che ignorano come si sta a scuola). L asimmetria della relazione educativa Una cura particolare va riversata sulle forme, sui rituali, anche alle superiori. Nei rituali sono infatti impliciti messaggi sul contesto e sulla relazione insegnante-allievo, una relazione che è asimmetrica, gerarchica. E come reggere la asimmetria della relazione educativa?, ed è giusto mantenerla? Oggi ci fanno orrore i rapporti autoritari e certe pratiche punitive della scuola del passato. Oggi tendiamo a instaurare con gli allievi un rapporto amichevole. È importante allora che quella certa forma di amicizia l insegnante sia in grado di gestirla, e che allo stesso tempo gli allievi percepiscano e accettino, e proprio in virtù di una socievolezza controllata, il ruolo gerarchico del loro insegnante. Intendo per gerarchico un contesto dove c è uno che decide per molti. Pur tenendo ferma l indiscutibile parità di tutti sul piano personale, l insegnante è infatti responsabile di scelte e di decisioni che avranno ricaduta sugli altri, non soltanto su di sé. Quindi, né autoritarismo né permissivismo. Va bene piuttosto una autorità affettuosa e tollerante. E l ostinarsi a che tutti, non solo alcuni, diventino bravi scolaretti (conviene ricordare in ogni momento che la nostra resa avrà sempre fondate giustificazioni, e che quindi la tentazione di arrendersi è più forte della sua alternativa). Nella scuola accadono strane cose. Accade anche che un insegnante giudichi ma non si senta parte giudicante: quando afferma: «Questo ragazzo è da UNO!» non si rende conto che sta etichettando una persona e che egli stesso è parte del processo. Il sentirsi parte di un processo viene vissuto da alcuni come una sorta di inutile e ingiusta colpevolizzazione: Perché IO mi devo fare una colpa se LUI non studia?. La distanza che tiene uniti Da qualche tempo l insegnante ha perso l aura che nel passato lo definiva tale. Qualche insegnante non se ne rammarica (anzi), qualcun altro cerca di riacquistarla, qualcun altro ce l ha sempre avuta, e a scuola ha sempre mostrato un atteggiamento severo (anche marcando una certa distanza ). Allora, se anche questo atteggiamento non fosse autentico ma costruito, non giova forse a instaurare una socialità governata da regole? Infatti, sul piano squisitamente affettivo, tra maestro e allievi c è una distanza che li tiene uniti: essi studiano le stesse cose. Ed è questa paradossale distanza affettiva il dominio privilegiato sul quale l insegnante può decidere e può agire la sua propensione alla cura dell altro. Un piccolo dominio coerente C è un gran numero di docenti rassegnati. Altri portano a scuola, senza che se ne rendano conto, il loro risentimento: nella reazione infastidita alla maleducazione degli allievi esprimono anche e soprattutto risentimento verso la politica scolastica, verso la società intera (sarebbe più facile essere ottimisti con un presidente come Obama!). Di norma opponiamo strategie di difesa verso chi intralcia o sovraccarica il nostro lavoro di inutili (per noi) adempimenti. La burocrazia il modello burocratico-quantitativo impedisce il pieno esercizio della nostra professionalità. Eppure, se dovessimo risparmiare energie e cercare accomodamenti, ritengo sia meglio rischiare un richiamo dal preside perché le carte non sono a posto piuttosto che sacrificare ciò che più ci sta a cuore. Sarebbe sciocco non trarre profitto dalle scelte di contenuto e di metodo che possiamo praticare nel nostro piccolo dominio. Io non posso cambiare il mondo intero, ma intanto posso tentare di vivere coerentemente con le idee che mi sono fatta sul mondo. Per molti dei nostri ragazzi noi siamo i soli adulti autorevoli che essi incontrano ogni giorno (e in contesti protetti e parzialmente isolati) e per un anno intero. Non possiamo permetterci il lusso di essere incoerenti. école numero 75 pagina 11

12 E se fosse una vendetta? Davanti a una mossa sfacciatamente populista che rinforza la disciplina nelle scuole, con il proliferare di deliranti liste della spesa su quali comportamenti vadano sanzionati con un 6 o un 5 in condotta, con la denuncia della Gelmini dei sei rossi o sei politici, si raccolgono plausi anche da parte di insegnanti che, per un po di tranquillità in più, svendono quell idea della scuola antiautoritaria che era stato uno degli elementi più importanti dell onda lunga degli anni Sessanta. Senza capire che questi provvedimenti che semplificano il rapporto tra docenti e studenti, non ridanno senso all insegnare, né migliorano lo status complessivo degli insegnanti nella società, anzi preludono anche per loro a una maggior subordinazione FILIPPO TRASATTI «Possiamo facilmente immaginare la fine del mondo, ma non riusciamo più immaginare la fine del capitalismo, che è un obiettivo molto più modesto». [Slavoj Zizek] Non è mia intenzione qui fare una difesa del 68, né una ricostruzione storica, né analizzare come il 68 italiano sia stato per tanti versi diverso dagli altri, o di come il 68 europeo si colleghi alle lotte americane degli anni 60 negli Usa, né tanto meno una valutazione complessiva, altri l hanno fatto e possono farlo meglio di me. Quello che vorrei provare a mostrare è come il furore ideologico (malamente dissimulato) che si sta abbattendo sulla scuola (almeno in Italia) sia connesso con un odio (e si potrebbe aggiungere una vendetta) verso ciò che di buono il 68 ha significato in termini di critica del capitalismo e dei processi di mercificazione, di egualitarismo e di democratizzazione radicale, anche nella scuola e nel campo del sapere più in generale. Non sto parlando del 68 dei capetti, dei gruppuscoli, ma di quel sommovimento profondo e internazionale dell immaginario che negli anni Sessanta ha cercato di spazzare via una concezione gerarchica della società, e per quel che ci interessa più qui, del sapere e della scuola. Il 68 che ha rappresentato un grande NO al capitalismo, che fosse quello occidentale o quello di stato sovietico. Che ha detto un chiaro NO a una concezione gerarchica che nasconde dietro comode etichette, spendibili a destra e a manca, come rigore, efficienza, competitività, merito, profonde disuguaglianze sociali, economiche e personali. Il 68 cha ha detto sì alla creatività individuale, allo sviluppo delle differenze dentro una società di eguali, entro una concezione affermativa e non rinunciataria della vita e ancora sì a una concezione del conflitto che non accetta la realpolitik, e che riparte dai soggetti (plurali) per produrre il cambiamento. L aspetto ideologico dell attuale temperie politico-culturale diventa evidente quando si pone attenzione a come si cerchi di dissimulare dietro a etichette neutre, valori che invece implicano una certa disposizione dei pesi e delle forze e una scelta di campo netta, quando si riesca a guardare in quella zona d indeterminazione tra destra e sinistra nel trattare alcune categorie come se non fossero di parte, come se fossimo entrati tutti insieme in una felice e beota epoca post-ideologica (Ovviamente l area più interessante da questo punto di vista, almeno per me, è quella della cosiddetta biopolitica ). Il vero tentativo del 68 è stato quello di coniugare la libertà individuale con la solidarietà collettiva. Il rovesciamento e la vendetta contro il 68 cercano di trasformare radicalmente il signi- école numero 75 pagina 12

