Indice. 1. Mos italicus e mos gallicus
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- Bernarda Berti
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1 INSEGNAMENTO DI STORIA DEL DIRITTO MEDIEVALE E MODERNO LEZIONE VII UMANESIMO E SCUOLA CULTA PROF.SSA ILEANA DEL BAGNO
2 Indice 1. Mos italicus e mos gallicus Premesse culturali e istituzionali Elementi critici ed elementi propositivi Introduzione Il mos gallicus La Francia e la Scuola Culta di 18
3 1. Mos italicus e mos gallicus Nel secolo XV la scienza giuridica italiana cominciava a mostrare i segni di una profonda crisi. La vena interpretativa-creativa, che aveva caratterizzato il mos italicus iura docendi durante il secolo precedente, connotando gli sviluppi del diritto e della scientia iuris sul piano europeo, cominciava ad esaurirsi e a diventare un mero ricordo. Quell epoca non lontana, che aveva visto fiorire giuristi autorevolissimi ed opere di grandissimo spessore, si era conclusa lasciando il posto al bartolismo, ad un attività interpretativa che poco riusciva a costruire sul versante scientifico e che si connotava invece per le sue finalità prettamente utilitaristiche e pragmatiche. La crisi in breve aprì la strada alle critiche: un nuovo metodo interpretativo, storicistico e antidogmatico, indicato comunemente come mos gallicus iura docendi, si affermò e si diffuse soprattutto in Francia. Si trattava di una corrente scientifica che si connotava per una metodologia giuridica innovativa, che utilizzava largamente strumenti di carattere storico e filologico per la lettura dei Libri legales, del diritto romano. In realtà quel che si avviava ad un radicale cambiamento era il modo di insegnare, di comprendere e di interpretare i testi giuridici, mentre per quanto atteneva ai contenuti la base rimaneva ancora, e in larga parte, fondata sul corpus iuris. Se il mos italicus aveva cercato di operare sui testi antichi per renderli attuali e per applicarli nella prassi, l approccio del mos gallicus verso il diritto romano era molto diverso: esso rappresentava un complesso di materiali di enorme ed indubitabile rilevanza giuridica, ma ciò non escludeva affatto che dovesse essere storicizzato, ossia considerato un diritto antico, con un suo inizio e una sua fine, legato ad un popolo e ad una cultura del passato, vigente in una data epoca storica. Il mito del diritto romano universale, metastorico e perfetto si apprestava a cadere. In effetti l idea dell esistenza di un super-diritto, di un serbatoio di principi giuridici validi sempre e in ogni luogo, veniva a sgretolarsi proprio dalle fondamenta. Si frantumava anche la concezione che il corpus iuris fosse di per sé espressione di ordine e di armonia, e che le norme ivi contenute facessero parte di un sistema intoccabile e privo di contraddizioni. L espressione mos gallicus iura docendi rinvia immediatamente a diversi ordini di concetti: ad una contrapposizione rispetto al mos italicus, e ad una sua origine e poi diffusione prevalentemente in area francese. Tale formula fa pensare anche ad un fenomeno che si 3 di 18
4 caratterizzava per il metodo didattico e che determinò l emersione di due categorie ideologiche nettamente contrastanti, incomunicabili e separate. In realtà questa sintesi concettuale, se presa alla lettera, rischia di essere troppo sommaria e semplicistica al cospetto di un fenomeno assolutamente complesso, pluridimensionale, scarsamente unitario e molto variegato; inoltre discorrendo in questi termini si arriverebbe ad una deminutio della partecipazione e del contributo fornito dalla cultura e dal pensiero giuridico italiano allo sviluppo ed alla recezione di tale movimento. Quindi bisogna procedere immediatamente con tre puntualizzazioni: a) il nuovo pensiero giuridico, per quanto critico e moderno, non riuscì a comprimere del tutto il consolidato metodo dialettico e casistico del mos italicus. Per avere un idea immediata di quanto quest ultimo fosse radicato, si pensi al solo fatto che nelle Università, per tutto l antico regime, non fu mai dismesso l insegnamento di Testi, Glosse e Bartoli. Era consolidata l idea che la formazione del giurista non potesse prescindere dall apprendimento di quella metodologia e da quella logica, fondamentali nella costruzione del ragionamento giuridico. Negli ultimi decenni del Cinquecento furono istituite le cattedre di Pandette, che proponevano una lettura integrale dei testi del corpus iuris, ma ciò non escluse che l interpretatio secondo il metodo di Bartolo dovesse considerarsi superata. b) Il mos gallicus trovò facile applicazione e successo in Francia, in un ambiente che viveva una stagione di grande sviluppo del modello costituzionale assolutistico e che presentava condizioni politiche e religiose molto diverse da quelle italiane. Il mos gallicus si inserì perfettamente in quel clima che dava sfogo ai valori culturali e giuridici nazionali, fornendo nuova linfa al rinnovamento pubblicistico che in tale area geografica era stato avviato anche sotto il profilo politicoistituzionale. In Francia già dalla fine del Quattrocento era emerso l interesse precipuo della monarchia ad intervenire concretamente per riordinare le fonti normative e realizzare l unificazione giuridica del paese. Fu conseguenziale che quello diventasse il luogo più idoneo allo sviluppo dell Umanesimo giuridico e della Scuola culta. 4 di 18
