Imaging coronarico invasivo e cardiopatia ischemica

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1 INTERVENTISTICA CORONARICA E NON CORONARICA Imaging coronarico invasivo e cardiopatia ischemica Manrico Balbi, Martino Cheli, Antonello Parodi, Claudio Brunelli Clinica delle Malattie dell Apparato Cardiovascolare con UTIC, Dipartimento di Medicina Interna, Università degli Studi, Genova In the last years, both the increase in percutaneous coronary revascularization and the instance of more reliable and individualized treatments have led interventional cardiologists to seek for a valuable adjunct to angiography in order to improve assessment and treatment of atherosclerotic coronary disease. Intravascular ultrasound (IVUS) allows precise tomographic measurement of lumen area, plaque size, and, to some extent, composition, with low risks and affordable costs. It is not yet clear whether routine use of IVUS provides a middle-to-long-term benefit in prevention of recurrent cardiovascular events. This review reports the main studies on IVUS imaging, underlining impact of ultrasound in the development of contemporary percutaneous revascularization techniques. Key words. Intravascular ultrasound; Ischemic heart disease; Percutaneous coronary intervention. G Ital Cardiol 2012;13(10 Suppl 2):80S-91S L impiego estensivo dello studio coronarografico, da oltre 50 anni cardine diagnostico della patologia coronarica, ha mostrato nel corso degli anni alcuni rilevanti limiti, in particolare una significativa variabilità di interpretazione interosservatore ed una non sempre adeguata correlazione con i riscontri autoptici 1-4. Problematica, da sempre, risulta la valutazione delle stenosi angiograficamente intermedie (40-70%) e delle lesioni a carico di osti e biforcazioni, non sempre sufficientemente sviluppate dalle diverse proiezioni radiologiche. Inoltre, se presupposto fondamentale per la corretta analisi quantitativa di una stenosi coronarica è la presenza di un tratto sano da impiegare come parametro di riferimento, è altresì dimostrato come la malattia aterosclerotica possa essere in realtà diffusamente distribuita lungo l intero albero coronarico allo studio istologico. Sostanzialmente bidimensionale e legata all aspetto luminale piuttosto che strutturale della parete arteriosa, la coronarografia è stata pertanto progressivamente affiancata, e non di rado subordinata, all esito di test non invasivi di imaging radiologico (tomografia coronarica) e funzionale (studio ecocardiografico della riserva coronarica, miocardioscintigrafia), che, per quanto fondamentali nella valutazione globale del carico ischemico, non hanno tuttavia dissolto completamente i dubbi esistenti su composizione, rilevanza clinica ed emodinamica della singola placca aterosclerotica. Di pari passo con l applicazione estensiva della rivascolarizzazione coronarica percutanea e l incremento delle conoscenze sulla fisiopatologia della placca vulnerabile, è andata così crescendo la necessità di strumenti in grado di caratterizzare in vivo ed in tempo reale la placca aterosclerotica Il Pensiero Scientifico Editore Gli autori dichiarano nessun conflitto di interessi. Per la corrispondenza: Prof. Manrico Balbi Clinica delle Malattie dell Apparato Cardiovascolare con UTIC, Azienda Ospedaliera Universitaria S. Martino, Largo Rosanna Benzi 10, Genova manricobalbi@libero.it Lo studio dei fenomeni di rimodellamento vascolare, la necessità di un ottimale applicazione di stent, medicati e non, l angioplastica del tronco comune e dei vasi biforcati, per citare solo alcuni degli aspetti più rilevanti, hanno reso incalzante la necessità di test diagnostici affidabili, in grado di guidare l emodinamista nella corretta scelta di trattamenti che, ben oltre la semplice luminologia angiografica, vanno sempre più confezionati sul singolo paziente. Se ciò appare vero per il paziente con sindrome coronarica acuta, in cui peraltro l angiografia consente nella maggioranza dei casi una sicura identificazione della lesione instabile, ancor più rilevanti appaiono i limiti dell angiografia convenzionale nel controverso ambito della cardiopatia ischemica stabile, ove gli studi di rivascolarizzazione completa non hanno mostrato un sostanziale beneficio a lungo termine rispetto alla terapia medica ottimale se non in presenza di un considerevole territorio ischemico 5. Quanto premesso, unito all accresciuta consapevolezza che la sindrome coronarica acuta e la relativa placca culprit possano essere solo una prima avvisaglia di una patologia più complessa e diffusa, in grado di colpire più volte, talvolta in distretti lontani dal precedente, ha promosso la ricerca di nuovi test invasivi in grado di caratterizzare meglio la placca aterosclerotica per morfologia, estensione, composizione, e, auspicabilmente, propensione all instabilità. Appunto con l intento di rispondere a queste esigenze nascono i primi test strumentali intracoronarici, che si dimostreranno in grado di caratterizzare morfologicamente (angioscopia, ultrasonografia intravascolare [IVUS], tomografia a coerenza ottica) e funzionalmente (riserva frazionale di flusso [FFR]) la placca aterosclerotica coronarica, fornendo informazioni riproducibili ed affidabili sull estensione, severità ed instabilità della malattia ischemica. ULTRASONOGRAFIA INTRAVASCOLARE Impiegata per la prima volta da Bom oltre 40 anni or sono, ed applicata clinicamente da più di venti, l IVUS sfrutta la capacità degli ultrasuoni di penetrare i tessuti molli, offrendo il con- 80S

2 IMAGING CORONARICO INVASIVO E CARDIOPATIA ISCHEMICA siderevole vantaggio di studiare i vasi a tutto spessore, dal lume all avventizia. Sono così effettuate in tempo reale sezioni a 360, sulle quali è possibile identificare le diverse componenti della parete e della placca: lipidica, fibrosa e calcifica. Mediante l impiego di trasduttori miniaturizzati sino a 2.5F (compatibili con cateteri 6F), che utilizzano frequenze di Hz, la metodica raggiunge una risoluzione assiale compresa tra 70 e 200 µ ed una penetrazione >5 mm 6. L utilizzo di apposite slitte per il ritiro motorizzato alla velocità di mm/s a 30 frame/s fornisce sino a 60 immagini per mm, che possono essere a loro volta processate per una ricostruzione tridimensionale. Sulle immagini tomografiche così ottenute è possibile quindi analizzare, oltre all architettura parietale, le diverse componenti della placca aterosclerotica e i relativi segni di instabilità. È inoltre possibile effettuare misurazioni accurate dell area luminale minima, dei volumi della placca e l estensione longitudinale della malattia. Sebbene la metodica abbia consentito un notevole progresso nella comprensione dei meccanismi alla base della rottura di placca e del rimodellamento vascolare, occorre tuttavia sottolineare i diversi limiti che essa presenta, dalla risoluzione, tuttora subottimale, alla non sempre agevole interpretazione delle immagini, alla possibilità, per