13 ficato di questa congiunzione pericolosa: liberalismo paternalistico (edonismo tollerante incorporato nell ideologia egomonica del nuovo spirito capitalistico), trasformazione giuridica delle relazioni sociali sotto il dominio del mercato e del capitale, in cui la sintesi sociale avviene non più attraverso processi di aggregazione dal basso, ma piuttosto attraverso le relazioni mercantili, quindi ridotte alla mera quantificazione (e impaludate ideologicamente). Come esempio dell uso e dello stravolgimento ideologico di categorie operate contro il 68 si può ben considerare la categoria di differenza. Se la scoperta delle differenze come elementi costitutivi dell identità poteva giocare a favore dell autonomia dei soggetti plurali, in un contesto democratico in cui il massimo dell eguaglianza è la possibilità di essere diversi, il rovesciamento di questa categoria suona così: la necessità di essere diversi è il fondamento della disuguaglianza. Un altro esempio di questo rovesciamento, per usare i termini di Baumann, è il passaggio nel tardo capitalismo dal feticismo della merce al feticismo della soggettività, ovverosia dalle soggettività autonome alla concezione della soggettività consumatrice. La miseria di ogni giorno La politica culturale al ribasso del governo è risultata assai efficace nel fissare un agenda di problemi, dalla sicurezza (su cui anche la cosiddetta sinistra democratica ha detto cose scandalose), alla giustizia, dalle biopolitiche filoclericali alla cultura in senso lato e alla scuola, che vellica non solo il ventre molle meno acculturato del paese, ma anche una certa sinistra che, talvolta con convinzione talaltra in modo meramente strumentale, assume su di sé la parola d ordine del rigore, della fermezza, lasciando però del tutto immutato il contesto d intervento, cioè la situazione in cui tali provvedimenti repressivi vengono inseriti. Lo Stato d eccezione come luogo della verità: poiché possiamo affondare senza batter ciglio barconi di migranti, possiamo accettare lo stravolgimento delle regole democratiche e possiamo sopportare tranquillamente una concezione spettacolare della politica; ma d altra parte possiamo anche, se guardiamo bene, riuscire a vedere in queste trasformazioni come l orizzonte sia profondamente mutato. Davanti a una mossa sfacciatamente populista che rinforza la disciplina nelle scuole, con il proliferare di deliranti liste della spesa su quali comportamenti vadano sanzionati con un 6 o un 5 in condotta, con la denuncia della Gelmini dei sei rossi o sei politici, si raccolgono plausi anche da parte di insegnanti che, per un po di tranquillità in più, svendono quell idea della scuola antiautoritaria che era stato uno degli elementi più importanti dell onda lunga degli anni Sessanta, senza capire che questi provvedimenti che semplificano il rapporto tra docenti e studenti, non ridanno senso all insegnare, né migliorano lo status complessivo degli insegnanti nella nostra società anzi prelude anche per loro a una maggior subordinazione. Intanto che attendiamo con ansia i nuovi docenti sceriffi, perché, si sa, Legge e Ordine sono di sinistra, forse val la pena ricordare che c è stato un tempo in cui si pensava alla costruzione di una conoscenza la cui autorità deriva non dalla legge o dal bastone, ma dal suo senso condiviso, dalla gradualità degli attraversamenti e dall incanto della scoperta, dai nessi con la vita e con tutto ciò che sta fuori della scuola. Chi è davvero l insegnante? In una conferenza del 1965, intitolata Tabù sopra la professione dell insegnante, Adorno, che peraltro come si sa è stato tutt altro che tenero col movimento studentesco, in modo un po rapsodico passa in rassegna alcune immagini collettive negative che pesano sulla professione dell insegnante. Mi limito a richiamarne due che mi sembrano particolarmente significative: l insegnante come erede dello scrivano, del segretario, e l insegnante come bastonatore. In entrambi i casi ciò che scredita la sua figura è proprio l uso del dominio per conto d altri, di essere in qualche modo un inferiore a cui viene comandato di tenere a bada la ciurma indisciplinata. E conclude opportunamente con parole che, se in quel momento potevano sembrare fuori tempo, sembrano a noi oggi scritte ieri: «Il pathos della scuola d oggi, in cui è ravvisabile la sua serietà morale consiste nel fatto che essa soltanto, se ne è cosciente, può mirare in mezzo al già esistente, direttamente alla de-barbarizzazione dell umanità» 1 Ossia, aggiunge poco dopo, contro il pregiudizio illusorio e delirante, la repressione, il genocidio e la tortura. Ecco in poche parole il programma che oggi abbiamo davanti se vogliamo contrapporci alla scuola del manganello che ci viene riproposta. È questo, se vogliamo ben vedere, che ci viene riproposto sotto mentite spoglie. Discipline e disciplinamento Ma anche nell ambito delle discipline, si vuol spacciare per ritorno allo studio serio, dopo anni di permissivismo (dove? Forse qualcuno scambia il permissivismo con l appiattimento culturale) la ripresa di contenuti tradizionali, il ritorno al Canone, il sudore dello studio, spazzando via decenni di sperimentazioni, di riflessione pedagogica e didattica, e tutta intera la tradizione dell attivismo che è l unico vero argine per una minima democrazia nella scuola che non sia burletta da barzellettieri. In questo caso l operazione produce un duplice effetto: rende ancora più forte e potente il Fuori-scuola e attesta l uso delle discipline canonizzate come comando. Bisogna però anche tener conto, al di là delle miserie quotidiane italiane, di una situazione più generale, ossia delle trasformazioni della conoscenza nell epoca tardo-capitalistica. Trent anni fa Lyotard, descrivendo quella fine delle grandi narrazioni, la crisi della legittimazione e l avvento generalizzato del principio di performatività, nel suo La condizione postmoderna scriveva: «La domanda più o meno esplicita che si pongono lo studente aspirante professionista, lo Stato o l istituzione di insegnamento superiore, non è più: è vero? Ma: a che cosa serve? Nel contesto della mercificazione del