Studio di sensori al silicio con guadagno per monitoraggio di fasci terapeutici in adroterapia

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1 Università degli Studi di Torino DIPARTIMENTO DI FISICA Corso di Laurea Magistrale in Fisica Nucleare e Biomedica Tesi di Laurea Magistrale in Fisica Studio di sensori al silicio con guadagno per monitoraggio di fasci terapeutici in adroterapia Relatore: Dott. Vincenzo Monaco Correlatore: Dott. Nicolò Cartiglia Controrelatore: Dott.sa Maria Margherita Obertino Candidato: Davide Edoardo Benettin Anno Accademico 2014/1015 1

2 Sommario Questo lavoro di tesi verte sullo studio di sensori innovatici al silicio (Ultra Fast Silicon Detector o UFSD) caratterizzati da uno strato di guadagno interno in grado di generare segnali ampi in spessori sottili. Grazie al loro elevato rapporto segnale rumore, gli UFSD sono utilizzabili per misure di alta precisione; in particolare sono ottimizzati per permettere di coniugare un'elevata risoluzione temporale (dell'ordine di poche decine di ps) con le risoluzioni spaziali tipiche di rivelatori al silicio segmentati. In questa tesi ne viene studiata l applicazione come possibili contatori di particelle per il monitoraggio del fascio in adroterapia, un tipo di radioterapia in cui vengono impiegate particelle cariche pesanti, come ioni carbonio o protoni, per la cura di tumori. Rivelatori UFSD molto sottili permettono infatti di avere tempi di raccolta brevi e, se opportunamente suddivisi in pixel, di gestire conteggi di singole particelle anche ai flussi molto elevati utilizzati in terapia. Il lavoro svolto è suddiviso in tre parti: la prima parte consiste nella caratterizzazione di alcuni sensori in dotazione all INFN di Torino e prodotti dal CNM di Barcellona. La caratterizzazione consta nell effettuare studi sulle curve corrente tensione e capacità tensione, quest'ultimi utilizzati per determinare la tensione di svuotamento e stimare il profilo di drogaggio del sensore. La seconda parte consiste nello studio dei segnali prodotti da impulsi laser che simulano il passaggio di una particella e acquisiti con un oscilloscopio che è controllato da un software scritto in NI Labview. Si è in particolare studiato l'uniformità della risposta del sensore e gli effetti di bordo tramite scansioni della regione illuminata dal laser utilizzando un movimentatore micrometrico su tre assi. La terza parte consiste nello studio della possibilità di disaccoppiare l'effetto di tutta la catena elettronica di amplificazione e lettura dal segnale misurato. L elaborazione del software, scritto in C++ e che utilizza il framework ROOT in cui l elettronica di lettura è schematizzata in termini di una Funzione di Trasferimento estratta con un analisi di Fourier di un segnale di riferimento. La caratterizzazione dei sensori e la tecnica di estrapolazione della corrente generata dal sensore saranno, in futuro, elementi utili per lo studio del danneggiamento dei sensori in seguito a fluenze elevate di particelle cariche. La tesi è organizzata come segue: nel capitolo 1 vengono descritte le interazioni di differenti particelle con la materia e i vantaggi dell adroterapia rispetto alla radioterapia convenzionale con fotoni, oltre a un breve cenno sul Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica (CNAO) e ai metodi utilizzati per il controllo della distribuzione della dose. In particolare si mostra quali siano i limiti dei rivelatori utilizzati attualmente per il monitoraggio del numero di particelle irraggiati. Nuove tecnologie basate su sensori al silicio in grado di misurare direttamente e in modo accurato il numero di particelle irraggiate possono migliorare la precisione del trattamento e ridurre i tempi richiesti per le calibrazioni e controlli quotidiani. Nel capitolo 2 si descrivono le proprietà fisiche di semiconduttori al silicio e le modalità di funzionamento di rivelatori a stato solido. Nel capitolo 3 si descrivono i sensori UFSD, le loro proprietà e utilizzata per il loro studio in laboratorio. Viene inoltre descritto il programma di simulazione dei sensori Weightfield 2. Il capitolo 4 riguarda la caratterizzazione in laboratorio di alcuni rivelatori UFSD e il confronto 2

3 con le proprietà di rivelatori convenzionali senza guadagno. Nel capitolo 5 è riportata l analisi dei dati raccolti con impulsi di un pico laser e l applicazione dell analisi di Fourier per la deconvoluzione del segnale dall'effetto dell'elettronica. Nel capitolo 6 vengono analizzate le prospettive future. Infine discussi i risultati e evidenziati i passi successivi necessari per arrivare alla realizzazione di un rivelatore innovativo per monitoraggio diretto del numero di particelle del fasci terapeutici in adroterapia. 3

4 Indice 1. Adroterapia 1.1. Interazione dei fotoni con la materia Interazione di particelle cariche con la materia Effetti delle radiazioni sui sistemi biologici Modalità di trattamento in adroterapia Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica Il piano di trattamento Il sistema di controllo del CNAO Rivelatori a semiconduttori 2.1. Proprietà fisiche dei semiconduttori Struttura a bande Semiconduttori intrinsechi ed estrinsechi Correnti di deriva e di diffusione Giunzione p-n Rivelatori a stato solido Formazione del segnale nel rivelatore Il rumore elettronico Tipologie di rivelatori al silicio Metodi di produzione del silicio Sensori al silicio con guadagno 3.1. Guadagno nei dispositivi a stato solido Avalanche Photodiode e Silicon Photomultiplier Low Gain Avalanche Detector Ultra Fast Silicon Detectors Simulazione di segnali in rivelatori UFSD Resistenza alle radiazioni di sensori UFSD

5 4. Caratterizzazione in laboratorio di sensori UFSD 4.1. Lista dei sensori analizzati Apparato sperimentale Caratterizzazione dei sensori Studio di uniformità della risposta dei sensori Studio del segnale 5.1. Apparato sperimentale Segnali prodotti con impulsi laser Funzione di trasferimento Validazione dell algoritmo con la simulazione Determinazione della funzione di trasferimento e deconvoluzione di segnali misurati

6 Capitolo 1 Adroterapia L'adroterapia è una particolare tecnica radioterapica che si avvale di un fascio di particelle cariche per la distruzione di cellule cancerogene. Mentre la radioterapia classica si basa sull'utilizzo di fasci di fotoni ad energie comprese fra 5 MeV e 10 MeV, l'adroterapia si serve di fasci di protoni o di ioni (generalmente di carbonio) ad energie più alte: ad esempio per penetrare ad una profondità di 25 cm in un paziente, occorre un fascio da 200 MeV per i protoni o un fascio da 4800 Mev per ioni carbonio. Il fascio di ioni viene accelerato mediante un sincrotrone, o un ciclotrone, il quale porta all'energia voluta il fascio di particelle. Diversi elettromagneti, posti alla fine del percorso del fascio andranno a direzionarlo verso bersaglio desiderato. Il principale effetto biologico delle particelle cariche, in corrispondenza di un nucleo cellulare, è di produrre rotture singole o multiple dei filamenti di DNA. Questi danni, se non riparati, possono portare all'inattivazione delle cellule irraggiate, e ad una progressiva riduzione del volume tumorale. In questo capitolo si andranno a descrivere le interazioni delle particelle con la materia e conseguentemente si studierà la differenza fra l'utilizzo di fotoni e particelle cariche. Successivamente si passerà alla descrizione dell effetto biologico della radiazione e delle tecniche utilizzate per distribuire in modo ottimale la dose al paziente. Infine si descriverà come trattamenti con particelle cariche sono eseguiti al CNAO (Centro Nazionale Adroterapia Oncologica) di Pavia. Si mostrerà in particolare come sia necessario un monitoraggio continuo e preciso del fascio durante il trattamento e come possibili miglioramenti dei rivelatori utilizzati per queste misure possano portare dei benefici in termini di accuratezza e sicurezza del trattamento e notevole riduzione dei tempi di calibrazione e controlli quotidiani necessari prima dei trattamenti.

