Farmacoterapia del disturbo borderline di personalità

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1 Farmacoterapia del disturbo borderline di personalità Vincenzo MANNA Medico, Psichiatra, Psicoterapeuta Direttore f.f. UOC DSM ASL ROMA 6 vincenzo.manna@uniroma1.it cell Negli ultimi anni, molti studi clinici e sperimentali hanno investigato il ruolo svolto da diversi fattori nell etiologia e nella patogenesi del Disturbo Borderline di Personalità (DBP). Nella ricerca dell etiopatogenesi del DBP l importanza relativa di fattori biologici, psicologici e sociali è stata evidenziata da diversi autori, con approcci teorici divergenti alla malattia mentale. La farmacoterapia del DBP trova il suo razionale clinico e teorico nelle basi psicobiologiche del temperamento e delle dimensioni di spettro diagnostico, secondo il modello di Cloninger ed il modello di Siever e Davis. Gli obiettivi del trattamento farmacologico sono le dimensioni psicopatologiche del DBP piuttosto che la categoria nosografia in sé. Il trattamento di pazienti ambulatoriali con DBP è difficile. D altronde la frequenza degli episodi stressanti acuti quali i comportamenti autolesivi, gli scompensi psicotici, i comportamenti parasuicidari e le assunzioni impulsive di droghe illecite spesso compromettono gli sforzi terapeutici. In quest articolo d aggiornamento, la farmacoterapia del disturbo borderline di personalità è presentato alla luce della disregolazione omeostatica edonica (disedonia). SUMMARY In the last few years, many clinical and experimental studies investigated the role of different factors in the etiology and pathogenesis of the Borderline Personality Disorder (BPD). In the search of the BPD etiopathogenesis the relative importance of biological, psychological and social factors were evidenced by different Authors, with divergent theoretical approach to the mental disease. Pharmacotherapy of BPD finds its theoretical and clinical framework in the psychobiological basis of the temperamental and spectrum dimensions, according to Cloninger model and Siever and Davis model. The targets of the pharmacological treatment are the psychopathological dimensions of the BPD, including symptoms of the behavioral/impulsive, perceptive/cognitive and affective spectra, rather than nosographic categories. The treatment of outpatients with BPD is difficult. Moreover, the occurrence of acutely stressful episodes as selfdestructive behaviours, psychotic episodes, parasuicidal behaviours and impulsive illicit drugs assumptions often compromises therapeutics efforts. In this update review, the pharmacotherapy of borderline personality disorder is presented in the light of the hedonic homeostatic dysregulation (dyshedonia). Introduzione Nelle società occidentali, secondo recenti studi epidemiologici, il Disturbo Borderline di Personalità (DBP) presenta tassi di prevalenza, morbilità e mortalità in rapido aumento. Alcuni studi hanno evidenziato che la prevalenza del DBP, nella popolazione generale, raggiunge il 1,8%, superando la prevalenza della stessa schizofrenia. (1) I pazienti con DBP rappresentano un'elevata percentuale dei soggetti per i quali sono richieste ed effettuate consulenze psichiatriche. Secondo alcuni studi osservazionali, essi rappresentano il 11% dei pazienti ambulatoriali e, in alcune strutture psichiatriche, il 23% dei pazienti ricoverati. (2) In uno studio su pazienti con DBP, circa la metà del campione aveva fatto ricorso ad un servizio ambulatoriale di salute mentale, nei sei mesi precedenti l'indagine, e il 19,5% era stato ricoverato, in una struttura psichiatrica, nell'anno precedente. (1) La sintomatologia psicopatologica manifestata dai soggetti con DBP, in genere, appare significativamente invalidante. In un campione di pazienti con DBP, ricoverati consecutivamente presso l'università di Pittsburgh, il 62,2 % aveva avuto, in passato, condotte suicidarie e circa il 50% aveva avuto altri comportamenti autolesivi. Il numero di pazienti con DBP che si era ucciso variava tra il 3 % e il 9,5% della popolazione di pazienti trattati, una percentuale simile a quell evidenziata nei soggetti affetti da disturbi depressivi o da disturbi psicotici. (3) Nonostante l evidente necessità di sviluppare trattamenti adeguati, a tutt'oggi, non è stata definita univocamente una terapia specifica ed efficace per la labilità affettiva o il comportamento impulsivo dei pazienti con DBP. L approccio interpretativo ai disturbi di personalità, nella storia della psichiatria, soprattutto di quella clinicodescrittiva, è stato caratterizzato da un implicito riconoscimento del prevalere, nella loro genesi, dei fattori

2 costituzionali, con un conseguente atteggiamento non interventista, sul piano terapeutico. (4) Dal punto di vista di Jaspers (5), che privilegiava la singola diagnosi e la priorità diagnostica dei sintomi, la diagnosi di personalità psicopatica poteva essere formulata solo in assenza di una psicosi funzionale o di una sindrome psico-organica. Schneider (6) ha ulteriormente stressato l importanza etiologica dei fattori costituzionali, nella genesi dei disturbi di personalità, con una conseguente limitata potenzialità terapeutica dei trattamenti. Per decenni, perciò, poca attenzione è stata dedicata, da parte degli psichiatri clinici, ai disturbi di personalità. Negli ultimi tempi la diagnostica multiassiale, proposta dal DSM (7-9) che ha distinto le sindromi cliniche (Asse I) dai disturbi di personalità (Asse II), ha indotto la formulazione di diagnosi complesse, stimolando l'interesse di clinici e ricercatori, sul piano etiopatogenetico e terapeutico, per i disturbi di personalità. (10-12) Dopo un lungo dibattito teorico, protrattosi per decenni, la terapia farmacologica del DBP è entrata, solo di recente, a pieno titolo, nell ambito della ricerca clinico-scientifica. L'ipotesi che il paziente con DBP presenti aspetti neurobiologici di vulnerabilità, soprattutto evidenti nelle aree della labilità affettiva e del comportamento impulsivo, è stata ripetutamente confermata da studi metodologicamente corretti, apparsi nella letteratura scientifica internazionale. (4) Sino a pochi anni fa, infatti, ai fattori ambientali e psicoeducazionali era data una forte rilevanza nell etiopatogenesi del DBP e privilegiato, di conseguenza, l approccio psicoterapeutico. Da un lato, numerosi e recenti studi hanno evidenziato, nella genesi del disturbo borderline, l importanza del ruolo svolto da diversi fattori neurobiologici, dall altro, numerose osservazioni cliniche hanno sottolineato le difficoltà, talora insuperabili, che il trattamento psicoterapeutico di questi pazienti presenta. Inoltre, considerata la gravità dei sintomi presentati dai pazienti borderline, non sorprende che un'alta percentuale di loro, in condizioni di ricovero (84-87%) (13) o durante i trattamenti ambulatoriali (63%) (14), assuma psicofarmaci. Nella genesi dei sintomi disadattivi, propri del DBP, la ricerca neuro-biologica ha evidenziato il ruolo svolto dalla vulnerabilità connessa ad eventi traumatici precoci (abusi fisici e/o sessuali) (15), nonché dalla vulnerabilità correlata a specifiche alterazioni neurotrasmettitoriali e neuropeptidergiche centrali. (10,16-17) Nel DBP si possono evidenziare e distinguere dimensioni psicopatologiche e cluster sintomatologici