sapere, tale domanda significa nella maggior parte dei casi: si può vendere? E nel contesto dell incremento di potenza: è efficace? [ ] la delegittimazione ed il prevalere della performatività suonano a morte per l era del professore: costui non è più competente delle reti di memoria per la trasmissione del sapere stabilito, né è più competente delle equipe interdisciplinari per inventare nuove mosse o nuovi giochi» 2. Ne derivava due conseguenze in modo abbastanza premonitore: 1. l Enciclopedia del domani sono le banche dati, noi potremmo dire l Internet; l insegnante tradizionale, assimilato a una memoria in grado di trasmettere, viene comodamente rimpiazzato da macchine collegate a immense banche dati; 2. In questa situazione decisiva diventa una nuova organizzazione dei dati, la connessione di serie ritenute prima indipendenti, attraverso una capacità di mettere in relazione ciò che non lo era e che definisce immaginazione. Nel momento in cui queste profezie vengono annunciate, si propone allora la nostalgia del ritorno al rapporto personale. Ma allora quel che bisogna chiedersi è: quali sono davvero le competenze dell insegnante nel momento in cui le informazioni sono diventate merce diffusa e accessibile facilmente? Domanda difficile, ricerca aperta, in tutt altra direzione rispetto alle soluzioni semplificatrici che il ministero e la destra vogliono riproporre. Due suggestioni per finire 1. Dobbiamo fare i conti con la cultura di massa in cui viviamo immersi, dobbiamo entrare in contatto con quelli che Baricco chiama i barbari ³. Direi che il lavoro fondamentale per l insegnante oggi è costruire ponti (mentre quello del passato costruiva piuttosto grattacieli e osservava gli studenti arrampicarsi su). 2. Attivismo pedagogico antiautoritario, sperimentazione e democrazia radicale vanno insieme. Una farsesca divaricazione tra metodi e contenuti ha nei fatti rafforzato il potere impositivo e trasmissivo di chi vuole che nulla cambi. NOTE 1. T.W. Adorno, Tabù sulla professione dell insegnante, in Parole chiave. Modelli critici, tr. it. Sugarco edizioni Milano Jean-François Lyotard, La condizione postmoderna, tr.it Feltrinelli, Milano p. 94 e Alessandro Baricco, I barbari, Feltrinelli Milano école numero 75 pagina 13

14 Ordine e disciplina. La situazione italiana e europea Sicuramente la disciplina nel dibattito pedagogico europeo occupa direttamente o indirettamente un posto importante. Ma non lo occupa certo il problema della valutazione del comportamento o dell indisciplina, come invece avviene in Italia. Inoltre, nelle scuole italiane la disciplina non è una emergenza. La situazione è meno pesante che in altri paesi europei. Non è un mistero. L inchiesta Talis-Ocse la stessa che la ministra Gelmini ha usato per dire per l ennesima volta che la scuola italiana fa schifo, lo dimostra in maniera trasparente PINO PATRONCINI L azione restauratrice del Ministero Gelmini, oltre che sui tagli di posti, corrispondente a un disegno che è contemporanemanente di taglio della spesa pubblica e di modifica della costituzione materiale della Repubblica (privatizzazione e sussidiarietà), si è esercitata sulle questioni dell ordine e della disciplina, in coerenza anche in questo caso con due obiettivi: la restaurazione vera e propria e la blandizie demagogica e populista verso pulsioni d ordine diffuse nell opinione pubblica (a partire dalla vicenda del grembiulino). Quest ultimo aspetto alimenta la sensibilità per il problema anche in ambienti dell opposizione (vedi Fioroni e la restaurazione degli esami di riparazione ). Punto centrale dell azione è stata la restaurazione della valutazione con voto numerico in decimi nella scuola dell obbligo e la reintroduzione del voto di condotta abolito da Berlinguer, con tanto di possibilità di bocciatura per chi ha il cinque in condotta. Popolo delle libertà o delle proibizioni? L azione della Gelmini si inquadra in un contesto più generale caratterizzato da misure che vanno dalla patente a punti fino alla tessera del tifoso e a cui non sono estranei la marea di divieti che le varie autorità, prevalentemente di destra, ma non solo, cercano di imporre nel paese dal divieto di bere birra all aperto al più recente divieto di kebab. Una logica americaneggiante o svizzera che fa tornare in mente le parole che 29 anni fa il regista svizzero Alain Tanner metteva in bocca uno dei suoi personaggi di Jonas che avrà vent anni nel 2000 che vedeva nello stillicidio di leggi sulla sicurezza stradale (obbligo di cinture, di caschi ecc.) un processo di fascistizzazione della società elvetica. Sono misure che prese una per una potrebbero anche essere utili, ma che nell insieme creano un idea di un metodo improponibile per affrontare problemi e contraddizioni della società attuale: il metodo del divieto e della schedatura o della cittadinanza a punti (non a caso già proposta per gli immigrati). Il tutto in un regime dominato da un partito che paradossalmente si definisce Popolo delle Libertà. Peggio del fascismo L imbocco di tali procedure, arricchito da propositi espliciti del tipo riportare la scuola a prima del 68, è stato però empirico e scriteriato. Tanto che, complice l ignoranza di stampa e opinione pubblica, è andato ben oltre le norme istituite dal fascismo stesso col Regio Decreto del 1925, che il 68 non aveva abolito e che sono rimaste in vigore fino al 1998 quando le abolì Berlinguer. Un arretramento dunque di una dimensione che pochi conoscono nella sua sostanza storica e che perciò nessuno denuncia. Il Regio Decreto del 1925 non prevedeva né la media del 6 (Fioroni) né la sufficienza in tutte le materie (Gelmini) per essere ammessi all esame di stato: bastava la media del 5! Il Regio Decreto del 1925 non prevedeva la bocciatura con il 5 in condotta. Prevedeva il rinvio agli esami di riparazione in tutte le materie per le valutazioni in condotta inferiori all 8 (nel caso di ammissione all esame si era ammessi direttamente alla sessione di settembre, allora esistente). Per essere bocciati occorreva che oltre a quella valutazione ci fossero altre insufficienze (in quanto in questo caso non si era ammessi all esame di riparazione). In altre parole si puniva il ragazzo facendolo lavorare tutta l estate e non bloccandogli la carriera scolastica. La Gelmini è dunque da questo punto di vista più autoritaria dei fascisti. È vergognoso che non si dica niente su ciò. Gioventù bruciata? Ma oggi si alimenta l idea che i nostri adolescenti e soprattutto preadolescenti siano una sorta di gioventù bruciata che vive in branco tra bullismo e violenze varie. Pur non sottovalutando i fenomeni ci sarebbe da chiedersi se ciò debba costituire per noi una sorpresa. Il film Gioventù bruciata è del 1955, e descrive fenomeni analoghi nella gioventù americana di oltre 50 anni fa. Il titolo originale che il regista Nicholas Ray, in odor di comunismo, gli aveva dato era Rebel without a cause, ribelle senza causa, dove quel senza causa ha un doppio senso: senza un motivo, visto che la generazione lì rappresentata viveva in una opulenza per italiani allora impossibile ma più simile a quella in cui vivono i nostri figli, e senza un fine, dal momento che l atteggiamento ribellistico non aveva finalità politiche particolari. Cito quel film come simbolo di un fenomeno che dovrebbe esserci già familiare visto che in questi anni si è profuso americanismo a piene mani e visto che nessuna società opulenta sembra sottrarsi al destino di una gioventù con simili atteggiamenti. Ma come al solito si école numero 75 pagina 14