7 CAPITOLO1. ADROTERAPIA 1.1 Interazione dei fotoni con la materia I fotoni interagiscono con la materia in tre modi distinti e con probabilità dipendenti dall energia del fotone: effetto fotoelettrico, effetto Compton e produzione di coppie. Ogni processo è caratterizzato da una sezione d urto caratteristica. Figura 1.1: Sezione d urto totale per fotoni nel carbonio in funzione dell energia. La legge di attenuazione che regola l assorbimento dei fotoni [1] è data da: NN(xx) = NN 0 ee μμμμ (1.1) dove N0 rappresenta il numero iniziale di fotoni, N(x) il numero di fotoni ancora presenti ad una profondità x e μ il coefficiente di assorbimento lineare. Quest ultimo è definito dalla seguente espressione: 7

8 CAPITOLO1. ADROTERAPIA μμ = σσ NN AA ρρ AA = 1 λλ (1.2) dove σ rappresenta la sezione d urto d interazione, ρ la densità del mezzo attraversato, NA il numero di Avogadro e A il numero di massa del materiale. Per definizione, il coefficiente di assorbimento lineare corrisponde all inverso del libero cammino medio λ, cioè la distanza media percorsa da un fotone prima di essere assorbito. La sezione d urto totale è data dalla somma delle tre sezioni d urto per i singoli effetti: σσ tttttt = σσ ffff + σσ cc + σσ pppppppp (1.3) In Figura 1.1 è riportato l andamento della sezione d urto totale per fotoni che interagiscono nel carbonio in funzione della loro energia. Per energie Eγ < 100 kev domina l effetto fotoelettrico, in cui il fotone trasmette la sua energia ad un elettrone legato in una shell; se l energia del fotone supera l energia di legame dell elettrone, questo viene espulso dall atomo con energia cinetica uguale alla differenza tra l energia del fotone e quella di legame dell elettrone. L effetto fotoelettrico è un effetto a soglia che porta alla presenza di picchi caratteristici della sezione d urto ai valori dell energia di legame dell elettrone, come mostrato in Figura 1.1. Per energie del fotone comprese fra circa 100 kev e 1 MeV domina l effetto Compton, che consiste nella diffusione elastica di un fotone e un elettrone. Solo parte dell energia del fotone è trasferita all elettrone, mentre l energia restante è associata ad un secondo fotone, che può essere prodotto in direzioni diverse rispetto a quella del fotone incidente; maggiore è l energia ceduta all elettrone, maggiore sarà l angolo di deflessione. L angolo di deflessione è legato alla differenza tra le lunghezze d'onda del fotone incidente e quello diffuso dalla seguente espressione: λλ λλ = h mm 0 cc (1 cos (θθ)) (1.4) dove λλ e λλ sono le lunghezze d onda rispettivamente del fotone incidente e di quello diffuso, h è la costante di Plank, m0 è la massa a riposo dell elettrone, c è la velocità della luce e θ è l angolo di deflessione. Infine per energie del fotone maggiori di 1,002 MeV avviene il processo di produzione di coppie in cui il fotone, interagendo con il campo coulombiano di un nucleo, si converte in una coppia costituita da un elettrone e un positrone; il positrone, dopo essere rallentato nel mezzo, si annichila con un altro elettrone emettendo due fotoni, ciascuno con energia pari a 0,511 MeV. 8

9 CAPITOLO1. ADROTERAPIA 1.2 Interazione di particelle cariche con la materia Per comprendere come particelle cariche interagiscono con la materia è necessario distinguere particelle cariche leggere, come gli elettroni, da quelle più massive, come protoni o ioni di massa maggiore. Le particelle cariche in generale rilasciano energia nella materia attraversata con diverse modalità, producendo una serie di eventi di ionizzazione, ovvero di rimozione di elettroni Interazione degli elettroni con la materia Gli elettroni che attraversano un materiale perdono energia in due modi distinti e dipendenti dall energia iniziale della particella incidente. Il primo modo è per Bremsstrahlung, ovvero per emissione di radiazioni da parte di particelle cariche quando subiscono una decelerazione all interno del campo Coulombiano del nucleo [2], descritta dalla seguente formula: dddd dddd BBBBBBBB = 4NN AAααrr 0 2 ZZ2 AA EE ln 183 = EE ZZ 1 (1.5) 3 xx 0 dove x0 è la lunghezza di radiazione, cioè la distanza necessaria per ridurre l energia dell elettrone di un fattore e, αα è la costante di struttura fine pari a 1/137, Z e A sono rispettivamente il numero e la massa atomica del materiale attraversato, E l energia dell elettrone e NA il numero di Avogadro. Come si evince dalla formula precedente, l energia persa per Bremsstrahlung ha una forte dipendenza dal numero atomico e dall energia dell elettrone. Il secondo meccanismo con cui gli elettroni perdono energia in un mezzo è per ionizzazione. La perdita di energia per unità di percorso per ionizzazione è descritta dalla seguente formula: = 4NN 2 dddd AAααrr ZZ 1 ln 0 BBBBBBBB AA ββ 2 γγmm eecc 2 δδ (1.6) 2II dddd dove β = v/c, con v velocità della particella e c velocità della luce, I è l energia media di ionizzazione del mezzo δδ rappresenta i termini relativistici. Per processi di ionizzazione, la perdita di energia dipende dal numero atomico Z del materiale e dalla velocità β dell elettrone. 9

10 CAPITOLO1. ADROTERAPIA L energia totale persa da elettroni sarà data dalla somma dei due termini precedenti. Per elettroni di bassa energia domina il termine di ionizzazione, mentre ad alte energie domina la perdita di energia per Bremsstrahlung. L energia per cui i due processi si eguagliano è detta energia critica che può essere espressa come Ec 600 MeV/Z e meglio descritta dalla formula (1.7). EE cc = 800 MMMMMM ZZ+1,2 (1.7) Si possono rappresentare in un unico grafico i vari processi che portano alla perdita di energia degli elettroni: Figura 1.2: Perdita di energia degli elettroni nel Pb in funzione dell energia cinetica dell elettrone. Si nota una forte dipendenza dal numero atomico del materiale irraggiato. Nel piombo l energia critica vale circa 9 MeV mentre nel carbonio vale circa 90 MeV. La traiettoria di un elettrone che attraversa un materiale non è approssimabile con un andamento rettilineo, a causa dello scattering coulombiano a cui sono soggette particelle leggere. 10

