Lezioni e Sentenze di Diritto Penale
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- Dorotea Berti
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1 Lezioni e Sentenze di Diritto Penale Se i vari membri dell organo deliberante (o consultivo, tecnico, istruttorio, ecc.) si accordano per rifiutare o omettere l atto dell ufficio, risponderanno tutti a titolo di concorso; ove, per contro, indipendentemente dall accordo, i componenti votino in modo che sia rifiutato o omesso l atto dovuto, ciascuno dovrà rispondere autonomamente del delitto de quo, sempre che la sua condotta sia assistita dal dolo prescritto dalla norma in esame. Con specifico riguardo al delitto di cui al secondo comma, l illecito dovrà essere imputato non già al soggetto che ha la rappresentanza esterna del collegio, bensì ai singoli componenti dell organo, purché, avendo l interessato indirizzato la sua istanza a ciascuno dei membri del collegio, nessuno di essi abbia provveduto a fornire, nel termine previsto, la spiegazione delle ragioni giustificative del ritardo o del silenzio. 6. La reità mediata Con l espressione autore mediato si fa generalmente riferimento a colui che si serve per commettere il reato di soggetti non punibili ( autori immeditai ), rispondendo della condotta illecita da questi posta in essere non in qualità di concorrente, bensì in qualità di unico autore, appunto mediato, in forza della norma incriminatrice di parte speciale. Il soggetto non punibile, per contro, essendo mero strumento dell altrui volontà, andrà esente da sanzione penale. Uno dei referenti normativi dell istituto in esame è rappresentato dall art. 48 c.p., che sancisce l applicazione della disciplina relativa all errore sul fatto di cui all art. 47 c.p. anche alle ipotesi in cui l errore sia stato determinato dall altrui inganno, sottoponendo in questo caso a sanzione penale l autore dell inganno. Perché il soggetto ingannato sia sottratto alla responsabilità penale è necessario che l errore: cada sul fatto, ossia su elementi costitutivi, positivi o negativi (derivando indifferentemente da errore di fatto, di norme extrapenali o extragiuridiche); sia incolpevole (altrimenti risponderebbe del reato colposo, se il fatto fosse previsto dalla legge come tale); sia escluso il dolo di altro reato (altrimenti l ingannato risponderebbe di questo diverso reato, e l ingannatore risponderebbe del reato che ha voluto far commettere all autore diretto); sia un errore inevitabile sul precetto. A sua volta l ingannatore risponderà del reato che ha fatto commettere al deceptus se: ha agito con dolo rispetto al reato posto in essere; anche nell ipotesi in cui il soggetto ingannato versi in colpa, essendo di regola ammesso il concorso doloso nell altrui reato colposo. Non si può tuttavia sottacere che la dottrina maggioritaria nega cittadinanza nel nostro ordinamento alla figura in esame, che ha solo valenza de- 650
2 Lezione P12 scrittiva, sostenendo che i casi tradizionalmente inquadrati nel paradigma della reità mediata sarebbero in realtà riconducibili allo schema del concorso di persone di cui agli artt. 110 ss. c.p. (a tal proposito si richiamano soprattutto i casi disciplinati, oltre che dell art. 48 c.p., dagli artt. 46, 54, u.c., 86, 111, 119 c.p.). Secondo tale orientamento, infatti, in tutte queste ipotesi, del reato commesso risponde soltanto colui che si è servito dell altrui condotta materiale non in quanto autore mediato, bensì in quanto concorrente con il soggetto non punibile. Del resto, sulla scorta della teoria c.d. della fattispecie plurisoggettiva eventuale, secondo cui la responsabilità del concorrente discende dall integrazione tra la norma di parte generale (art. 110 c.p.) e le singole norme incriminatrici di parte speciale, nulla impedirebbe di ritenere responsabile il decipiens in forza della combinazione tra la condotta materiale del soggetto non punibile e l elemento psicologico sussistente in capo all ingannatore medesimo. In altre parole, sarebbe inutile fare ricorso alla figura dell autore mediato, poiché questi sarebbe comunque punibile quale concorrente. Ciò è possibile affermarlo poiché nel nostro ordinamento il concorso di persone abbraccia qualsiasi forma di compartecipazione, compresi i comportamenti materiali atipici, come quelli dell autore mediato, oltre che l ipotesi del concorso cd. unilaterale in cui solo uno dei correi, nel nostro caso l autore mediato, sa di concorrere nella commissione di un reato. Inoltre, va osservato che il concorso di persone è configurabile anche quando uno o più concorrenti non siano lato sensu punibili (ad esempio, per mancanza dell elemnto soggettivo o perché non imputabile; ciò lo si desume dagli artt. 111, 