PROBLEMA DELLA QUALIFICAZIONE GIURIDICA DEL SILENZIO

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1 IL SILENZIO AMMINISTRATIVO PROF.SSA CARMENCITA GUACCI

2 Indice 1 PROBLEMA DELLA QUALIFICAZIONE GIURIDICA DEL SILENZIO L EVOLUZIONE STORICA DEL PROBLEMA DELLA QUALIFICAZIONE GIURIDICA DEL SILENZIO DELLA P.A VARIE FIGURE DI SILENZIO DISCIPLINA NORMATIVA E FORMAZIONE DEL SILENZIO ASSENSO IL PROVVEDIMENTO TARDIVO CONFRONTO CON LA SEGNALAZIONE CERTIFICATA DI INIZIO ATTIVITÀ LA DIFFERENZA PRINCIPALE CONCERNE L OGGETTO ALTRE FIGURE DI SILENZIO SIGNIFICATIVO LA PROPOSIZIONE DELL AZIONE RISARCITORIA NEL PROCESSO AVVERSO L INERZIA DELL AMMINISTRAZIONE di 42

3 1 Problema della qualificazione giuridica del silenzio Il problema della qualificazione giuridica del silenzio della pubblica amministrazione riveste notevole importanza con riferimento alla tutela del privato nei confronti dell amministrazione, anche nei casi di inerzia della stessa, quando tale comportamento omissivo lo danneggi. Al riguardo è da notare che prima della entrata in vigore della legge n.241 del 1990, in materia di procedimento amministrativo, non vi era nel nostro ordinamento giuridico una norma che, in armonia con i principi di buona amministrazione e di imparzialità di cui all art. 97 della Cost. imponesse in via generale alla pubblica amministrazione di concludere il procedimento amministrativo con un provvedimento esplicito. L assenza di una norma di questo tipo incentivava i silenzi ed i comportamenti intenzionalmente o involontariamente ostruzionistici della pubblica amministrazione determinando un vuoto di tutela degli interessi a fronte di dette omissioni. Tale panorama normativo è stato profondamente innovato dalla promulgazione della legge n. 241 del 1990 che, all art. 2, ha sancito l obbligo generale della pubblica amministrazione di concludere il procedimento mediante l adozione di un provvedimento espresso. Da parte della dottrina prevalente si ritiene che l art. 2 della legge n. 241 del 1990 abbia generalizzato l obbligo, o meglio il dovere di concludere il procedimento amministrativo determinando l illegittimità dei comportamenti omissivi e delle inerzie della pubblica amministrazione ed attribuendo al privato un vero e proprio diritto alla conclusione del procedimento. 3 di 42

4 2 L evoluzione storica del problema della qualificazione giuridica del silenzio della p.a. Alle origini del nostro sistema di giustizia amministrativa, il problema della proponibilità di un azione giurisdizionale avverso l inerzia della amministrazione non è emerso mai in tutta la sua evidente drammaticità. L assenza del tema in esame dal panorama giuridico italiano viene tradizionalmente ricondotta alla natura impugnatoria del sindacato giurisdizionale nei confronti dell amministrazione. Invero, secondo l orientamento in esame, la legge n.2248/1865, all. E), e la legge n. 5992/1889 avevano configurato un sistema di giustizia amministrativa in cui la reazione avverso l inerzia dell amministrazione non era prospettabile innanzi al giudice ordinario, al quale rimaneva precluso ogni incursione nel territorio degli interessi legittimi, né innanzi al Consiglio di Stato, che poteva essere adito solo con un azione di annullamento di un atto o di un provvedimento amministrativo illegittimo. Solo in presenza di un atto o di un provvedimento amministrativo era contemplata la possibilità di proporre ricorso. Invece, ogni qual volta, la pubblica amministrazione fosse rimasta inerte, non era prevista la possibilità di invocare la tutela giurisdizionale. La giurisprudenza resa nella fase in esame non ha mai fondato il diniego di tutela avverso il silenzio sulla natura impugnatoria del processo amministrativo. Al contrario, dalla lettura delle pronunce del Consiglio di Stato emesse nella fase anteriore al 1900, emerge che l argomento fondamentale per negare tutela giurisdizionale avverso l inerzia dell amministrazione era rappresentato dall assenza del dovere di provvedere pubblica amministrazione sulle istanze che venivano presentate dai privati, per la presenza di un potere discrezionale o di un potere di natura politica. La giurisprudenza si occupò dell istituto del silenzio per la prima volta relativamente all inerzia serbata dall amministrazione nei confronti di un ricorso gerarchico. L esigenza di tutelare il privato avverso l inerzia dell amministrazione balzò, per la prima volta, alla ribalta delle cronache giudiziarie, in una ipotesi di silenzio serbato dall amministrazione su un ricorso gerarchico. Si discusse se la proposizione del ricorso gerarchico imponesse all amministrazione l obbligo giuridico di provvedere e se, in caso di sua perdurante inerzia, fosse possibile adire il Consiglio di Stato. 4 di 42