maggiormente connessi ad aspetti interpersonali o maggiormente correlati a fattori neurobiologici. Sintomi quali relazioni instabili, disturbi dell identità, sentimenti di vuoto e di noia, intolleranza alla solitudine, sembrano più facilmente trattabili mediante l uso di strumenti terapeutici, di tipo psico-sociale. Alcune altre dimensioni psicopatologiche, maggiormente correlate ad alterazioni neurobiologiche, quali affettività instabile, discontrollo impulsivo, distorsioni cognitivo-percettive, sono più facilmente correggibili con l utilizzo d opportuni trattamenti psicofarmacologici. Naturalmente, questa correlazione lineare tra sintomi psicogeni e trattamento psico-terapeutico, così come la correlazione tra ruolo della neurobiologia nella genesi degli altri sintomi e la loro correzione farmacologica rappresenta solo un ipersemplificazione del reale, utile esclusivamente a fini pragmatici. La concettualizzazione di una separazione netta tra aspetti psicopatologici psicologicamente e biologicamente determinati è, per sua natura, un approssimazione molto grossolana alla realtà. Nell ambito neuro-biologico, altrettanto semplicistico è considerare l esistenza di una correlazione diretta e lineare tra le funzioni svolte da un determinato neurotrasmettitore e uno specifico quadro sintomatologico: la funzione dopaminergica correlata funzionalmente ai sintomi psicopatologici percettivocognitivo-ideativi; il tono noradrenergico e serotoninergico centrale direttamente coinvolto nella genesi dei disturbi affettivi; i sintomi impulsivo-aggressivi correlati funzionalmente al tono serotoninergico; i sintomi ansiosi correlati al tono GABAergico. Queste ipersemplificazioni hanno un valore prevalentemente comunicativo e pragmatico, pur basandosi su evidenze cliniche e sperimentali multiple. La farmacoterapia del DBP, ma forse l approccio psico-farmacologico alla psichiatria in toto, trova in queste correlazioni funzionali un importante strumento d orientamento della prassi terapeutica, ma, anche un importante strumento di conoscenza dei meccanismi neurobiologici sottesi al comportamento umano, sano e patologico, spesso investigati proprio grazie all interpretazione dei risultati clinici ottenuti col trattamento farmacologico. Non mancano, ovviamente, rilievi critici alla concettualizzazione di una diretta corrispondenza tra dimensioni psicobiologiche e risposte cliniche alla farmacoterapia. La farmacoterapia del DBP ha dei limiti intrinseci. Il trattamento psicofarmacologico ha effetti clinici di modesta entità, sebbene significativi sul piano statistico (18). Solo una minoranza di pazienti borderline (15%) presenta un miglioramento sensibile, dei sintomi nucleari del disturbo, dopo adeguato trattamento farmacologico. I pazienti ricoverati sono quelli più frequentemente trattati con farmaci, ma anche quelli che mostrano i miglioramenti più evidenti. Ciò è stato diversamente interpretato. L uso più diffuso e incisivo di farmaci, in questi pazienti, può dipendere dalla maggior gravità ed acuzie della sintomatologia oppure dalla presenza di una comorbidità con altri disturbi d Asse I (DSM IV). I migliori effetti clinici della farmacoterapia possono derivare anche dal setting terapeutico maggiormente strutturato, anche in senso relazionale ed interpersonale, che il ricovero comporta. Nei pazienti ambulatoriali, spesso con sintomatologia meno invalidante e con minore comorbidità per disturbi d Asse I gli effetti curativi della farmacoterapia sono meno evidenti.

3 Numerose e condivisibili critiche d ordine metodologico sono state rivolte a molti degli studi presenti in letteratura scientifica, sulla farmacoterapia del DBP (14). In molti di questi studi non é stato adottato un gruppo di controllo, trattato con placebo. La mancata valutazione in cieco non autorizza ad interpretare gli effetti terapeutici registrati dopo il trattamento, come conseguenti all'azione del farmaco, anziché al contesto relazionale interpersonale, alla durata dello studio nel tempo o alla semplice e costante attenzione rivolta dai medici al paziente ed ai suoi sintomi. Non è agevole valutare criticamente, nei soggetti con DBP, la reale efficacia di un farmaco. Questi pazienti, infatti, tendono a riferire in modo strumentale gli effetti del trattamento, al fine di manipolare la comunicazione interpersonale, e, quindi, condizionare i vissuti e le risposte comportamentali del terapeuta. La scarsa numerosità dei campioni studiati e la loro eterogeneità sintomatologica, in parte conseguente all adozione di criteri diagnostici diversi tra loro e non sovrapponibili, in parte secondaria alle caratteristiche polimorfe della stessa sintomatologia borderline, spesso non permette di generalizzare i risultati ottenuti nei diversi studi. Modelli neurobiologici dei disturbi di personalità e loro impatto nella farmacoterapia del DBP La farmacoterapia, per lunghi anni, è stata considerata, essenzialmente, un approccio sintomatico, talora solo contenitivo e secondario, ai disturbi mentali, in generale, ed ai disturbi di personalità, in particolare. Solo con l impetuoso progresso delle neuroscienze, avvenuto negli ultimi anni, la psico-farmacoterapia ha assunto una nuova dignità, in rapporto ad un nuovo razionale d uso dei farmaci, giustificato dalla strutturazione teoretica di veri modelli psicobiologici della malattia mentale, quali il psychobiological model di Siever e Davis (16) ed il neurobiological learning model di Cloninger (25-27). Secondo questi modelli i comportamenti pervasivi e ripetitivi, continuativi e stereotipati, tipici dei disturbi di personalità, vanno considerati alla stregua di dimensioni psicopatologiche, funzionalmente correlate a specifici fattori neurobiologici (temperamento) ed a fattori psicosociali e d apprendimento (carattere). La base fisiopatologica delle dimensioni temperamentali e di spettro psicopatologico rappresentano il vero rationale per il trattamento psicofarmacologico dei disturbi di personalità. Storicamente l approccio categoriale alle malattie mentali ha generato, indirettamente, un omologa classificazione degli psicofarmaci (depressione-antidepressivi, psicosi-antipsicotici, ansia-ansiolitici). L avvento di un interpretazione della malattia mentale in termini di continuum sindromico e di spettro psicopatologico ha modificato l obiettivo stesso dell approccio farmacoterapeutico. La terapia farmacologica, in psichiatria oggigiorno, non è più indirizzata al trattamento della categoria nosografica, ma è orientata, più selettivamente, al trattamento delle singole dimensioni, che caratterizzano la sintomatologia clinica del paziente. Gli obiettivi della terapia psicofarmacologica sono, perciò, rappresentati dalle dimensioni psicopatologiche e dalle disfunzioni neurobiologiche sottese all affettività instabile, all impulsività comportamentale ed ai disturbi percettivo/cognitivi, considerati come condizioni di vulnerabilità di tratto o fattori di scompenso psicopatologico acuto, nei soggetti con DBP (28-29). Il modello psicobiologico di Siever e Davis (16) riconduce i disturbi d Asse I e d Asse II ad una stessa matrice neuro-funzionale. In quest ottica, le alterazioni neurobiologiche correlate all organizzazione cognitivopercettiva, alla regolazione affettiva, al controllo degli impulsi e dell aggressività, alla regolazione