112, co. 4, e 119 c.p.). Si ritiene dunque che tutte le ipotesi normative di reità mediata costituiscono figure speciali di concorso la cui incriminazione però non deriva dall art. 110 c.p., ma dalla combinazione dell articolo sulla reità mediata con la norma di parte speciale. Da tale impostazione deriva l applicabilità alle ipotesi di reità mediata della disciplina del concorso di persone ed, in particolare delle previsioni di cui agli artt. 112 e 114, sulle circostanze, e all art. 118 c.p., sulla comunicabilità delle stesse tra i concorrenti. Altra dottrina per contro rivendica in favore dell art. 48 c.p., e delle altre norme un ruolo autonomo rispetto alla normativa in materia di concorso di persone, ritenendo che si tratti di reati monosoggettivi dell autore mediato desumibili dal combianto disposto della norma sulla reità mediata e della norma incriminatrice. Da questa tesi deriva inapplicabilità a tali ipotesi della disciplina concorsuale. Si è anche osservato che aderendo alla tesi monistica della reità mediata in relazione alle figure di reato proprio, nelle quali il bene giuridico può essere leso soltanto dal soggetto qualificato e consapevole, l art. 48 c.p. consentirebbe di affermare, in deroga all art. 110 c.p., la responsabilità del decipiens qualora la mancanza di dolo da parte del soggetto qualificato derivi dal suo inganno (tuttavia, tale corollario non è esclusivo di tale tesi, ma va condiviso con quella precedentemente esposta, se si ritiene che anche rispetto al reato proprio il concorso (nel nostro caso dell autore mediato) 651
3 Lezioni e Sentenze di Diritto Penale sussiste anche qualora l intraneo (nel nostro caso l autore immediato) non è punibile perché difetta l elemento soggettivo: sul punto v. par. 5). Anche la Corte di Cassazione ha più volte riconosciuto che l ipotesi contemplata dall art. 48 c.p. esula dalla generale figura del concorso di persone nel reato, riconoscendo a tale proposito che la responsabilità dell autore mediato si configura anche in relazione ai reati cc.dd. propri, in cui la qualifica del soggetto attivo rappresenta un presupposto o un elemento costitutivo della fattispecie criminosa. Secondo questo orientamento (il riferimento è, tra le altre, alla sentenza n. 4411/96) risponde del reato di peculato, a norma degli artt c.p., anche l extraneus che, traendo in inganno il pubblico ufficiale o l incaricato di pubblico servizio, per il tramite di questo si appropri di una cosa da questi posseduta, per ragione del suo ufficio. Altra questione controversa affrontata dalla giurisprudenza di legittimità riguarda il rapporto tra l art. 48 e l art. 116 c.p., concernente l istituto del concorso anomalo. Con la pronuncia n /04 la Corte di Cassazione ha affermato che: non ricorre la fattispecie del c.d. concorso anomalo, bensì quella prevista dall art. 48 c.p., nel caso in cui si accerti che i concorrenti non abbiano avuto un accordo criminoso comune inteso come convergenza delle volontà dei soggetti in concorso ed il reato sia stato realizzato in conformità della reale intenzione di un concorrente dissimulata all altro. Nell esplicare il seguente principio di diritto la Suprema Corte ha poi precisato che: in virtù del disposto dell art. 48 c.p. l autore dell inganno che volle e ha poi commesso il delitto, risponde del fatto-reato secondo il titolo per il quale sarebbe stato chiamato a risponderne l altro concorrente, autore materiale del fatto, e, cioè, non in base ad una forma di concorso nel reato, ma ad una forma di reità mediata, che alla punibilità dell autore materiale, esclusa per difetto dell elemento psicologico e che, per tale motivo, rende inconcepibile un comune accordo criminoso si sostituisce quella di colui che ha posto in essere la condotta in concreto voluta e realizzata. (Si rinvia alla dispensa per l esame di Cass. n /2006, che ha discutibilmente, alla luce di quanto fin qui esposto, escluso l operatività della reità medita ex art. 48 c.p. rispetto all abuso d ufficio stante il dolo intenzionale che caratterizza tale reato) L applicazione dell art. 48 c.p. nel reato di falso ideologico in atto pubblico e i rapporti con il reato di cui all art. 483 c.p.: l intervento delle Sezioni Unite La fattispecie criminosa rispetto alla quale si è più volte posto nella prassi giudiziaria il problema dell applicazione dell istituto della reità mediata è costituita da una ipotesi di reato proprio, ossia dal falso ideologico del pubblico ufficiale in atto pubblico prevista dall art. 479 c.p. Risulta infatti talvolta difficile distinguere i casi in cui il privato, avendo 652
