Dinamica dei sistemi di particelle cariche

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1 Capitolo 4 Dinamica dei sistemi di particelle cariche 4. Equazioni cinetiche per i plasmi A prima vista appare naturale estendere tutte le tecniche già sviluppate per la trattazione dei fluidi al caso dei plasmi. Tuttavia, come discusso nel Capitolo 2, esistono differenze sostanziali che in realtà rendono la trattazione dei plasmi molto più complessa, tant è vero che a tutt oggi non esiste una teoria completamente soddisfacente, ma solo un insieme di metodi matematici applicabili in casi specifici. Una discussione dettagliata dei tentativi fatti per estendere l equazione di Boltzmann al caso dei plasmi è discussa nel classico testo di Montgomery e Tidman, Plasma Kinetic Theory, 964. Il risultato più importante, sia pure approssimato, è lo sviluppo dell integrale di collisione per il caso di urti coulombiani proposto da Rosenbluth, McDonald e Judd nel 957 che, con opportuni "tagli" per evitare divergenze, permette di ottenere un equazione che adatta l equazione di Boltzmann collisionale al caso dei plasmi e che è simile alla cosiddetta equazione di Fokker-Planck. Si tratta tuttavia di un equazione integro-differenziale nonlineare di difficile manipolazione. La differenza più importante tra fluidi e plasmi, come già notato, è il fatto che mentre le particelle neutre interagiscono solo attraverso urti a corto raggio e si muovono di moto inerziale tra urti successivi, le cariche di un plasma oltre asubireeffetti collisionali a corto raggio sono sempre soggette al campo medio autoconsistente generato dal plasma stesso; anzi quest ultimo effetto è dominante. In tal senso il comportamento dei plasmi si avvicina maggiormente al caso dell interazione tra sistemi gravitazionali trattati nel Capitolo. Tuttavia va tenuto presente che in un plasma le forze coulombiane delle singole cariche sono schermate al di sopra della lunghezza di Debye, mentre in un sistema gravitazionale ciò non avviene mai. Pertanto tutti i risultati della teoria dei plasmi che si basano sul raggiungimento di uno stato di equilibrio termodinamico non sono applicabili ai sistemi stellari. 95

2 96CAPITOLO 4. DINAMICA DEI SISTEMI DI PARTICELLE CARICHE Il metodo rivelatosi più soddisfacente dal punto di vista teorico per affrontare lo studio dei plasmi è la teoria cinetica BBGKY, dalle iniziali dei suoi autori, Bogolyubov, Born, Green, Kirkwood, Yvon, che lo svilupparono tra il 935 e il 949, in parte in collaborazione, in parte separatamente. In questo Capitolo presenteremo le linee principali del metodo, essendo una sua trattazione completa ben al di là dei limiti del nostro corso. 4.2 Equazioni gerarchiche BBGKY Come discusso nel Capitolo, la teoria cinetica per un sistema di particelle interagenti parte dall equazione di Liouville nello spazio Γ delle configurazioni a 6N + dimensioni e formula l equazione di evoluzione nello spazio delle fasi µ a 6+ dimensioni per la funzione di distribuzione delle varie componenti, f(r, v,t). L equazione di evoluzione è l equazione di Boltzmann: f t + v f r + F m f v = µ f t c. (4.) Di particolare importanza è la definizione dell integrale di collisione, che nel caso dell idrodinamica può essere derivato appropriatamente e consente di mostrare che un fluido neutro tende alla distribuzione di equilibrio maxwelliana. Nei plasmi l integrale di collisione proviene dall interazione coulombiana, che come abbiamo già discusso agisce a lungo raggio, per cui le traiettorie delle particelle sono molto diverse da quelle dei sistemi fluidi neutri e anche dai fluidi gravitazionali. Ciò comporta che la teoria cinetica dei plasmi sia più complessa e quindi, non essendo possibili soluzioni del tutto generali, si debba procedere attraverso approssimazioni secondo uno schema gerarchico. Per comprendere come si operino tali sviluppi e come si definiscaloschemagerarchicoèopportuno riprendere da capo la definizione stessa dell equazione cinetica a partire dalla densità di stati nello spazio delle configurazioni Γ. Lo studio della dinamica di un insieme di N particelle si può impostare sulla base delle equazioni newtoniane del moto per le singole particelle: m i Ri (t) =F i (t) i =, 2, 3,...N (4.2) dove i termini di forza su ogni particella dipendono dalla posizione e velocità di tutte le altre particelle. Le F i rappresentano globalmente le forze coulombiane a corto e lungo raggio tra le particelle ed eventualmente l effetto di forze esterne. Per un gran numero di particelle la soluzione di tale sistema è assurdamente complessa, anche perchè sono indefinibili le condizioni iniziali, e comunque non porta a grandezze veramente misurabili. I metodi alternativi di studio sono dunque statistici, come già discusso nel caso della fluidodinamica Ancheperiplasmisipartedunquedalladefinizione della funzione di configurazione per N particelle (vedasi il Capitolo ): D(r, v, r 2, v 2,...r N, v N,t), (4.3)