5 c) L indirizzo giuridico che andava affermandosi prese le mosse dall Umanesimo rinascimentale letterario. In particolare si delineava come la naturale derivazione di un fenomeno culturale generale, che aveva condotto gradualmente il Medio Evo alla sua conclusione. Un passaggio dunque fondamentale anche per la storia del pensiero giuridico, che tuttavia non si manifestò ex abrupto, ma che ebbe una lunga gestazione, di oltre un secolo. Sebbene tale fenomeno si manifestò diffusamente in Francia e da lì si di ramò nel resto d Europa, con conseguenze e sviluppi diversi, fu nell Italia del Quattrocento, e già prima, che si posero le premesse ideologiche e culturali dei futuri cambiamenti. Si può affermare con certezza che l Italia fu il terreno su cui il rinnovato clima culturale mostrò i segni più precoci. La culla della nuova cultura e in particolare dell Umanesimo letterario fu proprio l Italia. La ampissima produzione in campo artistico e architettonico e le manifestazioni letterarie ne rappresentano una prova evidente. Tuttavia la marcata frammentazione politica e la presenza incombente, anche sul piano ideologico, della potenza pontificia impedirono che potesse trovare larga diffusione l umanesimo giuridico. 5 di 18
6 2. Premesse culturali e istituzionali Molti furono gli eventi e i personaggi che influirono sensibilmente a gettare i primi semi di un fenomeno che non fu solo giuridico: 1) La rilettura della Politica di Aristotele, già diffusa nella versione cristianizzata di S. Tommaso d Aquino, tra 400 e 500 cominciò ad avviare un processo ideologico che concepiva la mutevolezza delle forme di governo (monarchia, democrazia, oligarchia). Non si affermava che l una fosse da ritenersi in assoluto migliore di un altra, piuttosto si tendeva ad concepire che ognuna potesse considerarsi buona e valida se rivolta al bene dei governati, della comunità, del popolo. La stessa idea valeva anche per il diritto: le norme non andavano valutate in astratto, ma in rapporto all ordinamento politico e sociale in cui erano inserite, ossia dovevano essere conformi alla costituzione ed ai bisogni del paese. Emergeva a gran forza, quindi, la loro relatività storica e politica. Lo stesso Francesco Petrarca aveva considerato la mutevolezza, come un carattere proprio dello ius civile. L opera di Aristotele apriva il varco all introduzione di concetti moderni e praticabili in tutti i settori del sapere. Si facevano strada la probabilitas, gli elementi fattuali e dinamici, che alla fine dell età medievale, tanto nel campo giuridico che in quello politico, mostravano la loro grande attualità. Della cultura medievale rimaneva in piedi l idea che l uomo è un essere sociale per natura, che non ha una vita solitaria ma che svolge una funzione sociale, vive e si pone continuamente in contatto con altri della sua stessa specie. Erano formulazioni che chiaramente facevano da corollario alla visione organicistica classica. Per queste ragioni, doveva considerarsi naturale anche il diritto, che veniva a regolare i rapporti umani e a disciplinare le relazioni intersoggettive. Per la sua naturalità il diritto doveva essere sempre razionale e tendere all utilità e al benessere dell uomo e dei suoi rapporti. Leon Battista Alberti affermava che l uomo nacque per essere utile all uomo. Il fatto che il diritto fosse un elemento naturale non implicava la sua staticità, al contrario postulava la sua caducità o mutevolezza, insieme alla matrice volontaristica. In realtà le diverse idee convogliavano tutte in una stessa direzione, tesa all affermazione di una visione relativistica dell ordinamento e del sistema giuridico, i cui elementi portanti erano volontarismo, razionalità, utilità. 6 di 18
7 2) Ai fini del rinnovamento culturale determinante fu anche la circolazione dei testi classici, in prevalenza letterari, mentre più scarsi furono quelli giuridici. Inoltre furono importanti anche la conoscenza e lo studio della lingua greca, che vennero intrapresi negli ambienti vicini al petrarchismo, in cui spiccarono personaggi quali Coluccio Salutati, l allievo Leonardo Bruni, Poggio Bracciolini. Un ruolo non meno rilevante ebbe la venuta in Italia di molti studiosi bizantini, la cui presenza subì un notevole incremento specie dopo la caduta di Costantinopoli nel I contatti con questi eruditi provenienti dal vecchio Impero romano d Oriente concorsero ad allargare gli orizzonti della cultura e contribuirono alla diffusione in Occidente del pensiero e della letteratura greca, la cui conoscenza nel periodo medievale era avvenuta sempre in maniera indiretta, attraverso compendi e traduzioni in latino. Con l avvento dei dotti greci gli studia humanitatis si arricchirono di vaste cognizioni sulla civiltà antica e sui suoi modelli giuridici e politici. Essi infatti furono portatori dell idea di uno Stato forte e coeso, di un organizzazione politica e giuridica solida, indipendentemente dalla formula costituzionale realizzata, democratica o monarchica che fosse. Tutto muoveva nella direzione di condurre verso la totale dissoluzione il mito della romanità e della sua incontrastata autorevolezza. 