11 CAPITOLO1. ADROTERAPIA Interazione di particelle cariche pesanti con la materia Particelle cariche, con massa superiore a quella dell elettrone, perdono energia nella materia solo per ionizzazione. Si può compiere un calcolo classico dell energia persa per ionizzazione facendo due assunzioni: 1) La velocità dell elettrone atomico è trascurabile rispetto a quella della particella incidente 2) La massa della particella incidente è grande rispetto a quella della particella bersaglio; la particella incidente riceve una quantità di moto trascurabile nel singolo urto e continua nella direzione del moto. Questa ipotesi è valida considerando che la massa dell elettrone vale 0.51 MeV mentre un muone (particella carica più leggera dopo l elettrone) ha massa MeV ed il protone (ione più leggero) ha massa di ben MeV. Il calcolo classico [3] porta alla formula di Bethe-Block che descrive l energia media ceduta al mezzo per unità di lunghezza percorsa, detta anche potere frenante. dddd = 2ππNN dddd AArr 2 ee mm ee cc 2 ρρ zz2 ZZ 2 ββ 2 AA 1 ln 2 2mm eecc 2 ββ 2 γγ 2 TT mmmmmm ββ 2 δδ cc WW 2 (1.8) 2 zz Nella formula precedente NA è il numero di Avogadro, re è il raggio classico dell elettrone, me è la massa dell elettrone, ρ, Z, A e W rispettivamente la densità, il numero atomico, la massa atomica e l energia media di ionizzazione del mezzo attraversato, z è la carica della particella incidente, Tmax è l energia massima trasferita in un urto, δ un termine di densità che tiene conto della polarizzazione del mezzo, c/z è il termine di schermatura degli elettroni interni e β = v/c. Il potere frenante dipendente dal materiale attraversato tramite i termini A, Z, ρ e I che compaiono nell equazione (1.8). Per eliminare parte di questa dipendenza si definisce il potere frenate massico: ss ρρ = 1 ρρ dddd dddd (1.9) che viene misurato in MeV/(g cm 2 ). Nella figura seguente è rappresentato l andamento della perdita di energia di un μ + che attraversa uno strato di rame. 11

12 CAPITOLO1. ADROTERAPIA Figura 1.3: Perdita di energia di un leptone µ in Cu. Osservando la figura si possono distinguere diverse zone in funzione di βγ: - βγ< 0.007: la formula di Bethe-Bloch non è più valida ad impulsi così bassi. La particella ha velocità prossime a quelle degli elettroni atomici e quindi tende ad esser assorbita, la sua carica media si annulla e la perdita di energia specifica va a zero; < βγ < 0.08: il fenomeno prima descritto comincia ad esser compensato dal termine 1/β 2 ; < βγ < 1: la perdita di energia specifica è dominata dal termine 1/β 2 e varia rapidamente; - 1 < βγ < 4: la diminuzione della perdita di energia viene compensata dalla crescita del termine logaritmico β 2 γ 2 ; La curva registra un minimo, detto minimo di ionizzazione, per βγ 3.5 ad un valore di circa 2 MeV cm 2 /g; - 4 < βγ < 200: la perdita di energia risale gradualmente con ln(βγ); - βγ > 200 la perdita di energia raggiunge un valore costante detto Plateau di Fermi. Il cammino medio (range) di una particella carica si può ricavare integrando l'inverso del potere frenante lungo il cammino: RR = 0 1 EE ii dddd (1.10) dddd/dddd 12

13 CAPITOLO1. ADROTERAPIA dove Ei rappresenta l energia iniziale della particella. Il range scala approssimativamente con il rapporto A/Z del materiale e cresce con l energia cinetica iniziale della particella carica. Come descritto precedentemente, il rateo di perdita di energia aumenta al diminuire dell energia cinetica della particella con la profondità di penetrazione, con una rapida salita alla fine del percorso. La densità di ionizzazione delle particelle cariche lungo il loro percorso nel mezzo è quindi caratterizzata da un plateau seguito da un massimo pronunciato verso la fine del range, detto picco di Bragg, che si trova ad una profondità dipendente dall energia cinetica iniziale della particella incidente. Nel caso venissero considerate più particelle allora bisognerebbe tenere presente le fluttuazioni statistiche sugli urti delle particelle e sull energia trasferita per ogni collisione: queste fluttuazioni vengono ben descritte dalla distribuzione di Landau [4]. Queste fluttuazioni generano incertezza sulla distanza raggiunta dalle particelle e tale incertezza viene denominata Straggling. Il range misurato viene perciò definito dalla lunghezza raggiunta dal 50% delle particelle. Oltre a tutte queste considerazioni non si devono tralasciare le possibili interazioni con le componenti nucleari della materia attraversata. Un effetto è l allargamento laterale del fascio dovuto all interazioni con i campi coulombiani dei nuclei che è inversamente proporzionale alla massa della particella. Il secondo effetto è dovuto alla frammentazione del fascio primario a causa delle interazioni nucleari con i nuclei del mezzo attraversato. La sezione d'urto di frammentazione diventa rivelante per ioni più pesanti del protone, quali ioni carbonio o più pesanti. L'effetto della frammentazione è di causare una diminuzione del numero di particelle incidenti lungo il cammino e lo svilupparsi di frammenti secondari. I frammenti prodotti depositeranno la loro energia ad una profondità maggiore rispetto al picco di Bragg dando luogo a una coda nella distribuzione. Figura 1.4: Ionizzazione specifica in funzione della profondità in acqua per ioni C di 400 MeV/u. 13

14 CAPITOLO1. ADROTERAPIA A titolo di esempio, la ionizzazione specifica di ioni carbonio di 400 MeV/u è raffigurata in Figura 1.4 in funzione della profondità in acqua. In figura sono separati i contributi delle particelle primarie (in rosso), dei frammenti prodotti (in blu) ricavati da simulazioni Monte Carlo mentre la curva in nero rappresenta la dose totale confrontata con le misure sperimentali (punti neri). 1.3 Effetti delle radiazioni sui sistemi biologici La grandezza principale da cui dipende l'effetto biologico di una radiazione è la "dose, definita come l'energia assorbita dal mezzo per unità di massa: DD = dddd dddd (1.11) e la cui unità di misura è il Gray (Gy), dove 1 Gy= 1 J/Kg Obiettivo della radioterapia è rilasciare una dose letale nel bersaglio tumorale, risparmiando il più possibile le cellule sane circostanti. La probabilità che una radiazione danneggi in modo letale una cellula dipende in prima approssimazione dalla dose rilasciata. Tuttavia, nel caso di particelle cariche, altri effetti devono essere tenuti in conto, come descritto nel seguito. Nell'interazione di una radiazione ionizzante con un sistema biologico si innestano una serie progressiva di eventi che possono essere schematizzati con i seguenti stadi: - Stadio fisico-chimico: produzione di ioni ed elettroni liberi in seguito ai processi di ionizzazione; - Danno chimico: si producono radicali liberi e le molecole si trovano in stato eccitato, questo comporta reazioni intramolecolari; - Danno biomolecolare: proteine e acidi nucleici subiscono variazioni strutturali dovute all interazioni coi radicali liberi; - Effetti biologici precoci: in seguito ai processi biomolecolari, le cellule vanno incontro a necrosi ed eventualmente alla morte; - Effetti biologici tardivi: nel tempo si possono formare neoplasie o alterazioni genetiche; 14

