CORSO DI FORMAZIONE. La fauna selvatica in Italia: una risorsa alimentare tra problematiche e rischi sanitari
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1 CORSO DI FORMAZIONE La fauna selvatica in Italia: una risorsa alimentare tra problematiche e rischi sanitari Facoltà di Medicina Veterinaria Università degli Studi di Teramo ottobre 2009 Abstract della relazione: Attività venatoria e qualità delle carni dr Patrizia Bragagna Area di Igiene della Produzione e della Commercializzazione degli Alimenti di Origine Animale Servizi Veterinari AULSS n. 1 Belluno L interesse per le carni di selvaggina è oggi, in Europa, in forte crescita, in quanto esse rappresentano per il consumatore una valida alternativa alle classiche carni bovine, ovi-caprine e suine, delle quali si è invece ridotto il consumo negli ultimi anni, in seguito alle varie crisi del settore. In particolare, il tipo di alimentazione naturale degli animali selvatici, che vivono allo stato libero, ha influito in modo determinante sulle scelte del consumatore, sicuro che la selvaggina, contrariamente agli animali allevati, assuma dall ambiente alimenti privi di sostanze ad azione farmacologica e ormonale. Naturalmente, le carni che arrivano sulle tavole dei consumatori, devono soddisfare anche altri requisiti: igienico-sanitari, quali la carica microbica (assenza di germi patogeni); nutrizionali ( rapporto nel contenuto in acidi grassi saturi e insaturi e di questi tra omega-3 e omega-6); e non da ultimi quelli organolettici, essenziali per conferire alle carni morbidezza, succosità e aroma. L Autorità competente al controllo igienico-sanitario degli alimenti ha il compito di verificare che il cacciatore abbia acquisito le nozioni essenziali circa i
2 comportamenti da tenere durante la caccia, nel recupero e successivo trattamento del capo abbattuto, in modo da rendersi pienamente garante della salubrità del prodotto cacciato, come le nuove norme europee gli richiedono, dimostrando di essere, oltre a un attento osservatore epidemiologico, anche un valido gestore delle risorse faunistiche del proprio territorio. Il fattore che per primo incide pesantemente sullo scadimento rapido della qualità della carne è rappresentato dallo stress che subisce l animale durante la caccia: l inseguimento, il tipo di ferita, il punto di penetrazione del proiettile, il tempo trascorso tra lo sparo (animale ferito) e la morte effettiva dell animale (agonia), la temperatura ambientale, sono tutti elementi che favoriscono la moltiplicazione microbica e la diminuzione della conservabilità della carne. In particolare, lo stress a cui va incontro l animale prima della morte influisce in maniera determinante sulla velocità ed intensità di acidificazione dei muscoli dell intera carcassa nella prima fase della frollatura, provocando, comunque venga manipolato il capo dopo l abbattimento, una scadente qualità finale delle carni. La frollatura, un processo biochimico-enzimatico naturale ed inevitabile, che si realizza all interno delle fibre muscolari dopo la morte dell animale, è contraddistinta da due fasi consecutive: il rigor mortis o fase della rigidità cadaverica e la frollatura vera e propria in cui avviene la maturazione delle carni. La prima fase consiste nell acidificazione del muscolo, che produce acido lattico in assenza di ossigeno (l animale morto non respira) a partire dal glicogeno, il carburante di deposito che alimenta la macchina muscolare. Orbene, se l animale prima di morire ha subito stress prolungati che hanno consumato tutto il glicogeno presente nel muscolo, la produzione di acido lattico non avviene o comunque è scarsa e di conseguenza il muscolo non si acidifica. Le carni che si ottengono da questo animale sono definite Carni D.F.D. e sono scure (dark), dure (firm), secche (dry), appicicaticce e malconservabili. In poche parole sono carni strapazzate. La cosa che il cacciatore può apprezzare per prima in questo caso è la difficoltà di queste carcasse di andare incontro alla