3) Intanto si sviluppava la famosa disputa delle arti, che poneva il problema dei rapporti tra le varie scienze nel tentativo di rivederne le gerarchie e di graduare il valore e il peso di ciascuna. Per ciò che concerneva il diritto, si trattava di stabilire se esso occupasse ancora una posizione di supremazia e di primato rispetto alle altre discipline, se potesse considerarsi ancora vigente e attuale la formula ulpianea che definiva la giurisprudenza come vera philosophia. Dai fatti, dalle vicende politiche in continua evoluzione, emergeva chiaramente la storicità e la mutevolezza del diritto, e non meno la sua variabilità spazio-temporale. Si diffondeva sempre più marcatamente la consapevolezza che il diritto non fosse una disciplina assoluta e universale, ma che piuttosto si connotasse sul piano temporale per uno spiccato relativismo sia diacronico che sincronico. Sul piano più strettamente territoriale la situazione non era molto diversa: la normativa vigente in ogni Stato si connotava per peculiarità proprie, legate fortemente alle tradizioni ed alle consuetudini locali, che si apriva e si concludeva all interno di confini determinati. Per queste ragioni, che in sostanza valorizzavano il fondamento e la dimensione tutta umana dei problemi, anche il ruolo e la posizione dei giuristi andava a mutare. A differenza dei 7 di 18
8 legum doctores medievali, che con la loro scientia potevano esercitare in ogni luogo e fornire soluzioni adeguate ad ogni questione, ora veniva in luce che i giuristi non potevano esserlo ovunque, come invece i filosofi, perché ogni Stato viveva secondo un diritto proprio, diverso da quello di tutti altri. 4) la formazione delle monarchie assolute in Europa rappresenta il raggiungimento dell autonomia politica ed anche ideologica dall Impero e dalla Chiesa. Su questo punto si rinvia agli altri capitoli. 5) Contribuirono a rafforzare i fermenti culturali le fratture insorte all interno della Chiesa di Roma. Alcuni importanti eventi a partire dal secolo XIII segnarono profondamente la storia del mondo cattolico e delle sue istituzioni. Dagli ultimi decenni del Duecento si verificarono durissimi scontri tra papa Bonifacio VIII e il re di Francia Filippo il Bello, che si dispiegarono in campo teorico ma anche attraverso l azione politica e militare. L opposizione del pontefice di fronte ai tributi imposti dal sovrano, a carico degli ecclesiastici, fu motivata rivendicando l esistenza e l inviolabilità di speciali immunità ed esenzioni. La difesa del re era basata invece, contro le pretese teocratiche di Bonifacio, sul diritto di piena autonomia del sovrano nel governo del proprio regno e sull uguaglianza dei sudditi di fronte alle prerogative regie. I contrasti culminarono in una spedizione armata contro il papa, che avvilito per le offese ricevute, di lì a poco morì. Con la nomina del nuovo pontefice Clemente V, un ecclesiastico francese già vescovo di Bordeaux e schierato con la Corona, la sede del Papato si trasferì per molti decenni ad Avignone ( ), annoverando tutti pontefici francesi. Il prestigio politico del Papato si ridusse notevolmente, anche perché in quel periodo fu privato di una sua potente e generosa articolazione: il ricco ordine dei Templari venne soppresso ed espropriato dalla suprema autorità civile. La fase avignonese lasciò un lungo strascico. La sede pontificia ritornò a Roma ma senza che si fosse raggiunto tra i cardinali, in gran parte di origine francese, il consenso generale. Questo comportò l elezione di due papi contemporaneamente e di lì lo Scisma d Occidente ( ) conclusosi definitivamente solo nel Il contrasto assunse quindi carattere politico-religioso: è da tener presente che mentre i vari Stati italiani si schierarono con la Santa Sede e con il suo papa Urbano VI, la Francia, la Savoia e il regno di Napoli sposarono la causa dell antipapa. Con i successivi concili di Costanza e Basilea svoltisi tra il 1414 e il 1449 si diffuse l idea del Conciliarismo, come modello assembleare-parlamentare, che puntava ad affermare la superiorità ed il primato dell assemblea dei vescovi e dei cardinali sul pontefice. Il Conciliarismo aveva una radice filosofico-politica derivata da Aristotele, secondo cui il potere pubblico traeva 8 di 18