quanto modesta, di complicanze legate all inserimento del trasduttore in vasi tortuosi e malati 7,8. Nonostante tali limitazioni, nel corso degli anni numerosi sono stati gli studi in grado di evidenziare un ottima correlazione tra quadri ultrasonografici specifici, rilievi anatomopatologici e le rispettive sindromi cliniche STUDIO DELLA PLACCA ATEROSCLEROTICA Studio del rimodellamento vascolare Verso la fine degli anni 80, Glagov et al. 17 per primi hanno posto l accento sul fenomeno del rimodellamento vascolare, legato all espansione della placca aterosclerotica verso l avventizia. Nel loro studio istologico su 136 campioni autoptici di tronco comune, hanno riconosciuto una fase iniziale di malattia, caratterizzata da un progressivo assottigliamento della tonaca media della parete arteriosa, ed una fase successiva di espansione asimmetrica del vaso verso l esterno. Tale espansione è stata inizialmente interpretata come un fenomeno compensatorio in grado di permettere l incremento volumetrico della placca senza compromettere la pervietà del lume, fornendo una plausibile ipotesi fisiopatologica alle sindromi coronariche acute sostenute da lesioni angiograficamente insignificanti. In seguito sarà infatti dimostrata la tendenza di lesioni con rimodellamento eccentrico ad avere un core lipidico più voluminoso ed un aumentata concentrazione di macrofagi, elementi correlati con l aumentata vulnerabilità di placca e le sindromi cliniche 18. Proprio in riferimento a quest ultimo aspetto, già Glagov et al. hanno rilevato nelle conclusioni del loro lavoro l inadeguatezza della coronarografia nella caratterizzazione della parete vasale. Andava progressivamente definendosi il concetto di placca vulnerabile 19,20. Di pari passo, viene studiato il rimodellamento negativo o shrinking, che, per quanto sovente associato a stenosi angiograficamente più critiche, sembra rappresentare una fase più tardiva e stabile di malattia, in cui i fenomeni infiammatori risultano sopiti e il core lipidico sostituito da tessuto fibrocalcifico, meno prono alla rottura Alcuni anni più tardi, Stiel et al. 28, sottoponendo ad esame angiografico ed anatomopatologico 30 cuori di coronaropatici e 10 di controlli sani, hanno dimostrato esservi una valida correlazione tra area di placca sottesa dalla membrana elastica esterna ed area di placca istologica. Essi hanno osservato inoltre che nei tratti malati l attesa rastrematura vasale era perduta, e che il fattore di sottostima angiografica della lesione risultava tanto maggiore (fino a 3.50) quanto minore appariva il grado di stenosi. La sfida della cardiologia interventistica diviene a questo punto trovare uno strumento in grado fornire in vivo un adeguata correlazione tra imaging, sindromi cliniche ed i rispettivi quadri anatomo-patologici, questi ultimi considerati naturalmente gold standard nella quantificazione e caratterizzazione della placca. La prima sperimentazione dell IVUS sull uomo si deve ad Hodgson et al. 29 i quali, dopo aver testato la metodica su cavie animali, hanno descritto promettenti iniziali esperienze su 20 pazienti. Gerber et al. 30, alcuni anni dopo, ne confermeranno la fattibilità tecnica e la maggiore sensibilità rispetto all angiografia in uno studio su 69 pazienti affetti da malattia a carico del tronco comune. Da queste evidenze iniziali emergono le potenzialità che renderanno nell arco di pochi anni l IVUS uno tra gli strumenti più utilizzati per la diagnosi, la stratificazione prognostica ed il trattamento della cardiopatia ischemica stabile ed instabile. Estensione dell aterosclerosi coronarica - carico della singola placca Nonostante il carattere prettamente morfologico della metodica, numerosi studi di validazione sono stati in grado di correlare i parametri misurati all IVUS con test funzionali quali la miocardioscintigrafia e, più tardi, la FFR. Oltre alla caratterizzazione morfologica e qualitativa delle diverse componenti della placca, attraverso l IVUS è infatti possibile effettuare misurazioni quantitative mono e bidimensionali del lume e dell ateroma, determinandone con precisione ed in maniera riproducibile i contorni. La definizione della cross sectional area in termini di area luminale minima (MLA) è un parametro fondamentale per stabilire la criticità della lesione: gli studi di comparazione con test funzionali di ischemia (FFR e scintigrafia miocardica) hanno mostrato come valori di MLA <4 mm 2 nei vasi maggiori (>3 mm di diametro) si associno frequentemente a lesioni ischemizzanti ai test funzionali Tale valore soglia sale a 6 mm 2 se si considera il tronco comune della coronaria sinistra 37. L area dell ateroma è determinata dalla planimetria tracciata dall intima fino alla membrana elastica esterna, includendo quindi convenzionalmente all interno anche la tonaca media. Ciò deriva dall esperienza che sovente la tonaca media non risulta adeguatamente distinguibile dalle altre porzioni della parete vasale, mentre la membrana elastica lo è nella maggior parte dei casi. Inoltre, il bordo esterno dell intima non di rado presenta artefatti legati alla dispersione del segnale ultrasonoro nella media (effetto blooming ). Diversi riscontri istologici 16,38,39 hanno confermato la correttezza delle misurazioni dell area dell ateroma effettuate con tali criteri. Limite maggiore in questo caso è costituito dalla presenza di calcificazioni di placca che, ostacolando la penetrazione degli ultrasuoni, possono nascondere le strutture retrostanti. Parametri utili, specie nella valutazione sequenziale di terapie mirate a stabilizzare o modificare la placca, sono rappresentati dal volume percentuale di ateroma (la percentuale di area vasale sottostante la membrana elastica esterna occupata dall ateroma) e il volume totale dell ateroma, definito talora anche plaque burden, calcolato sommando le aree dell ateroma 81S

3 M BALBIETAL nelle varie sezioni trasverse; poiché il valore ottenuto può variare significativamente a seconda della lunghezza di placca presa in esame, si possono considerare i 10 mm di vaso più severamente malati, o alternativamente, dividere il volume totale per il numero di sezioni considerate e normalizzarlo moltiplicando per il numero medio di sezioni della coorte di studio 40. Si ottiene così un valore di percentuale di placca più versatile per la comparazione. Tale parametro si discosta tuttavia dalla corrispondente percentuale di stenosi rilevata all angiografia, che, come abbiamo sottolineato in precedenza, è espressione di un restringimento luminale (monodimensionale) in sede di placca rispetto al tratto di riferimento assunto come sano. L indice di rimodellamento viene calcolato come rapporto tra l area della membrana elastica esterna nel punto affetto da malattia più severa e nel punto meno malato entro i 10 mm prossimali alla lesione. Altri parametri quantificabili sono il valore di massimo spessore di placca, misurato tra l intima e la membrana elastica esterna, la