5 Il problema della impugnabilità del silenzio serbato dall amministrazione su un ricorso gerarchico venne affrontato dalla sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, n.409, che fornì per la prima volta una soluzione positiva al problema sollevato. Il Consiglio di Stato equiparò il silenzio serbato su di un ricorso gerarchico al rigetto, La predetta equiparazione operò sul piano sostanziale dell interesse a ricorrere e non su quello processuale dell impugnazione di un provvedimento, quale requisito per accedere alla tutela giurisdizionale. Il problema principale che il giudice si pose era quello di individuare un meccanismo giuridico che consentisse l accesso alla tutela giurisdizionale e la soluzione venne ravvisata nella notifica della diffida, che permetteva di conferire all inerzia il significato di rigetto della istanza. Il problema della qualificazione giuridica del silenzio rimase, invece, sullo sfondo. L equiparazione del silenzio a un provvedimento negativo avvenne sul mero piano della configurazione dell interesse a ricorrere, non essendo concepibile consentire la proposizione di un ricorso in caso di accoglimento dell istanza proposta dal privato. La predetta equiparazione operò sul piano dell interesse a ricorrere, non su quello della configurazione di un atto o provvedimento da dover necessariamente impugnare per poter accedere alla tutela giurisdizionale. In definitiva il Consiglio di Stato con la sentenza del 1902 introdusse una nuova forma di tutela accanto a quella tipica di annullamento, però non si pose alcun problema di qualificazione giuridica del silenzio, non ritenne necessario configurarlo come un atto (anche perché a monte vi era la decisione negativa contestata con il ricorso gerarchico). L impostazione metodologica della dottrina, invece, fu del tutto differente. Innanzi tutto, va evidenziato che il problema del silenzio venne esaminato da un punto di vista sostanziale. La dottrina studiò il silenzio al fine di attribuirgli o di negargli natura di dichiarazione tacita di volontà. L indagine sul silenzio, pertanto, avvenne nell ambito della teoria degli atti amministrativi. I commentatori della sentenza e la dottrina del silenzio, travisarono la vera essenza della pronuncia del Consiglio di Stato e rappresentarono l inerzia come un provvedimento negativo, in presenza del quale poteva pronunciarsi il Consiglio di Stato. La dottrina nell interpretare la pronuncia del Consiglio di Stato ricalcò l impostazione metodologica che la dottrina privatistica dette al tema del silenzio in quegli anni. 5 di 42

6 In altri termini, la dottrina, influenzata dall elaborazione teorica dei civilisti, configurò il silenzio come una manifestazione tacita di volontà e poi sostenne che tale configurazione era conforme alla natura impugnatoria del processo amministrativo. In questo modo, venne occultata la novità introdotta dalla giurisprudenza e la nuova tutela venne ricondotta nelle tipologie ordinarie di tutela, rendendola inefficace. La dottrina, invece di cogliere il carattere innovativo della decisione del Consiglio di Stato, quasi sorpresa dalla pronuncia, tentò di ricondurla negli ambiti degli assetti tradizionali. La pronuncia del Consiglio di Stato n. 429/1902, al contrario, presentava tratti di rilevante innovatività. Infatti, il Consiglio di Stato riconosceva che la tutela giurisdizionale non consisteva soltanto nell annullamento del provvedimento lesivo, ma sussisteva anche quando l amministrazione ometteva di provvedere su una istanza del privato, nel caso specifico su di un ricorso gerarchico. Si era in presenza di un indiscusso ampliamento della tutela sino ad allora riconosciuta. La dottrina, invece, di prendere atto di ciò, cercò di ricondurre, la nuova ipotesi di tutela nell alveo di quella tradizionale, in altri termini di ricondurre l azione avverso il silenzio nell ambito della tutela di annullamento di un atto. La dottrina pubblicistica, che in questa fase si occupò della rilevanza giuridica del silenzio, recependo i risultati della teoria privatistica sul negozio giuridico, condusse a maturazione l equiparazione del silenzio a una manifestazione di volontà, parlando di volta in volta di provvedimento tacito o di provvedimento implicito. Questa tesi non fu esente da critiche, Infatti secondo un autorevole dottrina non è possibile ricondurre il comportamento inerte della pubblica amministrazione a qualunque tipo di atto della pubblica amministrazione, espresso, tacito o presunto che a dir si voglia. I casi in cui l inerzia può essere equiparata ad un provvedimento ricorrono solo quando è la stessa legge che le attribuisce un determinato significato (positivo o negativo), vale a dire nelle sole ipotesi di silenzio tipizzato. Quindi, il silenzio assenso e il silenzio rifiuto, poiché per legge hanno un determinato valore legale tipico, possono essere equiparati ad un provvedimento e di conseguenza per loro non si pone un problema di qualificazione. Il problema della qualificazione riguarda la mera inerzia della pubblica amministrazione, vale a dire quei casi in cui la legge non dice nulla in proposito. In definitiva, se l inerzia ha valore di rifiuto o di silenzio assenso e, pertanto, ha un valore legale tipico 6 di 42