15 CAPITOLO1. ADROTERAPIA Nello stadio fisico-chimico, al passaggio del fascio, si generano eccitazioni e ionizzazioni con consecutive produzioni di elettroni secondari che generano una cascata di eventi di ionizzazione con circa 10 5 ionizzazioni singole per ogni cellula per una dose di 1 Gy. Il deposito di energia è strettamente dipendente dal tipo di radiazione: fotoni, elettroni o particelle cariche pesanti. Figura 1.5: Profilo della dose per diversi fasci. In figura 1.5 viene riportato il profilo di dose in funzione della profondità per tre diversi irraggiamenti: fascio di elettroni con energia di 21 MeV (in nero), fascio di fotoni (in blu) e un fascio di ioni carbonio con energia di 270 MeV/u (in rosso). La percentuale di dose relativa rilasciata, per elettroni e fotoni, è massima nei all ingresso dei tessuti, a cui segue una decrescita esponenziale. Il profilo doseprofondità degli ioni carbonio (e delle particelle cariche pesanti in generale) è caratterizzato invece da una bassa dose all ingresso nel tessuto e da un massimo molto pronunciato (picco di Bragg) nei pressi della fine del loro percorso: poiché l ascissa di tale massimo dipende dall energia del fascio, essa può essere cambiata semplicemente variando tale parametro. Inoltre, grazie alla massa elevata posseduta da queste particelle, è possibile limitare gli effetti di diffusione laterale e quindi a risparmiare i tessuti sani e le strutture critiche vicine al bersaglio. Con particelle cariche pesanti è possibile focalizzare il rilascio della dose ad una determinata profondità, cosa non ottenibile con altri tipi di irraggiamento: la differenza sostanziale fra radioterapia convenzionale e adroterapia risiede quindi nel diverso deposito della dose. I differenti andamenti dell energia rilasciata con la profondità per fotoni e particelle cariche pesanti, danno luogo a distribuzioni di dose differenti, come esemplificato in Figura 1.6 per un fascio di fotoni e di protoni collimati su un bersaglio in profondità. 15

16 CAPITOLO1. ADROTERAPIA Figura 1.6: Esempio di distribuzione di dose per un fascio di fotoni (sinistra) e per un fascio di protoni (destra). L'energia rilasciata da particelle cariche pesanti può produrre effetti diretti o indiretti. I primi corrispondono ad interazioni dirette con le molecole biologiche e in particolare alla rottura dei legami nella catena nucleotidica del DNA. Gli effetti indiretti corrispondono ad interazioni con le molecole d acqua presenti nella cellula e produzione di radicali liberi. I radicali liberi interagiscono a loro volta con le molecole biologiche producendo delle alterazioni chimiche che generano inattivazione chimica per ricombinazione, possono comportare fissazione o alterazioni su molecole biologiche. Il danno alle molecole di DNA è considerato quello più importante poiché può portare all inattivazione cellulare. L irradiazione può produrre vari tipi di alterazioni nella struttura del DNA [5]. In particolare si possono avere rotture di un singolo filamento dell'elica, detto Single Strand Break (SBB) o la rottura di entrambi i filamenti (Double Strand Break o DSB). Il DNA, a seconda dell entità del danno subito, può incorrere a tre diversi scenari: 1) riparazione completa, situazione che avviene per la maggioranza delle alterazioni minori, in seguito alla quale la cellula riprende la sua normale attività; 2) riparazione erronea, in cui la cellula ripara il suo danno ma non in modo completo. Questo può portare all'impossibilità di replicazione della cellula o alla sua morte per apoptosi. In alcuni casi la cellula può essere in grado di suddividersi, ma trasmettendo una mutazione genetica; 16

17 CAPITOLO1. ADROTERAPIA 3) danno non riparabile. In questo scenario la cellula muore nell arco di poche ore per liberazione di enzimi litici o muore in occasione della prima divisione mitotica. Questa situazione si verifica prevalentemente nel caso di DSB. La risposta cellulare alla radiazione dipende in modo complicato dalla dose assorbita. In radiobiologia l'efficacia biologica di una dose di radiazione è studiata misurando la sopravvivenza cellulare in funzione della dose irraggiata sul campione. Come campioni per i test sono utilizzate cellule clonogeniche che, se messe in condizioni ottimali, sono in grado di riprodursi per 5-6 generazioni in poco tempo, formando una colonia di almeno 50 cellule. Il principale fattore fisico da cui dipende il danno biologico, a parità di dose somministrata, è il Linear Energy Transfer (LET) [6]: LLLLLL = dddd dddd (1.12) Il LET è definito come la densità media di ionizzazione lungo la traccia di una particella, questo si misura in kev/μm e corrisponde al valor medio dell energia rilasciata in 1 μm di tragitto nella materia. Radiazioni ad alto LET hanno, a parità di dose somministrata, un effetto biologico maggiore rispetto a quello a basso LET. Questo avviene perché una maggior densità di ionizzazione implica una maggior probabilità di danni irreparabili, ad esempio di DSB. L'effetto biologico di una radiazione è quantificato in termini di Efficienza Biologica Relativa (RBE), definita come il rapporto tra la dose necessaria per ottenere uno specifico effetto con la radiazione di riferimento e la radiazione in esame. RRRRRR = DD rrrrrr DD eeeeeeeeee (1.13) dove DD rrrrrr è eguale radiazione di riferimento è comunemente rappresentata da un fascio di raggi X da 250 kev, mentre DD eeeeeeeeee corrisponde alla dose della radiazione in esame. 17

18 CAPITOLO1. ADROTERAPIA LET (kev/μm) Figura 1.7: andamento del RBE in funzione del LET La figura 1.7 descrive come l RBE dipenda dal LET della radiazione. Dal grafico si evince che l aumento di RBE, in funzione del LET, inizia per valori intorno ad 1 kev/μm e raggiunge il massimo a circa 100 kev/μm. Per valori di LET superiori l RBE diminuisce, a causa di una saturazione dell'effetto biologico che non cresce piu' all'aumentare della dose (overkill). Come si può notare dall immagine 1.7, a parità di dose somministrata, gli ioni carbonio risultano avere un LET maggiore rispetto a elettroni e fotoni e di conseguenza un RBE più funzionale. Questo è uno dei motivi per la quale si stanno sviluppando tecniche adroterapiche che si avvalgono dell utilizzo di ioni carbonio. 1.4 Modalità di trattamento in adroterapia Mentre la protonterapia, grazie ai quasi cinquanta centri attualmente in funzione, sta diventando uno dei trattamenti standard per la cura dei tumori più difficili, la terapia con ioni carbonio è ancora ristretta a meno di dieci strutture, una delle quali è il CNAO con sede a Pavia. L utilizzo di ioni carbonio presenta ulteriori vantaggi rispetto ai protoni, tra i quali un picco di Bragg con una larghezza minore e un diverso effetto radiobiologico: ciò rende gli ioni carbonio l unica opzione praticabile nel trattamento di tumori radioresistenti. 18

19 CAPITOLO1. ADROTERAPIA Attualmente i fasci di particelle cariche utilizzati in adroterapia sono accelerati da ciclotroni o sincrotroni. I ciclotroni sono più compatti e hanno costi inferiori a quelli dei sincrotroni, ma l energia cinetica delle particelle estratte non è variabile e può quindi essere modificata solo utilizzando elementi assorbitori (range shifter). Figura 1.8: Ciclotrone istallato al Dallas Center for Proton Therapy. I sincrotroni hanno il vantaggio di poter accelerare gli ioni all energia desiderata. Il sincrotrone tuttavia, a differenza del ciclotrone, ha costi elevati e richiede molto più spazio: un sincrotrone per applicazioni cliniche ha tipicamente un diametro di circa 8m e il sistema di iniezione degli ioni sorgenti richiede almeno uno o due acceleratori lineari in serie. Figura 1.9: Sincrotrone in dotazione al CNAO (Centro Nazionale Adroterapia Oncologica) di Pavia 19

