Un farmaco spazzino favorisce il recupero da stroke, traumi cranici e spinali.

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1 Un farmaco spazzino favorisce il recupero da stroke, traumi cranici e spinali. Un farmaco spazzino, che migliora lo smaltimento dei rifiuti cellulari, favorisce il recupero in caso di stroke, traumi cranici e lesioni spinali. In uno studio pubblicato su Autophagy i ricercatori dell Irccs Fondazione Santa Lucia, dell Università Tor Vergata di Roma e del Campus Biomedico hanno aggiunto nuovi particolari sul meccanismo con cui i neuroni si ripuliscono da strutture cellulari danneggiate o malfunzionanti, meglio conosciuto come autofagia. Ma anche sul ruolo di questo sistema di pulizia cellularè in seguito a un danno acuto del sistema nervoso centrale. Il cattivo smaltimento dei materiali cellulari danneggiati può, infatti, condurre i neuroni alla morte se i rifiuti non vengono eliminati rapidamente, e questo è all origine di numerose patologie neurodegenerative, come le malattie di Parkinson e di Alzheimer. Lo studio, in collaborazione con ricercatori dell Università Roma Tre e dell ateneo di Teramo, ha permesso, per la prima volta, di caratterizzare temporalmente in un modello sperimentale di danno acuto, la cascata di eventi che porta all attivazione del sistema di pulizia cellulare come meccanismo fisiologico per lo smaltimento degli organelli cellulari danneggiati. Nonostante questo meccanismo si attivi già dopo poche ore dal danno cerebrale, non sembra però essere in grado di eliminare da solo l enorme cumulo di materiali cellulari danneggiati, per cui le cellule nervose vanno incontro a morte. Potenziando farmacologicamente questo meccanismo con la rapamicina, è invece possibile eliminare velocemente i materiali cellulari danneggiati proteggendo, in questo modo, le cellule nervose sofferenti per l eccessivo accumulo di materiali di scarto. In conclusione, lo studio svolto dai ricercatori dei diversi centri di ricerca, fornisce non solo importanti informazioni sull autofagia, ma «suggerisce anche nuovi possibili bersagli farmacologici per potenziare lo smaltimento rapido ed efficace degli organelli cellulari mal funzionanti e proteggere le cellule nervose e, quindi, migliorare il recupero funzionale», sottolinea la Fondazione Santa Lucia. Grazie a questi risultati, si aprono ora interessanti prospettive in ambito terapeutico per lo sviluppo di nuovi approcci farmacologici in grado di regolare i processi di autofagia, utili per patologie neurologiche acute di grande diffusione, come i traumi cranici e del midollo spinale. Rif.: Online News 1 / 10

2 Piastrine umane prodotte in laboratorio? Uno studio dimostra che è possibile. Rif.: Corriere L eggi articolo I trapianti di isole pancreatiche potrebbero diventare più sicuri. Rif.: Corriere Leggi articolo Identificate delle super-cellule per rigenerare il cuore. Rif.: La Stampa Leggi articolo Ecco il kit "ripara-cuore": un interruttore riaccende la memoria delle cellule. Rif.: Salute24 Cellule staminali, identificate multipotenti per rigenerare il cuore. Rif.: MedicinaLive Italia. Staminali dal cuore per rigenerare nuove cellule. Rif.: ADUC Staminali:super-cellule rigenerano cuore. Rif.: ANSA Scoperte super-cellule rigenera cuore. Rif.: ANSA Italia. Scoperte staminali progenitrici tessuto adiposo. Rif.: ADUC Salute, obesità: trovata fabbrica del tessuto adiposo. Rif:: Città Oggi Web Leggi articolo Tette finte? No, staminali. Rif.: L'Espresso Leggi articolo Svizzera. Staminali contro leucemia. Nuova scoperta. Rif.: ADUC Leggi articolo Piastrine umane prodotte in laboratorio? Uno studio dimostra che è possibile. Nuova terapia genica contro l'emofilia B. La funzione delle piastrine, come quella di qualsiasi ingranaggio di quella complessa e perfetta macchina che è il corpo umano, è fondamentale. Lo sanno bene i pronto soccorsi d urgenza, che le usano in grandi quantità per trasfusioni e salvare chi rischia di morire per emorragia. E i reparti che curano vari tipi di tumori perché l 80 per cento dei pazienti oncologici sottoposti a chemio e radioterapia finiscono, a causa degli effetti collaterali delle cure, per aver bisogno di una trasfusione di piastrine. LA RACCOLTA - Purtroppo però l approvvigionamento di queste parti del sangue, sta 2 / 10