7 ed è assimilata ad un provvedimento, non vi è silenzio; se vi è silenzio, invece, non vi è alcun provvedimento. Questa tesi prende le distanze da quella dottrina pubblicistica che aveva ricalcato i risultati delle teorie privatistiche per spiegare il concetto di silenzio, affermando che l amministrazione, pur in presenza di un obbligo di provvedere, non è tenuta a esprimere necessariamente una manifestazione di volontà; quello che conta è che l amministrazione abbia agito bene, ovvero abbia effettuato la valutazione comparativa degli interessi coinvolti. Il silenzio, secondo questa tesi, è una pausa dell azione amministrativa, un punto di crisi nello svolgimento della funzione amministrativa. In altri termini, la pubblica amministrazione, quando non esercita l attività diretta alla realizzazione dell interesse pubblico, viola l interesse pubblico. La mancanza di attività rileva come silenzio giuridicamente rilevante perché l inerzia contrasta con l interesse pubblico. L amministrazione nell esercizio della sua discrezionalità deve pronunciarsi sulla domanda del privato, cioè deve provvedere. Il silenzio si ha quando la pubblica amministrazione non adempie all obbligo di evadere la domanda del privato, nel senso di valutare la conformità del provvedimento richiesto all interesse pubblico. Si ha, pertanto, silenzio, quando la pubblica amministrazione, investita da una domanda, non comunica al privato il risultato della sua valutazione. In definitiva, il silenzio è un fatto completamente estraneo alla volontà amministrativa che rileva come esercizio difettoso della funzione amministrativa. Il silenzio, in altri termini, viene inteso come un comportamento inerte al quale la legge attribuisce certi effetti sostanziali e processuali a prescindere dal reale contenuto della volontà della pubblica amministrazione. Successivamente, anche il legislatore equiparò il silenzio al rigetto, al fine dell esperibilità del ricorso giurisdizionale e regolò all art. 5, quarto e quinto comma, del r.d n.383, (testo unico della legge comunale e provinciale) il caso del silenzio della p.a. su un ricorso gerarchico, precisando gli adempimenti necessari a carico dell interessato per ottenere l accertamento del silenzio della p.a. ( c.d. silenzio rigetto) e poterlo, quindi, impugnare in sede giurisdizionale. Non si prevedeva, invece, nulla in ordine al silenzio della p.a., nelle ipotesi in cui essa aveva l obbligo di provvedere indipendentemente dalla presentazione di un ricorso (c.d. silenzio rifiuto). La giurisprudenza ritenne che, anche in tal caso, si dovesse applicare la procedura prevista dall art. 5 del T.U per il silenzio rigetto. Nel 1971 la disciplina prevista dall art. 5 del TU. è stata 7 di 42

8 modificata dalla legge 1034 del 1971 (istitutiva dei T.a.r.) e, successivamente, dal d.p.r del 1971 (sui ricorsi amministrativi). Tuttavia, l innovazione legislativa riguardava solo l ipotesi del silenzio serbato su ricorso amministrativo. La regola posta dall art. 5 r.d. 383/1934 venne applicata anche agli altri ricorsi amministrativi, ma non venne estesa anche al ricorso straordinario. In un primo momento, la giurisprudenza escluse che la regola del citato art. 5 potesse essere applicata anche a istanze diverse dai ricorsi amministrativi. Solo successivamente si diffuse la convinzione che in ogni caso era necessario attendere il decorso di almeno centoventi giorni dalla presentazione della richiesta all amministrazione e, poi, era possibile notificarle un atto di diffida a provvedere, assegnandole un termine non inferiore a sessanta giorni. L inerzia protratta oltre tale termine poteva essere impugnata innanzi al giudice amministrativo o in sede di ricorso straordinario. In definitiva, la norma introdotta dall art. 5 r..d. n. 383/1934 assunse il significato di principio generale valido in tutti i casi di inerzia dell amministrazione, ad esclusione delle ipotesi di silenzio accoglimento. Il problema da affrontare, secondo l orientamento in esame, era quello della sorte riservata alle ipotesi di mero silenzio inadempimento, vale a dire a quei casi in cui, per mancanza di una espressa previsione normativa, il silenzio non assumeva valore legale tipico. A tale sviluppo normativo e dottrinale la giurisprudenza fece seguire un importante pronuncia, resa dall Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato. L Adunana plenaria con sentenza n. 10 del , pronunciandosi sulle modalità di formazione del silenzio rifiuto, in seguito all entrata in vigore del d.p.r. n del 1971 e della l. n del 1971, affermò che la disciplina della diffida, in caso di inerzia della pubblica amministrazione, in difetto di un altra fonte idonea, doveva rinvenirsi in via analogica nell art. 25 del T.u. 10 gennaio 1957, n. 3. In definitiva, in tale occasione, la magistratura amministrativa, accogliendo la posizione espressa in dottrina, ritenne di dover applicare al silenzio rifiuto la procedura contemplata dall art. 25 del d.p.r. 3 del 1957 (Testo Unico degli impiegati civili dello Stato), per cui decorsi inutilmente 60 giorni dalla presentazione di un istanza il privato doveva diffidare e mettere in mora la pubblica amministrazione affinché provvedesse entro un termine di almeno 30 giorni. Decorso 8 di 42