4 Lezione P12 ingannato il pubblico ufficiale, lo abbia indotto a commettere il falso ideologico in atto pubblico, e debba pertanto rispondere in forza del combinato disposto degli artt c.p., dai casi in cui si renda responsabile del delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, previsto dall art. 483 c.p. Preliminarmente è opportuno fare un breve cenno a due pronunce del 1999 (rispettivamente n. 6 e n. 28) con cui le Sezioni Unite hanno chiarito la portata del delitto di cui all art. 483 c.p., affermando che il delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico è configurabile nel solo caso in cui una specifica disposizione di legge attribuisca all atto la funzione di provare i fatti attestati dal privato al pubblico ufficiale, così collegando l efficacia probatoria dell atto stesso al dovere del dichiarante di affermare il vero; da ciò consegue che non può integrare il delitto de quo la falsa denuncia di smarrimento di assegno bancario, posto che nessuna norma giuridica attribuisce alla denuncia stessa l idoneità a provare né la verità del fatto denunciato né la preesistenza del documento asseritamente smarrito. Aderendo dunque alla c.d. teoria formale, le Sezioni Unite ritengono integrata la fattispecie di cui all art. 483 c.p. soltanto allorché vi sia una specifica previsione normativa che conferisca valore de veritate alla dichiarazione del privato verbalizzata dal pubblico ufficiale, imponendo al primo l obbligo di dichiarare il vero al secondo (si pensi alla falsa denuncia di smarrimento della patente di giuda verbalizzato dal pubblico ufficiale, la legge infatti attribuisce al verbale valore de veritate, nel senso che quel verbale è uno dei presupposti necessari per il rilascio di un nuovo documento di guida). Tornando alla questione suesposta, si verterà in tema di falso ideologico del pubblico ufficiale per induzione (ex artt c.p.) ogni qualvolta l autore diretto della falsità sia il pubblico ufficiale che, ingannato dal privato (autore mediato), abbia dichiarato fatti diversi dal vero, mentre sarà applicabile l art. 483 c.p. allorché autore immediato del falso sia il privato in persona. Sul punto la giurisprudenza di legittimità è da tempo consolidata (cfr., tra le altre, Cass ; , n. 3302; , n. 2829). In sostanza, perché si configuri l ipotesi di reato di cui all art. 483 c.p., e non quella più grave di cui agli artt. 48, 479 c.p., è necessario che la falsa attestazione riguardi fatti che il pubblico ufficiale si limita a riportare nell atto pubblico come provenienti dal privato, fatti della cui veridicità risponde, pertanto, il solo dichiarante, atteso che, in questo caso, l attività del p.u. si riduce ad una mera trasfusione nell atto da lui redatto della dichiarazione ricevuta. Per contro, sarà integrata la fattispecie di cui agli artt c.p. ogni qualvolta il privato attesti al pubblico ufficiale fatti rilevanti ai fini della formazione del documento, il quale contenga un attestazione propria del p.u.; in questo caso, infatti, quantunque formulata sulla base delle fuorvianti indicazioni ricevute dal privato, l attestazione falsa è direttamente riconducibile al p.u. che, tuttavia, non ne risponderà in quanto ingannato dal privato dichiarante. Copiosa la casistica giurisprudenziale sul tema. A titolo meramente 653
5 Lezioni e Sentenze di Diritto Penale esemplificativo si cita: Cass , n. 5832, per cui risponde del delitto di cui agli artt. 48 e 479 c.p. colui che, nella domanda di iscrizione nelle liste speciali per i giovani, attesti falsamente fatti rilevanti ai fini della formazione della graduatoria, inducendo così il funzionario responsabile dell ufficio di collocamento a redigere una graduatoria degli aspiranti al lavoro falsa nel contenuto; Cass , n. 9938, per cui risponde di falsità ideologica in atto pubblico commessa dal pubblico ufficiale per errore determinato dall altrui inganno un privato che mediante false dichiarazioni aveva ottenuto in modo non conforme alla realtà l inserzione nella graduatoria degli aspiranti all avviamento al lavoro, formata dalla commissione comunale di collocamento ai sensi dell art. 5 l. 285/1977; Cass , n. 292, fattispecie in cui era stata presentata al pubblico ufficiale la false attestazione sullo svolgimento di attività lavorativa in Italia da parte di cittadino extracomunitario, essendo tale attività lavorativa presupposto di fatto per il rilascio del permesso di soggiorno. Un ulteriore questione riguarda la possibilità che il reato di cui al combinato disposto degli art. 48 e 479 c.p. concorra con il reato di cui all art. 483 c.p. Ciò può accadere tutte le volte in cui si sia in presenza di una dichiarazione non veridica del privato che concerna fatti dei quali l atto del pubblico ufficiale è destinato a provare la verità, poiché solo in tal caso, come visto, è configurabile