9 sempre origine dal popolo e dalla comunità. Questa posizione fu ripresa ed esplicata dettagliatamente da Marsilio da Padova nei primi del Trecento. Nella sua opera, il Defensor pacis, si affermava che la sovranità era un emanazione della volontà della universitas civium, esprimentesi attraverso la valentior pars. Marsilio sosteneva anche che queste erano idee valevoli ed applicabili anche in ambito ecclesiastico. Pertanto si escludeva completamente la subordinazione del re all autorità del papa, il quale, in buona sostanza, si configurava come un vescovo sottoposto alla supremazia del Concilio. Nicolò da Cusa, nei primi del secolo XV, sviluppò ed espose chiaramente nella sua opera De Concordia catholica la teoria conciliare. Il Concilio era superiore al papa per tutto quanto concerneva le questioni di fede, con competenza quindi di estinguere gli scismi e di procedere alla riforma della Chiesa e dei suoi membri. Successivamente, dai primi del Cinquecento, con la Riforma protestante, la Chiesa subì nuovi scossoni che minarono definitivamente la sua superiorità e intangibilità. Ecco che crollava un altro mito. 6) Non di scarsa rilevanza fu il contributo critico di molti letterati ed eruditi italiani, tra cui in primis Lorenzo Valla. L umanista romano nella sua Epistola contra Bartolum del 1433 sferrò un feroce attacco contro i giuristi, criticando tanto l opera di Giustiniano che la scienza giuridica medievale. Tacciava di ignoranza i giuristi medievali, qualificandoli come oche, ed esaltava invece i giuristi romani classici, appellandoli cigni. I suoi attacchi furono rivolti anche contro la Chiesa di Roma, dimostrando la falsità della donazione di Costantino, ossia di quel documento a cui tradizionalmente i pontefici facevano riferimento per giustificare il loro potere temporale. In tal modo Lorenzo Valla privava di ogni fondamento giuridico la potenza e l autorità ultrasecolare del papa. I suoi scritti colpivano in maniera significativa il principio d autorità e complessivamente l unità e la sintesi religiosa, politica e giuridica che avevano connotato l età medievale. Poggio Bracciolini, già segretario apostolico dell antipapa al Concilio di Costanza e poi cancelliere della Repubblica fiorentina, a metà 400, elaborava già un progetto di unificazione giuridica territoriale. Per Firenze immaginava, contro la tradizione del diritto comune, la creazione di un codice snello di leggi proprie toscane. Ad imitazione dell opera di Giustiniano bisognava ordinare le norme vigenti in un corpus, quindi abrogare le altre e renderne obbligatoria l osservanza per tutti i sudditi. Era un progetto ambizioso, un intuizione fin troppo moderna, che tuttavia si scontrava nettamente con la situazione di spiccato particolarismo giuridico, che caratterizzava la 9 di 18
10 vasta area territoriale della repubblica fiorentina ed i rapporti tra la Città dominante ed i vari Comuni assoggettati. Angelo Poliziano verso la fine secolo XV effettuava la collazione analitica e filologica della littera bononiensis o vulgata del Digesto, ossia del manoscritto scoperto dai glossatori e correntemente utilizzato anche dai commentatori, con la più autentica littera fiorentina o pisana. Quest ultimo manoscritto, di epoca giustinianea o di poco più tardo, proveniva dalla corte di Bisanzio ed era stato rinvenuto a Pisa, indi trasferito a Firenze dopo la conquista di quella città avvenuta nel Il Poliziano, senza inveire e denigrare espressamente l operato dei giuristi medievali, mostrava gli errori e le tante inesattezze presenti nella vulgata, in quel testo che da alcuni secoli aveva avuto larga diffusione negli ambienti giuridici, attraverso l insegnamento universitario ed i molteplici commenti realizzati. In realtà, la mancanza di una formazione giuridica specifica impedì al Poliziano, che era sostanzialmente un letterato, di portare a compimento il suo progetto di realizzare un edizione critica del testo fiorentino più recentemente scoperto. Andrea Alciato, un giurista milanese formatosi a Bologna, rappresenta il personaggio che, fondendo il metodo storico con profonde conoscenze di filologia e di diritto, riuscì a dare veramente inizio all Umanesimo giuridico. Egli è considerato il fondatore della Scuola culta, perché aprì la strada ad una cosciente ed innovativa metodologia giuridica pronta ad essere operativa in ambito giuridico. Era un metodo che proveniva da giuristi e tecnici del diritto e, senae interferenze, era interamente destinato a loro. 10 di 18