9 infruttuosamente tale termine, era possibile impugnare il silenzio- rifiuto dinanzi al giudice amministrativo. Con l impiego di tale impostazione si giunse all entrata in vigore della l. n. 241/1990, il cui art. 2 introdusse il principio del dovere dell amministrazione di concludere il procedimento amministrativo con un provvedimento espresso. 9 di 42

10 3 Varie figure di silenzio Uno degli esiti più significativi della dottrina nella fase successiva all emanazione del r.d.383/1934 T.U sulle leggi comunali e provinciali è rappresentato dalla individuazione di diverse tipologie di silenzio. Una prima tipologia è quella del silenzio serbato dall amministrazione, obbligata a provvedere su una istanza del privato, che le abbia anche prefissato un termine, che va considerato come rifiuto di provvedere nel senso richiesto dall interessato. Nel periodo in esame prende avvio l elaborazione della figura del silenzio assenso, che poi negli anni successivi giungerà a completa maturazione. Nella fase iniziale di elaborazione, il silenzio della pubblica amministrazione era considerato una figura unitaria. Le differenze che esistevano fra le diverse situazione di inerzia erano prese in considerazione al solo limitato fine di individuare i casi in cui conferire all inerzia il valore legale tipico di accoglimento dell istanza ( cd. silenzio assenso o accoglimento) e quelli in cui attribuire il valore di rigetto ( cd. silenzio rigetto). Pur nella varietà di posizioni espresse sul silenzio assenso, si era soliti affermare che il silenzio assenso era equipollente a un determinato atto amministrativo. Nell ambito di questo orientamento generale cominciarono a delinearsi varie interpretazioni. La dottrina prevalente considerava come silenzio assenso tutte le situazioni nelle quali, in base a una norma, alla scadenza del termine entro il quale l autorità amministrativa doveva emanare un determinato atto, si produceva un effetto positivo di rilevanza sostanziale. In questo contesto appare interessante la tesi secondo cui il silenzio assenso dovrebbe essere inquadrato nell ambito dei comportamenti concludenti, vale a dire di quei comportamenti che pur non traducendosi in una pronuncia formale, legittimano l applicazione degli stessi principi e della stessa disciplina dell atto corrispondente. una parte della dottrina è ritornata sulla qualificazione del silenzio assenso come fenomeno diverso dall atto amministrativo. In particolare, tale dottrina ha prospettato la qualificazione del silenzio assenso provvedimentale come situazione di legittimazione ex lege. 10 di 42

11 Elemento tipico delle ipotesi di silenzio assenso sarebbe il venir meno, in conseguenza del decorso del termine, della necessità di un provvedimento amministrativo, per il verificarsi di certi effetti giuridici. In altri termini, la norma che introduce il silenzio assenso, nel suo contenuto tipico determina una equipollenza legale di effetti fra una condotta omissiva dell amministrazione (qualificata dalla decorrenza del termine) e la pronuncia richiesta all amministrazione stessa. Non si tratta, quindi né di una norma interpretativa (che attribuisca significato di concludenza a una condotta), né di norma costitutiva di provvedimenti amministrativi. La previsione del silenzio assenso va considerata nella logica di quelle previsioni che attribuiscono a una condotta non significativa di un soggetto l effetto tipico di un atto (di un negozio giuridico nel diritto privato, di un atto amministrativo nel diritto amministrativo). Per questa ragione il silenzio assenso può essere considerato nella logica delle valutazioni legali tipiche. Secondo, infine, un autorevole tesi il silenzio assenso è un ipotesi di silenzio significativo in cui la norma attribuisce determinati effetti, un determinato significato (positivo in questo caso) alla inerzia della pubblica amministrazione. Si può dire che con la previsione delle ipotesi di silenzio significativo il legislatore ha individuato, a favore del cittadino, una particolare forma di tutela che può essere definita preventiva, in quanto con tale previsione interviene direttamente per scongiurare gli effetti pregiudizievoli connessi all inerzia della pubblica amministrazione, riconoscendo al silenzio dell amministrazione un significato legale tipico non produttivo di effetti lesivi. Nel caso invece di silenzio inadempimento, il legislatore, invece, come poi vedremo, ha espressamente disciplinato una forma di tutela successiva con la previsione di un apposito rito processuale per consentire al cittadino di rivolgersi all autorità giudiziaria per eliminare gli effetti pregiudizievoli prodotti dall inerzia della pubblica amministrazione. 11 di 42