il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico. Il contrasto interpretativo insorto in seno alla giurisprudenza di legittimità è stato oggetto della decisione delle Sezioni Unite del , n , che hanno concluso nel senso che il delitto di falsa attestazione del privato può concorrere con quello della falsità per induzione del pubblico ufficiale nella redazione dell atto al quale l attestazione inerisca (leggila in dispensa; si trattava, nella specie, della falsa dichiarazione sostitutiva dell atto di notorietà (che integra il reato ex art. 483 c.p.), nella quale si affermava che una società era iscritta all albo nazionale costruttori anteriormente ad una certa data, falsa dichiarazione che aveva indotto il dirigente della stazione appaltante ad attestare nell atto pubblico posto in essere (proposta di aggiudicazione dell appalto) che l impresa anzidetta era iscritta all albo nazionale da quella data; sul reato ex art. 483 c.p. commesso da chi rende una falsa dichiarazione sostitutiva di atto notorio o di certificazione, v. lezione n. 14). Tale conclusione viene giustificata per il fatto che la premessa contenuta nella parte descrittiva dell atto pubblico, non è la mera circostanza che sia intervenuta un attestazione del mentitore (affermazione che induce l orientamento opposto ad escludere il falso per induzione, negando la falsità dell atto redatto dal p.u.), bensì che il fatto rappresentato in quella dichiarazione sia certo ed integri l esistenza di un elemento necessario per l emanazione dell atto pubblico. Il provvedimento del pubblico ufficiale è ideologicamente falso in quanto adottato sulla basa di un presupposto (il fatto falsamente dichiarato dal privato) che in realtà non esiste. Le Sezioni Unite ammettono il concorso dei due reati anche perché ritengono configu- 654
6 Lezione P12 rabile due condotte riconducibili al decipens: una prima consistente nella redazione della falsa dichiarazione sostitutiva e una seconda concretatasi nell induzione in errore del pubblico ufficiale mediante produzione della stessa ai fini dell integrazione di un presupposto dell atto pubblico emanando. 7. Il concorso esterno in associazione mafiosa: l evoluzione della giurisprudenza dalla sentenza Demitry ai più recenti arresti della Cassazione Il delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso ex art. 416-bis c.p. è la figura criminosa rispetto alla quale si è posto in modo particolarmente acuto negli ultimi tempi il problema del concorso dell estraneo in un reato plurisoggettivo necessario proprio. L istituto del concorso di persone nel reato, mediante la combinazione della clausola generale di cui all art. 110 c.p. con le norme di parte speciale che prevedono i reati-base, consente di estendere l area della punibilità a condotte, altrimenti atipiche e dunque non penalmente sanzionabili, realizzate da soggetti esterni all associazione. Il dibattito, rispetto all associazione mafiosa, si è dapprima incentrato sulla stessa possibilità di attribuire rilievo penale a siffatte condotte, a causa della mancanza nel nostro ordinamento di una norma di diritto positivo che contempli espressamente tale fattispecie. In seguito, risolta positivamente la prima questione, l attenzione di dottrina e giurisprudenza si è incentrata sull individuazione dei requisiti in presenza dei quali il contributo dell estraneo possa ritenersi meritevole di sanzione penale. Circa l ammissibilità stessa del concorso, pur ammettendosi pacificamente il concorso morale dell estraneo (si pensi al classico caso del padre che, non facendo più parte dell associazione mafiosa, istighi il figlio ad entrarvi), si è per lungo tempo negata la possibilità di sanzionare penalmente il concorso materiale (meno dubbi sono emersi in giurisprudenza circa la configurabilità del concorso esterno nell associazione semplice ex art. 416, ribadita di recente da Cass , n ). In estrema sintesi, due sono stati gli argomenti addotti a sostegno della tesi negazionista: vi sarebbe perfetta sovrapponibilità, sia sotto il profilo dell elemento oggettivo del reato sia in relazione al dolo, tra la condotta del partecipe e quella del concorrente esterno, specie ponendo mente al dato letterale dell art. 110 c.p., secondo cui i concorrenti devono realizzare il medesimo reato : non sarebbe dunque possibile distinguere le due ipotesi; sarebbe già di per sé esaustiva la normativa che punisce il collateralismo mafioso (si pensi, ad esempio, all aggravante prevista dall art. 378 cpv. c.p. e dall art. 7 del D.l. 152/91), la cui introduzione nel nostro ordinamento sarebbe stata superflua qualora si fosse ritenuto ammissibile il concor- 655
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