11 3. Elementi critici ed elementi propositivi a) La nuova scuola giuridica, utilizzando strumenti operativi di analisi diversi da quelli tradizionali, mutuati fondamentalmente dal campo delle lettere e della filologia, assunse una posizione critica rispetto agli orientamenti normativi e dottrinali del passato Introduzione Il primo bersaglio degli umanisti fu il diritto romano nella sua formulazione giustinianea. Specialmente il francese Francesco Hotman nel suo volumetto del 1567 Antitribonianus si scagliava contro l imperatore Giustiniano ed il suo collaboratore Triboniano, vero redattore del Corpus iuris. Contro di loro si muovevano le accuse di aver arbitrariamente manipolato ed alterato il patrimonio giuridico della romanità classica, dando vita ad un ammasso di antinomie, di errori ed incongruenze. L esigenza di storicizzare il diritto romano era manifestata innanzitutto verso l opera giustinianea, avvertendo la necessità di distinguere al suo interno le varie parti in relazione al periodo storico in cui erano state redatte e compilate. Si pensi alle XII Tavole, alle Istituzioni, alle Novelle, che rappresentavano materiale giuridico formulato in tempi differenti e poi accorpato senza che si fosse realizzata un intima fusione. Una linea, questa, omogenea con quanto espresso in campo letterario. Già Lorenzo Valla aveva dichiarato più in generale che anche le opere classiche non potevano assumere una valenza universale: provenivano dall uomo e quindi contenevano sempre delle imperfezioni. Questa posizione critica e realistica poi fu espressamente ripresa anche da Erasmo da Rotterdam. In realtà si criticava più diffusamente il principio di autorità e, in campo strettamente giuridico, quell atteggiamento reverenziale e di soggezione, anche solo formale, che per tutta l età medievale i giuristi avevano assunto nei confronti del diritto giustinianeo. Sulla stessa linea di pensiero si era posto Lorenzo Valla quando aveva criticato tanto l opera di Bartolo quanto quella di Graziano, redattore del Decretum nel 1140, svilendo le massime autorità in campo civilistico e in campo canonistico e l ossequio acriticamente manifestato dai giuristi successivi nelle loro ripetitive e sterili interpretazioni. Intanto emergeva prepotentemente l idea di libertà, che nel secolo XVI troverà ampi sbocchi specialmente in ambito religioso. 11 di 18
12 Ritornando ad Hotman è necessario puntualizzare che egli compiva non solo un opera di storicizzazione critica del testo giustinianeo, ma ne dichiarava anche l inattualità. Il diritto romano, tanto per gli aspetti pubblicistici che per quelli privatistici, appariva completamente inadeguato alle esigenze della società francese e poco rispondente ai fermenti di carattere religioso e politico in atto. Lo ius proprium, ossia il diritto e le consuetudini francesi, presentava peculiarità molto diverse e doveva considerarsi il vero diritto positivo francese. Pertanto, secondo Hotman era inutile tentare di riesumare un diritto antico per renderlo applicabile in un ordinamento politico-istituzionale che cominciava ad avere caratteristiche specifiche e ben definite. Piuttosto bisognava pensare alla formulazione di un codice di norme chiare e semplici, redatto in lingua francese, che traesse dal diritto romano i principi ancora validi e comprimesse quella moltitudine di opiniones create e diffuse dalla dottrina medievale. Il progetto di una codificazione nazionale, che mirava a realizzare l uniformità giuridica nel Paese, fu la naturale conseguenza di un percorso critico che partiva dall idea di ridimensionare il valore del corpus iuris. Il diritto romano non era da considerarsi come la personificazione dell idea di diritto in assoluto, ma era da valutarsi come un diritto fra tanti. Collocando nella storia, e in parte svalutando quel diritto del passato, il giurista acquisiva nuova libertà di pensiero e un diverso contatto con il mondo presente. I giuristi della Scuola culta irrisero l opera di glossatori e commentatori ed il loro metodo interpretativo. Questi furono definiti asini ultramontani, perché da ignoranti avevano maneggiato il Corpus iuris senza conoscere il latino e l esatto significato dei termini, alterando in più occasioni, con le loro chiose, il senso del discorso. La voluntas del legislatore non sempre veniva colta nella sua complessità e interezza, tanto che ai vecchi errori, nell età medievale se ne aggiunsero altri, nuovi e a volte anche più gravi. Gli strumenti offerti dalla filologia ad esempio avevano consentito di evidenziare l aberrante interpretazione compiuta riguardo alla materia dell usura centesima. I glossatori Azzone ed Accursio, senza approfondire il problema e lasciandosi ingannare dalla terminologia, avevano considerato il tasso legale nella misura del 100%. Si trattava di un chiaro abbaglio perché in realtà per i romani era calcolato più razionalmente al 12 % (1% al mese). Inoltre il mos italicus aveva generato nei giuristi una devozione assoluta e un atteggiamento di soggezione nei confronti delle norme giustinianee, del tutto ingiustificata. In virtù di una falsa superstitio quelle non erano state considerate come norme scritte da un uomo, ma come cadute dal cielo, date direttamente da Dio. 12 di 18