12 4 Disciplina normativa e formazione del silenzio assenso n.241/1990. La disciplina normativa dell istituto del silenzio assenso è contenuta nell art. 20 della l. La fattispecie del silenzio assenso, che trova applicazione nei casi procedimenti a istanza di parte ricorre quando, in presenza di presupposti e requisiti fissati tassativamente dalla legge, viene attribuito al comportamento inerte dell amministrazione il valore legale di provvedimento positivo di rilascio di un provvedimento ampliativo richiesto dal privato. Per la formazione del silenzio assenso, è necessaria la presentazione di un istanza di parte altrimenti il silenzio assenso non si forma. Inoltre, l amministrazione non deve comunicare all interessato, entro i termini di cui all art. 2 della l. n.241/1930, un provvedimento di diniego né indire, entro 30 giorni dalla presentazione dell istanza, una conferenza di servizi. La disciplina concernente la procedura di formazione del silenzio assenso è contenuta nel d.p.r. 26 aprile 1992 n.300 modificato con d.p.r. n. 407/1994. L art. 3 e l art. 4, comma 1, del regolamento di attuazione della legge n. 241/1990, prevedono che l atto di assenso si considera formato quando la domanda del privato indichi le generalità del richiedente e l oggetto e le caratteristiche dell attività da svolgere, con allegata una dichiarazione relativa alla sussistenza dei presupposti e dei requisiti previsti dalla legge per svolgere tale attività, ivi compresa la presenza dei requisiti soggettivi richiesti. La dichiarazione circa il possesso di tutti i requisiti per il rilascio delle autorizzazioni è rivolta ad evitare che l inerzia dell Amministrazione legittimi l esercizio dell attività in contrasto con la normativa di settore. In caso di incompletezza o irregolarità della domanda, l amministrazione entro 10 giorni, né dà comunicazione al richiedente e il termine per la formazione del silenzio decorre dal ricevimento della domanda regolarizzata, se l amministrazione non provvede alla comunicazione, il termine del procedimento decorre comunque dal ricevimento della domanda. All interessato viene rilasciata una ricevuta all atto di presentazione della domanda recante le indicazioni di cui all art. 8 della l. n.241/1990. In caso di istanza inoltrata a mezzo raccomandata, la ricevuta è costituita dall avviso stesso debitamente firmato, ed entro 3 giorni dal ricevimento 12 di 42

13 della domanda l amministrazione comunica all interessato le indicazione di cui all art. 8 della l. n. 241/1990. I termini per la formazione del silenzio assenso possono essere interrotti una sola volta dall amministrazione esclusivamente per la tempestiva richiesta, all interessato, di elementi integrativi o di giudizio che non siano già in possesso della pubblica amministrazione. Nel caso di richiesta di elementi integrativi, i termini iniziano a decorrere di nuovo dalla data di ricevimento, da parte della pubblica amministrazione, degli elementi richiesti. In sostanza, per invocare la formazione del silenzio assenso ai sensi dell art. 20 della legge n, 241/1990 va dimostrato, oltre al decorso del tempo, il possesso di tutte le condizioni di carattere oggettivo e dei requisiti soggettivi necessari per lo svolgimento dell attività per la quale vi è richiesta di autorizzazione amministrativa. Il legislatore ha escluso dall ambito di applicazione del silenzio assenso due ipotesi: a) quando l amministrazione, ai sensi dell art. 20, comma 2 della l. n. 241/1990, indice una conferenza di servizi entro 30 giorni dalla presentazione dell istanza. L espressione utilizzata dal legislatore può indire induce a ritenere che trattasi di una conferenza di servizi facoltativa. b) quando ai sensi del comma 4, dell art. 20 della l. n. 241/1990 si tratti di atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza e l'immigrazione, l immigrazione, l asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l'adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell'amministrazione come rigetto dell'istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti. Si tratta di una categoria di atti che per la rilevanza costituzionale degli interessi ad essi sottesi, devono essere oggetto di una espressa determinazione amministrativa atteso che in questi casi non è possibile equiparare all atto amministrativo espresso un eventuale comportamento inerte. Dopo la riforma del 2005, il silenzio assenso da istituto di carattere eccezionale è diventato istituto di carattere generale. Il regolamento governativo, che originariamente doveva prevedere i casi di ammissibilità dell istituto, ora è chiamato ad individuare i casi in cui esso non trova applicazione. Ogni controversia relativa all istituto del silenzio assenso è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. 13 di 42