dell ansia e dell inibizione, rappresentano le dimensioni psicobiologiche di base. Tali dimensioni costituiscono uno spettro psicopatologico, un continuum sindromico, ai cui estremi si collocano da un lato i disturbi psicopatologici più gravi, classificati nel DSM IV in Asse I quali: schizofrenia, disturbi dell'umore, disturbi del controllo degli impulsi e disturbi ansiosi; dall'altro le pervasive, lievi e persistenti alterazioni sottese alle disfunzioni sociali, occupazionali ed interpersonali, proprie dei disturbi di personalità, classificate nel DSM IV in Asse II. Il tono dopaminergico cerebrale sembra modulare funzionalmente la dimensione cognitivo/percettiva, che delinea un continuum tra i disturbi psicotici e i disturbi patogeneticamente correlati, sottesi alle alterazioni dell information processing, presenti nei disturbi di personalità del Cluster A, soprattutto nei disturbi schizoide e schizotipico (30-31). La dimensione impulsività/aggressività sembra essere funzionalmente correlata ad una riduzione del tono serotoninergico cerebrale. Tale dimensione può esprimersi come tratto di personalità, con comportamenti impulsivi, nell'ambito di vari disturbi di personalità, in particolare del DBP e negli altri disturbi del Cluster B oppure come disturbo del controllo degli impulsi, quando appare maggiormente rilevante sul piano psicopatologico (DSM IV - Asse l). L'instabilità affettiva sembra essere funzionalmente correlata al tono serotoninergico, colinergico e noradrenergico cerebrale. Tale instabilità rappresenta la dimensione psicopatologica, che caratterizza i disturbi affettivi maggiori (DSM IV - Asse I), ma anche alcuni disturbi di personalità, in particolare il DBP e quell istrionico (DSM IV - Asse II). La dimensione ansia / inibizione è funzionalmente connessa alle attività neurobiologiche modulate dal GABA e dalla noradrenalina. Tale dimensione connota i disturbi d'ansia (DSM IV - Asse l), ma anche alcuni disturbi di personalità, in

4 particolare i disturbi del cluster C (DSM IV - Asse II). La teorizzazione di Siever e Davis (16) non manca di una sua intrinseca persuasività, tuttavia questo modello psicobiologico è stato correttamente ed acutamente criticato da Widiger (32), che lo considera applicabile solo ad alcuni disturbi di personalità, in particolare al disturbo schizotipico, paranoide e borderline, perché non tutti i disturbi di personalità possono essere considerati aspetti di continuum spettrale, rispetto a disturbi d Asse I. Il modello neurobiologico d apprendimento, proposto da Cloninger (25-27), è basato su studi psicometrici e genetici, studi neurofarmacologici e neurocomportamentali, svolti sulla popolazione generale. Esso riconosce alla base della struttura di personalità, normale e patologica, tre fondamentali dimensioni temperamentali: 1. novelty seeking; 2. harm avoidance; 3. reward dependence. Secondo questa prima modellistica tridimensionale, di Cloninger, ognuna di queste dimensioni sarebbe correlata, funzionalmente, ad un sistema neurobiologico, modulato da uno specifico neurotrasmettitore. In particolare, il sistema d attivazione comportamentale sarebbe sotto il controllo funzionale della dopamina, il sistema d inibizione comportamentale della serotonina ed il sistema di perseverazione comportamentale della noradrenalina. Le variazioni, in eccesso o in difetto, di queste dimensioni temperamentali possono configurare coerentemente diversi disturbi di personalità, classificati secondo i criteri del DSM, ma non si adeguano sufficientemente a questo modello il disturbo schizotipico ed il disturbo paranoide, che Cloninger correla funzionalmente ad alterazioni dell information processing (33). La dimensione temperamentale, novelty seeking, identifica il bisogno d eccitamento, in risposta a nuovi stimoli o a fonti di potenziale ricompensa. La dimensione harm avoidance rappresenta la tendenza a rispondere intensamente agli stimoli avversivi, ad apprendere l inibizione dei comportamenti, che possono indurre pericolo, ad evitare, perciò, novità, punizioni e frustrazioni. La dimensione reward dependence rappresenta la tendenza a rispondere, intensamente, agli stimoli gratificanti, ai segnali di ricompensa, ai segnali d approvazione sociale, ritardando l estinzione dei comportamenti, correiati alla ricompensa e/o all'evitamento della punizione. Il modello neurobiologico di Cloninger (25-27) si è in seguito arricchito con l'inclusione di una quarta dimensione temperamentale, la perseveranza ( persistence ), in rapporto a fatica e frustrazione, in parte estratta dalla reward dependence (four dimensional model). Il modello neurobiologico di Cloninger è stato ulteriormente implementato (seven factors model) con l introduzione di tre dimensioni caratteriali: self-directedness, cooperativeness, self-trascendence (34). La presenza d alterazioni funzionali delle tre dimensioni caratteriali induce l insorgere di un disturbo di personalità. Infatti, le dimensioni caratteriali bassa self-directedness e bassa cooperativeness rappresentano aspetti nucleari, di tutti i disturbi di personalità. La presenza d alterazioni funzionali delle dimensioni temperamentali condiziona il determinarsi di uno specifico tipo di disturbo. I clusters in cui solitamente sono raggruppati i disturbi di personalità del DSM presentano specifici aspetti temperamentali. I soggetti con disturbi di personalità di Cluster A presentano una bassa reward dependence quelli con disturbi di cluster B un alto novelty seeking e, quelli con disturbi di cluster C, un alta harm avoidance. Le dimensioni temperamentali sembrerebbero correlate e specifici neurotrasmettitori, mentre, le dimensioni caratteriali sarebbero maggiormente correlate a specifici assetti socio-psicologici. Ciò ha avallato, tra l altro, anche in senso teorico, il trattamento integrato multimodale, che sostiene la complementarità fra trattamenti psicoterapeutici e psico-farmacologici, correttamente combinati, nel trattamento dei pazienti con disturbi di personalità (35). Il modello psicobiologico di Siever e Davis e quello neurobiologico di Cloninger non sono sovrapponibili. Non è possibile, in altre parole, sovrapporre le dimensioni della personalità normale, proprie del modello di Cloninger, con le dimensioni psicopatologiche, proprie del modello di Siever e Davis. Sono state cercate utili correlazioni tra i due modelli, che restano tuttora incompatibili reciprocamente. Per esempio, la dimensione ansia/inibizione del modello di Siever e Davis, si correla con l alta harm avoidance del modello di Cloninger. La dimensione impulsività/aggressività si correla con una bassa harm avoidance ed un alta novelty seeking. La dimensione instabilità affettiva sembra correlarsi, significativamente, con un alta reward dependence. L attuale modellistica personologica va considerata fortemente condizionata dalle nostre attuali conoscenze in ambito neurobiologico. Scarso rilievo è dato, per esempio, in questi modelli interpretativi, al ruolo svolto dalla neuromodulazione peptidergica cerebrale, nel determinismo biologico dei tratti di personalità. E verosimile che alterazioni funzionali dei meccanismi centrali di controllo dell omeostasi edonica (disedonia) possano giocare un ruolo fondamentale nella vulnerabilità e/o nell insorgenza di specifici quadri psicopatologici (36).