13 Allora era la concezione del diritto ad essere molto diversa: il diritto si considerava già dato, precedente rispetto all agire umano e non come un prodotto dell uomo. Esso era dotato di una razionalità intrinseca perché voluto e dato da Dio (secondo il giusnaturalismo tradizionale) e quindi era valido per tutti, universalmente: Si trattava di un diritto non da creare, ma solo da scoprire sia nel momento legislativo, che in quello giudiziale o dottrinale. Quest idea implicava necessariamente l interpretatio, la ricerca delle norme da applicare e ordinare. Funzione che solo i giuristi, i legum doctores, potevano svolgere con i loro strumenti tecnici. Solo loro potevano dare unità al sistema, armonizzarlo e renderlo operativo. Questa concezione, d altro canto, aveva generato altre conseguenze non meno negative. Quella Bibbia del diritto, rinvenuta e venerata dalla Scuola di Bologna, aveva legittimato l attività che la scientia iuris compiva quotidianamente per amalgamare e coordinare le diverse componenti dell ordinamento giuridico. Si trattava di un intervento dottrinale, formalmente rispettoso e sottomesso, ma sostanzialmente creativo e libero. In realtà il sistema del diritto comune che ne era scaturito aveva esaltato la funzione sacerdotale dei giuristi, la loro missione di mediatori tra la sfera altissima del diritto e quella dei fatti reali, tra la ratio oggettiva e universale ed il mondo terreno. In questo panorama così ampio i confini con l arbitrio si dissolvevano facilmente Il mos gallicus Il mos gallicus, come fenomeno compiuto e maturo, si caratterizzava per un approccio metodologico ai testi del diritto romano antidogmatico, innovativo e storicistico, che esprimeva un alto potenziale critico e forti istanze di libertà di pensiero. Tuttavia alla Scuola culta va riconosciuto anche il merito di aver suggerito e sostenuto molti elementi propositivi di notevole rilevanza giuridica specialmente sul piano politico-costituzionale. In verità la critica umanistica comportò un mutamento, una revisione radicale della concezione del diritto e dell ordinamento giuridico rispetto a quanto postulato nel Medio Evo. Il Corpus iuris veniva storicizzato e valutato come una testimonianza dell antichità, come un opera voluta e realizzata da un imperatore bizantino. Il diritto romano non rappresentava più un diritto universale, si invalidava quindi la legittimazione legata all idea di un diritto vigente ratione imperii. Tuttavia non si disconosceva l immenso valore tecnico-giuridico racchiuso in quei testi: comunque si era di fronte ad un tesoro di soluzioni giuste e ragionevoli, di rationes, di norme ancora valide perché rispondenti alla natura delle cose, quindi vigenti imperio rationis. 13 di 18
14 Questo mutato approccio, critico e storicistico, nei confronti delle fonti romanistiche, oltre a delegittimare la funzione sacerdotale dei giuristi, apriva la strada alla formazione dei diritti nazionali e ad una rifondazione della scientia iuris. Venendo meno l autorità del diritto antico e la prospettiva universalistica, si rendeva più concreta la possibilità che le fonti di produzione fossero poste sotto il controllo del sovrano. L idea maturata sul piano metodologico si congiungeva perfettamente con le novità sviluppate sul piano ideologico, mirando a consolidare in Europa i nascenti Stati territoriali ed a realizzare forme di governo accentrato. Criticando dalle fondamenta il sistema del diritto comune ed i suoi meccanismi interpretativi, si avviava, laddove esistevano le condizioni istituzionali e politiche di base, un processo tendente alla nazionalizzazione e statalizzazione del diritto. Un altro fenomeno di rilievo si verificò quindi anche in ambito costituzionale. Lo studio dei testi classici e della storia, aveva consentito di delineare nelle loro peculiarità diversi modelli politici. Visualizzando nel passato le modalità di funzionamento delle varie forme di governo e la loro riuscita, si traevano spunti per indirizzare le società del presente verso l organizzazione di Stati forti e duraturi nel tempo. Emergeva a tutta forza il concetto d imperium, la funzione dell autorità sovrana che si estrinsecava in varie manifestazioni e non soltanto nella capacità di dichiarare il diritto. Il primato medievale del diritto e della iurisdictio per il momento fu messo in secondo piano, a vantaggio di una formula di sovranità più densa di autorità e di poteri. L analisi degli ordinamenti del passato diventava funzionale alla strutturazione del presente. La diffusione di studi comparativi in materia di diritto pubblico fu enorme. Frequentissima fu la anche tendenza dei giuristi umanisti ad illustrare nei loro scritti l organizzazione dello Stato con puntuali parallelismi e continui riferimenti alle figure del mondo romano. Un operazione, questa, fatta di simmetrie e di equivalenze, che risultava senz altro utile per fondare l impianto istituzionale dei nascenti Stati territoriali e soprattutto per demolire i residui del particolarismo politico e giuridico medievale. La rifondazione della scientia iuris fu un altra istanza avanzata dall Umanesimo giuridico. Contro l appiattimento dottrinale, verificatosi specialmente nella seconda fase del mos italicus, le critiche furono durissime. Le nuove istanze erano rivolte ai giuristi affinché utilizzassero gli strumenti del passato per costruire l attualità e lo Stato moderno con il suo diritto. Bisognava agire con decisione per superare la tendenza a perpetuare un sistema che manteneva in vita la pluralità dei diritti e degli ordinamenti, finendo per accrescere l incertezza del diritto e per avvantaggiare solo 14 di 18