differenza tra massimo e minimo spessore di placca come indice di eccentricità, i gradi di estensione circonferenziale della malattia/l arco di calcio, l estensione longitudinale della malattia nelle relative ricostruzioni. Caratterizzazione tissutale Parallelamente alla valutazione quantitativa dell aterosclerosi e del rimodellamento coronarico, l IVUS consente una fine analisi morfologica delle componenti di placca. Per convenzione, la metodica attribuisce un valore sulla scala di grigi compreso tra 0 (nero, assenza di riflessi) e 255 (bianco, massima ecoriflettenza) all intensità del segnale ultrasonoro riflesso. Le lesioni calcifiche risultano marcatamente ecoriflettenti e dotate di cono d ombra posteriore, quelle fibrotiche tendono ad avere ecoriflettenza intermedia, le lesioni a contenuto soffice o prevalentemente lipidico hanno un ecoriflettenza inferiore a quella del tessuto avventiziale. Tuttavia, la distinzione tra le varie componenti non è sempre agevole, ed il riconoscimento può risultare ancor più difficoltoso in situazioni particolari come la presenza di materiale trombotico, la rottura/fissurazione di placca, le dissezioni o le emorragie intraplacca. Poiché la maggioranza degli eventi coronarici acuti è sostenuta da fenomeni di trombosi sovrapposta a placche con un cappuccio fibroso sottile ed un ampio core lipidico sottostante, appare evidente come effettuare una corretta valutazione in sede di cateterismo possa fornire informazioni prognostiche cruciali. Uno studio di Virmani et al. 41 su 241 sezioni di pazienti deceduti per morte coronarica improvvisa ha confermato agli inizi del 2000 che la trombosi coronarica si associa a tre distinti pattern istologici: rottura di placca, erosione di placca e noduli calcifici. Per agevolare l operatore nell identificazione di tali componenti, sono stati sviluppati nel corso degli anni algoritmi in grado di rappresentare attraverso un codice colore i dati in radiofrequenza direttamente dal segnale riflesso dai tessuti, ovvero senza l elaborazione software e la ricostruzione bidimensionale. Tali rappresentazioni grafiche vengono comunemente indicate con il termine di istologia virtuale. In linea teorica, l analisi dei dati grezzi dovrebbe così fornire informazioni maggiormente accurate e riproducibili in quanto non filtrate dall elaborazione software e dalle impostazioni di gain modificate dall operatore. Attraverso studi di validazione istologica su sezioni di vasi malati e materiale estratto mediante aterectomia direzionale, i tre differenti metodi matematici di analisi della radiofrequenza, ovvero il modello autoregressivo dell istologia virtuale, la trasformazione rapida di Fourier e la wavelet analysis, la cui illustrazione sistematica prescinde peraltro dagli scopi di questa trattazione, hanno dimostrato una valida sensibilità e specificità diagnostica Recentemente pubblicato da Stone et al. 45, lo studio multicentrico PROSPECT ha riportato in primo piano il tema dell evoluzione naturale dell aterosclerosi coronarica, coniugando con le moderne tecniche IVUS di analisi a radiofrequenza il contributo di studi retrospettivi precedenti 46,47. Oltre 3000 lesioni su 697 pazienti, sono state caratterizzate con analisi quantitativa e, qualora possibile, con IVUS e seguite per un follow-up medio di 3.4 anni. Gli eventi cardiovascolari avversi si sono manifestati nel 20.4% dei pazienti e sono stati attribuiti nel 12.9% a recidive su placche già trattate e nell 11.6% ad instabilizzazione di una nuova placca (p=ns). È interessante sottolineare come in questo contesto il grado di stenosi delle 106 lesioni nonculprit responsabili della recidiva fosse di rado (4.7%) superiore al 70%. Per quanto l istologia virtuale abbia potenzialità notevoli, la specificità della metodica è risultata bassa, in quanto soltanto un numero relativamente basso (18.2%) di eventi si è verificato a causa delle lesioni che assommavano i tre principali predittori dello studio (presenza di placche con cappuccio sottile, plaque burden >40%, MLA <4 mm 2 ). Emerge inoltre come lo studio estensivo dell albero coronarico possa portare a tassi di complicanze iatrogene significativamente maggiori (1.6%) di quelle precedentemente segnalate. Oltre alla validazione clinica, occorre rammentare i limiti principali della tecnica di analisi in radiofrequenza, in primo luogo la provenienza da studi di validazione istologica, perlopiù su piccoli campioni, non sempre di tessuti umani, e talora condizionati da modelli di aterosclerosi e da tempi e metodiche di prelievo (aterectomia direzionale vs prelievo autoptico) ; ed infine la risoluzione assiale, limitata a 150 µ, che non consentirebbe teoricamente l identificazione del fibroateroma con cappuccio sottile, contraddistinto per definizione da spessore <65 µ. La placca vulnerabile viene pertanto convenzionalmente identificata in presenza di un ampio core necrotico direttamente adiacente all endotelio, espediente che consente in parte di superare tale considerevole limite. Negli ultimi anni, nel tentativo di superare questo ostacolo, la tecnica IVUS è stata affiancata dalla nuova metodica di studio tomografico a coerenza ottica, favorita da una superiore risoluzione spaziale e da maggiore intuitività di impiego. Studio della regressione di placca Sino all avvento dell IVUS, numerosi studi longitudinali condotti con angiografia tradizionale o Doppler carotideo hanno mostrato una forte correlazione tra estensione della malattia aterosclerotica, tendenza alla progressione e morbilità cardiovascolare Basandosi appunto su tale correlazione, diversi autori hanno ipotizzato che un valido endpoint di efficacia per la valutazione di terapie cardiovascolari, in primo luogo statine, potesse essere rappresentato in vivo dalla regressione di placca. A posteriori, possiamo affermare che se i primi studi angiografici di progressione/regressione di placca potevano essere più o meno marcatamente condizionati dalla visualizzazione bidimensionale del lume e dalla variabilità dei fenomeni di rimodellamento, con l introduzione dell IVUS nella pratica clinica, questo ostacolo viene superato attraverso l impiego di parametri quantitativi affidabili, che si prestano adeguatamente ad una valutazione seriata. 82S