5 Linee guida del trattamento farmacologico del DBP La farmacoterapia, nell ambito del trattamento dei disturbi di personalità, può trattare: 1. il disturbo di personalità in sé, considerato alla stregua di qualsiasi altro quadro clinico, identificato sul piano categoriale; 2. la vulnerabilità di tratto o i clusters di sintomi nucleari; 3. la comorbidità d Asse I (37). Storicamente, la farmacoterapia è passata dal trattare i soli disturbi d Asse I, al trattare i disturbi di personalità, in quanto tali, al riconoscere come obiettivo privilegiato del trattamento farmacologico i sintomi nucleari, espressione di specifiche dimensioni psicopatologiche. In realtà le dimensioni psicopatologiche, lungi dall essere ipersemplificazioni interpretative, restano per loro natura complesse, derivando dall interazione di vari fattori neurobiologici, temperamentali e di spettro, che coinvolgono molteplici meccanismi fisiopatologici. Il razionale del trattamento farmacologico del DBP, oggigiorno, da sempre più clinici, è cercato nelle basi neurobiologiche sottese alle dimensioni temperamentali di Cloninger e sottese alle dimensioni psicobiologiche di spettro, del modello di Siever e Davis. L obiettivo prioritario della farmacoterapia del DBP, in questa prospettiva, diventa, perciò, la correzione funzionale del tono neurotrasmettitoriale principalmente coinvolto nella modulazione d ogni dimensione psicopatologica. (10-12) Nel modello di Cloninger, per esempio, l'impulsività può correlarsi sia ad un'alta novelty seeking, sia ad una bassa harm avoidance, con correlati funzionali neurobiologici non necessariamente sovrapponibili, nei due casi. Nel modello di Siever e Davis, per esempio, i comportamenti di rabbia e d ostilità, ma anche il comportamento impulsivo, possono essere funzionalmente correlati sia ai meccanismi che regolano il controllo affettivo, sia ai meccanismi che regolano il controllo cognitivo-percettivo. Alla base delle diverse dimensioni psicopatologiche e dei correlati sintomi nucleari, degni d attenzione clinica, in quanto target privilegiati della farmacoterapia, possono esserci, perciò, diversi meccanismi fisiopatologici. La scelta degli obiettivi della terapia farmacologica e degli strumenti da utilizzare razionalmente, in relazione ai più verosimili correlati neurobiologici di fondo, resta, ancora, in larga parte, affidata all intuizione ed all esperienza del clinico. Anche in quest ambito, apparentemente più rigoroso in termini metodologici e di controllo razionale dei trattamenti, l arte medica ancora prevale sulle indicazioni obiettive, teoretiche e/o più strettamente tecnico-decisionali. Il trattamento farmacologico del DBP, nella prassi clinica, non può conseguire a semplicistici modelli di riferimento. Al contrario, il trattamento farmacologico, effettuato in ottica dimensionalistica, richiede una forte attenzione semeiologica, nella raccolta dei dati sintomatologici, un'accurata analisi del contesto clinico, in cui tali sintomi si esprimono, nonché un'attenta analisi psicopatologica. Ad oggi, solo una lunga esperienza clinica ed un adeguata formazione specifica possono permettere di correlare intuitivamente un cluster sintomatologico nucleare ad un determinato meccanismo neurobiologico di base, la cui correzione può modificare, a volte notevolmente e stabilmente, aspetti di vulnerabilità o aspetti clinici rilevanti, nell insorgenza e nell espressione clinica del disturbo borderline di personalità. Di là dai limiti insiti nei modelli teoretici, sui quali si fonda il trattamento farmacologico del DBP, molte altre ragioni rendono la farmacoterapia del DBP ancora empirica (37). Innanzitutto i dati clinici ed osservazionali di cui disponiamo, derivano quasi esclusivamente da studi condotti in soggetti con disturbo borderline e schizotipico, in condizione di relativo scompenso sintomatologico. Non ci risulta siano stati effettuati studi farmacoterapeutici sulla vulnerabilità di tratto, in questi pazienti, a tutt oggi. I dati empirici, inoltre, riguardano casistiche cliniche, spesso considerate omogenee, ma di cui non sempre è esplicitata la comorbidità d Asse I e/o d Asse II, correlabile ad una grande variabilità, sintomatologica e fisiopatologica, quindi, ad una diversa risposta al trattamento. (16, 37) Insufficientemente rigorose ed adeguate risultano essere, inoltre, alcune procedure metodologiche adottate da molti studi psicofarmacologici (38) come la mancata adozione di un gruppo di controllo trattato con placebo e/o di valutazioni in cieco, la non randomizzazione dei campioni studiati, l insufficiente periodo d osservazione clinica. (13, 14, 26, 27, 28) Ciò rende le conclusioni cui giungono questi studi poco attendibili e, di conseguenza, rende incerta la prassi farmacoterapeutica nel trattamento del DBP. Le linee guida condivise, del trattamento farmacologico dei disturbi di personalità, indicano due obiettivi diversi ma complementari: il trattamento dei disturbi d Asse I in comorbidità psichiatrica ed il trattamento dei sintomi critici e dei clusters sintomatologici nucleari del DBP. Secondo alcuni autori vale anche una condizione di priorità, in cui la rimozione dei disturbi d Asse I è l obiettivo principale della farmacoterapia, con l implicita considerazione che un miglioramento del disturbo

6 d Asse I induce un miglioramento del disturbo di personalità, eventualmente presente (39,40). Dopo la remissione del disturbo psichiatrico di Asse I in comorbidità, o in sua assenza, il trattamento farmacologico trova il suo obiettivo prioritario nella correzione dei sintomi critici e del pattern sintomatologico, prevalente nella psicopatologia di Asse II, cioè i targets symptoms o ai clusters sintomatologici rappresentati, nel DBP da: 1. discontrollo affettivo; 2. discontrollo impulsivo/comportamentale; 3. discontrollo percettivo/cognitivo (10-12, 28) Per ognuno di questi clusters sintomatologici sono state proposte specifiche linee guida d intervento farmacologico (12, 29). Sulla base di dati empirici e di ricerca, sono stati proposti persino algoritmi, che facilitano l aspetto decisionale, nel trattamento farmacologico di questi clusters sintomatologici. Nel trattamento del DBP, l aspetto decisionale riguarda, soprattutto, la scelta dei farmaci, che va, ovviamente, effettuata dando la preferenza alle sostanze con provata efficacia, con rapidità d effetto, con