3 diventando problematico. Ecco perché, fra le più promettenti novità presentate all ultimo convegno dell American society of hemathology (Ash, tenutosi il mese scorso a San Diego, Usa), c è uno studio che dimostra per la prima volta la possibilità di produrre piastrine umane in laboratorio. «E un altro grande progresso è stato fatto con la nuova terapia genica sperimentale messa a punto contro l emofilia B, una malattia rara, che rende però davvero difficile la vita ai malati» aggiunge Paolo Corradini, direttore dell Ematologia all Istituto nazionale tumori di Milano e fra gli organizzatori del convegno post-ash 2012, che si è appena concluso nel capoluogo lombardo per favorire l aggiornamento scientifico degli ematologi italiani sui più importanti sviluppi presentati al congresso americano. CREARE LE PIASTRINE IN LABORATORIO Le piastrine, prodotte come le altri parti del sangue dal midollo osseo, impediscono la perdita di sangue a seguito di una lesione e hanno un ruolo fondamentale nella coagulazione sanguigna, ma hanno una vita media di circa 10 giorni. Il bisogno di averne a disposizione grandi quantità, di una buona e definita qualità, e di trovare un modo di aggirare i limiti di provvista (dovuti alla loro breve vita) spinge da anni i ricercatori a trovare una soluzione per chi ne produce poche a causa di diverse patologie o si ritrova con un improvviso calo per un trauma. «Servono in casi d urgenza, per chi soffre di alcune rare piastrinopatie e per curare l aplasia midollare spontanea o più frequentemente indotta dai trattamenti chemio e radioterapici nei pazienti con un tumore spiega Corradini -. Ora è stato fatto un primo passo, ma di quelli importanti: i ricercatori dell università giapponese di Kyoto sono riusciti a generare in vitro piastrine umane partendo da cellule staminali pluripotenti umane. Serviranno molte conferme, ma si è aperta la strada per risolvere i problemi di migliaia di pazienti». NUOVA CURA PER L EMOFILIA B Lividi e sanguinamenti alla minima botta o persino senza motivo, emorragie, dolori a muscoli articolazione e ossa, fino all artrite deformante nei casi più estremi. Chi soffre di emofilia B non ha la vita facile, perché ne porta i segni addosso e (se la malattia è d intensità moderata o grave) deve recarsi settimanalmente in ospedale per fare infusioni di fattori della coagulazione. «E una malattia ereditaria legata al cromosoma X che colpisce un neonato maschio su 100mila - chiarisce Fabrizio Pane, responsabile della Divisione di ematologia all U niversità Federico II di Napoli e presidente della Società italiana di ematologia. E causata dalla mancanza di alcuni fattori della coagulazione e questa carenza non permette al sangue di coagularsi normalmente, con conseguenze durissime per i malati». La malattia colpisce quindi quasi esclusivamente i 3 / 10

4 maschi, le poche donne affette sono frutto di un padre emofiliaco e una madre portatrice. In Italia ne soffrono circa 7mila persone, «per le quali aggiunge Pane la vita potrebbe cambiare fra poco (qualche anno) se si confermeranno gli ottimi risultati ottenuti dai ricercatori inglesi che hanno messo a punto una nuova terapia genica utilizzando un virus come un taxi per trasportare a destinazione nel fegato un gene capace di ricominciare la produzione del fattore della coagulazione mancante». Rif.: Corriere I trapianti di isole pancreatiche potrebbero divent are più sicuri. Un farmaco italiano (ancora in sperimentazione), mira a ridurre il rischio di rigetto. Arriva dalla ricerca italiana un farmaco-svolta per la cura del diabete giovanile, quello di tipo I, che colpisce circa 500 mila under 14 nel mondo (circa 20 mila in Italia) e oggi, più di qualche anno fa, a volte anche gli adulti. Una forma ritardata, più rara, ma in aumento. C è una componente genetica recessiva che a volte esprime la malattia in età adulta: un diabete 1,5. Una nuova molecola (reparixin), frutto della ricerca Dompè, ha infatti dimostrato di migliorare l'efficacia del trapianto di cellule (isole) pancreatiche, nuova frontiera per la cura di tale patologia. I risultati della sperimentazione clinica di fase II sono stati presentati a Innsbruck, in occasione del Congresso internazionale Aidpit-Epita, appuntamento della comunità scientifica per l'approfondimento sul trapianto di isole. L interesse è stato massimo. LA NUOVA MOLECOLA- Oggi, grazie alla nuova molecola, è possibile ridurre significativamente le frequenti reazioni infiammatorie ed il potenziale rigetto delle isole trapiantate. Ma ancora più importante è il dato che riguarda due dei pazienti sottoposti alla sperimentazione internazionale: sono diventati totalmente indipendenti dalle iniezioni di insulina. Attualmente, sono 10 i malati in trattamento con la nuova molecola. Lo studio internazionale di fase III (che riguarderà circa 60 giovani con diabete di tipo I trapiantati con le isole) parte quest'anno. 4 / 10