15 vorrebbe la botte piena e la moglie ubriaca: da un lato si profondono a piene mani l arrivismo come corollario dell individualismo e la spensieratezza come corollario dell indifferenza politica e poi ci si lamenta che i giovani possano diventare piccoli boss scriteriati! La disciplina non è una emergenza Tra l altro da noi il fenomeno è meno pesante che altrove. Non è un mistero. La stessa inchiesta Talis-Ocse, quella che la Gelmini ha usato per dire per l ennesima volta che la scuola italiana fa schifo, lo dimostra in maniera trasparente. L inchiesta individua come fattori di disturbo delle lezioni cinque fenomeni legati al tema dell ordine e della disciplina nella scuola: le intimidazioni verso gli studenti, le aggressioni fisiche verso gli studenti, le aggressioni verso gli insegnanti, i furti e l uso di droghe e alcolici da parte degli studenti. Ebbene in tutti questi fenomeni l Italia e sotto la media dei paesi Ocse: Fenomeni Italia OCSE Intimidazioni vs studenti 30% 34% Aggressioni vs studenti 12,7% 15,9% Aggressioni vs insegnanti 10,4% 16,8% Furti 9.1% 15,3% Droghe e alcool 4,5% 10.7% Da questo punto di vista sembra proprio che non si tenga conto dei dati relativi: si assolutizzano. Al contrario si relativizzano in tutti gli altri campi solo per dimostrare che la scuola italiana non funziona, che gli insegnanti non sono validi, ecc. Vale la pena di sottolineare qui un analogia col fenomeno immigrazione: in entrambe i casi la novità dei fenomeni ne ingigantisce la portata, ma se si va vedere i dati si scopre che in altri paesi dove la situazione è ben più pesante, ma anche più antica, si fanno meno drammi. La disciplina nel dibattito pedagogico Sicuramente la disciplina nel dibattito pedagogico europeo occupa direttamente o indirettamente un posto importante, ma non lo occupa certo il problema della valutazione del comportamento o dell indisciplina. Si possono trovare pagine e pagine sulla violenza a scuola, sul bullismo, sulla demotivazione studentesca, sulle espulsioni o sulle sospensioni, su procedure disciplinari e provvedimenti o, per quel che riguarda gli insegnanti, su autorità e autorevolezza. Ma è introvabile una ricerca o una discussione sulla valutazione ordinaria della disciplina o della indisciplina. Sappiamo che in altri paesi esiste il voto di condotta: in Austria, dove però non sembra avere un peso particolare, in Polonia, dove invece sembra rivestire questo peso (bisogna vedere se e quanto in relazione al vecchio sistema comunista polacco o alla più recente gestione clerico-autoritaria dei gemelli Kazinsky), in Lituania, dove il comportamento degli alunni viene valutato per informare i genitori, ma non viene annotato su registri e certificati, in Inghilterra dove viene invece annotato e certificato. In altri paesi invece non esiste per niente. In Francia esiste una disciplina scolastica denominata Vie de classe, vita di classe, una specie di momento collettivo tra etica e autocoscienza, per circa un ora e mezza alla settimana. Nei paesi più abituati a scomporre l azione didattica e il giudizio è facile che l annotazione rientri nella costruzione del giudizio complessivo delle singole materie per le voci attenzione, assiduità, motivazione ecc Valutare l indisciplina? D altra in molti paesi europei non esiste la bocciatura, soprattutto nell obbligo scolastico. E il periodo più difficile sia dal punto di vista del successo scolastico sia dal punto di vista disciplinare si colloca normalmente tra i 12 e 16 anni dell alunno. Praticano, de jure o de facto, la promozione automatica Danimarca, Grecia, Irlanda, Cipro, Svezia, Regno Unito, Finlandia, Malta, Islanda, Norvegia. È evidente che in tutti questi casi lo spauracchio del 5 in condotta non ha molto senso. Da questo punto di vista la nostra situazione è paradossale perché da un lato la valutazione della condotta per i bravi ragazzi si traduce in uno stravolgimento delle valutazioni verso l alto, grazie al concorso della condotta nella formazione della media. Dall altro sembra che più che la disciplina si valuti l indisciplina: un paradosso che ha finito col crearne altri. Infatti prima si è fatto credere che arrivavano i castigamatti : primo paradosso. Poi per attenuare la violenza del messaggio si è detto che per dare il 5 in condotta occorreva una sospensione di almeno 15 giorni. E qui il paradosso è ancora più grosso. Infatti se la letteratura europea sul voto in condotta è piuttosto esigua, abbonda invece quella sui provvedimenti disciplinari come le sospensione o le espulsioni dalle scuole. Ebbene su questo argomento la discussione marcia in sensi diametralmente opposto a quello che la Gelmini col suo 5 in condotta ha dato alla pedagogia italiana. Infatti il problema principale non è punire il ragazzino con sospensioni o esclusioni, ma è quello come fare in modo che una sospensione, anche lunga (in alcuni paesi si arriva ad un mese) non pregiudichi la preparazione del ragazzo. Lo stesso vale per le espulsioni. In questo caso si va nella direzione per cui deve essere la vecchia scuola che deve trovare quella nuova per l alunno espulso. Sempre meno l alunno punito è lasciato a sé stesso. Le radici sociali del problema Innanzi tutto la tendenza in Europa è quella di cogliere i problemi disciplinari a partire dalle loro radici sociali. Soprattutto quelli più gravi, legati ai provvedimenti disciplinari più gravi, che spesso sono rilevanti. Per fare un esempio si può prendere l Inghilterra. Qui le sospensioni riguardano il 2,9% degli alunni, ma se si pensa che di queste l 85% sono solo nella scuola secondaria possiamo facilmente ritenere che tra gli 11 e i 18 anni degli alunni ci sia una bella quota di provvedimenti che riguardano ogni classe del regno. E a ciò va aggiunto il fattore delle scuole speciali, che costituiscono il 4% del fenomeno e che sono una variabile drammatica del tutto: anche all estero non è tutto oro quello che luccica! In