4 IMAGING CORONARICO INVASIVO E CARDIOPATIA ISCHEMICA Nel 2001 lo studio multicentrico randomizzato GAIN dimostra un incremento più lento del volume di placca nei 65 pazienti trattati con atorvastatina rispetto ai 66 controlli, accompagnato da un significativo aumento della componente fibrosa di placca, valutata mediante l indice di iperecogenicità 60. L anno seguente il gruppo di Matsuzaki 61 dimostra l efficacia della LDL-aferesi sulla regressione di placca in un piccolo campione di soggetti affetti da dislipidemia familiare eterozigote. Due anni più tardi, in uno studio osservazionale condotto su 60 pazienti trattati con statine, von Birgelen et al. 62 evidenziano una correlazione lineare tra valori di colesterolo LDL e cambiamenti a distanza di 14 mesi nell area di placca a livello del tronco comune. Lo studio evidenzia che un cut-off di 75 mg/dl possa rappresentare la soglia al disotto della quale non si rileva progressione di placca. Negli anni successivi i trial clinici si moltiplicano; il REVERSAL vede randomizzare tra due diversi regimi di terapia ipolipemizzante, standard (pravastatina 40 mg) ed intensivo (atorvastatina 80 mg) 502 pazienti, con la dimostrazione, nel gruppo sottoposto a trattamento intensivo, di una significativamente minore progressione di malattia, valutata in termini di variazione percentuale del volume di ateroma 63. L ASTEROID, studio prospettico internazionale condotto in oltre 50 centri, per primo ha dimostrato che una riduzione del colesterolo LDL, anche al di sotto dei limiti comunemente indicati dalle linee guida, nella fattispecie sino a 60.8 mg/dl, ottenuto dopo 2 anni di rosuvastatina a dosaggio pieno (40 mg), induceva una regressione nel volume percentuale di ateroma tanto più spiccata quanto minori erano i valori di colesterolemia ottenuta. Gli autori ipotizzano che tale beneficio possa essere veicolato dall effetto combinato sul colesterolo LDL ed HDL, più marcato per la rosuvastatina 64. Più recentemente Nicholls et al. 65 hanno confrontato l entità della regressione di placca valutata tramite IVUS in 1039 pazienti randomizzati a ricevere per 2 anni una statina ad alto dosaggio (atorvastatina 80 mg o rosuvastatina 40 mg). Nonostante un migliore risultato sul profilo lipidico in termini di concentrazione di colesterolo LDL ed HDL per la rosuvastatina, i due princìpi attivi hanno mostrato risultati sovrapponibili sull endpoint principale di efficacia, la riduzione del volume percentuale di ateroma. Un effetto significativamente più favorevole per la rosuvastatina è invece emerso sull endpoint secondario del volume totale di ateroma, ridotto di 6.4 mm 3 contro i 4.4 mm 3 dell atorvastatina. Parallelamente a questi, altri gruppi di studio indagano l efficacia di classi di farmaci differenti nel contrastare la progressione della malattia aterosclerotica. Nel trial multicentrico randomizzato CAMELOT è stata confrontata prospetticamente in termini di eventi cardiovascolari la protezione fornita da tre diversi bracci di trattamento (placebo, amlodipina 10 mg, enalapril 20 mg). Il sottogruppo di 274 pazienti in cui è stata effettuata una valutazione IVUS seriata ha mostrato un trend verso una più lenta progressione dell aterosclerosi nel gruppo trattato con amlodipina rispetto al placebo (p=0.12), con un incremento medio del volume percentuale di ateroma dello 0.5% nel gruppo amlodipina (p=0.31), 0.85 nel gruppo enalapril (p=0.08) e dell 1.3% nel gruppo placebo (p<0.001). La protezione fornita da amlodipina risultava significativamente maggiore rispetto al placebo nel sottogruppo con valori di pressione sistolica sopra la norma 66. Dati meno favorevoli risultano invece dagli studi sugli inibitori dell acil-coa colesterolo aciltransferasi (inibitori ACAT), do- tati di azione inibitoria sull esterificazione del colesterolo e sulla sua captazione da parte dei macrofagi. Nello studio A-PLUS il trattamento con avasimibe per 2 anni non ha mostrato efficacia nel ridurre il volume di placca e sorprendentemente ha incrementato i valori di colesterolo LDL rispetto al placebo 67. CONTRIBUTO DELL ULTRASONOGRAFIA INTRAVASCOLARE ALL IMPIANTO DI STENT Gli interventi coronarici percutanei con impianto di stent rappresentano attualmente la terapia standard di rivascolarizzazione per la maggior parte dei pazienti affetti da malattia aterosclerotica coronarica in tutto il mondo. Nonostante i numerosi progressi procedurali a livello di materiali e di tecniche compiuti negli ultimi anni, i potenziali benefici dell angioplastica percutanea con impianto di stent sono ancora sensibilmente condizionati da due ordini significativi di complicanze: restenosi e trombosi di stent (ST). Se da un lato l utilizzo estensivo di stent a rilascio di farmaci antiproliferativi (DES) ha significativamente ridotto il primo fenomeno, rimane tuttavia ancora aperta la questione della ST, associata ad alti tassi di infarto miocardico fatale e non fatale, specie se si considera che essa si manifesta più frequentemente a seguito dell impianto di DES 68. Di pari passo con il loro crescente utilizzo, si è resa pertanto necessaria la ricerca di nuove strategie di prevenzione della trombosi, orientate sia su protocolli terapeutici innovativi farmaci antiaggreganti ed anticoagulanti di ultima generazione, sia sull affinamento della tecnica di impianto degli stent. Tra le modalità di imaging invasivo di ausilio all angioplastica, l IVUS riveste un ruolo di primo piano per semplicità e sicurezza di esecuzione; il suo utilizzo ha contribuito sensibilmente alla comprensione degli effetti meccanici dell angioplastica sulla placca, dei meccanismi di restenosi, del corretto posizionamento dello stent, dimostrando inoltre fondamentali ricadute in ambito diagnostico (corretta identificazione delle placche vulnerabili e caratterizzazione tissutale). Nella pratica quotidiana in sala di emodinamica l IVUS si dimostra utile in fase pre- e postprocedurale, offrendo la possibilità di un analisi quantitativa e qualitativa della placca. L analisi del significato funzionale delle lesioni (MLA, carico di placca e lunghezza della lesione) e della loro relativa composizione (calcificazioni, trombo) è già stata descritta precedentemente. Ai fini di un corretto impianto, risulta di fondamentale importanza la selezione di uno stent di dimensioni appropriate; se il sovradimensionamento predispone a complicanze come turbolenze di flusso, dissezioni e perforazioni, d altro canto uno stent piccolo può condurre a malapposizione o sottoespansione, cui conseguono restenosi e trombosi. Analogamente, postdilatare oltremodo uno stent sottodimensionato può esitare in una frattura delle maglie, un eccessiva frammentazione del polimero od una rottura del vaso. A questo riguardo, le sezioni tomografiche dell IVUS a livello prossimale e distale della lesione consentono la corretta misura dei diametri trasversi del vaso di riferimento e la reale estensione di malattia, in particolare nel caso di vasi diffusamente malati. Una volta rilasciato lo stent, l IVUS svolge un ruolo cruciale nell ottimizzare i risultati a lungo termine della procedura, attraverso la valutazione dell adeguatezza dell espansione dello stent, la completezza dell apposizione delle maglie e l esclusione di dissezioni e/o malattia residua. 83S