20 CAPITOLO1. ADROTERAPIA Indipendentemente dal tipo di accelerazione usato, è cruciale che il fascio sia modulato in energia e direzione in modo tale da produrre una distribuzione ottimale della dose. Ciò si ottiene in generale producendo uno "Spread Out Bragg Peak", ovvero una distribuzione di dose longitudinale costante nel volume da trattare ottenuta sovrapponendo fasci a diverse energie, come mostrato in figura Figura 1.10: Lo SOBP è la somma di tanti fasci monoenergetici in modo tale da produrre un profilo di dose in profondità costante nel volume da trattare. Esistono due modalità per conformare il fascio di particelle alla zona da trattare: i sistemi di distribuzione passivi e quelli attivi, descritti nel prossimo paragrafo Distribuzione della dose in adroterapia Distribuzione passiva Le tecniche passive di distribuzione della dose si usano principalmente nei centri in cui si utilizza un ciclotrone, che fornisce un fascio di energia fissata. I metodi passivi consistono nell utilizzo di opportuni elementi assorbitori e collimatori che provocano un allargamento del fascio, ne modificano l energia in modo da produrre una SOBP opportuna e adattano la forma laterale al volume da trattare. 20

21 CAPITOLO1. ADROTERAPIA Figura 1.11: Sistema di distribuzione passiva per l adattamento della dose alla forma del tumore. Un tipico esempio di sistema passivo di distribuzione della dose è raffigurato nella figura Un fascio di energia definita viene fatto passare attraverso un primo sottile strato di materiale diffusore, per esempio piombo, che produce un allargamento del fascio con una distribuzione trasversa approssimativamente gaussiana. Il limitato spessore del diffusore implica che l'energia cinetica delle particelle non venga modificata in modo significativo. Un secondo diffusore, a geometria variabile con anelli concentrici occlusori, consente la selezione ed il ridimensionamento di una particolare porzione del fascio. Il profilo laterale del fascio viene adattato alla forma del tumore con l utilizzo di collimatori. La SOBP viene ottenuta mediante l utilizzo di elementi assorbitoriquali i range shifter (in azzurro in figura) e i compensatori (in verde). I vantaggi di questa tecnica sono la semplicità, la sicurezza, l ampia diffusione nei centri di adroterapia esistenti e la bassa sensibilità alla dinamica temporale del fascio. Di contro si ha la ridotta flessibilità nella conformazione tridimensionale della dose, la necessità di utilizzare collimatori personalizzati, la difficoltà di ottenere un fascio realmente parallelo, la bassa efficienza di utilizzo del fascio e la contaminazione del paziente dovuta a produzione di frammenti secondari (ad esempio neutroni) nelle interazioni nucleari con gli elementi assorbenti. 21

22 CAPITOLO1. ADROTERAPIA Sistemi di distribuzione attivi A differenza dei sistemi passivi in cui il fascio viene diffuso per coprire l'intera area tumorale, nei sistemi di distribuzione attivi il volume tumorale e' suddiviso in una griglia di punti, chiamati "spot", a loro volta suddivisi in strati monoenergetici, ogni strato corrispondente alla posizione del picco di Bragg di un fascio sottile (pencil beam) di energia fissata. La conformazione laterale viene ottenuta con una deflessione magnetica, mentre per spostarsi da uno strato e l'altro viene modificata l'energia del fascio. Nel sistemi attivi basati su ciclotroni l'energia del fascio viene cambiata utilizzando materiali assorbitori (range shifter) di spessore opportuno, mentre nei centri basati su sincrotroni, cambiando direttamente l'energia a cui il fascio è accelerato tra uno spill e il successivo. La scansione nella direzione ortogonale al fascio viene effettuato con due magneti ortogonali. Esistono due modalità di distribuzione attiva: in una il fascio è spostato in modo continuo lungo linee di scansione e la distribuzione di dose trasversa è modulata regolando la velocità di scansione (raster scanning); una seconda modalità (spot scanning) consiste nel tenere fisso il fascio su uno spot fino a che non si è raggiunta la dose prefissata, per poi esser spostato, senza esser spento, sullo spot adiacente finchè tutta la slice mono-energetica non viene completamente irraggiata, come viene mostrato in figura (a) (b) Figura 1.12: distribuzione della dose sull asse trasversale tramite magneti di scansione (a) e sull asse longitudinale con la sovrapposizione di fasci di energia diversa(b). Quest ultima tecnica fornisce l enorme vantaggio di poter effettuare un irraggiamento estremamente preciso ed omogeneo che si adatta alla forma del tumore che è, nella maggior parte dei casi, irregolare. Un altro vantaggio rispetto ai sistemi passivi è l assenza di materiale sulla linea di fascio, una minore penombra laterale dovuta all assenza di collimatori, un alta efficienza d utilizzo del fascio, una possibile sincronizzazione con il respiro del paziente. 22

23 CAPITOLO1. ADROTERAPIA 1.5 Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica Come esempio di centro di adroterapia si descrive il CNAO [8]. Il centro ha iniziato a trattare pazienti con protoni nel 2011 e con ioni carbonio nel Si prevede che, lavorando a regime, il centro sarà in grado di trattare circa 2000 pazienti l anno. Questo è uno dei pochi centri di trattamento oncologico con particelle cariche che utilizza un metodo di distribuzione della dose attiva mediante l active spot scanning. L organizzazione dell edificio ospedaliero prevede che tutti i servizi sanitari si trovino al pian terreno e nel piano interrato: questa scelta è giustificata da due motivi, il primo è l immediata accessibilità dall esterno e il secondo riguarda la più facile edificabilità di stanze schermate atte alla protezione delle radiazioni emesse durante il trattamento dei tumori. Figura 1.13: Foto dell esterno del CNAO. Il complesso è dotato di una camera per le risonanze magnetiche in cui la RNM (risonanza magnetica nucleare) lavora a 3T, di due camere per la tomografia computerizzata (CT) ognuna equipaggiata con un apposita sala di controllo. Al pian terreno è posizionato anche tutto il reparto di medicina nucleare dove si possono trovare due stanze contenenti due PET (positron emission tomography) combinate con due CT. Al CNAO viene utilizzato un sincrotrone per accelerare protoni e ioni carbonio. I protoni possono essere accelerati in un intervallo di energia compreso fra 60 e 250 MeV, gli ioni carbonio fra 120 e 400 MeV; a queste energie corrispondono a una profondità del picco di Bragg minima di alcune centimetri, e massima di circa 25 cm per protoni e circa 30 cm per ioni carbonio. L intensità massima del fascio è s -1 per protoni e 1, s - 1 per ioni carbonio. La distribuzione trasversale del fascio in corrispondenza del paziente ha una forma approssimativamente gaussiana con una larghezza a metà altezza 23