15 gli interessi del loro stesso ceto. Bisognava attuare una politica del diritto adeguata alle esigenze sociali. Appare chiaro che i giuristi culti avvertissero l esigenza di fondare un ordine giuridico nuovo, confacente alla mutata visione del diritto. L ordinamento giuridico, come quello politico, secondo i risultati di un analisi diacronica, presentava i caratteri della mutevolezza e della relatività. Doveva essere costruito e organizzato in conformità con l impianto politico-istituzionale che si strutturava su base monarchica e giusvolontaristica. I doctores dovevano collaborare con l organizzazione dello Stato sviluppando una costruzione sistematica del diritto. La tendenza a creare una sistema implicava di conferire al diritto statuale una veste unitaria. Le norme dovevano essere coordinate con metodo razionale, per materia, se necessario anche superando le ripartizioni e gli schemi proposti nei testi giustinianei. Realizzando un corpo normativo unico, all interno del quale tutte le parti interagivano, il diritto nazionale avrebbe raggiunto omogeneità e completezza. Negli umanisti era vivo il senso dell armonia architettonica, il gusto per un disegno complessivo privo di contraddizioni. Anche nel campo del diritto si prospettava l idea di una concatenazione di concetti secondo un ordine razionale e schematico, che si sostituisse al sistema troppo analitico e casistico attivato dal mos italicus. 15 di 18
16 4. La Francia e la Scuola Culta In Francia già da tempi lontani, dai primi del XIII secolo, era forte l esigenza di indipendenza dall impero romano-germanico, de facto e anche de iure, ossia la necessità di rendere autonomo il nascente regno e nello stesso tempo di legittimarlo sul piano giuridico. Per questo lì trovò largo consenso ed ampia diffusione, sul piano pratico e teorico, la formula del rex superiorem non recognoscens in suo regno est imperator. Essa riguardava chiaramente il campo del diritto pubblico ed era strutturata sulla base di due concetti fondamentali: implicava il disconoscimento e l esclusione di ogni potere superior da parte dei re liberi; inoltre comportava l attribuzione a ciascuno di questi, all interno del proprio regno, della plenitudo potestatis, ossia della pienezza dei poteri, di quegli stessi che esercitava l imperatore. In sostanza la sfera d azione del re in un certo territorio veniva a considerarsi equivalente a quella propria dell imperatore. Tale formula fu elaborata e dimostrata compiutamente, con argomentazioni giuridiche nei primi decenni del secolo XIII, nell ambito della scuola giuridica napoletana. Questa era frequentata da giuristi formatisi a Bologna, che si erano nutriti largamente dell insegnamento e del metodo irneriano. Tuttavia, pur seguendo quella scia dottrinale, l ambiente scientifico meridionale presentava delle sue specifiche peculiarità, in particolare due: una spiccata aderenza all analisi dei casi pratici, attività che emerge dalle glosse elaborate, ed una decisa sensibilità per i problemi del diritto pubblico. L autore della formula fu Marino da Caramanico, giudice della Magna Curia della Vicaria di Napoli e probabilmente maestro nella scuola partenopea. A lui si deve la glossa ordinaria del Liber Augustalis, un opera legislativa di ius proprium emanata dall imperatore Federico II di Svevia. Quel complesso normativo, come fu espressamente puntualizzato dal suo autore, valeva per il solo Regnum Siciliae, che in realtà comprendeva tutto il Mezzogiorno, e non anche per gli altri territori dell impero. Nel proemio alla glossa ordinaria Marino da Caramanico espose una sorta di teoria generale del diritto pubblico, come premessa all esegesi del Liber Augustalis, trattando in termini giuridici quello che era un problema politico. La formula lì dispiegata fu accolta largamente dai giuristi francesi, interessati a dimostrare su tutti i piani l indipendenza del loro re dall Impero ed anche dalla Chiesa. 16 di 18