5 IL DIABETE GIOVANILE - Il diabete giovanile di tipo I, che è la più diffusa tra le malattie croniche pediatriche, porta ad una rapida distruzione delle cellule pancreatiche che producono insulina a causa di un'anomala reazione del sistema immunitario. Chi ne soffre non può sopravvivere senza iniettarsi quotidianamente insulina sufficiente a mantenere nella norma la sua glicemia. Alla lunga, varie possono essere le complicazioni ed in questi casi il trapianto di pancreas è stata finora la procedura di riferimento. Negli ultimi anni si è affermato un più efficace metodo, messo a punto dal diabetologo italiano Camillo Ricordi, che dirige il Diabetes Research Institute e il Centro trapianti cellulari dell università di Miami: il trapianto di sole isole pancreatiche (le cellule del pancreas che producono insulina) da donatore nel fegato del ricevente attraverso una semplice infusione in vena. Il fegato subentra così al pancreas iniziando a produrre insulina. Il rigetto è però una possibile complicazione e non sempre le isole trapiantate riescono a sostituire del tutto la funzione del pancreas. Si riduce la quantità di insulina da iniettare dall esterno ma non si riesce ad abolirla del tutto. A volte, poi, occorre ripetere il trapianto dopo qualche anno. STAMINALI EMBRIONALI - Con il nuovo farmaco, invece, sembra di molto migliorare l attecchimento delle isole donate. Fino ai due giovani divenuti insulina-free. «I risultati ottenuti con la nuova molecola commenta Lorenzo Piemonti, coordinatore del test clinico sul nuovo farmaco e co-direttore del programma Trapianto di isole del San Raffaele Diabetes Research Institute di Milano - sono incoraggianti sul fronte del consolidamento del trapianto di isole pancreatiche, ma possono anche rappresentare una prospettiva per l'identificazione di una terapia in grado di prevenire la distruzione delle cellule che producono insulina all'esordio d el diabete giovanile». Dello stesso parere Ricordi, che però va oltre e parla anche di staminali embrionali: «Dovrebbe partire nel 2012 negli Stati Uniti il primo test clinico sull'uomo con cellule staminali embrionali per la cura del diabete. Il via alla sperimentazione sull'uomo arriva dopo l'esame dei risultati ottenuti nella sperimentazione su cavie animali. Nei topi spiega Ricordi - si sono ottenuti dei buoni risultati: si è osservato che le staminali embrionali sono infatti riuscite a curare il diabete negli animali sottoposti alla sperimentazione». Anche se Ricordi aggiunge: «Ritengo più opportuno, in questo campo, l'utilizzo di cellule staminali adulte, con le quali stiamo ottenendo passi avanti importanti; questo non per motivazioni di carattere etico, ma perché con il trapianto di staminali adulte, prelevate dal paziente stesso, si eliminerebbe il grave problema del rischio di rigetto. Rischio che invece sussisterebbe comunque nel caso di staminali embrionali». E il nuovo farmaco italiano potrebbe rappresentare una svolta anche nel campo delle staminali. 5 / 10