3 4.2. EQUAIONI GERARCHICHE BBGKY 97 che è una funzione a 6N +dimensioni, con il principio che D NY dr i dv i (4.4) sia la probabilità di trovare le particelle i entro i volumi dr i dv i intorno a (r i, v i ) al tempo t. Il legame tra D e la rappresentazione newtoniana è: D(r, v, r 2, v 2,...r N, v N,t)= NY δ(r i R i [t]) δ(v i Ṙ i [t]). (4.5) Derivando localmente ( / t) rispetto al tempo e utilizzando le proprietà della funzione δ, tra cui che si ricava: o, in forma compatta: δ (x y) y δ (y x) =, (4.6) x D N t + X µ v i D + F i D =0 (4.7) r i m i v i L N D =0 (4.8) che è appunto l equazione di Liouville; essa contiene tutta l informazione delle equazioni newtoniane perché è da risolvere nello spazio a 6N + dimensioni. La D è normalizzata all unità: NY D dr i dv i = (4.9) Ricordiamo dal Capitolo che l equazione di Liouville stabilisce che l evoluzione di un insieme statistico intorno ad un certo stato nello spazio delle configurazioni segue la regola che la densità di stati dell insieme si conserva. Pertanto la funzione D consente di definire le condizioni iniziali in modo statisticamente significativo. Per ottenere risultati osservabili si deve ora trovare il modo di integrare la (4.8) sul maggior numero di variabili r i, v i. A tal fine definiamo le funzioni ridotte, contenenti meno informazioni, ma confrontabili con le osservazioni. Se si integra, ad esempio, la D su posizioni e velocità di tutte le particelle tranne una, si ottiene la probabilità di trovare quella particella in quella posizione dello spazio delle fasi con le altre distribuite in base a valori mediati statisticamente. Per sistemi di particelle identiche, ha più significato ricavare dalla D la probabilità di trovare una qualunque particella in quel punto dello spazio delle fasi, sommando su tutte le possibili permutazioni di particelle identiche; si definisce quindi la generica funzione di distribuzione a N particelle

4 98CAPITOLO 4. DINAMICA DEI SISTEMI DI PARTICELLE CARICHE f N (r, v, r 2, v 2,...r N, v N,t) ponendo che f N N Y dr i dv i (4.0) rappresenti la probabilità di trovare una qualunque particella nella posizione i-esima. Poichè l operatore L N è invariante per permutazioni delle particelle, la f N soddisfa all equazione di Liouville L N f N =0: f N t + NX µ v i f N r i + F i f N =0. (4.) m i v i Ovviamente, l integrale della f N sullo spazio delle fasi dovrà essere pari alle permutazioni delle N particelle: Y N dr i dv i = N!. (4.2) f N Si possono ora definire le funzioni di distribuzione ridotte (per s ): f s (r, v, r 2, v 2,...r s, v s,t)=a Y N f N s+ dr i dv i (4.3) dove A =/[N s]! è una costante di normalizzazione che si ricava ponendo che le permutazioni di s particelle su un numero totale N sia dato da N!/(N s)!. Integrando formalmente l equazione (4.) su tutte le coordinate tranne le prime s si ha il seguente sistema: f s sx t + v i f s r i + (N s)! sx Fi m f N v i NY dr i dv i =0 (4.4) s+ dovesièassuntochelaf N si annulli al contorno dello spazio delle fasi e che le forze siano quelle elettromagnetiche (il campo elettrico è conservativo e la forza di Lorentz non compie lavoro). In particolare si possono separare le F i in forze interne fra le particelle, F int i,edesterne,f ext i, originate da campi esterni. Le forze esterne possono essere estratte dall integrale perché non dipendono dalle proprietà della distribuzione: (N s)! sx F ext i m f N v i NY s+ dr i dv i = Fext i m f s v i. (4.5) Inoltre le sole forze interne che lavorano sono quelle elettrostatiche, per cui si può porre: NX N F int i = e 2 r i r j r i r j 2 = X Φ ij (4.6) r i j= j6=i j= j6=i