14 5 Il provvedimento tardivo Una volta decorso il termine previsto per la maturazione del silenzio assenso, la pubblica amministrazione consuma il potere di decidere sull istanza del privato, in senso positivo come in senso negativo. In altri termini, l amministrazione in caso di insussistenza dei requisiti richiesti per lo svolgimento dell attività da parte del richiedente, può solo agire in via di autotutela con atto di annullamento del silenzio formatosi illegittimamente o con provvedimento di revoca, salva ove possibile, la sanatoria dei vizi da parte dell interessato entro un termine prefissato dall amministrazione stessa. Tuttavia, il provvedimento di annullamento del silenzio assenso non può identificarsi nel semplice diniego tardivo espresso, in quanto è necessario, in base ai principi generali in tema di autotutela, esternare i motivi di pubblico interesse che, nonostante il tempo trascorso e l affidamento ingenerato, richiedono l eliminazione dell atto tacito. Sul piano della tutela giurisdizionale ne deriva la legittimazione dell interessato ad impugnare il provvedimento tardivo di diniego, intrinsecamente illegittimo e a riprendere l attività tacitamente autorizzata a seguito dell annullamento dello stesso. E evidente che, nel caso in cui l amministrazione emani un provvedimento tardivo di accoglimento dell istanza, quest ultimo, pur se illegittimo, sarà confermativo del precedente assenso tacito. Qualora il privato ritenga di poter subire un pregiudizio in ragione dell intervento del provvedimento autorizzatorio tacito, può attivarsi al fine della tutela della propria sfera giuridica, in sede di partecipazione al relativo iter procedimentale o incentivando i poteri di autotutela della pubblica amministrazione. Il terzo, invece, potrà esperire, alla stregua delle regole generali, il ricorso giurisdizionale innanzi al Giudice amministrativo. 14 di 42

15 6 Confronto con la segnalazione certificata di inizio attività Il disposto dell art. 20, concernente l istituto del silenzio assenso è strettamente collegato al dettato dell art. 19, in tema di segnalazione certificata di inizio attività, atteso che come quest ultima figura, è informato ad un ottica di liberalizzazione dell attività dei privati e di miglioramento dei rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione. Nonostante tale affinità teleologica, i predetti istituti sono caratterizzati da profondi elementi di differenziazione sul versante strutturale. Mentre l art. 19 prevede i casi in cui al privato è riconosciuta la facoltà di intraprendere determinate attività economiche sulla base di una mera denuncia, L art. 20, prende in considerazione le ipotesi in cui la richiesta di un dato procedimento si considera accolta qualora entro un certo termine la pubblica amministrazione non comunichi all interessato il provvedimento di diniego. In altri termini, l art. 20 non incide in senso abrogativo sull esistenza del regime autorizzatorio che rimane inalterato, ma introduce una modalità semplificata di conseguimento dell autorizzazione. 15 di 42

16 7 La differenza principale concerne l oggetto L art. 19 riguardando materie soggette a provvedimenti autorizzatori a carattere sostanzialmente vincolato e quindi non richiedenti una complessa ponderazione comparativa degli interessi primari e secondari, legittima all esercizio immediato dell attività economica. L art. 20 afferendo a settori caratterizzati dall intervento di autorizzazioni a contenuto discrezionale, e, conseguentemente comportando un opera di organica disamina degli interessi in considerazione, impedisce al privato l intrapresa dell attività autorizzata antecedentemente al decorso dell arco temporale funzionale alla maturazione del provvedimento tacito di accoglimento. Un altra ipotesi di silenzio significativo è il silenzio diniego Si ha silenzio diniego quando la legge conferisce all inerzia della p.a. il significato di un diniego di accoglimento dell istanza o ricorso. Ne è un esempio l art. 25, comma 4 della l. n. 241 del 1990 in tema si accesso ai documenti amministrativo, oppure l art. 6 del d.p.r. n. 1199/1971 e l art. 20 della l. n del 1971, in forza dei quali, trascorsi inutilmente 90 giorno dalla presentazione di un ricorso gerarchico, il ricorso si intende respinto. 16 di 42