6 Rif.: Corriere Identificate delle super-cellule per rigenerare il cuore. "Ringiovanite" cellule mature con geni fetali. Dalle cellule del cuore si possono ottenere staminali multipotenti, in grado di rigenerare a loro volta cellule cardiache funzionali utili a riparare l organo danneggiato, per esempio dall infarto. La nuova speranza sul fronte delle terapie cellulari arriva da uno studio italiano, frutto della collaborazione tra l Istituto di biologia cellulare e neurobiologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibcn-Cnr) di Roma e l Irccs MultiMedica di Milano. Il lavoro, pubblicato sulla rivista Cell Death and Differentiation, è firmato da Roberto Rizzi e Claudia Bearzi, cervelli rientrati in Italia dopo un lungo periodo negli Usa alla Harvard Medical School. Gli scienziati hanno dimostrato per la prima volta che i cardiomiociti possono essere una fonte di supercellule dotate di caratteristiche più vantaggiose rispetto ad altre staminali. «I cardiomiociti hanno capacità proliferative minime, se non assenti - spiega Rizzi - e ciò significa che a seguito di danno ischemico cardiaco, come per esempio nell infarto, si crea una cicatrice riducendo la capacità funzionale del cuore, situazione nota come scompenso cardiaco. Il nostro lavoro ha dimostrato che, attraverso l introduzione di geni fetali all interno del genoma di cardiomiociti post-natali, è possibile ricondurre queste cellule già differenziate a uno stato embrionale. Una volta ottenute le staminali dai cardiomiciti, queste sono state indotte a differenziare nuovamente in cellule cardiache battenti. La ricerca ha messo in evidenza che le cellule multipotenti indotte ottenute dai cardiomiociti hanno una capacità maggiore di ridiventare nuovamente cellule cardiache contrattili, rispetto ad altre cellule staminali, e ne ha definito le basi molecolari stabilendo che questa memoria dipende da pochi geni». Lo studio apre alla possibilità di utilizzare i cardiomiociti come staminali cardiache, passando per lo stadio embrionale. «Grazie alle loro capacità differenziative - sottolinea Bearzi - queste cellule potranno essere utilizzate per la riparazione del miocardio danneggiato». 6 / 10

7 «La capacità di generare qualsiasi tipo di tessuto è esclusiva delle cellule staminali embrionali - continua Bearzi - ma è noto che restrizioni etiche limitano l utilizzo delle stesse». «Nel ricorda la scienziata - un ricercatore giapponese, Shinya Yamanaka, ha dimostrato la possibilità di riportare cellule neonatali e adulte, quindi già differenziate, ad una condizione di staminalità, con la capacità di generare tessuti pari a quella delle cellule staminali embrionali con l introduzione di pochi geni fetali. Queste staminali ottenute da cellule mature erano state definite multipotenti indotte». Rif.: La Stampa Salute, obesità: trovata fabbrica del tessuto adiposo. La scoperta arriva da uno studio italiano. Dopo una ricerca durata anni, le cellule che danno origine al tessuto adiposo sono state trovate. La scoperta si deve all'università Politecnica delle Marche, in collaborazione con alcuni esperti della messicana Massachusetts University. Gli studiosi hanno individuato l'identità della comune cellula staminale del tessuto adiposo bianco che accumula i grassi - e bruno che brucia i grassi. In questa potrebbe nascondersi la chiave per combattere obesità, diabete e aterosclerosi. Si tratta di una cellula adulta, che fa parte del rivestimento dei vasi sanguigni e che, per motivi da chiarire, regredisce tornando allo stato di staminale. Da qui, inizia a differenziarsi seguendo la strada che la porterà a diventare una cellula del tessuto adiposo bianco, piuttosto che bruno. I ricercatori hanno seguito il percorso di queste cellule grazie ad una tecnica chiamata 'fate mapping' - nella quale un gene caratteristico viene evidenziato con una marcatura, così da essere individuato nei tessuti. In questo modo, è stato rilevato come le cellule dell'endotelio il tessuto che riveste la superficie interna dei vasi sanguigni, linfatici e del cuore - siano in grado di 'migrare', 7 / 10