basso rischio d intossicazione acuta, con basso rischio d abuso e con basso rischio di non-compliance. Ovviamente gli alberi decisionali proposti hanno il valore di schemi di riferimento, che vanno interpretati ed adattati al trattamento del singolo paziente, nel rispetto delle sue peculiarità sindromiche. Sulla base d evidenze scientifiche e cliniche, nei soggetti con DBP e nei soggetti schizotipici, si può affermare, in sintesi estrema, che è stata dimostrata l'efficacia terapeutica: - degli antipsicotici nel discontrollo percettivo-cognitivo; - di IMAO, SSRI, carbamazepina, valproato e litio nel discontrollo affettivo; - degli anticonvulsivanti, SSRI e litio nella disregolazione degli impulsi, inclusi i comportamenti autolesivi e l'abuso di sostanze (41). Tabella 1. Linee guida per il trattamento dei sintomi da disregolazione affettiva nei pazienti affetti da DBP Classe farmacologica Farmaco specifico Sintomi target S.S.R.I. Antidepressivi Fluoxetina, sertralina, venlafaxina Umore depresso, labilità dell umore, sensibilità al rifiuto, ansia I.M.A.O. Fenelzina, Tranilcipromina Reattività dell umore, disforia isteroide, depressione atipica Stabilizzatori dell umore Litio, carbamazepina, valproato Labilità dell umore, oscillazioni ciclotimiche, tentativi di suicidio Benzodiazepine Clonazepam, alprazolam Ansia, agitazione psicomotoria (modificata da A.P.A. 2001) Tabella 2. Linee guida per il trattamento dei sintomi di discontrollo degli impulsi nei pazienti affetti da DBP Classe farmacologica Farmaco specifico Sintomi target S.S.R.I. Fluoxetina, sertralina Irritabilità, aggressività rabbia, impulsività I.M.A.O. Fenelzina, Tranilcipromina Impulsività in disforia isteroide, irritabilità, rabbia Stabilizzatori dell umore Litio, carbamazepina, valproato Impulsività, aggressività Antipsicotici atipici Clozapina, quetiapina, olanzapina, Psicoticismo, autolesionismo risperidone Neurolettici Aloperidolo Ostilità, rabbia acuta, aggressività (modificata da A.P.A. 2001) Tabella 3. Linee guida per il trattamento dei disturbi cognitivo-percettivi nei pazienti affetti da DBP Classe farmacologica Farmaco specifico Sintomi target Neurolettici (bassa dose) Aloperidolo, fenotiazine, tioxanteni Disturbi formali e/o di contenuto del pensiero, idee prevalenti di riferimento, deliri persecutori, impulsività Antipsicotici atipici Clozapina, quetiapina, olanzapina, risperidone Disturbi formali e/o di contenuto del pensiero, idee prevalenti di riferimento, deliri persecutori, psicoticismo, autolesionismo

7 (modificata da A.P.A. 2001) 1. Trattamento della comorbidità psichiatrica del DBP Il disturbo psichiatrico, in comorbidità d Asse I, più frequentemente riscontrato nel DBP è rappresentato, verosimilmente, dalla depressione e dall abuso di sostanze. La depressione di questi pazienti risponde poco al trattamento farmacologico specifico, rispetto alla depressione maggiore propriamente detta, senza comorbidità d Asse II. Questa resistenza alla terapia è stata interpretata, considerando l effetto d altri fattori correlati quali: basso supporto sociale, elevato numero di separazioni e divorzi, eventi di vita stressanti, bassa compliance terapeutica, difficoltà nel mantenere una sufficiente alleanza terapeutica, reazioni controtransferali negative del terapeuta. Gli antidepressivi triciclici risultano essere poco efficaci. I farmaci di prima scelta sono rappresentati, perciò, dagli inibitori del reuptake della serotonina (SSRI) che sono efficaci anche su altri sintomi della psicopatologia della personalità, quali impulsività e rabbia, per l'effetto esercitato da questi farmaci sugli aspetti più propriamente temperamentali. Il trattamento dell abuso di sostanze, a tutt oggi, si avvale di strumenti terapeutici, in ambito farmacologico, molto limitati. L uso d agonisti ed antagonisti degli oppiacei risulta prezioso nel trattamento della addiction all eroina. Minori risorse abbiamo a disposizione nel trattamento della dipendenza da cocaina e dalle numerose altre sostanze d abuso, sebbene alcune osservazioni cliniche abbiano evidenziato apprezzabili effetti anti-craving d alcuni SSRI (42-45). Il trattamento degli altri quadri psicopatologici, in comorbidità con il DBP, si avvale degli stessi strumenti terapeutici, ben conosciuti e largamente utilizzati, efficaci nella terapia dei disturbi d Asse I. 2. Trattamento dei sintomi nucleari dello spettro affettivo nei pazienti con DBP I sintomi affettivi nucleari del DBP sono rappresentati da labilità affettiva, disforia, rabbia immotivata, depressione. Questo quadro sintomatologico è presente anche negli altri pazienti con i disturbi di personalità inclusi nel Cluster B. Nei soggetti con i disturbi di personalità inclusi nel Cluster A prevalgono gli stati affettivi negativi come anedonia ed appiattimento affettivo. I pazienti con disturbi di personalità del Cluster C presentano più evidenti i sintomi d ansia, che non mancano, ovviamente, negli altri disturbi di personalità (27-28). I sintomi che esprimono clinicamente la disregolazione affettiva, nei soggetti con DBP, sono funzionalmente correlati a deficit del tono centrale serotoninergico, ma anche ad alterazioni funzionali dei sistemi noradrenergico, colinergico e gabaergico. Il loro trattamento si avvantaggia dell utilizzo degli antidepressivi, soprattutto degli inibitori selettivi del reuptake di serotonina (29). Rispetto a depressione e rabbia, in questi pazienti, l'efficacia degli SSRI (fluoxetina, sertralina, paroxetina e citalopram) è stata documentata in studi in doppio cieco controllati contro placebo (46-49). Questi farmaci sono efficaci anche nel controllo della labilità e reattività dell'umore, dell impulsività e dell autolesività, nonché nel controllo degli stati d ansia. Il trattamento con SSRI si caratterizza per la notevole maneggevolezza clinica dei farmaci, che hanno margini di sicurezza, in caso di sovradosaggio, molto più ampi dei triciclici e degli IMAO. Questi farmaci, inoltre, presentano scarsi effetti collaterali. Ciò facilita l adesione al trattamento, migliorando la compliance terapeutica, nei soggetti borderline. La fluoxetina si è dimostrata efficace nel controllo della rabbia e dell impulsività, in questi pazienti, indipendentemente dall effetto antidepressivo (39). L effetto antimpulsivo di questo farmaco, nei soggetti con DBP, sembra manifestarsi prima di quello