24 CAPITOLO1. ADROTERAPIA (FWHM) che può essere variata tra 4 e 10 mm. Gli ioni accelerati sono focalizzati e guidati attraverso un sistema di trasporto in tre sale di trattamento. Energia protoni MeV Energia ioni carbonio MeV/u Tecnica di rilascio del fascio Active spot scanning Dimensioni del fascio (FWHM) 4-10 mm Numero massimo di particelle/spill (p) e (C 6 ) Dimensioni del campo all isocentro 2 x 2 cm 2 a 20 x 20 cm 2 Range del fascio 1,0 g/cm 2 a 27 g/cm 2 Step di modulazione del picco di Bragg 0,1 g/cm 2 Dose rate medio 2 Gy/min Precisione nel rilascio della dose ±2,5% Omogeneità ortogonale del campo (superficie del paziente) 105% Omogeneità longitudinale del campo (fantoccio ad acqua) 111% Simmetria del campo (superficie del paziente) 105% Penombra laterale (80%-20%) < 2 mm/lato Caduta distale della dose (80%-20%) < 2 mm SSD (Source to Surface Distance) > 3 m Accuratezza nella posizione del fascio ± 0,05 mm In ogni sala vi è una linea orizzontale di trasporto del fascio e in una delle tre anche una linea di trasporto verticale. Alla fine di ogni linea di trasporto è posizionato un sistema di monitoraggio del fascio utilizzato per il controllo della dose (Dose Delivery System, DDS) che è descritto in un paragrafo seguente. 1.6 Il piano di trattamento Per ogni paziente è necessario definire un piano di trattamento basato sulle richieste cliniche e sulle caratteristiche morfologiche del tumore e del tessuto irraggiato. A questo scopo è disponibile un software di pianificazione, il Treatment Planning System (TPS), che, analizzando le specifiche del paziente e della massa tumorale ottenute con la Tomo- grafia Computerizzata o altre metodiche diagnostiche per immagini, permette di calcolare il numero di particelle da irraggiare su ogni spot in modo da ottenere le distribuzioni di dosi sul volume da trattare e sugli organi circostanti. Nel caso degli adroni, il TPS deve tener conto dell effetto biologico su vari tessuti, utilizzando un robusto modello radiobiologico. 24

25 CAPITOLO1. ADROTERAPIA 1.7 Il sistema di controllo della dose del CNAO In adroterapia l'ultima parte della linea del fascio prima del paziente è dedicata al controllo accurato della distribuzione della dose. In una metodica attiva basata sull'active spot scanning, il sistema di distribuzione della dose (Dose Delivery System o DDS) deve assicurare che ad ogni spot sia fornita la giusta dose prevista dal TPS. Il Dose Delivery System (DDS) del CNAO, è rappresentato in Figura 1.14, è costituito da due magneti di scansione prima della sala di trattamento necessari a deflettere il fascio orizzontalmente e verticalmente e da un sistema di monitoraggio costituito da camere di ionizzazione, realizzato dalla sezione di Torino dell Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e dall Università di Torino [9]. Figura 1.14: Sistema di controllo della dose del CNAO. Prima del paziente sono posizionati dei rivelatori in grado di misurare in tempo reale la fluenza e la posizione del fascio. Il controllo del trattamento viene effettuato dall elettronica del DDS, a partire dalla prescrizione del TPS per il numero di particelle da irraggiare su ogni spot. Il DDS controlla la fluenza misurata dalle camere di monitoraggio e, quando il numero di particelle irraggiate su un singolo spot raggiunge il valore prescritto dal TPS, modifica le correnti dei magneti di scansione per spostare velocemente il fascio sullo spot successivo. Il DDS inoltre comunica con il controllo dell acceleratore per interrompere velocemente l erogazione del fascio quando si è completato l irraggiamento di una slice, o per richiedere un valore particolare di energia per lo spill successivo. Il sistema di misura del numero di particelle e della posizione del fascio utilizzato al CNAO è costituito da cinque camere a ionizzazione a piani paralleli, poste dopo la finestra d uscita del fascio, ed è rappresentato in Figura

26 CAPITOLO1. ADROTERAPIA Figura 1.15: Camere a ionizzazione per il controllo della dose del CNAO. Due camere (Integral 1 e Integral 2) sono responsabili della misura della fluenza del fascio su una superficie sensibile di 240 x 240 mm 2. Gli anodi sono costituiti da un sottile foglio di kapton di 25 μm ricoperti da uno strati di alluminio di 17 μm. I catodi invece sono costituiti da un foglio di mylar di 25 μm e ricoperti da uno strato di alluminio di qualche nanometro. Due camere (Strip X e Strip Y) hanno gli anodi segmentati in strip per misurare la posizione orizzontale e verticale del fascio. Gli anodi di queste camere sono incisi in 128 strip di alluminio di larghezza pari a 1,55 mm e con un passo di 1,65 mm per una precisione nella misura della posizione inferiore a 100 μm. Le camere a strip hanno un unico catodo in comune ricoperto da uno strato di mylar doppio e ricoperto da entrambi i lati di alluminio. La loro superficie sensibile è di 211 x 211 mm 2. Infine una camera con una matrice 32 x 32 pixel è utilizzata per la misura della forma bidimensionale del fascio e della sua posizione con una precisione di 200 μm. Il gap tra le camere è di 5 mm e la loro tensione di alimentazione è di 400 V; il gas usato è l azoto. Lo spessore equivalente d acqua dell intero sistema di camere è di circa 0,9 mm. Le camere di ionizzazione non misurano direttamente il numero di particelle, ma la carica Q prodotta nel gas che dipende dal potere frenante della particella nel gas (de/dx), dallo spessore di gas attraversato (Δx), dalla densità del gas (ρ), dall energia di ionizzazione (I), oltre che dal numero di particelle che si vuole misurare (Np = Ibeam Δt): QQ(EE) = ee II bbbbbbbb tt ρρ xx WW dddd (1.14) dddd La carica prodotta nelle camere di ionizzazione è misurata utilizzando dei convertitori corrente-frequenza (chip TERA [10]) prodotti dall INFN. Questi convertitori forniscono un numero di conteggi proporzionale alla carica rilasciata: NN cc = QQ(EE) QQ cc (1.15) 26

27 CAPITOLO1. ADROTERAPIA dove Qc, detto quanto di carica, può essere variato tra 50 fc e 350 fc. Per ottenere un conteggio è necessario che la camera venga attraversata da un numero minimo di particelle. Si prenda in considerazione il caso di un fascio di protoni con energia pari a 250 MeV che attraversa una camera con spessore Δx = 0,5 cm e un quanto di carica tipico di 100 fc; in queste condizioni, per ogni conteggio, è necessario un numero minimo di alcune migliaia di protoni. Le camere a ionizzazione hanno così una forte limitazione sul numero di particelle rilevabili: tale limite riduce la precisione in tutte le casistiche di trattamento ove la dose da rilasciare per ogni spot è bassa. Per ricavare il numero di particelle che hanno attraversato la camera in un tempo Δt è necessario conoscere tutti i parametri da cui la carica rilasciata dipende: è necessario applicare una correzione per la dipendenza della densità del gas, dalla temperatura e dalla pressione, calibrare le camere per assicurare una risposta uniforme in posizione, e soprattutto è necessario conoscere l energia del tipo di particelle e il corrispondente potere frenante. Tutti i parametri e le costanti di calibrazione sono controllati quotidianamente con procedure che confrontano le misure ottenute con le camere di ionizzazione con altri dosimetri di riferimento, in genere posizionati in fantocci ad acqua, e con pellicole radiocromatiche per i controlli di uniformità spaziale. Queste procedure sono eseguite di solito durante la notte, prima di ogni giornata operativa, e richiedono diverse ore. E inoltre necessario che le condizioni operative delle camere (tensione, qualità del gas, parametri ambientali) siano monitorate continuamente, e che i trattamenti siano interrotti nel caso in cui alcuni parametri siano fuori tolleranza Monitoraggio del fascio con contatore singolo di particelle L argomento di questa tesi è lo studio di rivelatori con proprietà adatte per misurare direttamente e con alta precisione il numero di particelle di un fascio terapeutico in un intervallo di tempo Δt: Np = Ibeam Δt (1.16) Tale contatore renderebbe superflue le calibrazioni quotidiane alle quali sono sottoposte le camere di ionizzazione. Di conseguenza anche i fattori di correzione e i controlli di qualità richiesti, per una camera di ionizzazione diventerebbero superflue. Il contatore fornirebbe anche una misura per fluenze molto basse, permettendo quindi maggior controllo sul deposito di basse dosi ai pazienti. Un simile rivelatore deve essere in grado di contare con alta efficienza e basso errore il numero di ioni fino ad una 27