8 abbandonando i vasi sanguigni e insediandosi in un altro organo, ossia nel tessuto adiposo. È un fenomeno che avviene in condizioni fisiologiche, rilavano gli studiosi, i quali hanno anche osservato "come cellule endoteliali che si sviluppano in vitro da espianti di tessuto adiposo umano esprimano marcatori molecolari delle cellule staminali determinate a diventare cellule adipose e, quando opportunamente stimolate, si sviluppano in cellule adipose mature, estendendo quindi il risultato ai tessuti umani. Il fatto che entrambi i tessuti derivino dallo stesso progenitore avvallerebbe la teoria secondo la quale è possibile che il tessuto bianco si trasformi in tessuto bruno e viceversa. Conoscere il meccanismo di questo processo è la chiave per controllare processi come il dimagrimento. Sarà un passo fondamentale per avere la capacità di manipolare la plasticità di queste cellule: le implicazioni potrebbero essere enormi in tutti i campi della biologia, commentano gli scienziati, i quali sottolineano il proprio orgoglio per la scoperta fatta. Da decenni tutti gli esperti del tessuto adiposo cercavano di individuare l'identità della cellula staminale adiposa senza successo concludono - per primi, abbiamo ottenuto questo storico risultato che evidenzia come la cellula endoteliale sia in realtà il 'serbatoio vivente' delle cellule staminali adipose. Rif:: Città Oggi Web Tette finte? No, staminali. Dopo tutte le polemiche sulle protesi più o meno sicure, arriva una nuova tecnica basata sulle cellule primitive che stanno nel tessuto adiposo. Il risultato è naturale, non c'è rigetto, ma si aumenta al massimo di una taglia. Il lipofilling con cellule staminali per ingrandire il seno è una tecnica nuovissima, diversa dal semplice lipofilling, il riempimento del seno con il grasso della paziente, che viene fatto ormai da decenni con risultati eccellenti e duraturi col grande vantaggio che si trapianta tessuto autologo che, dunque, non ha nessun problema di rigetto. 8 / 10

9 La differenza sta nel fatto che anni fa non si sapeva ancora che il tessuto adiposo autologo che trapiantavamo è in realtà una fonte ricchissima di cellule staminali. E poter sfruttare questa proprietà ci mette nelle condizioni di avere risultati eccellenti anche nei casi di anisomastia, ossia in pazienti che abbiano un seno diverso dall'altro in quanto a forma e dimensione. Va detto, però, che anche se questo nuovo intervento è sicuramente indicato a tutte le pazienti, generalmente più sono giovani e migliore è la qualità delle staminali. L'aumento che si ottiene con il lipofilling è generalmente di una taglia. Per poter essere eseguito è necessario sottoporre la paziente ad una liposuzione per prelevare il grasso e le cellule staminali, quindi bisogna che lei abbia del tessuto adiposo da prelevare, dunque ad una ragazza magrissima non si può fare. Non solo, le pazienti devono sapere che comunque nel tempo una parte, se pur minima, del grasso viene riassorbita. E che l'aumento del seno con lipofilling, generalmente, ha un limite di volume, per cui se si vuole un seno molto grande bisogna necessariamente usare impianti protesici. Il risultato che si ottiene con il lipofilling, di contro, è estremamente naturale. Il lipofilling con staminali è un intervento che si esegue generalmente in anestesia generale, e prevede una notte di ricovero in clinica. La raccomandazione è quella di affidarsi sempre a specialisti in chirurgia plastica ed estetica ( ) che operino in strutture (siano esse pubbliche o private) qualificate, alla presenza di un anestesista, per una chirurgia estetica sicura. Rif.: L'Espresso Svizzera. Staminali contro leucemia. Nuova scoperta. Ricercatori svizzeri, grazie a ricerche di laboratorio con l'uso di topi, hanno scoperto un nuovo mezzo che permette di lottare contro la leucemia. Ma bisognera' attendere almeno cinque anni per lo sviluppo di farmaci efficaci. I ricercatori dell'hopital de l'ile di Berna, dell'universita' della stessa citta' e dell'ospeale Universitario di Basilea hanno scoperto che lo sviluppo della leucemia e' dovuto allo stimolo delle cellule staminali attraverso una molecola di crescita, la CD27. Ora questa molecola puo' essere bloccata con l'uso di anticorpi. Pubblicato il mese scorso sulla rivista internazionale specializzata "The Journal of Clinical 9 / 10

10 Investigation", si auspica possa servire contro il cancro al sangue, altrimenti conosciuto come leucemia. Rif.: ADUC Redazione 10 / 10

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