5 4.2. EQUAIONI GERARCHICHE BBGKY 99 epertanto: = m sx sx j= j6=i (N s)! Φ ij r i sx F int i m f s v i m sx f N v i NY dr i dv i = (4.7) s+ Φi,s+ r i f s+ v i dr s+ dv s+. dove si è tenuto conto del fatto che per i s + tutti i termini sono eguali nell ipotesi di particelle identiche.si ottengono quindi le equazioni generali per le funzioni di distribuzione ridotte: L s f s = sx Φi,s+ f s+ dr s+ dv s+ (4.8) m r i v i s =, 2,..., N. L insieme delle equazioni per le distribuzioni ridotte costituisce una gerarchia in cui l equazione per f s contiene f s+ ;lacatenavasottoilnomedigerarchia BBGKY. La gerarchia non è tuttavia chiusa se non per s = N, nel qual caso si ritorna in effetti all equazione di Liouville. Per chiudere il sistema occorre trovare il modo di esprimere per un dato s la funzione f s+ in funzione delle precedenti f,f 2,..., f s ; sostituendo iterativamente si può giungere ad un unica equazione cinetica in f s. Ovviamente tanto più elevato è il valore di s a cui si opera, tanto maggiore è l informazione contenuta nell equazione finale: vuol dire tener conto di correlazioni a 2, 3,..., s particelle. Purtroppo già il caso s =2è notevolmente complicato, e quasi mai si può procedere oltre s =3. Formalmente si applica uno sviluppo in cluster di Mayer: f (r, v,t) = f() f 2 (r, v, r 2, v 2,t) = f()f(2) + P (, 2) f 3 (r, v, r 2, v 2, r 3, v 3,t) = f()f(2)f(3) + f()p (2, 3)+ + f(2)p (3, ) + f(3)p (, 2) + T (, 2, 3) (4.9) dove f (r, v,t) è la normale funzione di funzione di distribuzione a una particella, le P sono le funzioni di correlazione a coppie, le T le correlazioni triple; quando le P e T siano nulle, le particelle non sono correlate. Il significato della correlazione sta nel fatto che se due o più particelle si attraggono la probabilità di trovarle vicine è maggiore che nel caso siano del tutto indipendenti, mentre se si respingono la probabilità è minore. Il principio base per giungere a un troncamento della gerarchia è basato sull ipotesi che le funzioni di correlazione siano decrescenti in importanza T Pf fff. Per il caso di s =, l equazione BBGKY risulta: f t + v f + Fext r m f = v m Φ2 r f 2 v dr 2 dv 2

6 200CAPITOLO 4. DINAMICA DEI SISTEMI DI PARTICELLE CARICHE e quindi: f() t + v f() r + Fext m f() v f() Φ2 f(2)dr 2 dv 2 = m v r = Φ2 P(, 2) dr 2 dv 2. (4.20) m r v I primi tre termini sono familiari; il quarto termine contiene l effetto del campo elettrico medio su una particella dovuto a tutte le altre (mediato sulla funzione f(2)): f() Φ2 f(2)dr 2 dv 2 = ee m v r m f(). (4.2) v Il campo elettrico così definito rappresenta l effetto della media su posizioni e velocità delle funzione ridotta 2 (che rappresenta tutte le particelle esclusa la ) senza correlazione con la. In tal senso questo ultimo termine e il precedente dovuto alle forze esterne rappresentano il campo autoconsistente totale. Il termine a destra della (4.20) tiene invece conto delle correlazioni tra particelle e spesso viene chiamato termine di collisione. Vedremo fra breve che la funzione di correlazione P (, 2) è nulla su distanze maggiori della lunghezza di Debye: tale risultato non è inatteso visto che nella definizione stessa di plasma si è discusso come il campo delle singole cariche sia schermato dai campi medi su distanze maggiori della lunghezza di Debye. Pertanto questo termine rappresenta interazioni efficaci su piccole distanze: a tutti gli effetti è un termine di collisione nel senso classico, cioè a corto raggio, che può essere trasformato in un integrale di collisione. 4.3 Equazione di Vlasov Quando un plasma è in equilibrio termodinamico è possibile calcolare le funzioni di correlazione coi metodi della meccanica statistica, precisamente con gli insiemistatisticidigibbs. Simostraadesempio(siconsultiiltestogiàcitato di Montgomery e Tidman) che la distribuzione in condizioni di equilibrio è la maxwelliana: µ 3/2 µ m f M (v )=n exp mv2 (4.22) 2πk B T 2k B T e la correlazione a coppie, nel caso di equilibrio maxwelliano, è: q q 2 P (, 2) = k B T x 2 x exp µ x 2 x λ D f M (v )f M (v 2 ). (4.23) Come già discusso, la correlazione diventa trascurabile su distanza maggiori della lunghezza di Debye ed è negativa per cariche con lo stesso segno e positiva per cariche di segno opposto. Il problema complicato nella fisica dei plasmi è trattare situazioni fuori dall equilibrio, con moti macroscopici e in presenza di disomogeneità. Si noti