5 M BALBIETAL Una descrizione specifica delle definizioni IVUS di subespansione, mal apposizione, dissezione limitante il flusso, ecc. esula dagli intenti di questo scritto, ci limiteremo pertanto a sottolineare come ancora oggi non esista consenso generale riguardo i risultati ottimali delle procedure di impianto di stent IVUS-guidate. CONTRIBUTO DELL ULTRASONOGRAFIA INTRAVASCOLARE AL PROGRESSO DELLA RIVASCOLARIZZAZIONE PERCUTANEA Nel 1995 Painter et al. 69, studiando le variazioni dell area compresa tra le maglie dello stent, per primi dimostrano con l IVUS come gli stent metallici siano in grado di contrastare efficacemente le forze di ritorno elastico vasale. Emerge quindi ben presto che la restenosi sia secondaria a proliferazione neointimale piuttosto che a recoil elastico, e tanto più frequente quanto maggiore è il carico di placca precedente l impianto dello stent Il duplice vantaggio dell angioplastica con impianto di stent, sottrarsi al fenomeno del rimodellamento vascolare da un lato, e fornire la maggiore espansione iniziale del lume dall altro, permette di ottenere tassi significativamente inferiori di restenosi rispetto all angioplastica con solo pallone, tanto che quest ultima metodica è sempre meno utilizzata con il passare del tempo 72. D altra parte, sin dalle prime esperienze cliniche di utilizzo degli stent (metallici), la trombosi acuta si manifesta come complicanza temibile a tal punto da poterne mettere in discussione l utilizzo clinico; tali dispositivi saranno quindi inizialmente limitati a sottogruppi selezionati di pazienti. Sarà grazie alla perseveranza di autori quali Colombo et al. 73 che le osservazioni con IVUS porteranno ad un radicale cambiamento della pratica clinica, tanto da rendere l angioplastica con stenting il trattamento di prima linea della cardiopatia ischemica. Questi autori hanno infatti dimostrato che l impianto di stent con le consuete pressioni di rilascio esitava in un elevata incidenza di espansione incompleta e malapposizione. Al contrario, in una serie di 359 pazienti l IVUS è stata impiegata per guidare la dilatazione ad alte pressioni, raggiungendo percentuali elevate (96%) di piena espansione ed apposizione completa degli stent. Pazienti con espansione ottimale hanno ricevuto soltanto terapia antiaggregante, conseguendo risultati clinici sorprendenti: incidenza di ST acuta e subacuta <1% e tasso di rivascolarizzazione della lesione target per restenosi sintomatica a 6 mesi del 13%. A distanza di pochi anni uno studio prospettico, osservazionale e multicentrico, il MUSIC, ha confermato che l adeguata espansione, IVUS-guidata, degli stent, seguita dalla sola terapia antiaggregante, beneficiava di una ridotta incidenza di occlusione di stent a 30 giorni (1.3%) rispetto ad una popolazione, simile per caratteristiche demografiche basali ed indicazioni al trattamento, in cui l angioplastica veniva eseguita senza guida IVUS e senza utilizzo di dilatazione con pallone ad alte pressioni 74. Ancor più significativamente diminuiti i tassi di angioplastica sulla medesima lesione (6.3%) e di restenosi angiograficamente documentate (9.7%), mai così contenuti negli studi fino ad allora condotti. Questi risultati hanno portato gli autori a concludere che, così come mostrato da precedenti osservazioni 75,76, il diametro del lume immediatamente dopo la procedura era uno dei più efficaci predittori indipendenti di pervietà del vaso a 6 mesi. Per la prima volta in letteratura, è stata riscontrata un associazione tra miglioramento dei risultati clinici ed angiografici nel caso di ottimizzazione dell impianto di stent con IVUS. In contraddizione con i risultati appena citati, Hoffmann et al. 77 hanno dimostrato che il grado di iperplasia neointimale intrastent è indipendente dal calibro del lume raggiunto al termine dell impianto di stent. Tali evidenze rappresentano una possibile spiegazione dei più alti tassi di restenosi nei vasi di calibro minore e negli stent inadeguatamente espansi: il guadagno acuto di lume non sarebbe sufficiente a controbilanciare gli effetti della proliferazione tissutale (riduzione tardiva di lume e restenosi). È intuitivo comprendere come risultati di questo genere abbiano indotto a chiedersi se l IVUS debba essere impiegata di routine per ottimizzare gli outcome clinici, o se invece basti l utilizzo della postdilatazione ad alte pressioni. L esperienza proveniente dal mondo reale ha mostrato come in molti pazienti sottoposti ad impianto di stent, in elezione od in urgenza, il semplice utilizzo di dilatazione con pallone ad alte pressioni sia sufficiente, dal momento che l incidenza di ST (sub-)acuta è stata <1.8%. Va precisato, però, che questi risultati sono stati ottenuti in gruppi di pazienti in duplice antiaggregazione (acido acetilsalicilico e ticlopidina), già da sola efficace nella riduzione del tasso di ST in uno studio di quegli anni 81. Essendo, inoltre, l evento di ST un fenomeno multifattoriale, risulta difficoltoso bilanciare il peso relativo dell impianto ottimale rispetto alle terapie farmacologiche aggiuntive. Meccanismi alla base del fenomeno trombosi La ST subacuta ha rappresentato inizialmente la principale limitazione all utilizzo degli stent metallici. L IVUS ha permesso di chiarire la fisiopatologia della ST subacuta e di identificarne alcuni predittori: ridotta espansione, malapposizione, malattia residua alle estremità dello stent, presenza di dissezione e/o trombosi Questi risultati hanno confermato che il meccanismo responsabile della ST subacuta in caso di stent metallici è essenzialmente di tipo meccanico e, come tale, modificabile nel corso della rivascolarizzazione. L utilizzo della duplice terapia antiaggregante, combinato all impiego routinario di alte pressioni di rilascio dello stent ha sensibilmente ridotto questa evenienza, tanto da rendere difficoltosa la dimostrazione di una superiorità dell angioplastica IVUS-guidata in quest ambito 85. Per contro, con l avvento dei DES, l attenzione è stata rivolta soprattutto agli eventi trombotici tardivi, sebbene anche in questo contesto esistano evidenze che la ST subacuta non sia un fenomeno infrequente 86. Dal momento che esistono studi con IVUS che correlano la trombosi con l area minima intrastent, il grado di espansione ed il carico di malattia residua 87,88, è ragionevole considerare che anche in caso di DES le cause alla base della ST subacuta possano essere di tipo meccanico. Nello stesso tempo, il fallimento delle strategie di rivascolarizzazione IVUS-guidate nel modificare il tasso di ST tardiva induce a suppore che le sue cause non siano di tipo meccanico ma più squisitamente biologiche, come ad esempio una ritardata endotelizzazione delle maglie. A questo proposito l IVUS ha fornito un contributo importante tanto nell identificare una causa importante e caratteristica, ovvero la malapposizione tardiva acquisita, quanto nel chiarirne i possibili meccanismi: rimodellamento vascolare positivo ed ipersensibilità individuale al dispositivo 89,90. Meccanismi alla base del fenomeno restenosi Come discusso precedentemente, l IVUS si è dimostrata una metodica efficace nel ridurre l incidenza di restenosi a seguito di impianto di stent tradizionale S