17 La necessità manifestata in Francia di escludere giuridicamente la soggezione del regno dall impero influì profondamente anche sulla recezione di quello che era considerato il diritto dell impero. Fu largamente contrasta la diffusione del diritto giustinianeo, per la sua conformità alla visione imperialistica e perché in fondo finiva per menomare la sovranità regia. Invece si consolidò la tendenza a considerare vigenti le norme tratte dal diritto romano solo se subordinate all assenso regio, quindi solo se espressamente approvate dal sovrano. Qui sarebbe necessario soffermarsi sulla divisione esistente in Francia tra i pays de droit coutumier, situati più a nord, e i pays de droit écrit, compresi nelle regioni meridionali. Per ragioni di sintesi si dirà solo che nei primi la fonte consuetudinaria era assolutamente prevalente, mentre negli altri territori era radicato il diritto comune. In ogni caso furono sempre le consuetudini a rappresentare il diritto francese, mentre il diritto romano era considerato vigente solo in quanto conforme alle consuetudini e nazionalizzato con l approvazione regia. Su questi presupposti fu avviato il processo di emersione di un diritto proprio della Francia. La nascita di un diritto unitario e nazionale non fu un operazione lontanissima anche perché, quando con l affermazione del Gallicanesimo la sua Chiesa si rese autonoma da quella di Roma, lo Stato si fortificò maggiormente e si radicò una concezione del tutto statuale e laica del diritto. Si può concludere che il contributo più significativo della cultura umanistica in Francia fu proprio quello di fornire una spinta decisiva in direzione centripeta, rafforzando la coscienza nazionale, quello spirito unitario che già da tempo andava formandosi. I giuristi francesi che aderirono all indirizzo metodologico avviato dalla Scuola culta furono Guglielmo Budé, Jacopo Cuiacio, Francesco Duareno, Ugo Donello, Antonio Favre. In Germania vi fu Ulrico Zasio. Non si può sottacere che Alciato, Budé e Zasio, secondo la più apprezzata storiografia, costituirono il grande triumvirato, il nucleo fondamentale, per mezzo del quale l umanesimo giuridico fece i suoi primi passi. In Italia la situazione complessiva era molto diversa e tutto questo processo di rinnovamento politico e giuridico non si verificò innanzitutto per la mancanza di uno Stato unitario ed anche per la presenza incombente della Chiesa e delle sue istituzioni. In realtà permaneva, sebbene in maniera meno minuziosa, un diffuso particolarismo politico. Le realtà comunali perdevano gradualmente la loro autonomia, ma non si pervenne alla formazione di uno Stato tanto forte da determinare l unificazione territoriale del paese. 17 di 18
18 Inoltre la separazione e la sopravvivenza di comunità politiche diversificate fu un fenomeno largamente favorito dalla Chiesa, che tendeva a imporsi come punto di equilibrio tra gli interessi dei vari Stati, ed a perpetuare, sul piano strettamente giuridico, la vigenza del sistema del diritto comune. Si rinnovavano le condizioni per il dominio di una scientia iuris ripiegata su se stessa, che si autoalimentava, rimanendo a fedele al mos italicus che continuava ad assumere ancora un ruolo unificante. In Italia le idee e l opera di Hotman sulla codificazione del diritto nazionale trovarono scarsa circolazione per le influenze esercitate dal tribunale della Santa Inquisizione che, considerandolo eretico, ne ostacolò la diffusione. Tuttavia quei fermenti culturali, che nel nostro paese si erano generati e che non trovarono sbocco nella politica e negli sviluppi del pensiero giuridico, non furono mai del tutto spenti. Anzi quelle istanze di libertà e di rinnovamento confluirono in altri settori, realizzando anche una fusione con le correnti religiose che vennero a diffondersi nel corso del Cinquecento in direzione estremista e di rottura. Si pensi ai tanti seguaci che in Italia ebbero Juan de Valdés e Bernardino Ochino. Ritornando al campo del diritto risulta significativa la difesa del mos italicus formulata da Alberico Gentili nel Egli era un giurista italiano di fede protestante, insegnò ad Oxford e nella sua opera De iuris interpretibus dialogi sex prese nette posizioni a favore dell indirizzo metodologico tradizionale. Sebbene condividesse molte delle critiche formulate dai culti nei confronti dei bartolisti, rilevò che anche il nuovo orientamento presentava dei limiti e il rischio di generare altre incertezze. La conoscenza delle lingue antiche doveva servire come accessorio al giurista per un appropriata conoscenza dei testi legali al fine dell applicazione delle norme, ma non era da sottovalutare la possibilità di deviazioni dal binario principale: gli approfondimenti compiuti potevano scivolare nella mera erudizione e risultare fine a se stessi. Inoltre dai Dialogi di Gentili risultava che l interpretatio compiuta sulla scia del mos gallicus tendeva a fa risaltare le antinomie presenti nei testi anziché a risolverle e a colmare le lacune. La prospettiva ordinante, che tradizionalmente la scientia iuris compiva con un atteggiamento decisamente conciliativo, sembrava cadere per aprirsi ad futuro non esente da nuove discrasie e incertezze. 18 di 18
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