antidepressivo. Naturalmente la rabbia, non funzionalmente correlata alla disregolazione affettiva, ma associata ai sintomi disfunzionali cognitivo-percettivi, risponde meglio ai nuovi antipsicotici, ma anche ai neurolettici a basse dosi (49, 50). Gli antidepressivi triciclici presentano scarsi effetti terapeutici sull umore depresso dei soggetti borderline (18, 51, 52). Ciò, in aggiunta alla frequente transitorietà di questo stato d animo, spesso reattivo ad eventi stressanti, non giustifica oggigiorno il loro uso, anche in considerazione del lungo tempo di latenza del loro effetto terapeutico. E, però, opportuno ricorrere a questi farmaci quando i sintomi depressivi si presentano intensi e duraturi (52). Va sempre ricordato che, nei soggetti borderline, l amitriptilina può indurre o peggiorare l'aggressività, facilitando l insorgere di disturbi formali o di contenuto del pensiero, nonché, di pulsioni autolesive (53). Nel caso di risposta clinica insufficiente al trattamento con un farmaco SSRI, alcune osservazioni (10-12) suggeriscono l utilizzo di un altro farmaco della stessa classe. In alcuni studi su pazienti borderline i soggetti non responders alla fluoxetina rispondevano alla sertralina (28, 29, 54). In alternativa e più razionalmente, in caso di mancata risposta terapeutica agli SSRI potrebbe essere utile somministrare i nuovi antidepressivi con meccanismo d azione multi-trasmettitoriale (NA + 5HT) come nefazodone e venlafaxina (48, 55, 56). In caso d intensa e prolungata sintomatologia ansiosa gli SSRI possono risultare insufficienti. Solo in questi casi può essere preso in considerazione un trattamento con benzodiazepine, di cui non va sottovalutato il

8 potenziale rischio d abuso. E noto che le benzodiazepine a breve emivita possono, infatti, indurre discontrollo e comportamenti d abuso (57, 58). Ciò rende preferibile l uso clinico di benzodiazepine a lunga emivita come il clonazepam (36, 58). Questo farmaco, inoltre, per i suoi effetti serotoninergici, presenta una qualche efficacia anche nel controllo degli stati d agitazione e degli impulsi (59). Non esistono studi specifici sull uso del buspirone nel trattamento dell ansia dei pazienti con DBP. Ciò nonostante il suo uso clinico, nei pazienti con DBP, potrebbe essere utile, per lo scarso rischio d abuso proprio del farmaco. L assenza d effetti acuti, però, ne indica l utilizzo solo nei trattamenti prolungati nel tempo (60). Questo farmaco presenta effetti serotoninergici, potenzialmente efficaci nel controllo dell aggressività e dell impulsività, soprattutto, se utilizzato in associazione con gli SSRl. Nei soggetti, con forte discontrollo affettivo, può essere opportuna l associazione alla terapia di un nuovo antipsicotico e/o di un neurolettico a basse dosi. Tale terapia aggiuntiva, spesso è efficace nel ridurre l espressione e la gravità dei sintomi affettivi. L utilizzo clinico degli IMAO, nei soggetti con DBP, richiede molta attenzione da parte del terapeuta, ma anche una buona collaborazione ed una buona compliance terapeutica da parte del paziente (12). Oggigiorno, gli IMAO vanno considerati farmaci di seconda scelta rispetto agli SSRI per la loro minor maneggevolezza clinica, per la loro minore sicurezza e per il tipo e l incidenza degli effetti collaterali, ma, soprattutto, per l'elevata attenzione dietetica, che la loro somministrazione richiede. Inoltre, l assunzione di un IMAO può avvenire solo 15 giorni dopo la sospensione di un SSRI a emivita breve, come sertralina o paroxetina, mentre, è necessario un wash-out di 45 giorni, dopo un SSRI ad emivita lunga, come la fluoxetina. E noto, comunque, che gli IMAO, nei soggetti borderline, hanno apprezzabili effetti terapeutici nel controllo di: instabilità dell'umore, impulsività, rabbia e ostilità (61, 62). Nei casi di scarsa risposta agli SSRI e/o d inefficacia o inutilizzabilità degli IMAO è opportuno prescrivere uno stabilizzatore dell'umore, come litio carbonato, carbamazepina e/o valproato. Va ricordato che ai farmaci IMAO può essere associato uno stabilizzatore dell'umore, soprattutto il carbonato di litio, che è stato testato in numerosi studi controllati, in doppio cieco contro placebo. I sali di litio presentano buoni effetti sul discontrollo degli impulsi, sulla labilità dell'umore, sulla rabbia e sulle pulsioni autolesive (63, 64). Il loro uso clinico, nei soggetti con DBP, è limitato, però, dagli stretti margini di sicurezza, dal rischio d ipotiroidismo dopo assunzione cronica e dalla necessità di un monitoraggio continuo dei loro livelli ematici. Il trattamento con carbamazepina si è dimostrato efficace sul controllo della labilità affettiva, della rabbia, della pulsione suicidaria e sull ansia nei soggetti borderline con "disforia isteroide (65). In altri studi, in soggetti borderline senza disforia isteroide, però, il trattamento con carbamazepina non è stato superiore al placebo (66, 67). Inoltre, la carbamazepina nei pazienti borderline con anamnesi positiva per la depressione maggiore può indurre melanconia (65). Il trattamento con valproato, in soggetti con DBP, è stato efficace su labilità affettiva, ansia, rabbia, e impulsività (68, 69). A tutt oggi i dati relativi all'uso di carbamazepina e di valproato nei pazienti con DBP sono poco numerosi e scarsamente rappresentativi. I pazienti con personalità borderline presentano, inoltre, una bassa compliance terapeutica, con correlate difficoltà nel monitoraggio dei parametri ematologici e dei livelli plasmatici che l uso di questi farmaci richiede. Non esistono linee guida condivise, circa la durata dei trattamenti farmacologici, utili nel controllo dei sintomi disfunzionali affettivi, nei pazienti con DBP. Tale durata deve essere definita, clinicamente, in relazione al miglioramento dei sintomi, nonché in rapporto alle capacità di relazione interpersonale indotte nel paziente. 