6 IMAGING CORONARICO INVASIVO E CARDIOPATIA ISCHEMICA Al momento non esistono studi clinici randomizzati che dimostrino una riduzione nel tasso di restenosi con l utilizzo dell IVUS in corso di rivascolarizzazione con DES. Tuttavia alcune considerazioni, sulla base delle evidenze disponibili, possono essere formulate. La restenosi a seguito dell impianto di DES è per lo più focale, pertanto si pensa che la responsabilità maggiore sia da attribuire a cause meccaniche e, tra queste, un ruolo di primo piano è attribuito alla ridotta espansione dello stent. Ancora una volta lo studio IVUS, definendo l architettura dello stent post - procedura, può rivestire un ruolo importante nell ottimizzare i risultati. Una correlazione fra la minima area intrastent postprocedurale all IVUS e la restenosi in pazienti trattati con stent a rilascio di sirolimus è stata evidenziata in diversi studi 92,93. Inoltre, una non completa copertura della lesione con DES è stata associata all occorrenza di restenosi all estremità dello stesso 94. Alla luce di questi dati emerge come, nonostante l utilizzo di DES abbia ridotto il numero di restenosi, l ausilio dell IVUS allo stenting può ulteriormente incrementare i benefici. Era degli stent metallici Nel 1998 lo studio multicentrico RESIST ha arruolato 155 pazienti con malattia aterosclerotica coronarica sintomatica, dimostrazione di ischemia miocardica ed indicazione ad impianto di stent 95. Una volta posizionato lo stent, i pazienti sono stati randomizzati in due gruppi: il primo gestito con trattamento tradizionale senza ulteriori provvedimenti terapeutici ed il secondo sottoposto ad ottimizzazione con postdilatazione IVUSguidata. Gli autori hanno concluso che: 1) nonostante l uso di palloni ad alte pressioni per l impianto, i criteri IVUS di rilascio ottimale non sono stati raggiunti in circa il 60% dei casi pur in presenza di un adeguato risultato angiografico; 2) la postdilatazione ha garantito un significativo ed immediato aumento del diametro luminale minimo intrastent (MLD) e dell area della sezione del lume a livello dello stent (CSA), risultando nell intero gruppo in un aumento significativo della CSA luminale; 3) l IVUS ha permesso una riduzione assoluta non significativa del tasso di restenosi a 6 mesi del 6.3% e, parimenti, un aumento non significativo di 0.1 mm del MLD, un incremento significativo del 19.9% della CSA a 6 mesi. Un analisi attenta dei dati, in realtà, mostra che il trend nel tasso di restenosi a favore delle procedure IVUS-guidate non ha raggiunto il livello di significatività per mancanza di potenza dello studio. L analisi multivariata, in accordo con i precedenti studi, ha evidenziato che la CSA luminale era il solo predittore indipendente di restenosi a 6 mesi e di rivascolarizzazione della lesione colpevole. Pertanto, considerando che la CSA luminale post - procedurale era significativamente correlata con CSA luminale a 6 mesi e che i valori di CSA luminale postprocedurali erano maggiori nel gruppo IVUS, gli autori hanno concluso che l IVUS può favorevolmente influenzare i risultati della rivascolarizzazione a 6 mesi. Alcuni anni dopo, la dimostrazione dei benefici dell impianto di stent IVUS-guidato nei confronti dell incidenza di rivascolarizzazione del vaso colpevole è arrivata dal primo studio multicentrico (CRUISE) 96. Gli sperimentatori hanno confrontato prospetticamente i risultati dello stenting ad alte pressioni sotto guida IVUS con quello condotto con solo ausilio angiografico in 525 pazienti affetti da cardiopatia ischemica sintomatica o restenosi coronarica. Tra i pazienti in cui l impianto di stent era avvenuto sotto guida IVUS i valori di area dello stent sono risultati maggiori di 0.9 mm 2 rispetto all altro gruppo, e ta- le miglioramento ha consentito un tasso di rivascolarizzazione del vaso colpevole inferiore del 44% rispetto all altro gruppo. Non sono state riscontrate differenze statisticamente significative tra i due gruppi riguardo all incidenza di infarto miocardico Q o di morte. Gli autori hanno concluso che l associazione di IVUS ed angiografia permette di identificare correttamente il sottogruppo di pazienti in cui, a seguito di molteplici fattori (sovrapposizione o tortuosità dei vasi, morfologia complessa delle lesioni, difficoltà nella lettura dell angiogramma dovuta a precedente impianto di stent, rimodellamento arterioso positivo), il rilascio dello stent non è stato ottimale. Dato ancor più rilevante, i risultati a favore dell impianto di stent IVUS-guidato sono stati confermati anche in pazienti con lesioni tradizionalmente gravate da maggior incidenza di restenosi. Nel 2003 è stato pubblicato uno studio randomizzato (TULIP) condotto in 150 pazienti con stenosi coronariche lunghe (>20 mm) sui vasi nativi, in assenza di coinvolgimento ostiale, trattati con impianto di stent metallico con guida IVUS o solamente angiografica. Un miglioramento dei risultati angiografici (MLD) e clinici (incidenza complessiva di morte cardiaca, infarto miocardico e rivascolarizzazione della lesione colpevole in caso di ischemia) a 6 mesi ed ad 1 anno è stato dimostrato nel gruppo IVUS, nonostante l utilizzo di più di uno stent e/o di stent di lunghezza maggiore 91. I risultati raggiunti hanno dimostrato che l IVUS, migliorando la capacità di identificare i confini della placca, era in grado di controbilanciare efficacemente gli effetti sfavorevoli derivanti da un eccessivo impiego di metallo. Gli autori hanno proposto due possibili spiegazioni per questi riscontri: 1) la dimensione dello stent piuttosto che la lunghezza potrebbe essere il determinante principale dei risultati a lungo termine; 2) le caratteristiche del flusso ematico più favorevoli in caso di graduale passaggio da un tratto di vaso sano o solo lievemente malato ad uno in cui è presente lo stent. Analogamente, la stessa ottimizzazione della geometria del vaso è stata chiamata in causa come la responsabile della ridotta incidenza di riduzione tardiva di calibro. Quest ultimo riscontro si è verificato nonostante una postdilatazione più aggressiva portasse a maggior insulto sulla placca ed a fenomeni sfavorevoli di iperproliferazione ad essa correlati. Con il crescere dell evidenza a favore delle procedure IVUSguidate, è maturato l interesse per l analisi costi-benefici relativa al mondo reale (costi economici, tempi aggiuntivi procedurali, competenze tecniche necessarie, apporto di informazioni diagnostiche). Spinti da queste motivazioni, Gaster et al. 97 hanno analizzato prospetticamente (follow-up a 5 anni) l incidenza di eventi cardiaci avversi maggiori (MACE) e l efficienza in termini economici (procedura interventistica iniziale, ricovero, trattamento ambulatoriale) in 108 pazienti con angina stabile e primo riscontro di malattia aterosclerotica coronarica, randomizzati ad angioplastica convenzionale o IVUS-guidata. Sulla base dei dati raccolti in questa coorte non selezionata di pazienti, gli autori hanno affermato che l IVUS aveva ridotto il numero di MACE ed i costi cumulativi a lungo termine, con risultati tanto più significativi quanto maggiore era il tempo trascorso dalla procedura indice. In particolare i benefici maggiori sono stati riscontrati in termini di riduzione del numero dei nuovi ricoveri, di visite ambulatoriali e, analogamente allo studio CRUISE 96, di nuove rivascolarizzazioni del vaso colpevole. Verso la fine degli anni 90, altri autori hanno condotto uno studio analogo (OPTICUS) in 550 pazienti sintomatici per angina o con ischemia documentata, randomizzati ad impianto di 85S