ogni caso in Inghilterra le sospensioni riguardano il 15% dei rom, il 14% dei travellers irlandesi, 11% dei neri caraibici e dei neri in genere, il 5-6% degli inglesi e degli irlandesi, mentre sono del tutto irrisorie tra gli asiatici. Le espulsioni riguardano l 8 per mille dei travellers e il 4 per mille dei rom, dei neri africani e dei neri caraibici. Tra le misure messe in atto dal governo britannico vi è lo stanziamento di 35 milioni di sterline per insegnanti di sostegno. Una cifra che potrebbe corrispondere a circa unità di personale ( non contabilizzato negli organici ufficiali!). Tutela e responsabilità della scuola Nella maggior parte dei casi una azione di sospensione e ancor più di esclusione è una azione molto tutelata. In alcuni paesi richiede il consenso dei genitori (Finlandia, Islanda, Polonia), della municipalità (Lituania), di un consiglio di disciplina (Francia), delle autorità scolastiche superiori (Germania, Regno Unito). In alcuni paesi vi è un diritto alla difesa (Finlandia, Francia, Germania, Islanda, Portogallo, Regno Unito) e non è un diritto formale visto che, per esempio, nel Regno Unito porta in media nel 50% dei casi a una revisione del provvedimento. E poi vi è appunto l obbligo del proseguimento degli studi con insegnanti speciali o sotto la tutela dei servizi sociali, soprattutto nel Nord Europa. I paesi che praticano già ampiamente questa soluzione sono infatti Svezia, Finlandia, Islanda, Lituania (dagli 11 ai 16 anni, prima niente espulsioni e sospensioni), ma anche Francia, Spagna, Ungheria (fino a 16 anni). Da noi stiamo andando in senso diametralmente opposto: con questa storia del 5 in condotta dato dopo una sospensione il ministero sembra preoccuparsi soprattutto di fare dei provvedimenti disciplinari una macchia indelebile nella carriera dei ragazzi e delle ragazze. La Gelmini sostiene che il voto numerico, anche quello in condotta, è più chiaro per le famiglie. E ciò può anche essere vero. Ma se a lei si può dire che a scuola abbiamo gli alunni e non le loro famiglie, alle famiglie dobbiamo dire: attenzione perché il voto è chiaro ma la conseguenza logica che ne deriva lo è altrettanto ed è: adesso arrangiatevi! école numero 75 pagina 15

16 Il cinema fatto dai bambini Un esperienza di libertà per una scuola nuova ed antiautoritaria STEFANO VITALE Disegni di Marcello Piccardo Il Cinema fatto dai bambini nasce nel 1967 a Monte Olimpino, un quartiere di Como grazie all intuizione di una maestra di scuola elementare ed alla sensibilità per il nuovo di Marcello Piccardo e Bruno Munari, che dal 1962 lavoravano insieme facendo cinema di ricerca. Andrea Piccardo figlio di Marcello, e giovanissimo protagonista dell esperienza comasca di allora si occupa ancora oggi di quel patrimonio ( e la sua presenza al seminario annuale di école (settembre 2009) è stata molto significativa per testimoniare della possibilità ed esigenza di portare nella scuola di oggi, burocratica ed autoritaria, una ventata di coraggio e di libertà. I primi passi Lo Studio di Monte Olimpino, Laboratorio di cinema di ricerca, nasce nel 1962, nella località omonima per iniziativa di Bruno Munari e Marcello Piccardo. «Sulla collina di Monte Olimpino, negli anni fra il 1962 e il 1972, con Bruno Munari e i miei cinque figli, ci siamo reinventati il cinema (come produrre realizzare e distribuire un film), e finalmente abbiamo scoperto il cinema fatto dai bambini.» (Marcello Piccardo, La collina del cinema, Nodo Libri - Como). Per circa dieci anni lo Studio di Monte Olimpino, poi diventato Laboratorio, in seguito ampliato in Cineteca, infine Cooperativa di Monte Olimpino, rappresenterà un luogo distintivo della ricerca cinematografica in Italia. È un periodo molto fertile, determinato da una intuizione che crea un innovativo rapporto col cinema, non più solo veicolo di spettacolo e di divulgazione, ma strumento di ricerca, capace di fornire informazioni inaspettate sia sull oggetto profilmico, sia sul mezzo stesso. «Nella memoria mi sembra anche che a partire dal 1966 la collina del cinema ha cominciato a girare, prima adagissimo quasi niente, poi un poco poi un poco di più, poi regolarmente come tutte le colline che hanno in cima un pesce giapponese, e adesso era una giostra con tutti quei bambini, girava più forte e si cominciava a sentire quella forza chiamata centrifuga. Saliva da lontano fin sul piano in movimento di Monte Olimpino un onda lunga di scontento (della vita) e di speranza (nella vita) che insieme ai ragazzi abbiamo riversato in quei piccoli film. Il gruppo di lavoro del cinema di ricerca del laboratorio di Monte Olimpino si andava sciogliendo quasi senza rumore per amore di libertà e forza centrifuga. A Munari e a me non rimaneva niente: eravamo tecnicamente dipendenti dai ragazzi, non sapevamo usare una lampada, non calibrare una cinepresa, non manovrare la moviola professionale; ci mancava l allegria e la spinta d insieme dei ragazzi, senza di loro non potevamo più.» (Marcello Piccardo La collina del cinema Nodo libri, Como). Rinnovare il cinema, rinnovare la scuola Il cinema fatto dai bambini entra in tale orizzonte di ricerca, una linea sottile in cui il cinema è libero da metodologie precostituite ed apre nuovi percorsi tecnici ed espressivi: meno condizionati i bambini, specie i più piccoli, riescono a condurre un esperienza école numero 75 pagina 16

17 di cinema aperta in tutte le direzione della gamma espressiva che risponde bene, senza forzature, ai loro bisogni più profondi. Il Cinema fatto dai bambini, ben diverso dal cinema fatto per i bambini, implica un rapporto diretto dei bambini col mezzo-cinema. Il cinema, in questa esperienza è un tutto che comprende l insieme delle diverse componenti tecniche, linguistiche, strutturali. Tutta la realtà del cinema può essere posta nelle mani dei bambini, capaci di creare nuove informazioni a tutti i livelli. I bambini in ricerca, in presa diretta col mezzo-cinema, lavorano quindi come qualunque altro autentico autore in grado di usare immediatamente la struttura circolare del cinema le cui fasi di lavoro sono indistruttibili ed elastiche: idea-soggetto-sceneggiaturafabbisogno-montaggio-proiezione : i bambini seguono questo processo. Gli adulti li aiutano, senza sostituirsi a loro, ma mettendo a disposizione i mezzi, il tempo e lo spazio. La scuola si è rivelata adatta per la ricerca cinematografica dei bambini. La classe, dal canto suo, si è dimostrata l elemento dinamico capace di orientare energie diverse verso un progetto comune. Il cinema fatto dai bambini può essere inteso come una forma di informazione capovolta, ovvero informazione sul mondo, sulle cose, sugli adulti, sui bambini stessi a partire, finalmente, dai bambini. Per il fatto di