3. Trattamento dei sintomi nucleari dello spettro impulsivo-comportamentale nei pazienti con DBP Caratteristici del DBP sono i sintomi impulsivi e l aggressività autodiretta come: ripetuti tentativi di suicidio, autolesionismo, automutilazioni, abbuffate di cibo, sesso e sostanze d abuso; ma anche l aggressività eterodiretta, come: rabbia, comportamenti esplosivi, accessi d'ira, comportamenti spericolati, scarsa tolleranza alle frustrazioni, aggressività verbale e fisica. Numerosi dati clinici e scientifici documentano la relazione di questi sintomi con un deficit della neurotrasmissione serotoninergica, soprattutto a livello della corteccia prefrontale (66, 70-73). Queste considerazioni hanno avvalorato l utilizzo dei farmaci serotoninergici, in particolare degli SSRI, che sono considerati da numerosi autori, farmaci di prima scelta. Numerosi studi hanno documentato che fluoxetina, sertralina e paroxetina sono efficaci nel controllo dei sintomi impulsivo-aggressivi, a prescindere dagli effetti antidepressivi di questi farmaci (74-81). Gli effetti antimpulsivi si manifestano entro pochi giorni, dall inizio del trattamento, e si attenuano altrettanto rapidamente alla sua sospensione. In caso di scarsa efficacia clinica di un farmaco SSRI è stato suggerito di passare ad un diverso SSRI. In caso d efficacia parziale del trattamento con un SSRI, è stato suggerito di associare in terapia un antipsicotico atipico e/o un neurolettico a basse dosi (39, 61, 62). I neurolettici agiscono in poche ore, inducendo un rapido controllo dell aggressività impulsiva. Alcuni autori hanno

9 suggerito l utilizzo di sali di litio in rapporto agli effetti antimpulsivi, verosimilmente correlati all'azione serotoninergica, di queste sostanze (63, 82, 83). In caso di scarso effetto clinico di un SSRI, in alternativa, si potrebbe prescrivere un IMAO e/o un anticonvulsivante. E stata evidenziata una significativa efficacia della tranilcipromina sul comportamento impulsivo, in donne borderline, con disforia isteroide (51, 65). Anche la fenelzina è efficace nei soggetti borderline, con impulsività e irritabilità (61, 62). Il trattamento con IMAO, in caso di scarsa risposta terapeutica, potrebbe essere associato ai sali di litio e/o ad un anticonvulsivante, sebbene studi specifici in questo campo non sono stati ancora effettuati. I soggetti impulsivi spesso sono trattati con carbamazepina e/o valproato. Alcuni studiosi (51, 67, 84) hanno evidenziato l'efficacia della carbamazepina nel controllo dei sintomi impulsivi. Altri autori (66) non hanno confermato queste osservazioni. Alcuni studi suggeriscono l'uso del valproato nel trattamento dell'impulsività (68, 69, 85) della labilità emotiva e del comportamento autodistruttivo (86). Nei soggetti che manifestano aggressività impulsiva resistente al trattamento, come automutilazioni e impulsività su base cognitivo-dispercettiva, in rapporto a sintomi della serie psicotica, possono essere utilmente prescritti gli antipsicotici atipici (87-89). I rischi connessi all'uso di clozapina ne giustificano l'uso solo in casi estremi, mentre utili ed efficaci sono risultati gli altri antipsicotici atipici come risperidone, olanzapina e quetiapina (50, 90, 91). I comportamenti ripetitivi impulsivi e/o autolesivi hanno risposto al trattamento con il naltrexone. Ciò avalla l'ipotesi del coinvolgimento funzionale di questi neuropeptidi nella genesi del comportamento autolesivo. I dati clinici che sostengono questo trattamento sono, però, preliminari e non controllati (92, 93). Nei soggetti in cui il DBP consegue ad un disturbo dell'attenzione con iperattività (ADHD), insorto in epoca infantile, è stato razionalmente utilizzato, con qualche successo terapeutico, uno psicostimolante, come il metilfenidato (94). Va, però, considerato attentamente il rischio d abuso dello psicostimolante nei soggetti con DBP. Ciò ha suggerito, per il trattamento di questi pazienti, l uso del bupropione, che ha effetti dopaminergici e risulta efficace nel trattamento del ADHD (29), ma che risulta registrato in Italia solo per la disassuefazione da nicotina (sic!). Il trattamento farmacologico dei sintomi impulsivo-aggressivi va proseguito per un tempo variabile secondo lo stato clinico del paziente, vale a dire in rapporto alla presenza di stressors, alle capacità d adattamento e di coping, ma anche, e soprattutto, in relazione alla collocazione del locus of control. Naturalmente, quando lo scopo del trattamento è modulare la vulnerabilità di tratto, diventa impossibile definire a priori la durata del trattamento. 4. Trattamento dei sintomi nucleari dello spettro percettivo-cognitivo nei pazienti con DBP I sintomi percettivo-cognitivi, frequenti nei soggetti con DBP, includono derealizzazione, depersonalizzazione, illusioni, ideazione paranoide e idee di riferimento. Tali sintomi sono spesso transitori e sono manifestati solo in situazioni di stress soggettivo. Alcuni aspetti di tratto come sospettosità, pensiero eccentrico, bizzarrie sono disturbi del pensiero frequenti nei soggetti con disturbi di personalità paranoide e/o schizotipico, ma sono prevalentemente reazioni a stati affettivi, nei soggetti borderline. Alla luce di numerosi studi, controllati in doppio cieco, nonché di studi in aperto, condotti sui pazienti borderline e schizotipici, i neurolettici sono considerati il trattamento elettivo di questi sintomi (21, 22, 51). Alcuni autori preferiscono, però, i neurolettici ad alta potenza come aloperidolo, pimozide e trifluoroperazina, mentre altri privilegiano i farmaci a bassa potenza come tioridazina, promazina e clorpromazina. (10, 11) I neurolettici hanno effetti terapeutici anche sull impulsività e sulla rabbia (51, 53, 95). I loro effetti sul piano clinico sono apprezzabili già dopo tempi brevi. I pazienti con disturbi formali e di contenuto del pensiero rispondono meglio al trattamento neurolettico, di quelli con disturbi dispercettivo-cognitivi secondari a slivellamento del tono dell umore. Quando gli effetti terapeutici del trattamento neurolettico non sono evidenti dopo 4-6 settimane, può essere aumentato il loro dosaggio, solitamente inferiore a quello usato nei soggetti psicotici (21, 96, 97). Quando la risposta terapeutica è insufficiente deve essere rivalutata l'etiopatogenesi dei sintomi cognitivo-dispercettivi. Se viene esclusa una rilevante natura affettiva di questi sintomi può essere opportuna la terapia con antipsicotici atipici, soprattutto in presenza di rilevanti sintomi "negativi". Alcuni studi e diverse osservazioni cliniche confermano l efficacia della clozapina (98, 99), del risperidone (88, 89), dell olanzapina e della quetiapina (49, 50, 90, 91). I pazienti con DBP possono presentare, inoltre, una reazione avversa da neurolettici, la psicosi atropino-simile, caratterizzata da agitazione psicomotoria, disorganizzazione cognitiva, deliri paranoici, depersonalizzazione e derealizzazione (100). La durata del trattamento è arbitrariamente definita, sulla base dei trial terapeutici, in 4-12 settimane. L uso prolungato di neurolettici tipici induce la comparsa di sintomi depressivi e d effetti collaterali nei pazienti borderline, con alto rischio di drop-out e bassa compliance terapeutica (101). Nonostante ciò, studi a lungo termine con flupentixolo depot in soggetti con disturbi di personalità istrionica o borderline (81,102) hanno