7 4.4. EQUAIONE DI FOKKER-PLANCK 20 che il rapporto tra parti correlate e non correlate della funzione di distribuzione a due particelle è: µ P (, 2) f M (v )f M (v 2 ) q q 2 k B T x 2 x exp x 2 x, (4.24) λ D oltre ad essere piccolo per x 2 x Àλ D,èineffetti piccolo anche per x 2 x λ D dove: P (, 2) f M (v )f M (v 2 ) q q 2 k B Tλ D 4πnλ 3 (4.25) D che ha un valore molto piccolo se il numero di particelle entro la sfera di Debye è grande, condizione richiesta per la quasi neutralità del plasma. Naturalmente la correlazione a coppie diventa invece importante per distanze dell ordine della distanza effettiva media tra particelle x 2 x <q q 2 /k B T dove può dare origine a divergenze nell integrale di collisione. Assumendo di poter estrapolare queste considerazioni di ordine di grandezza anche al caso di plasmi non in equilibrio, si possono trascurare gli effetti di correlazione per fenomeni che avvengono su scale grandi rispetto a λ D e scrivere l equazione cinetica per f() della gerarchia BBGKY con P =0: f() t + v f() r + F m f() v =0. (4.26) che viene denominata equazione di Vlasov (945). A volte nella letteratura si fa riferimento all equazione di Vlasov come all equazione di Boltzmann non-collisionale, in quanto matematicamente ad essa è simile. Risulta peraltro chiaro dalla precedente discussione come tale dizione sia impropria. L equazione di Boltzmann per fluidi neutri non contempla infatti la presenza di forze di interazione a lungo raggio, essendo sempre la forza F una forza esterna; le collisioni sono eventi ben definiti nel tempo, che possono essere eventualmente trascurati ponendo a zero l integrale di collisione. La gerarchia BBGK include invece interazioni a lungo e corto raggio, per cui le collisioni sono in effetti sempre presenti. In particolare nell equazione di Vlasov la forza F non è una forza esterna ma la forza dovuta al campo elettrostatico medio autoconsistente e vengono trascurati gli effetti delle collisioni a corto raggio. Peraltro queste collisioni a corto raggio sono più complesse da trattare che non nel caso fluidodinamico; vedremo più avanti come scrivere il termine di correlazione a coppie P e quindi il corrispondente integrale di collisione. 4.4 Equazione di Fokker-Planck Le considerazioni statistiche cui abbiamo precedentemente fatto riferimento si basano sul fatto che un plasma fuori dall equilibrio termodinamico tende a raggiungere un equilibrio maxwelliano. Ciò non può tuttavia essere ricavato dall equazione di Vlasov perché in essa non compaiono le interazioni a due corpi a corto raggio. Pertanto l equazione di Vlasov non rilassa verso una maxwelliana