poter gestire in ricerca tutte le fasi del progetto-film, allora fare un film diventa un originale esperienza di prassi educativa e di vita sociale. Un film inizia quando un insegnante chiede alla sua classe Bambini volete fare un film?. Se la risposta è positiva tutti iniziano a fare delle proposte, a tirar fuori delle idee. Nessuno sa dove si arriverà, tutti sanno che si arriverà ad un film, che potrà essere visto dagli altri. Certo, occorrerà superare stereotipi e banalità: è un opera di de-colonizzazione che prende piede, ma è possibile Durante la lavorazione del film tutti possono partecipare: il cinema ha una sua struttura così elastica da permettere la partecipazione di ogni bambino in un punto e in un momento qualunque del lavoro, come se vi avesse partecipato fin dal principio. Questa capacità che è dei bambini (personale e sociale) e del cinema (di fase e d insieme), permette a non importa che bambino, di trovarsi sempre in piena autonomia creativa, a qualunque punto e momento intervenga dentro un film sia che fosse assente fisicamente, sia che fosse ritardato, e di partecipare come autore del tutto. La scuola come sistema ed il cinema come struttura che connette senza violenza? Ma la scuola va bene così com è? Il fatto è che proprio questo fa saltare la burocrazia, il controllo dall alto, il dogmatismo didatticista, l autoritarismo sociale e cognitivo della scuola di ieri e di oggi. La scuola si organizza dall interno, radicando la propria esperienza didattica nella vita reale, nella quotidianità, fornendo ai bambini strumenti di comunicazione ed espressione, opportunità di conoscenza e strutture di pensiero, informazioni e relazioni inedite. Ai maestri si chiede di fare scuola stando dentro la mente-cinema. Il compito degli adulti non è semplice: perché occorre superare il pregiudizio che i bambini non siano capaci ( e così bravi) da poter fare da soli qualcosa, un film in questo caso. Poi, perché ci si deve liberare dalla mitologia delle didattiche predeterminate ed andare coraggiosamente in ricerca, lavorando per progetti. Infine si deve superare il feticismo dei mezzi tecnologici che ha generato una pericolosa casta di esperti, ripristinando gerarchie ed ipocrisie. Il cinema fatto dai bambini ha conosciuto un periodo di grande sviluppo dal 1966 al Gli anni ottanta hanno segnato un importante periodo di discussione, di riflessione intorno a questa esperienza. In particolare i Cemea a Torino hanno partecipato attivamente alla promozione ed alla diffusione del cinema fatto dai bambini e tra il 1986 ed il 2007 sono stati realizzati nelle scuole elementari (e materne) del Piemonte molti film (utilizzando il super8, il vhs ed il supervhs, il digitale). Oggi esistono le condizioni per riprendere il filo di questa storia? La scatola è ancora chiusa? Nel corso del nostro seminario abbiamo rivisto La chitarra, esplorazione sensibile e concettuale di uno strumento musicale, sospeso tra desiderio e metafora; Il Pagliaccio storia di una trasformazione, maschera evolutiva dell uomo, personaggio doppio che ci rappresenta; e La scatola chiusa, dove ciascun bambino si racconta esprimendo i propri desideri e le proprie paure. Piccoli film realizzati tra il 1967 ed il E tutto sembra così incomprensibile nella scuola d oggi, degradata e volgare, svalutata e autoritaria. Marcello Piccardo scriveva: «I bambini sono adulti andati a male» e fare scuola in un certo modo poteva essere l antidoto per ritardare il processo: «La festa è cominciata e il mondo è già cambiato proprio quando accade il fatto dell incontro in ricerca fra i bambini e il cinema, a scuola La dimensione del bambino è ancora capace di percezione e di espressione a tutto tondo, o quasi; la dimensione del cinema è già capace di espressione e di percezione a tutto tondo, o quasi». La scatola chiusa si apre e ciascuno può trovare il suo frutto del suo desiderio. «Il limite dello sviluppo della pedagogia è la distruzione totale école numero 75 pagina 17

18 dei bambini; per distruggere i bambini basta darsi ancora da fare pedagogicamente». La scuola deve riflettere sulla sua sostenibilità: «attivare oltre la macchina didattica, provoca il disastro. Fermi tutti gli adulti al posto dove sono, fermi tutti nel punto che hanno, fermi presenti e attenti, il prossimo movimento pedagogico è dei bambini, e noi non sappiamo quale. Tutta la storia si punta ora qui: i grandi sanno cosa hanno fatto, e non sanno cosa fare, i bambini ci dicono che stare fermi è fare». Non solo cinema Come si può capire, la questione non è solo cinematografica. Una volta di più ci si trova confrontati con una questione di cultura e di politica culturale, con un idea di scuola. Questa esperienza non rimuove affatto la necessità di una presenza dell adulto, del maestro, semplicemente la vede in una prospettiva autentica : di accompagnamento, di guida ed orientamento, di facilitatore che offre conoscenze, cultura e tecnologia, che mantiene l ordine delle cose. L insegnante deve essere preparato a fare l insegnante e, come detto, avere la disponibilità ad andare egli stesso in ricerca coi bambini. E i bambini non sono chiamati a fare un banale laboratorio, ma a vivere il processo di apprendimento, la relazione coi compagni, la realtà a partire da una più profonda rimessa in gioco anche di se stessi. In tempi di videocrazia che produce consumatori passivi, che sforna menti bacate dal virus dei reality, delle veline, che mistifica l informazione pubblica facendoci dimenticare ogni pensiero critico, ogni forma di democrazia del quotidiano rivalutare gli insegnamenti e la portata innovativa sul piano educativo, didattico e formativo del cinema fatto dai bambini mi pare indispensabile. Purtroppo, temo, che la sinistra o gli insegnanti di sinistra sia anch essi troppo distanti, troppo occupati da altro, troppo presi da improbabili nuovismi per aver voglia di ascoltare e capire che ci sono cose che non si possono buttare via. Dall alto: Man Ray, Scritture spaziali, Bruno Munari, Directs projections, Domus, Bruno Munari, Directs projections, Domus, Fotogrammi dal film I colori della luce, Bruno Munari, école numero 75 pagina 18