10 evidenziato analoghi livelli di drop-out nei gruppi trattati ed in quelli di confronto che assumevano placebo. L uso prolungato nel tempo di neurolettici può indurre discinesia tardiva e tale rischio non va sottovalutato. I disturbi cognitivo-percettivi olotimici, che riconoscono un etiologia affettiva, possono avvantaggiarsi dell associazione al trattamento neurolettico di basse dosi IMAO o di SSRI. Questi farmaci sono, inoltre, utili nel controllo dei sintomi d irritabilità, rabbia ed impulsività spesso concomitanti (47, 51, 55, 61, 62, 78). Condotta Farmacoterapeutica del disturbo borderline di personalità I dati sperimentali e clinici, a nostra disposizione, sulla farmacoterapia del DBP, sono, a tutt oggi, lacunosi, poco controllati o insufficienti. In quest'ottica, qualsiasi conclusione clinica va considerata preliminare. Si possono però trarre alcune considerazioni conclusive dalla letteratura scientifica internazionale. La farmacoterapia del disturbo borderline di personalità andrebbe, così, orientata, non al quadro nosografico in sé, ma alla sintomatologia psicopatologica nucleare presentata dallo specifico paziente. L'eterogeneità sintomatologica del disturbo borderline rende molto improbabile che ci possa essere un solo specifico trattamento farmacologico, efficace e sicuro, per tutti i pazienti con DBP. I trattamenti farmacologici tendono ad essere scarsamente incisivi sull insieme della sintomatologia psicopatologica del paziente con DBP, perciò la loro efficacia complessiva risulta, comunque, modesta e la presenza di sintomi residui normale. Gli effetti farmacologici riducono l'intensità d alcuni sintomi attenuando la vulnerabilità sottesa a specifici fattori biologici. Il trattamento farmacologico, a tutt oggi, incide limitatamente sugli aspetti temperamentali e sintomatologici senza agire sugli aspetti propriamente caratteriali del paziente con DBP. Un approccio integrato multimodale con l uso di un opportuna farmacoterapia orientata al controllo sintomatologico e dei tratti di vulnerabilità, insieme con un opportuno trattamento psicoterapeutico, sembra essere, a tutt oggi, la scelta terapeutica più razionale e con maggiore probabilità di successo, nel trattamento dei pazienti borderline. Le aspettative nei confronti del trattamento integrato, farmacologico e psicoterapeutico, dovrebbero essere razionali e realistiche. Il trattamento integrato deve prevedere, ove opportuno e possibile, attività continuative e strutturate di tipo socio-riabilitativo, tendenti al reinserimento dei soggetti con DBP nel mondo del lavoro, in modo da fornire loro utili ancoraggi alla realtà ed espliciti segnali di limite, così disperatamente necessari per questi pazienti. L approccio psicoterapeutico al paziente borderline esula dagli scopi di questa rassegna. Si può, comunque, notare come resti a tutt oggi un trattamento scarsamente definito. Nonostante decenni di dibattito e la mole di letteratura clinica, esistono pochissimi studi, effettuati con sufficiente rigore scientifico, che dimostrino l efficacia terapeutica della psicoterapia nel DBP. Inoltre, mancano prove scientifiche evidenti sull efficacia di uno specifico approccio psicoterapeutico, per questi pazienti, rispetto ad una diversa modalità di trattamento psicoterapeutico. Mancano, ancora, rilievi clinici obiettivi che permettano di indirizzare il paziente borderline con specifici sintomi prevalenti (impulsivi, affettivi, ideativi, cognitivi, etc.) verso una specifica psicoterapia. Il vero vantaggio della psicoterapia è sicuramente quello d essere "antidemoralizzante" (103) e di fornire un interpretazione esplicativa del disturbo, offrendo, altresì, opportunità di insight e di ristrutturazione delle dinamiche interpersonali e degli stili disfunzionali di comportamento. Qualsiasi trattamento, anche quello farmacologico, non dà risultati apprezzabili ed è sostanzialmente incerto, se non riveste il ruolo di comunicazione interpersonale forte tra terapeuta e paziente. Ogni atto medico, anche la semplice prescrizione di farmaci, può sortire effetti clinici, sostanzialmente diversi o diametralmente opposti, in relazione al tipo di comunicazione interpersonale che viene a stabilirsi tra medico e paziente. Ulteriori ricerche saranno indispensabili sia in ambito psicofarmacologico sia in ambito psicoterapeutico per dare più forti indicazioni terapeutiche nel trattamento del paziente borderline, di quelle sin qui passate in rassegna. Alcuni aspetti particolari della farmacoterapia del disturbo borderline meritano d essere valutati con particolare attenzione. I soggetti con DBP hanno la tendenza a presentare scarsa compliance terapeutica associata spesso, paradossalmente, a comportamenti d'abuso di farmaci. Il soggetto con DBP è un paziente difficile che, per la sua instabilità affettiva e relazionale, non riesce a dare seguito a programmi terapeutici strutturati e sufficientemente prolungati nel tempo. Per le sue difficoltà nella relazione interpersonale è, inoltre, incapace di cooperare attivamente nel rapporto medico-paziente. I dati emergenti dagli studi di psicofarmacologia sostengono l efficacia terapeutica dell'uso, a breve termine, di farmaci mirati al contenimento dei sintomi acuti ed invalidanti del DBP. Scarsi sono i dati scientifici circa l'efficacia e l utilità dei trattamenti a lungo termine. Alcuni studi di follow-up hanno evidenziato che la psicopatologia borderline tende spontaneamente a migliorare negli anni ( ). Ciò induce a valutare con prudenza l efficacia di trattamenti farmacologici troppo prolungati nel tempo. Massima cautela va esercitata nell uso dei farmaci per il trattamento intensivo dei sintomi nucleari invalidanti, se si considera che alcuni farmaci possono peggiorare sintomi particolari ed altri possono indurre reazioni paradosse (14, 57, 58).

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