8 202CAPITOLO 4. DINAMICA DEI SISTEMI DI PARTICELLE CARICHE e non è quindi adatta allo studio di fenomeni di trasporto, per i quali è necessario introdurre il termine di correlazione. Questa estensione è stata studiata da vari autori; in particolare per plasmi non in equilibrio termodinamico, ma omogenei, vale l equazione di Lenard-Balescu (960), un equazione chiusa per f(v,t), che permette di mostrare che un plasma tende asintoticamente verso la maxwelliana. Per avvicinarci al calcolo dell integrale di collisione nel caso di urti a due corpi con piccoli angoli di deflessione si può ricavare la cosiddetta equazione di Fokker-Planck (94), che è l espressione generalizzata dei cosiddetti processi di Markoff, cioè processi casuali di tipo moto browniano in cui le traiettorie delle particelle sono il risultato di un gran numero di piccole interazioni statisticamente indipendenti, in cui ogni evento è indipendente dalla precedente storia dinamica. Processi stocastici di questi tipo sono descritti dalla probabilità ψ (v, v) che in un tempo t una particella di velocità v abbia un incremento di velocità v. La probabilità è ovviamente indipendente dal tempo perchè non deve risentire dalla precedente dinamica. La funzione di distribuzione f(x, v,t) per un sistema di particelle omogeneo e libero da forze esterne evolve pertanto secondo la relazione: f(x, v,t)= f(x, v v,t t)ψ(v v, v)d( v). (4.27) Prendendo un tempo t abbastanza lungo da consentire un gran numero di collisioni, ma abbastanza breve da portare a piccole variazioni delle velocità, si può scrivere: µ δf f(x, v,t) f(x, v,t t) = lim. (4.28) δt t 0 c t Uno sviluppo di Taylor della f(x, v,t) con normalizzazione della ψ ψd( v) = (4.29) comporta ½ f(x, v,t)= d( v) f(x, v,t)ψ (v, v) tψ f t f v v ψ + f ψ + 2 ¾ v v v : ψ 2 f v v +2 f ψ v v + f 2 ψ +... = v v = f(x, v,t) t f t v f ψ vd( v)+ 2 µ 2 v v : f ψ v vd( v) +... (4.30) ossia t µ δf = δt c v (f h vi)+ 2 2 :(fh vih vi) (4.3) v v

9 4.4. EQUAIONE DI FOKKER-PLANCK 203 che è appunto il termine di collisione di Fokker-Planck, dove h vi = ψ (v, v) vd( v) (4.32) è l effetto di frenamento nel mezzo, e h vi h vi = ψ (v, v) v vd( v) (4.33) l effetto di diffusione nello spazio delle velocità. Un analisi dettagliata dell equazione è stata presentata da Chandrasekhar in un fondamentale articolo su Review of Modern Physics (5,, 943) Integrali di Rosenbluth Applichiamo ora questo risultato alla situazione fisica dei plasmi, considerando che esistano due tipi di particelle, elettroni e ioni. Occorre definire un espressione per la funzione ψ: Rosenbluth, MacDonald e Judd (957) hanno eseguito lo studio assumendo che una particella "test" si muova in un mezzo omogeneo (in densità e distribuzione di velocità) e sia soggetta a campi elettrici fluttuanti; in tal modo hanno potuto esprimere i due coefficienti di attrito e diffusione per i due tipi i di particelle nella forma: ½ h v i i h v i ih v i i ¾ = t X j n 0j gf j dv j dω dσ ij dω ½ vi v i v i ¾ (4.34) dove la sezione d urto è quella coulombiana a due corpi, sia per interazioni tra particelle sia con fluttuazioni dei campi: m ij = dσ ij dω = q iq j 4g 4 m 2 ij sin 4 (θ/2) m im j m i + m j g = v i v j sin θ 2 = b 0 p b2 + b 2 0 (4.35) (4.36) con b parametro d impatto e b 0 = q i q j /g 2 m ij parametro d impatto corrispondente a deflessioni θ = π/2.in tal modo si ottiene per ciascuna classe di particelle: Γ i µ δfi = µ H i f i δt c v i v i + 2 µ : 2 v i v i f i 2 G i v i v i (4.37) dove Γ i = 4πq4 i ln [sin (θ min/2)] m 2 (4.38) i è il risultato dell integrazione della sezione d urto coulombiana a due corpi con un "taglio" ad angoli di impatto dell ordine di alcune volte b 0,eθ min corrisponde