28 CAPITOLO1. ADROTERAPIA frequenza di 10 GHz, corrispondente all intensità massima di un fascio di protoni del CNAO. Date le premesse servono quindi sensori molto veloci, in grado di fornire impulsi al passaggio di ogni singola particella di durata molto breve, inferiore a 1 ns. Viene valutata quindi la possibilità di impiegare rivelatori al silicio innovativi per il conteggio dei singoli ioni di un fascio terapeutico: questi devono avere uno spessore molto piccolo per produrre segnali veloci, e allo stesso tempo, avere un rapporto segnale/rumore molto elevato per permettere di distinguere il segnale prodotto da una particella dal rumore generato. Avere un alto rapporto segnale/rumore permette di avere un alta efficienza e una bassa probabilità di conteggi falsi dovuti alle fluttuazioni del rumore. Costruire sensori al silicio di area grande presenta grosse difficoltà e quindi il contatore potrebbe essere posizionato prima dei magneti di scansione, dove il fascio è contenuto in un area di pochi cm 2 (Figura 1.16). Figura 1.16: Dispositivo per il conteggio del numero di particelle del fascio posizionato prima dei magneti. Il posizionamento del sensore prima dei magneti di scansione, a diversi metri di distanza dal paziente, richiede l uso di materiali di piccolo spessore, per limitare la deformazione del fascio dovuto alla diffusione coulombiana multipla. Un ulteriore vantaggio dell utilizzo di un contatore di singole particelle in un fascio terapeutico è che può esser combinato con i conteggi delle camere a ionizzazione:la combinazione delle due misure permetterebbe di determinare lo stopping power. Dal rapporto tra il numero di conteggi Np dei rivelatori di singole particelle e il numero di conteggi Nc del convertitore utilizzato per la lettura delle camere a ionizzazione si ricava infatti la densità di ionizzazione a partire delle equazioni (1.14) e (1.16): 28

29 CAPITOLO1. ADROTERAPIA dddd dddd = WW QQ cc ee ρρ xx NNpp NN cc (1.17) Dato che lo stopping power dipende dall energia, è quindi possibile, a partire dal rapporto tra i conteggi della camera di ionizzazione e del contatore, noto il tipo di ione, misurarne in tempo reale l energia. Normative internazionali [11] impongono misure in tempo reale dell energia del fascio come controllo di sicurezza in un trattamento terapeutico con particelle cariche. Per rispettare tali normative la precisione nella misura dell energia deve esser tale da fornire una precisione nel range inferiore a 1 mm. Si è calcolato che per avere un errore sull energia di protoni di 250 MeV corrispondente ad un errore massimo sul range di particelle di 1 mm in acqua è necessario che l errore relativo ΔNc/Nc sui conteggi sia minore dello 0.1%. L errore massimo, al quale si vuol tendere pone quindi dei limiti stringenti sulle proprietà richieste al contatore. L errore statistico può essere ridotto aspettando il tempo necessario per avere un numero di conteggi sufficiente (alcun ms all intensità massima di p/s) ma tutti i contributi sistematici all errore devono essere inferiori a questo limite. In particolare l efficienza di rivelazione deve essere > 99.9% e la probabilità di conteggi spuri inferiore a 0.1%. Anche la probabilità di sovrapposizione di due segnali (pile-up) deve essere inferiore allo 0.1%. Al fine di minimizzare la probabilità di pile-up, ovvero la probabilità che due particelle forniscano segnali sovrapposti, è necessario che il rivelatore sia segmentato in pixel con un alta densità, e letti in modo indipendente. Poiché il fascio si estende in un area dell ordine di 1 cm 2, la probabilità che due particelle attraversino lo stesso pixel in simultanea entro il tempo di raccolta e di lettura del segnale diminuisce al crescere del numero di pixel. Ipotizzando un sensore al silicio di spessore inferiore a 50 μm, il cui tempo di raccolta delle cariche è quindi inferiore a 1 ns, e che l elettronica di lettura sia in grado di funzionare ad una frequenza di 1 GHz con tempi morti di 1 ns, si è calcolato che il numero di pixel deve essere > 10 4 /cm 2 per una probabilità di pile-up < 0.1 % per un fascio di forma gaussiana con FWHM pari a 1 cm. L elettronica di lettura dovrà essere sviluppata in tecnologia VLSI ad alta densità e accoppiata direttamente con il sensore con la tecnica del bump-bonding al fine di ridurre il più possibile resistenze e capacità in serie che possano alterare la forma dei segnali. Ogni pixel del sensore dovrà essere accoppiato ad un canale di elettronica indipendente, in cui un elemento amplificatore dovrà essere ottimizzato per ridurre al minimo il rumore e mantenere il tempo di formazione del segnale il più piccolo possibile. Il segnale in uscita dall amplificatore verrà confrontato con una soglia di un discriminatore, i cui impulsi in uscita saranno distribuiti alla parte digitale del circuito, dove verranno contati ad alta frequenza. 29

30 CAPITOLO1. ADROTERAPIA Figura 1.17: Accoppiamento di un sensore con un elettronica ibrida con la tecnica del bump-bonding. L intero sistema, comprendente l elettronica e il sensore, dovrà infine essere resistente alle alte dosi di radiazione di un fascio terapeutico. Per un uso clinico del dispositivo è necessario che entrambe le parti del sistema continuino a funzionare con dosi superiori a neq / cm 2, corrispondenti al trattamento di alcune centinaia di pazienti. Quindi è necessario che venga studiata la risposta dei sensori al silicio al danno di irraggiamento. Per far ciò bisogna esser in grado di estrapolare la corrente generata dal sensore al passaggio delle particelle: ciò permetterà, variando i flussi di particelle incidenti, di studiare come varia il guadagno e quindi come varia la risposta del sensore. Per ottenere questo risultato si cercherà in questa tesi di estrapolare tale corrente, scindendo questo segnale dall elettronica di lettura avvalendosi di dati raccolti in laboratorio e di simulazioni. L insieme di caratteristiche prima citate rendono lo studio di un contatore di particelle per adroterapia un lavoro di notevole difficoltà. Si impone quindi uno studio su quali sensori si possono utilizzare in tale applicazione biomedicale e uno studio sull elettronica dedicata che deve essere in grado di lavorare a pieno regime nel sistema, rispettando sempre i parametri imposti dalle caratteristiche richieste. In questa tesi si sono indagati le caratteristiche di un tipo particolare di sensore al silicio per valutare la possibilità di utilizzarlo per lo scopo descritto. Nel capitoli successivi verranno descritte le caratteristiche generali dei rivelatori al silicio e si descriveranno dei rivelatori al silicio innovativi, che hanno le caratteristiche adatte relative al rapporto segnale/rumore elevato anche per spessori molto sottili. 30