3 rigidità cadaverica. Dopo qualche ora dalla morte dell animale, tale stato potrà apparire poco evidente e fugace oppure potrà non verificarsi affatto. E chiaro che, la tecnica di caccia utilizzata avrà un ruolo determinante sullo stress inflitto all animale prima della morte. Mentre la caccia all aspetto o quella alla cerca consente di uccidere un animale tranquillo, colpendolo di sorpresa, giusto l opposto si verifica nella caccia coi segugi, ove la preda viene braccata dai cani e fatta correre, per tempi più o meno lunghi, verso le poste prima di essere abbattuta. Va da se che, se utilizzo quest ultima tecnica so già a priori che le carni dei capi uccisi saranno carni strapazzate, malconservabili, che non potranno andare incontro a un acidificazione soddisfacente. Dovro quindi, consumarle ben cotte e nel minor tempo possibile. Questo vale anche per il capo ferito e ritrovato morto o morente dopo ore di ricerca. Anche per questi animali, l agonia protratta per ore influisce negativamente sulla qualità finale delle carni. A questo proposito analizziamo anche il punto di ferita sul corpo dell animale. E' opinione di molti che l'animale una volta colpito muoia istantaneamente, come succede ai cattivi nei film, ma purtroppo spesso non è così e l'animale colpito si rialza per una fuga precipitosa, lasciando il suo feritore con un pugno di mosche e mettendo in evidenza la sua scarsa precisione nel tiro. Per un animale, una ferita da arma da fuoco è sempre mortale, fanno qualche eccezione le ferite agli arti e quelle di striscio; a variare notevolmente, invece, è la velocità della morte, cioè il tempo di agonia. Le ferite immediatamente mortali sono quelle che interessano il sistema cardiocircolatorio (cuore e grossi vasi) e determinano un crollo della pressione arteriosa (quando crolla la pressione sanguigna al cervello c è lo svenimento immediato) e quelle al sistema nervoso centrale (cranio e colonna vertebrale cervicale) che determinano un forte shock neurogeno.
4 Foto 1. Morte da shock neurogeno.il cervo è stato colpito alla base cranica ed è crollato istantaneamente sul posto. Le ferite che danno morte posticipata nel tempo (da qualche minuto ad ore o giorni) sono tutte quelle ove il proiettile colpisce il tronco dell animale e ferisce uno o più organi interni. La morte in questi casi può avvenire per emorragia (più o meno rapida a seconda della portata dei vasi sanguigni colpiti), per peritonite nel caso di ferita dell'addome (l animale può vagare per alcuni giorni) o per pneumotorace, in caso di ferita penetrante del torace senza che vengano colpiti i grossi vasi sanguigni o il cuore ; in tutti questi casi l'animale ha il tempo e la forza di rialzarsi e, negli ultimi due, anche di fuggire, per poi andare a morire in altro luogo. Foto2. L animale è stato colpito al torace. La morte è sopraggiunta istantaneamente per emotorace (emorragia toracica). Foto3.L animale è stato colpito all addome. La morte è stata posticipata nel tempo, anche di parecchie ore o giorni. Le ferite non mortali sono poche, generalmente quelle agli arti, che però possono trasformarsi in mortali per conseguenti infezioni o gravi difficoltà di deambulazione; anche le ferite alla mandibola non sono mortali di per sé ma condannano l'animale ad una lenta morte per sete e fame.