19 La scuola, il Cinema, la Collina Due libri sul cinema fatto dai bambini A CURA DI FABIO CANI * Nel 1972 (circa, perché il libro esce senza la data di edizione) Giovanni Belgrano pubblica, con la collaborazione di Bruno Munari per l impaginazione, un libro che mette i piedi nel piatto. GIOVANNI BELGRANO Facciamo subito un film Emme edizioni, Milano [1972] Facciamo subito un film è qualcosa di più di un titolo. Munarianamente, il libro non ha nemmeno una riga di introduzione. Già sul retro del frontespizio, insieme allo spartanissimo colophon, ci sono le prime immagini e le prime indicazioni. Così si fa. Non c è bisogno di girare intorno alla pratica. Del libro, per far capire cos è e com è, non c è altra possibilità che proporre, in queste pagine, alcune doppie pagine. Diverso è il libro che segue due anni dopo (circa) a firma di Marcello Piccardo. MARCELLO PICCARDO Il cinema fatto dai bambini Editori Riuniti, Roma 1974 Dalla supremazia della pratica si passa a un notevole sforzo di narrazione e di teorizzazione. La pratica si fa sembra dire Piccardo ma quando la si racconta bisogna sforzarsi di dare le indicazioni perché anche chi non l ha fatta possa capire. Ecco dunque che, fin dalla prefazione, tra i due amici con rispettivi collaboratori e collaboratrici si rimarca una certa disparità di vedute. Così si legge nella prefazione di Teresa Mattei: «Dal 1967 abbiamo lavorato, noi del gruppo di Monte Olimpino, perché i bambini potessero fare del cinema. Occorre spiegare che il titolo scelto per l insieme di questo lavoro ha in sé il rigore e la permanenza di una definizione tecnica e scientifica, e come tale da allora in poi ha accompagnato i film che da quel lavoro sono usciti, in tutti i luoghi e le occasione che Marcello Piccardo racconta nel libro. In questi ultimi anni sono uscite diverse opere tecniche e pedagogiche sul cinema come nuova forma di linguaggio espressivo aperto a tutti; non è compito di questo libro affrontare il confronto con tali opere, ma se mai proporre, fra tante altre, e con il minor filtraggio possibile da parte di noi adulti, la voce sottile e gentile dei bambini. I nostri amici Belgrano e Munari hanno pubblicato un libro che s intitola Facciamo subito un film! [si noti che il titolo è riportato con un punto esclamativo del tutto apocrifo, a segnalare una ricezione in senso imperativo dell invito di Belgrano-Munari, n.d.r.], destinato ai bambini. Noi insistiamo invece su cinema fatto dai bambini perché cinema è qualcosa di molto più complesso che film : per cinema si intende quell insieme di operazioni che si collegano l una all altra per produrre, realizzare e distribuire film. Dunque la produzione, la realizzazione e la distribuzione sono i tre campi di lavoro che si favoriscono e si permettono a vicenda, nel seguente ordine rigoroso: la produzione produce il film impiegando i mezzi economici e di informazione necessari alla realizzazione; la realizzazione realizza il film (pellicola) usando la serie tecnico-creativa delle fasi: idea - oggetto - sceneggiatura - fabbisogno - ripresa - montaggio - proiezione; la distribuzione distribuisce il film in proiezione attraverso i canali disponibili e recupera i mezzi economici per la produzione. Nessuna fase può essere saltata o ignorata, se si vuol parlare di cinema; e questo stesso ordine, che impronta di sé tutto il lavoro, ha improntato anche [questo] libro dove si parla ordinatamente di produzione, di realizzazione e di distribuzione. La cosa più importante che è scaturita dall esperienza che abbiamo compiuto con le classi (bambini e insegnanti) impegnate nel cinema di ricerca, è la naturalezza e la facilità con cui l ordine logico e imprescindibile del cinema si è sposato alla libera creatività di ogni classe, costituendo anzi un filo conduttore impercettibile eppure solidissimo che ha saputo legare insieme le operazioni di apprendimento, le singole materie, il contributo di ognuno e del gruppo, senza alcun intervento di elementi estranei alla classe, se non le poche ore finali di ripresa cinematografica. Per lasciare liberi al massimo possibile i bambini di esprimersi con il mezzo cinema, noi abbiamo capito [...] che gli adulti, la scuola e le varie istituzioni preposte e previste per la formazione dei bambini includendovi dunque anche tutti i mass-media, e in particolar modo la televisione dovrebbero principalmente occuparsi, delle tre fasi di cui parlavamo produzione, realizzazione, distribuzione, della prima e dell ultima, lasciando ai bambini e ai loro insegnanti-assistenti, la gestione più autonoma della fase centrale, e cioè della realizzazione». Un esperienza esaltante Ma il libro è poi in gran parte il racconto con la tipica prosa ellittica e sincopata di Marcello Piccardo di un esperienza esaltante, spesa tra i bambini e le bambine, tra insegnanti, e poi teorici e critici del cinema e chi più ne ha più ne metta. Molte di queste realizzazioni avvengono all interno delle classi differenziali, sapendo cogliere fino in fondo, senza presunzione e senza pietismo, la ricchezza e l intensità di questa differenza. Tra tutti gli episodi raccontati, il mio preferito è questo una sorta di minimalismo ante litteram, dove neorealismo e iperrealtà si fondono con la naturalezza, appunto, di un gioco di bambini. C è poi la bambina Luciana che, in seconda differenziale, ha proposto l idea di fare un film con la storia vera di Umberto, un bambino della classe, uno di loro. E i bambini d accordo, anche Umberto. Sulla storia vera non c è niente da inventare, c è solo da raccontarla, e allora ecco lei sola, Luciana, a scrivere il soggetto, e tutti gli altri contenti come se lo scrivessero loro: Il film è intitolato Umberto. Umberto è in quarta ma non sa scrivere bene e il maestro che è bravo non lo vuole. Il maestro manda a chiamare la sua mamma che piange e gli dice che lo manda in terza. Ma viene fuori la maestra di terza che è la moglie del maestro e non lo vuole neppure lei. La sua mamma allora piange ancora un po più forte. Anche Umberto piange perché il maestro non lo vuole. La signora dice che deve venire da noi e allora noi che siamo una classe differenziale lo teniamo. I bambini hanno preso per buona la storia di Umberto (nel soggetto non c è nessun pregiudizio negativo, la storia è raccontata così com è) e raccontandola profondamente hanno fatto la rivoluzione nella piccola scuola di campagna: per raccontarla più profondamente, hanno deciso che interpreti del film fossero gli stessi personaggi veri della storia: Umberto, il maestro di quarta, la mamma di Umberto, la maestra di terza, la signora direttrice e loro bambini con la loro maestra. È successo che il maestro di quarta, la maestra di terza e la signora direttrice, spaventati che la storia (vera), con dentro il loro abuso di autorità e il loro disprezzo per Umberto, raccontata in cinema, venisse conosciuta, si sono rifiutati di collaborare, e la signora direttrice ha vietato ai bambini e alla loro maestra di fare quel film. E per maggiore tranquillità, Umberto è stato riportato in quarta. Allora la bambina Luciana ha completato il soggetto: Però Umberto non fa il bravo e fa arrabbiare la maestra; ma ora è ritornato in quarta, e lui non ci voleva andare più; école numero 75 pagina 19