17 8 Altre figure di silenzio significativo Silenzio approvazione (silenzio con valore legale tipico). Si ha silenzio approvazione nelle ipotesi particolare di silenzio assenso riferita ai rapporti interorganici: si verifica quando l atto di un autorità sia assoggettato al controllo di un altra autorità, da esercitarsi entro un termine tassativo, e la legge stabilisca che l atto è approvato quando sia decorso inutilmente il termine senza che sia stato adottato il diniego di approvazione. Ad esempio l art. 29 della l. n.70/ Controllo sulle delibere degli enti. Silenzio facoltativo ( silenzio a carattere procedimentale). Si ha il c.d. silenzio facoltativo in tutte le ipotesi in cui l esercizio di una particolare competenza, durante un procedimento amministrativo, sia previsto come meramente facoltativo, per cui trascorso inutilmente il termine previsto per l esercizio di esso può procedere al compimento degli atti successivi senza ulteriore attesa e senza pregiudizi per gli effetti finali. Esempio art. 7 della l. n. 1 del 1978 Detta forma di silenzio è stata ampliata dall art. 16, comma 2 della l.n. 241/1990, (Attività consultiva) modificato dalla l. n.127 del Silenzio devolutivo Si ha silenzio devolutivo quando il silenzio della p.a. comporta l attribuzione della competenza ad altra autorità. Anche detta forma è stata notevolmente potenziata dalla l. n. 241 del 1990, precisamente dall art. 17. Silenzio rinuncia Si ha silenzio rinuncia, quando un determinato potere dell amministrazione si estingue se non viene esercitato entro un certo termine. Così ad esempio l art. 7 della l. n. 865 del 1971 conferisce alle Regioni il potere di annullare le concessioni illegittime entro diciotto mesi dall accertamento delle violazione, così come previsto dall art. 27 della l. n del Silenzio illecito Si ha silenzio illecito in tutti i casi in cui il termine dell esercizio di un potere risulta apposto nell interesse del destinatario del provvedimento, per cui l inutile decorso del termine importa la ute nel presente articolo, il Ministero vigilante può procedere allo scioglimento del consiglio di amministrazione dell'ente stesso, se direttamente competente, o, in caso diverso, proporne lo scioglimento. 17 di 42

18 lesione di diritti soggettivi e, quindi, risarcimento dei danni. Tale ipotesi ricorre in tutti i casi di atti dovuti entro termini ben precisi. Altra figura cui si fa spesso riferimento in dottrina è il cd. silenzio rigetto, figura che ricorre nel caso in cui spira infruttuosamente il termine di novanta giorni entro il quale il ricorso gerarchico deve essere deciso. Il provvedimento implicito Accanto al silenzio, occorre esaminare la figura del cd. atto amministrativo implicito. Si tratta di un provvedimento della p.a. che, però, non si estrinseca attraverso le tipiche forme del diritto amministrativo, sebbene venga considerato atto amministrativo a tutti gli effetti e da cui possa poi derivare la volontà della p.a. medesima. Il tratto caratteristico che concorre a differenziare il silenzio dall atto amministrativo implicito va ravvisato nel fatto che. Mentre il primo è connotato da una mancanza di volontà positiva, viceversa, nell atto implicito la volontà positiva dell amministrazione discende da un altro provvedimento ovvero da un comportamento della p.a.: in tal modo, l atto comunque si esteriorizza, sebbene indirettamente. Silenzio inadempimento La problematica del silenzio della pubblica amministrazione si pone in tutta la sua ampiezza quando la pubblica amministrazione rimane completamente inerte di fronte a una istanza del privato al di fuori dei casi in cui la legge attribuisce all inerzia un determinato significato (positivo o negativo). Il silenzio inadempimento riguarda le ipotesi in cui la p.a., di fronte alla richiesta di un provvedimento da parte del privato, abbia omesso di provvedere entro i termini previsti dalla legge e questa non contenga alcuna indicazione sul valore da attribuire al silenzio. La sussistenza del dovere della pubblica amministrazione di provvedere sull istanza proposta dal privato è un presupposto necessario affinché possa configurarsi un silenzio inadempimento della pubblica amministrazione. La giurisprudenza ha generalmente chiarito che l omissione della p.a. assume valore di silenzio inadempimento solo se sussiste un obbligo giuridico di provvedere derivante da una norma di legge, da un regolamento o da un atto amministrativo. Secondo tale orientamento, dunque la doverosità amministrativa trova la sua fonte proprio nella legge. Il principio di legalità è il principio cardine dell attività amministrativa. 18 di 42