10 204CAPITOLO 4. DINAMICA DEI SISTEMI DI PARTICELLE CARICHE ad angoli di impatto dell ordine della lunghezza di Debye, oltre i quali i campi delle singole cariche sono schermati. Gli integrali H i = X Ã! q 2 µmi j + m j f j n 0j q 2 dv j (4.39) j i m j g G i = X j n 0j à q 2 j q 2 i! dv j gf j (4.40) sono chiamati integralidirosenbluth. Va detto che, mentre in genere l equazione di Fokker-Planck permette una trattazione semplificata dei moti stocastici attraverso i coefficienti di attrito e di diffusione valutati fenomenologicamente, in questo caso l equazione è integro-differenziale e altamente nonlineare perchè i suddetti coefficienti sono funzionali della f. È importante notare che l espressione dell equazione (4.37) si ottiene anche partendo dall equazione di Boltzmann ed eseguendo il calcolo dell integrale di collisione secondo le linee già tracciate nel Capitolo 2. Per evitare divergenze negli integrali si debbono tuttavia effettuare sviluppi approssimati nel parametro q 2 j / (λ Dk B T ). Una presentazione dettagliata di tali risultati si trova nel citato testo di Montgomery e Tidman. A conclusione di questa discussione si può quindi dire che gli integrali di Rosenbluth si rivolgono alle interazioni a corto raggio, ma limitate nell intervallo diparametridiimpatto alcune volte b 0 <b<λ D (4.4) che corrispondono ad angoli di deflessione piccoli secondo quanto previsto dai processi alla Markoff; gli effetti delle interazioni a molti corpi con forze a lungo raggio, dominanti in sistemi a molte particelle, sono invece tenuti in conto nell equazione di Lenard-Balescu per il cui studio si rimanda al testo di Montgomery e Tidman Coefficienti di attrito e diffusione In vari casi di interesse pratico l equazione di Fokker-Planck può essere scritta nella forma semplificata: f t = v (γ vfv)+d v 2 f v 2 (4.42) con i coefficienti di attrito γ v edidiffusione D v da esprimere sulla base della fisica delle interazioni del sistema cui si fa riferimento. In un fluido la presenza di un coefficiente di attrito appare naturale. Ci si può attendere che un simile effetto esista anche nei sistemi gravitazionali e nei plasmi rarefatti dove le interazioni sono a lungo raggio. Chandrasekhar ricavò nel 943 che tale attrito dinamico deve esistere nei sistemi stellari. Infatti quando una stella si muove

11 4.5. MODELLO A DUE FLUIDI 205 attraverso ad un sistema crea un attrazione gravitazionale che tende a far addensare altre stelle nella sua scia. Di conseguenza la stella verrà frenata dal loro campo gravitazionale: si tratta di un attrito dinamico. Quando il sistema non sia omogeneo l equazione di Fokker-Planck diventa più complessa, in quanto occorre lavorare nello spazio delle fasi. Per il caso dei sistemi stellari questa situazione è analizzata da Binney e Tremaine (987), ottenendo un equazione di Fokker-Planck per sistemi stellari collisionali non omogenei. Per il caso dei plasmi Mac Donald, Rosenbluth e Chuck (957) hanno studiato il problema partendo dalla gerarchia BBGKY e tenendo in conto le fluttuazioni dei campi elettrostatici; in tal caso si giunge in effetti allo schema di Lenard-Balescu. Un caso relativamente semplice è quello in cui la funzione di distribuzione sia funzione solo del modulo della velocità f(v),e non da v. In tal caso l equazione di Fokker-Planck diventa: f t = v 2 γv v 3 f + D v v v 2 µ v 2 f v v (4.43) e, se i coefficienti possono essere considerati costanti, si mostra che la soluzione rilassa verso una maxwelliana. Senza eseguire tutta la derivazione, si può verificare che una maxwelliana è in effetti la soluzione asintotica della (4.43). Si ponga f/ t =0per cui il secondo membro fornisce: µ f exp γ v v 2 (4.44) 2D v che è appunto una maxwelliana se: γ v = m (4.45) D v k B T relazione non irragionevole essendo ambedue i coefficienti risultati dallo stesso processo fisico; ciò è stato provato nel caso del moto browniano nei liquidi da Reif nel Modello a due fluidi Nonostante le sue limitazioni di fondo, l equazione di Vlasov risulta molto utile per analizzare i fenomeni collettivi dei plasmi, in quanto permette di mettere in evidenza soprattutto l effetto dei campi elettromagnetici medi. Un caso importante è ad esempio quello dello studio dell eccitazione e propagazione di onde, in particolare quando queste abbiano frequenze elevate da poter di fatto trascurare gli effetti delle collisioni. Su tale linea possiamo dunque pensare che nelle vicinanze dell equilibrio maxwelliano e in situazioni non-collisionali sia lecito trattare un plasma attraverso una descrizione idrodinamica delle sue proprietà macroscopiche, come un fluido di ioni positivi, elettroni negativi ed eventualmente particelle neutre. L espressione "non-collisionale" deve essere intesa non