7 M BALBIETAL stent angio- o IVUS-guidato 98. In questo caso non è stata riscontrata una differenza statisticamente significativa nei risultati angiografici a 6 mesi (endpoint primario) tra le due strategie di trattamento. Gli sperimentatori hanno concluso che l utilizzo dell IVUS non può esser consigliato di routine in quanto aumenta i costi senza benefici per il paziente. Gli autori hanno motivato il riscontro di tassi di restenosi simili tra i due gruppi di trattamento con i risultati sul lumen gain immediato, sovrapponibili a quelli dei pazienti IVUS e superiori a quelli raggiunti in studi precedenti 73,74,95. Secondo Mudra et al. 98 l esperienza maturata negli anni precedenti ha contribuito all ottenimento di questi notevoli risultati. L elevata esperienza con IVUS degli operatori coinvolti nello studio ha verosimilmente influenzato le modalità di stenting con sola angiografia. Nel 2009 Russo et al. 99 hanno pubblicato uno studio con l obiettivo di valutare clinicamente l incidenza di rivascolarizzazione della lesione colpevole a 12 mesi: 800 pazienti destinati a rivascolarizzazione percutanea con stent su vasi nativi o bypass sono stati randomizzati a trattamento IVUS od angio-guidato. Sebbene i risultati abbiano mostrato un più basso numero di rivascolarizzazioni della lesione colpevole, non è stato raggiunto un valore statisticamente significativo nella popolazione generale. Analizzando i dati per sottogruppi, gli sperimentatori sono riusciti a dimostrare per la prima volta in letteratura in uno studio multicentrico randomizzato di grandi dimensioni i benefici della rivascolarizzazione IVUS-guidata nei soggetti con lesioni angiograficamente più severe e con malattia nei vasi di calibro minore. Per quanto trarre conclusioni definitive da studi molto diversi tra loro per disegno, endpoint, popolazioni, follow-up ed esiti possa risultare metodologicamente poco corretto, si può tuttavia concordare con i risultati della recente metanalisi di Parise et al. 100 che la guida IVUS all impianto di stent tradizionali riduca significativamente i tassi di restenosi angiografica e clinica senza esercitare effetti sulla mortalità e l occorrenza di MACE. Era degli stent a rilascio di farmaco Come accennato in precedenza, l introduzione in commercio e l ampia diffusione nella pratica clinica dei DES è stata motivata prevalentemente dagli effetti favorevoli sulla riduzione dell incidenza di restenosi. Sebbene tale atteggiamento possa limitare l utilità clinica dell IVUS come ausilio all angioplastica, la rivascolarizzazione percutanea con impianto di DES non è tuttavia del tutto esente dagli eventi di restenosi intrastent e necessità di ripetere la rivascolarizzazione 101. L esistenza di pochi studi clinici randomizzati sul valore aggiunto dell IVUS rispetto alla sola angiografia nell impianto di DES dipende inoltre dal fatto che le attuali tecniche di rivascolarizzazione sono state affinate negli anni grazie agli studi condotti con IVUS. Già dal primo studio condotto sull uomo con stent a rilascio di sirolimus 102, la postdilatazione ad alte pressioni con guida IVUS ha dimostrato ad un follow-up di 4 mesi un grado di iperplasia intimale nettamente inferiore a quello riportato in precedenza e, parallelamente, la riduzione del calibro del vaso valutata all angiografia coronarica quantitativa è risultata pressoché nulla. Negli anni successivi, attraverso la misurazione del valore percentuale di iperplasia intimale come surrogato del processo di riendotelizzazione, diversi studi hanno confermato che sirolimus sopprime l iperplasia intimale. Gli autori dello studio RA- VEL hanno mostrato come in un gruppo di 95 pazienti asse- gnati ad impianto di DES a rilascio di sirolimus o a stent metallico, il volume percentuale di iperplasia intimale a livello dello stent fosse significativamente inferiore (1.3 vs 22.9%) nel primo gruppo ad un follow-up di 6 mesi 103. Tale differenza è rimasta significativa anche considerando la presenza di diabete mellito, ormai identificato come forte predittore di risultati sfavorevoli. Risultati del tutto sovrapponibili con sirolimus sono stati ottenuti anche in studi con follow-up più lunghi Anche con paclitaxel sono emerse significative evidenze a sostegno di una maggiore efficacia rispetto agli stent tradizionali nel ridurre il processo di restenosi sia in quadri anatomici favorevoli che in caso di vasi di piccolo calibro o di stenosi di maggiore lunghezza Roy et al. 111 hanno confrontato i risultati clinici di 884 pazienti sottoposti ad impianto di stent con ottimizzazione IVUS dal 2003 al 2006 con quelli di una popolazione con caratteristiche analoghe trattata con guida angiografica. Da questa analisi è emerso come l IVUS non abbia influenzato i MACE e la mortalità intraospedalieri a 30 giorni e ad 1 anno; tuttavia, nel gruppo IVUS è stata evidenziata una tendenza verso un minor numero di rivascolarizzazioni delle lesioni colpevoli ed una riduzione significativa dell incidenza cumulata di ST. Gli autori, pertanto, hanno proposto che l utilizzo dell IVUS in era di DES possa essere opportunamente riservato a pazienti ad aumentato rischio di restenosi o ST. Nel 2009 sono stati pubblicati i risultati di un trial clinico randomizzato di confronto diretto fra impianto di DES, IVUS o angio-assistito 112. Sono stati arruolati in totale 210 pazienti con malattia aterosclerotica coronarica complessa ed elevato profilo di rischio clinico. A distanza di 18 mesi dalla rivascolarizzazione l incidenza complessiva di morte, infarto miocardico e reintervento non era statisticamente differente nei due gruppi, così come il numero di ST, portando alla conclusione che l ausilio dell IVUS durante l impianto di DES non sia superiore rispetto alla postdilatazione ad alte pressioni. Più recentemente, alcuni autori hanno condotto un analisi post-hoc del registro MATRIX per esplorare l effetto dello stenting IVUS-guidato sui risultati clinici 113. Più di 1000 pazienti con caratteristiche cliniche ed angiografiche sovrapponibili e con stenosi coronariche di nuovo riscontro o dovute a progressione di malattia sono stati suddivisi in due gruppi secondo la presenza o meno dell IVUS durante l impianto di stent a rilascio di sirolimus. Dall analisi dei dati raccolti è emerso che i pazienti del gruppo IVUS hanno presentato a breve (30 giorni), a medio (1 anno) e a lungo termine (2 anni) una riduzione dei tassi di morte/infarto miocardico, MACE e di definita/probabile ST. Tali risultati sono stati conseguiti principalmente per un minor numero di infarti miocardici e di morti combinate ad infarti. Da segnalare inoltre come l incidenza di eventi clinici tra i due gruppi inizi a divergere precocemente (30 giorni) inducendo a pensare che ciò dipenda dall ottimizzazione del posizionamento dello stent permessa dall IVUS (adeguata copertura della lesione, corretta espansione, riconoscimento delle complicanze). Di contro, gli eventi tardivi sembrerebbero più probabilmente connessi alla naturale progressione della malattia aterosclerotica o agli effetti biologici dei DES e, pertanto, non modificabili dall impianto di stent IVUS-guidato. In modo del tutto analogo all esperienza maturata con gli stent tradizionali, gli studi con IVUS utilizzato per l impianto di DES, ad oggi, riportano non di rado risultati contrastanti, eccezion fatta per le lesioni complesse (malattia del tronco comune 86S