20 e hanno fatto il film con la sola ripresa della scrittura di Luciana, che lo spettatore legga il soggetto così come è scritto, ed è ancora cinema. Si direbbe che i bambini, impediti di esprimersi nel mezzo, si esprimono direttamente nella realtà, capovolgendola. Questo, quando il mezzo è simile alla vita, come lo è il cinema. Ma anche nelle tante ipotesi di soggetto del film Il vecchietto, realizzato nel 1968 in una prima elementare di Cantù, si leggono senza difficoltà le inesauribili possibilità dell uso creativo della scuola. Ne cito qualcuna (nella grafia originale, riportata da Marcello Piccardo nel suo libro). Il vecchietto è dietro fare colazione arriva un vecchio sgarbato al mattina e suona il campanello e dice: Chi è? Apri. E va bene ecco ho aperto. Allora dice il vecchio sgarbato: Dammi il vino. L altro risponde: No no vai in osteria a bere il vino. Il vecchietto si fa il bagno. Il vecchietto telegiornale. Il vecchietto si alza alla sera. Il vecchietto mangia. Il vecchietto conta 7+7=14. Il vecchietto dorme. Il vecchietto mangia. Il vecchietto beve l acqua. Il vecchietto i vestiti. Il vecchietto la macchina. Il vecchietto b. Il vecchietto gioca. Il vecchietto veste. Il vecchietto canta. Io voglio fare il vecchietto che si lava le mani a mezzogiorno e si rade la barba e entra dentro la sua casa e mangia e beve il suo buono vino e la notte va al letto eil mattino s alza. Dopo mangia il latte. Io il vecchietto lo vorrei fare che picchia i bambini o pure che tagli il fieno si potrebbe che guida il cavallo Il vecchietto cominciamo così: che picchia i bambini al mattino il vecchietto picchia i bambini perché non ubidiscono si siede sulla sedia per leggere il giornale taglia il fieno per dallo al cavallo il cavallo lo prendere prendere l erba il cavallo lo adopera al pomeriggio il giornale lo legge al mattino l erba a pomeriggio. Il vecchietto si alza dal letto e tira fuori il pigiama si mette i calzoni va in bagno. Fine il primo tempo. Si rade la barba va fuori dal bagno si tira su le bretelle. Il film comincia con un po di musica e le scritte. Incomincia con il vecchietto che legge che si veste si lava, si fa la barba si pettina prende il bastone. E così di seguito (le molte interpretazioni personali dei bambini di quarant anni fa sono alle pagine del libro di Piccardo). Da Monte Olimpino a Venezia C è poi ancora il racconto del rapporto col mondo degli adulti, con i luoghi topici del cinema. «A Venezia, a portare 4 film dei bambini, ci andiamo in 4, tanti quanti sono i diversi aspetti del lavoro: sociale, didattico, espressivo, tecnico: Teresa Mattei, Giovanni Belgrano, Marcello Piccardo, Andrea Piccardo. I film sono: La chitarra, Il pagliaccio, La scatola, Il vecchietto. Il 26 luglio, da Monte Olimpino a Venezia come per un avventura di frontiera, e dentro il palazzo del cinema a sciogliere i diaframmi burocratici, in quattro nell ufficio di Luigi Chiarini, direttore della Mostra del cinema. Ciascuno per la sua parte, a turno, e tutti insieme, per fargli capire che si tratta di bambini autori: ci rifiutiamo di lasciare che i film siano presentati nella mostra minore per i ragazzi: sono film fatti dai bambini per i grandi, sono lungometraggi di bambini, nel cinema dei grandi possono cambiare radicalmente la produzione, la realizzazione e la distribuzione. Domandiamo, a ragione spiegata, che questi quattro film siano presentati nella Mostra grande internazionale, alla pari coi film dei registi grandi, ad un pubblico di grandi. Chiarini è prima diffidente, poi perplesso, finalmente è convinto quanto basta per disporre che la Commissione di selezione veda subito questi quattro piccoli film che questi quattro signori (fra cui una donna e un ragazzo) affermano importanti. Nel salone delle proiezioni siamo noi quattro soli coi cinque signori della Commissione (i critici cinematografici P. Bianchi, G.B. Cavalleri, T. Kezich, F. Savio e G. Tinazzi) che siedono per giudicare e criticare quel che han fatto i bambini. Silenzio prima, diciamo solo che questi film che vedremo li hanno fatti i bambini di prima elementare, a scuola, tutti da sé. E nel buio, col batticuore, rivediamo i piccoli film, splendidamente proiettati come si meritano, sul grande schermo, i grigi, i colori, i suoni, così veri che la nostra realtà sembra una favola. Subito sentiamo molto bene che i 5 grandi critici sono meravigliati, la meraviglia è subito espressa, e le domande che fanno ci fanno contenti, sono domande serie, le stesse che noi ci siamo fatti al principio, e sappiamo cosa dire. Teresa Mattei dice che il cinema di ricerca matura liberi i bambini e libera l ambiente intorno; Giovanni Belgrano, che il cinema comprende e sollecita tutto l apprendimento; Marcello Piccardo, che il cinema fatto dai bambini apre all infinito e le possibilità del mezzo. Andrea Piccardo (che ha fatto le riprese per i bambini) dissolve decisamente i dubbi di un intervento tecnico dei grandi. È tutto vero. G.B. Cavallaro, il capo e il più grasso dei critici, fa di corsa le scale che salgono all ufficio di Chiarini, per dire subito che questi film dei piccoli vanno bene per la mostra dei grandi. Torniamo da Chiarini e c è aria di festa: in questo festival i bambini portano festosamente aria nuova. Chiarini è contento, e i discorsi adesso sono di intesa, parole e pensieri che si somigliano, che vanno bene per tutti: faremo una festa grande, i bambini saranno a Venezia invitati dal festival, i piccoli film verranno presentati insieme al grande film Il castello, del regista tedesco Nolke, interpretato da Maximilian Schell, il quale presenterà i bambini al pubblico dei grandi. Quando il segretario timido gli osserva che forse i regolamenti non lo permetteranno, Chairini risponde allegramente che i regolamenti sono fatti per essere infranti». Come va a poi a finire l avventura veneziana del cinema fatto dai bambini si può leggere in un libro di molti anni dopo. All inizio degli anni Novanta, Marcello Piccardo ha raccontato la storia sua e della sua collina del cinema nel libro Marcello Piccardo La collina del cinema NodoLibri, Como 1992 Qui, in mezzo al cinema di ricerca, tra la storia di un figlio e quella di una figlia, Marcello ricorda in tutta la sua importanza anche il rapporto con la scuola. Da qualche tempo si era unito al gruppo Giovanni Belgrano, che da ragazzo veniva nella prima storia di Monte Olimpino al «Tocia» con un ciuffo rosso e un piffero e la voglia di cinema, sembrava Danny Kaye, e adesso dirigeva didatticamente la scuola speciale della Nostra Famiglia a Bosisio Parini. Fra i giovani che a Como vedevano i nostri film c erano maestri e maestre: abbiamo formato a Monte Olimpino una sezione didattica della cineteca e lì si cominciava a ragiona- école numero 75 pagina 20

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