12 206CAPITOLO 4. DINAMICA DEI SISTEMI DI PARTICELLE CARICHE tanto per indicare un sistema in cui le particelle non interagiscano, ma che interagiscono solo attraverso i campi medi a lungo raggio. Va al proposito precisato che il termine ha quindi un accezione diversa che nelcasodeisistemigravitazionalistellari. Questiultimisonosistemicontempi di rilassamento più grandi dell età dell Universo, e quindi lontani da qualunque equilibrio maxwelliano, perchè le collisioni non hanno mai giocato un ruolo fin dalla loro formazione. Nei plasmi invece si parte dall idea che le collisioni, in tempo di rilassamento relativamente breve, abbiano portato ad una situazione di equilibrio maxwelliano; nei fenomeni specifici studiati con l equazione di Vlasov tali collisioni sono trascurate. In questo spirito possiamo ricavare dall equazione di Vlasov le equazioni idrodinamiche macroscopiche di un plasma a due fluidi per tener conto della presenza di due tipi di cariche di segno opposto, ioni positivi ed elettroni. Definiamo due funzioni di distribuzione f i (x, v,t) e f e (x, v,t) rispettivamente per ioni (ci riferiremo spesso per semplicità a protoni ed elettroni), ciascuna delle quali dovrà soddisfare l equazione di Vlasov, la quale, considerando solo forze elettromagnetiche, diventa: f k t + v xf k + q ³ k E + v B m k c v f k =0 (4.46) dove k = i, e, q i = e e q e = e e le masse sono quella degli ioni e degli elettroni. Ora, se moltiplichiamo la (4.46) per una qualunque funzione della della sola velocità χ (v) e integriamo sulla v, seguendo un procedimento analogo a quello già usato per il fluidi neutri nel Capitolo 2, otteniamo: t (n k hχi)+ x (n k hvχi) n k hf v χi =0 (4.47) m k dove si è usato il fatto che per le forze elettromagnetiche, inclusa la forza di Lorentz: v F =0 (4.48) esièusataladefinizione della densità numerica: n k = f k dv (4.49) e dei valori mediati delle grandezze: hq k i = n k dvq k f k. (4.50) Da queste relazioni si possono ricavare i momenti dell equazione di Vlasov usando per χ potenze successive di v. Perχ =abbiamo l equazione di continuità: n k t + x (n k u k )=0 (4.5) con u k = hvi k. (4.52)

13 4.5. MODELLO A DUE FLUIDI 207 Per χ = m k v si ottengono le equazioni equivalenti all equazione di Eulero dei fluidi neutri: uk ³ m k n k +(u k x ) u k = P k + q k n k E + u B k t c (4.53) dove, quando il tensore di pressione è considerato isotropo, si può porre P k = p k. Infine il momento del second ordine (χ = m k v 2 ) corrisponde all equazione di conservazione dell energia; dopo alcune trasformazioni algebriche, e utilizzando le due equazioni precedenti, si ottiene: k t +(u k x ) k + q k + k u k + P k : u k =0. (4.54) con k =(/2) Tr P k. In equilibrio maxwelliano P k p k e k = c Vk T k. Ricordiamo che nel Capitolo 3 sono state discusse le condizioni sotto le quali si può chiudere il sistema delle equazioni dei momenti, ad esempio collegando la pressione con altre variabili termodinamiche del sistema. Tali considerazioni si applicano naturalmente se il sistema è prossimo alle condizioni di equilibrio termodinamico. Nel presente caso dei plasmi di Vlasov si usano diverse chiusure, su cui tornerempo nel seguito:. plasma freddo (dominato da forze elettromagnetiche) 2. plasma isotermo a due temperature p k =0 (4.55) p k = k B n k T k (4.56) 3. plasma adiabatico p k = Cn γ k (4.57) 4. plasma doppio adiabatico (per tener conto delle anisotropie introdotte da forti campi magnetici) µ t +(u pk k x ) =0 (4.58) m k n k B µ t +(u pkk B 2 k x ) =0. (4.59) m 3 k n3 k Poiché per ogni tipo di fluido abbiamo 5 incognite scalari, n k, p k, u k,perun totale quindi di 0 incognite scalari, e le e quazioni scalari disponibili sono anche 0, possiamo dire che il sistema è risolubile. Tuttavia occorre tener presente che i campi elettromagnetici in genere non sono dati come campi esterni, in quanto sono consistentemente generati dalle distribuzioni di cariche e correnti.