5 Le ferite che interessano l'addome, oltre a non essere immediatamente mortali, causano la perforazione del rumine o dei visceri, con fuoriuscita del materiale ivi contenuto. Questo determina un imponente inquinamento della carcassa, con grave perdita della qualità igienica delle carni e la comparsa, in breve tempo, di inverdimento da putrefazione. Foto 4. Fuoriuscita di materiale ruminale e conseguente inquinamento delle carni. Le ferite al torace inquinano molto meno, ma in caso di lesione dell'esofago (ferita alta al torace) il liquido ruminale può uscire egualmente e inquinare le carni. Anche le prime manualità che si operano sulla carcassa al momento del recupero sono importanti per garantire la salubrità delle carni. Il dissanguamento è la pratica basilare per avere delle carni ben conservabili, infatti la permanenza del sangue nei vasi favorisce la diffusione di batteri all'interno delle masse muscolari, che possono utilizzare la parte liquida (siero) del sangue coagulato come una vera autostrada e come nutrimento per la loro moltiplicazione. Inoltre, il sangue che rimane all interno delle masse muscolari, possedendo un ph neutro, svolge un effetto tampone, che impedisce la corretta acidificazione delle carni. La frollatura risulta così, irrimediabilmente compromessa. Queste carni, che al gusto si presentano amarognole, vanno consumate nel più breve tempo possibile e soprattutto non vanno impiegate per la preparazione di salumi. Per effettuare il dissanguamento è necessario recidere i grossi vasi del collo; se l'animale è appeso per le gambe posteriori l'operazione sarà svolta a livello della
6 gola (jugulazione), altrimenti è preferibile operare alla base del collo, infilando la lama all'interno dell'entrata del torace per colpire i grossi vasi alla base del cuore. Foto5. Taglio sulla cute e messa in evidenza delle vene giugulari. Foto6. Recisione delle vene giugulari con fuoriuscita di sangue e coaguli. Il dissanguamento sarà buono se l animale è stato appena abbattuto, con il cuore ancora pulsante, che quindi pomperà attivamente il sangue all'esterno; nel caso di un animale dove il cuore è già fermo, avremo comunque un effetto di svuotamento dei vasi sanguigni, l'importante è arrivare subito sulla carcassa, prima che il sangue coaguli nei vasi, altrimenti i coaguli farebbero fatica ad uscire. In questa evenienza si deve sempre praticare l'incisione alla base del collo per recidere vasi di calibro superiore. Il cacciatore deve comunque sapere a priori che: più un animale ha corso, più lunga è stata la sua agonia e più è stata ritardata la sua jugulazione (taglio delle vene giugulari) minore sarà il suo dissanguamento. Le carni di selvaggina sono in genere sempre poco dissanguate ma questo non deve essere considerato come una loro peculiarità quanto piuttosto come un difetto, comunemente accettato ma facilmente correggibile (almeno in parte) con poca fatica. Al dissanguamento deve seguire l eviscerazione: quanto più questa pratica è tempestiva, tanto migliore sarà la qualità igienica delle carni. Questo perché dopo 3 6 ore dalla morte dell animale, i batteri normalmente presenti nell intestino
7 (flora microbica endogena) danno origine a processi fermentativi incontrollabili, superano la barriera gastro-enterica (anche se l organo è integro) e invadono il resto della carcassa, avviando il processo putrefattivo. L eviscerazione tempestiva possiede anche il vantaggio di favorire il raffreddamento, pressoché immediato, delle masse muscolari, prevenendo, soprattutto nei muscoli più profondi della selvaggina grossa e nella selvaggina da penna avvolte con materiale di nylon, il grave difetto della maturazione acremefitica. Tale difetto consiste nel forte accumulo di acido lattico, dovuto alla tumultuosa demolizione del glicogeno muscolare in totale assenza di ossigeno; le carni che ne scaturiscono si presentano friabili, sottoposte a compressione con le dita conservano l impronta, possiedono color rosso-rame in superficie e brunogialliccio in profondità, hanno sapore sempre acidulo, dolciastro ma talvolta anche amarognolo. Vengono comunemente definite carni soffocate o riscaldate. L eviscerazione dev essere eseguita in un luogo il più idoneo possibile, lontano da terreni sabbiosi o polverosi (per la presenza di flora contaminante nell ambiente esterno) e dev essere svolta, se possibile, con l animale appeso a testa rivolta verso il basso, in modo sia da favorire meglio il dissanguamento che l asportazione