8 IMAGING CORONARICO INVASIVO E CARDIOPATIA ISCHEMICA e biforcazioni) dove l IVUS ha dimostrato di ridurre la mortalità e/o l incidenza di infarto miocardico. Diverse ipotesi sono state formulate per spiegare tali discrepanze. Innanzitutto, gli studi differiscono sostanzialmente per il tipo di popolazione arruolata e di patologia coronarica. Un altra fonte di errore potrebbe essere il progressivo miglioramento della postdilatazione con il trascorrere degli anni: in era di stent metallici l IVUS ha insegnato ad ottimizzare l impianto di stent, attualmente gli emodinamisti più confidenti con le tecniche IVUS potrebbero non avere bisogno del suo utilizzo per trattare le lesioni più semplici. Da ultimo, i progressi nella pratica clinica potrebbero aver ridimensionato il ruolo dell ultrasonografia: nei vecchi studi la riduzione dell incidenza di ripetute rivascolarizzazioni con IVUS, pur rimanendo il valore assoluto elevato, era sufficiente a controbilanciare la variazione negli endpoint hard come ad esempio l aumento di infarti periprocedurali. I progressi nelle tecniche di rivascolarizzazione percutanea, in primis l avvento dei DES, ha ridotto drasticamente il bisogno di nuove rivascolarizzazioni al punto che la riduzione di queste stesse attribuibile all uso dell IVUS non è più sufficiente a compensare l aumento nel numero di infarti miocardici. Impianto di stent sul tronco comune della coronaria sinistra Allo stato attuale delle nostre conoscenze, le linee guida internazionali assegnano globalmente all angioplastica percutanea del tronco comune della coronaria sinistra un ruolo di secondo piano rispetto all opzione cardiochirurgica. Questo potrebbe essere legato all assenza di studi appositamente disegnati, e realizzati con l impiego delle più recenti acquisizioni in campo interventistico. L evidenza attuale si basa infatti su analisi retrospettive da registri, e sul consenso di esperti. Non è quindi irragionevole supporre che in tale ambito il peso dell IVUS potrebbe rivestire un ruolo dirimente, in particolare su due aspetti di particolare attenzione: 1. la corretta identificazione della severità della malattia aterosclerotica e sua caratterizzazione, per cui valgono le considerazioni relative alle stenosi sugli altri vasi; 2. l ottimizzazione della procedura di rivascolarizzazione con stent e relative ricadute prognostiche. Relativamente a quest ultimo aspetto, diversi studi hanno concluso che esiste una correlazione tra il calibro postprocedurale del vaso principale (e quello dell eventuale ramo secondario) misurato all IVUS, in termini di area minima e diametro minimo intrastent, e la prognosi a lungo termine 114. Per queste ragioni oggi l uso dell IVUS è consigliato in caso di stenting sul tronco comune e sono forniti dei valori di riferimento del calibro del vaso da raggiungere nel postprocedura 115,116. Di recente, Park et al. 117 in un ampia coorte di pazienti hanno dimostrato che l impianto di stent IVUS-guidato del tronco comune ha una tendenza favorevole nel ridurre il tasso di mortalità a lungo termine (3 anni) nel gruppo di pazienti che hanno ricevuto stent; tale differenza diviene statisticamente significativa nel sottogruppo trattato con DES. Osservando le curve di sopravvivenza dei pazienti dello studio, si evidenzia come l IVUS riduca significativamente la mortalità a partire dal secondo anno postprocedura. In questa finestra temporale l evento più temibile è la cosiddetta ST più che tardiva, che, nel caso del tronco comune non protetto, può esitare in una morte improvvisa. La capacità dell IVUS di ridurre il numero di ST, pertanto, potrebbe riflettersi in un miglioramento dei risultati clinici in pazienti trattati con DES. CONSIDERAZIONI FINALI L IVUS ha mostrato nel corso degli anni di essere uno strumento versatile nello studio e nel trattamento dell aterosclerosi coronarica. Per quanto in ambito di ricerca il suo contributo possa essere ancora significativo, l assenza di evidenze forti a sostegno del suo beneficio clinico e la sua natura prettamente morfologica, abbinate ai costi, ne limitano una diffusione capillare ed un uso estensivo sul territorio. D altro canto, la richiesta di trattamenti sempre più raffinati e la tendenza attuale al ricorso a strategie di rivascolarizzazione aggressive la rendono un ausilio imprescindibile per chiunque si accinga al trattamento di lesioni coronariche complesse. RIASSUNTO Il progressivo incremento del ricorso alla rivascolarizzazione coronarica percutanea e l esigenza di trattamenti sempre più durevoli ed individualizzati sul singolo paziente richiedono attualmente strumenti affidabili in grado di guidare l emodinamista nel riconoscimento e nella cura di lesioni sovente poco caratterizzate dalla sola angiografia. L ultrasonografia intravascolare consente, attraverso sezioni tomografiche, ricostruzioni tridimensionali ed istologia virtuale, lo studio in vivo della placca e della parete vasale con buona risoluzione, bassi rischi per il paziente e costi non proibitivi. Non è tuttavia ancora chiaro se l impiego routinario della metodica offra un beneficio aggiunto nella prevenzione di eventi a medio-lungo termine. La rassegna che segue analizza gli studi presenti in letteratura e i contributi fondamentali offerti dall ultrasonografia intravascolare allo sviluppo delle attuali tecniche di rivascolarizzazione percutanea. Parole chiave. Cardiopatia ischemica; Rivascolarizzazione coronarica percutanea; Ultrasonografia intravascolare. BIBLIOGRAFIA 1. Galbraith JE, Murphy ML, de Soyza N. Coronary angiogram interpretation. Interobserver variability. JAMA 1978;240: Zir LM, Miller SW, Dinsmore RE, Gilbert JP, Harthorne JW. Interobserver variability in coronary angiography. Circulation 1976;53: Isner JM, Kishel J, Kent KM, Ronan JA Jr, Ross AM, Roberts WC. Accuracy of angiographic determination of left main coronary arterial narrowing. Angiographic-histologic correlative analysis in 28 patients. 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