14 208CAPITOLO 4. DINAMICA DEI SISTEMI DI PARTICELLE CARICHE Si aggiungono quindi 6 ulteriori incognite scalari, le componenti di E e B, che debbono essere definite attraverso le equazioni di Maxwell: E =4πe (n i n e ) (4.60) B =0 (4.6) B = 4πe c (n iu i n e u e )+ E (4.62) c t E = B c t. (4.63) Si noti che nel caso dei plasmi non è rilevante la distinzione tra campi e induzioni in quanto non esiste distinzione tra cariche del sistema e mezzo. Inoltre le equazioni di Maxwell sono 8 equazioni scalari, di cui tuttavia le prime due sono essenzialmente da riguardare come condizioni al contorno del problema. Il sistema globale a due fluidi è quindi composto da 6 equazioni in 6 incognite scalari. 4.6 Alcune considerazioni finali Abbiamo più volte insistito sul fatto che la ragione di ridurre lo studio di un sistema di N particelle alla soluzione di un equazione di tipo Boltzmann nello spazio delle fasi è legato all impossibilità di ottenere risultati affidabili per numeri grandi di particelle. Naturalmente il passaggio alle equazioni cinetiche ridotte comporta approssimazioni e la rinuncia alla completa conoscenza della situazione dinamica. In particolare nel caso dei plasmi non è possibile sviluppare un modello con un insieme di approssimazioni che dia risultati soddisfacenti in ogni situazione; le approssimazioni vanno scelte caso per caso e ciò crea notevoli dificoltà interpretative. Abbiamo discusso come considerazioni statistiche indichino che i plasmi raggiungono una distribuzione di equilibrio di tipo maxwelliano, ma come ciò sia difficile da dimostrare con le teorie cinetiche, contrariamente al caso dei fluidi neutri per i quali la procedura di Chapman-Enskog è perfettamente autoconsistente. Analizziamo brevemente questo fatto. Nei plasmi le traiettorie sono definite (a parte collisioni a corto raggio) attraverso molte piccole deflessioni, per le quali non è significativo parlare di cammino libero medio. Si definisce invece un tempo di rilassamento τ come il tempo caratteristico richiesto per far cambiare significativamente la velocità di una particella; e si potrebbe quindi pensare di seguire la procedura di Bathnagar, Gross e Krook illustrata nella (3.28) per ricavare la deviazione dalla configurazione maxwelliana. Tuttavia il principio non funziona. Infatti nel modello di trasporto (3.32) g = τ µ t + v x + F m v f (0). (4.64)

15 4.6. ALCUNE CONSIDERAIONI FINALI 209 il termine τv x f (0) che rappresenta la differenza tra i valori di f (0) tra x e x+τv richiede che la particella attraversi con velocità v una distanza τv eporti l informazione nella nuova posizione. In un plasma ciò non avviene perchè la particella non segue un cammino rettilineo tra due urti successivi, soprattutto se sono presenti campi magnetici. Come altra considerazione, ricordiamo che la condizione di validità del modello idrodinamico basato sulle equazioni macroscopiche è che il libero cammino medio λ sia molto più piccolo delle scale L del problema in esame. In tal modo un volume di dimensioni intermedie tra queste due lunghezze caratteristiche può essere considerato un vero e proprio elemento di fluido, perchè le collisioni hanno modo di mantenerne omogenee e coerenti le proprietà fisiche. Una simile considerazione è più incerta nel caso dei plasmi, per la mancanza di una semplice definizione della scala di collisione; semmai un ruolo analogo può essere svolto dal campo magnetico che costringe le particelle entro volumi dell ordine del raggio di girazione di Larmor r L. Da questo punto di vista i plasmi possono essere considerati sistemi coerenti anche senza collisioni qualora siano presenti campi magnetici sufficientemente intensi da condizionare la dinamica dei sistemi di cariche. La conseguenza di quanto detto è che, quando nel modello a due fluidi e nel modello magnetoidrodinamico, che vedremo più avanti, con cui si arriva a trattazioni macroscopiche dei plasmi assumendo che siano in equilibrio termodinamico, dovremo però ricordare che non sarà mai perfettamente chiaro fino a che punto questi modelli siano effettivamente corretti: la ragione è che le caratteristiche della funzione di distribuzione nei plasmi è molto più complessa che nel caso dei fluidi neutri, e quindi non può essere ben rappresentata solo con i momenti di basso ordine. L impossibilità quindi di arrivare a teorie macroscopiche soddisfacenti è la ragione per cui anche negli studi ed esperimenti di laboratorio si incontrano tante difficoltà a trattare i plasmi, tant è vero che l obiettivo del loro riscaldamento e confinamento in vista dei processi di fusione nucleare non è ancora stato raggiunto. Dobbiamo dunque convivere con il fatto che i plasmi sono sistemi complessi, e questa non è certo una sorpresa. La Natura non è così semplice come siamo abituati a pensare nella fisica fondamentale; i fenomeni nonlineari complessi vanno al di là di questo paradigma.

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