dell apparato gastroenterico, senza sporcare la carcassa. Va eseguita l incisione a livello della linea mediana dell addome partendo dalla zona del pube e, all apertura della cavità addominale, si procede alla rimozione degli organi in essa contenuti (intestino e ghiandole annesse, apparecchio urogenitale ad eccezione dei reni), avendo l accortezza di praticare, tutt attorno all ano, una profonda incisione per poterlo asportare insieme all intestino e così scongiurare il colio di materiale fecale in cavità addominale. Successivamente, va eseguita l apertura del torace, utilizzando delle cesoie o un seghetto negli animali più grossi e praticando la rimozione della corata. Nel caso venga effettuata a terra, è più facile procedere in maniera opposta a quella standard con animale appeso, cioè asportando prima gli organi toracici e poi quelli addominali, avendo la precauzione di iniziare l incisione dallo spazio
8 intermandibolare fino ad arrivare alla bocca e liberare la lingua, che verrà reclinata all esterno. In questo modo non vi sarà il taglio dell esofago e si eviterà la fuoriuscita di materiale ruminale. Una volta completata l operazione, avremo la carcassa perfettamente eviscerata da una parte e tutti i visceri, dalla lingua all ano ancora collegati tra loro, dall altra. Durante tale pratica è fondamentale usare coltelli e altri strumenti puliti, manovrandoli in modo da rispettare l integrità degli organi ed evitando di metterli in contatto col pelo, per non contaminare le carni. Foto7. Incisione dello spazio intermandibolare Foto8. La carcassa è completamente aperta, e ribaltamento della lingua. senza inquinamento da materiale intestinale. Si procede quindi, a lavare esclusivamente la superficie interna della carcassa con acqua pulita, per eliminare il sangue ed appenderla al fine di favorirne lo sgocciolamento. Queste due operazioni possono non risultare agevoli: la prima a causa della mancanza d acqua in alcune zone di caccia (nel qual caso andrà portata da casa), la seconda, soprattutto in alta montagna, per l assenza di alberi ove appendere la carcassa (nel qual caso si cercherà di sfruttare qualche dislivello del terreno).
9 Foto9. Lavaggio interno della carcassa. Foto10. Sgocciolamento. Non da ultimo, il trasporto della spoglia verso il centro di raccolta dovrebbe essere effettuato rapidamente, gli animali non dovrebbero sostare sulle auto a lungo esposte al sole, né dovrebbero essere chiusi in sacchi di plastica. La migliore scelta dovrebbe essere quella di porre, nel minor tempo possibile, la carcassa in un luogo asciutto e fresco, meglio se in cella frigorifera o in un automezzo destinato al trasporto delle carcasse. Purtroppo, invece, tra i cacciatori vige la pratica, dopo l uccisione, di conservare gli ungulati selvatici cacciati, senza preventiva eviscerazione a temperature superiori a 10 C, in alcuni casi per diversi giorni, al fine di conferire alle carni il caratteristico aroma di selvatico, che altro non è che l avvio dei processi putrefattivi. Il contenuto intestinale della selvaggina a pelo e a penna cacciata può essere fonte di batteri potenzialmente patogeni, in grado di determinare nel consumatore delle tossinfezioni alimentari anche gravi. In bibliografia sono riportati vari casi in cui è stata rilevata la presenza di Salmonella spp., Campylobacter spp., Yersinia enterocolitica e in questi ultimi anni, negli Stati Uniti, di Escherichia coli O157:H7. Tali episodi, sebbene abbastanza rari in Italia nel caso di consumo di carni fresche di animali selvatici (in quanto solitamente ben cucinate), possono invece rappresentare un forte rischio per la salute del consumatore qualora non siano applicate le corrette pratiche di manipolazione in fase di conservazione e
10 preparazione in cucina (contaminazioni crociate) o nel caso siano trasformati in prodotti carnei da consumarsi crudi o poco cotti. Quindi, in base ai principi della sicurezza alimentare, anche per le carni di selvaggina cacciata, come d altronde per le altre carni degli animali da macello, si devono considerare i problemi di carattere igienico-sanitario legati alla presenza di microrganismi alteranti e patogeni, che derivano per lo più da ciò che avviene durante la caccia e subito dopo. La qualità e la conservabilità di dette carni e dei prodotti da esse derivati dipendono perciò da tutta una serie di fattori sui quali il cacciatore può, almeno in parte, operare in modo fattivo.
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