19 Nel corso degli ultimi anni, peraltro, la giurisprudenza ha adottato un atteggiamento di minor rigore in ordine all ambito di operatività del silenzio rifiuto, ritenendone la sussistenza anche laddove lo stesso, pur se non previsto da una puntuale prescrizione legislativa o regolamentare, sia desumibile da norme di carattere generico, vale a dire dai principi informatori dell attività amministrativa, quali il principio di imparzialità e buon andamento dell azione amministrativa. Questo lungo iter giurisprudenziale, teso ad ampliare gli spazi del dovere di provvedere da parte della pubblica amministrazione e della conseguente possibilità di tutela giurisdizionale del privato, è stato coronato legislativamente con l emanazione della legge sul procedimento amministrativo, la quale all art, 2, comma primo, ha sancito in via generale il dovere di provvedere per le pubbliche amministrazione di concludere il procedimento con un provvedimento espresso ogni qualvolta abbia inizio un procedimento amministrativo sia d ufficio che ad iniziativa privata. Il momento patologico in cui il silenzio dell amministrazione può essere considerato patologico è dato dunque dallo scadere del termine previsto dalla legge o dal regolamento in ordine alla conclusione del procedimento. Vi sarebbero secondo la dottrina e la giurisprudenza delle ipotesi in cui non vi sarebbe un dovere di provvedere in capo alla p.a. Ad esempio non sussiste obbligo di provvedere nel caso in cui un soggetto privo di interesse specifico presenti all Amministrazione una denuncia. In particolare, la giurisprudenza è dell avviso che la pubblica amministrazione non è obbligata a provvedere su un istanza del privato, oltreché nei casi di istanza di riesame dell atto divenuto inoppugnabile per inutile decorso del termine di decadenza; di istanza manifestamente infondata; di istanza di estensione ultra partes del giudicato, anche nel caso in cui l istanza abbia ad oggetto un provvedimento già impugnato in sede giurisdizionale e sub iudice al momento dell istanza. Secondo detta tesi una simile pretesa si tradurrebbe, infatti, in uno strumento per costringere la pubblica amministrazione a emettere ulteriori provvedimenti che, se anch essi di carattere negativo, potrebbero essere nuovamente impugnati con la conseguenza paradossale che la volontà amministrativa su uno stesso oggetto, sia pure manifestatasi in atti temporalmente diversi, in violazione del principio di certezza delle situazioni giuridiche, non diventerebbe mai inoppugnabile. 19 di 42

20 Pertanto, il dovere di provvedere non è configurabile né a fronte dell istanza di riesame di un provvedimento rimasto inoppugnato, né a fronte dell'istanza di riesame di un provvedimento tempestivamente impugnato in sede giurisdizionale. Detta tesi non può essere condivisa. Anche nelle ipotesi di autotutela vi è un dovere di provvedere, in quanto la pubblica amministrazione, quando agisce in via di autotutela, ha comunque il dovere di ponderare gli interessi coinvolti e di assumere comunque una decisione positiva o negativa che sia. La doverosità si desume in prima battuta dalla stessa legge sul procedimento amministrativo. L art. 2 della legge sul procedimento amministrativo detta una regola generale che si applica a tutti i tipi di procedimenti amministravi. Infatti, l art. 2 della legge n. 241/1990 afferma che il procedimento, sia che abbia inizio a istanza di parte, sia che abbia inizio d ufficio, deve essere concluso con l adozione di un provvedimento espresso e motivato. Il potere di riesame della pubblica amministrazione, pur essendo discrezionale, deve comunque condurre l amministrazione ad esercitare la sua funzione istituzionale. Il dovere di provvedere o meglio di concludere un qualunque procedimento amministrativo significa un vincolo per l amministrazione di decidere comunque, di assumere in ogni caso una decisione regolativa e comparativa dell interesse pubblico e dell interesse privato. Il dovere di provvedere della p.a., oltre che nei procedimenti di secondo grado, sussiste anche nella ipotesi in cui il cittadino proponga nei confronti della pubblica amministrazione una domanda manifestamente inammissibile o/e infondata. La valutazione in merito alla manifesta infondatezza della domanda presuppone un esame sostanziale della pretesa dedotta. La pubblica amministrazione non può sapere a priori se la domanda presentata dal privato sia inammissibile o manifestamente infondata fino a quando non espleti una vera e propria istruttoria procedimentale. Inoltre, la tesi sopra indicata non può essere accettata in quanto la mancanza di un procedimento amministrativo finalizzato a stabilire se l atto di iniziativa sia ammissibile e/o fondato viola i principi di adeguata istruttoria, del contraddittorio, della partecipazione, della motivazione obbligatoria e della doverosità dell'azione amministrativa. Infine, la giurisprudenza e la dottrina sostengono che il silenzio inadempimento non riguarda tutte le ipotesi di comportamento inerte della p.a., ma solo quelle relative all esercizio di un potere propriamente amministrativo, con l esclusione, quindi, dell adozione di atti paritetici (quale 20 di 42

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