31 CAPITOLO 2.RIVELATORE A SEMICONDUTTORE Capitolo 2 Rivelatori a semiconduttore In questo capitolo sono trattate le proprietà generali dei semiconduttori, i concetti di drogaggio e giunzione p-n, i metodi di polarizzazione diretta e inversa. Viene descritto come sensori basati su semiconduttori vengano utilizzati come rivelatori di particelle. 2.1 Proprietà fisiche dei semiconduttori I materiali utilizzati nei dispositivi elettronici sono suddivisi in tre tipologie, in base alle loro proprietà di conduzione elettrica: conduttori, isolanti e semiconduttori. La grandezza fisica che distingue i diversi tipi di materiale è la resistività elettrica, definita come il rapporto tra campo elettrico E e densità di corrente elettrica J: ρρ = EE JJ (2.1) La resistività rappresenta quindi l attitudine di un materiale ad opporsi al passaggio di corrente elettrica, e la sua unità di misura è Ω m. Nei conduttori la resistività è piuttosto bassa (nel rame per esempio vale circa 10-8 Ω m); al contrario, negli isolanti è piuttosto elevata (la resistività dell aria è dell ordine di Ω m); nei semiconduttori infine assume valori compresi fra quelli precedenti ma può anche essere modificata intervenendo direttamente sulla struttura del materiale oltre ad avere una forte dipendenza dalla temperatura. I semiconduttori hanno una struttura cristallina. In un solido cristallino gli atomi si legano insieme in modo da realizzare un reticolo spaziale a periodicità regolare in tutte le direzioni. L unità più piccola del reticolo, che ripetuta in tre dimensioni genera

32 CAPITOLO2. RIVELATORI A SEMICONDUTTORE l intero cristallo, prende il nome di cella elementare o unitaria. Il tipo di legame chimico fra gli atomi dipende dalla struttura elettronica degli atomi del reticolo e determina le proprietà fisiche del materiale. Nel caso dei semiconduttori, il legame chimico è di tipo covalente, che consiste nella condivisione di una coppia di elettroni di valenza fra due atomi, i quali rimangono reciprocamente legati perché i due elettroni condivisi determinano nel loro moto una nuvola di carica distribuita attorno ad entrambi e vengono perciò ad appartenere contemporaneamente all uno e all altro di essi. Il silicio è uno dei semiconduttori più importanti tra quelli impiegati nei dispositivi elettronici. Esso appartiene al IV gruppo della tavola periodica degli elementi insieme al carbonio e allo stagno. Il silicio ha numero atomico 14 e peso atomico 28. Tutti gli elementi appartenenti al IV gruppo hanno quattro elettroni di valenza nella shell più esterna e ciò richiede che ciascuno di essi abbia quattro atomi vicini per formare i quattro legami. La struttura cristallina del silicio è la struttura cristallografica del diamante, in cui ogni atomo è interessato da quattro legami di tipo covalente con i primi vicini, secondo una configurazione di tipo tetraedrico che si ripete regolarmente in tre dimensioni. Questa struttura è rappresentata in tre dimensioni in Figura 2.1. Figura 2.1: Reticolo cristallino del diamante. La struttura del diamante è rappresentata simbolicamente in due dimensioni in Figura 2.1. Il fatto che gli elettroni di valenza leghino due atomi adiacenti implica che essi siano comunque strettamente vincolati alla coppia. Quindi, nonostante siano disponibili quattro elettroni di valenza, il cristallo presenta una bassa conducibilità. Più precisamente, a temperatura molto bassa (prossima a 0 K) si è vicini alla struttura ideale della Figura 2.2, e il cristallo si comporta come un isolante, dato che non sono disponibili portatori di carica liberi di muoversi. A temperature più elevate, invece, alcuni dei legami covalenti si rompono a causa dell energia termica fornita al cristallo e si liberano elettroni che possono contribuire alla corrente quando venga applicato un 32

33 CAPITOLO2. RIVELATORI A SEMICONDUTTORE campo elettrico. Questa situazione è illustrata in Figura 2.3, dove l assenza di un elettrone nel legame covalente è rappresentata con un cerchietto che si comporta a tutti gli effetti come una particella di carica positiva, chiamata lacuna. A temperatura ambiente, l energia EG necessaria per spezzare tale legame è circa 1,12 ev per il silicio. Figura 2.2: Struttura cristallina del silicio illustrata simbolicamente in due dimensioni. Figura 2.3: Cristallo di silicio con un legame covalente spezzato. 33

34 CAPITOLO2. RIVELATORI A SEMICONDUTTORE 2.2 Struttura a bande Gli elettroni all interno di un atomo possiedono un livello di energetico [12], ovvero il loro stato è descrivibile mediante valori caratteristici di energia. Estendendo tale asserzione si determina che il comportamento elettrico, ovvero le caratteristiche elettriche distintive di un elemento o di un tale materiale, è esprimibile in base ai livelli energetici che caratterizzano il comportamento degli elettroni degli atomi di detto materiale. In un solido, a temperatura T = 0 K, gli elettroni obbediscono al principio di Pauli, e riempiono gli stati elettronici consentiti, partendo dal livello energetico più basso. A temperature superiori la distribuzione degli elettroni è descritta dalla distribuzione di Fermi-Dirac [13]: ff(ee) = 1 + ee EE EE 1 FF kkkk (2.2) dove f(e) = dn/de, è la densità di elettroni di energia E ad un temperatura T, ed EF è l energia di Fermi [14]. In un solido cristallino gli elettroni possono occupare due bande di energia caratteristiche: la banda di valenza e la banda di conduzione. Nei conduttori le due bande sono sovrapposte e ogni elettrone contribuisce alla conduzione. Negli isolanti e nei semiconduttori invece le due bande sono separate fra loro dalla banda proibita, detta gap, non occupabile dagli elettroni. In Figura 2.4 è riportato uno schema della struttura a bande per quattro materiali diversi. Figura 2.4: Struttura a bande per diversi tipi di materiale. Ad esempio il sodio è un buon conduttore poiché alcuni stati appartenenti alla banda di valenza sono anche parzialmente vuoti. Agli elettroni più esterni del sodio (ovvero che si trovano nei livelli energetici di valenza più alti e non completi) basterà un 34

35 CAPITOLO2. RIVELATORI A SEMICONDUTTORE modesto contributo di energia per passare ad un livello maggiore o uguale a quello di conduzione. Ciò è a maggior ragione vero per il magnesio in cui naturalmente il livello di Fermi è maggiore di quello di conduzione. Il carbonio in forma di diamante viceversa presenta una banda proibita consistente e una banda di valenza completa, ovvero occorre dare al materiale un forte contributo di energia per fare saltare un elettrone alla banda di conduzione. Ciò implica che a rigore tutti i materiali possono essere conduttori, ma quando la quantità di energia necessaria per portare gli elettroni nella banda di conduzione è tale per cui le caratteristiche chimico - fisiche del materiale vengono compromesse, in questo caso si è di fatto in presenza ad un isolante. Supponiamo il caso in cui ora la banda di valenza è completa ma la banda proibita è piccola, per cui il livello di conduzione è di poco maggiore di quello di Fermi (tra 2 e 10 ev). In tal caso è possibile, con un contributo di energia significativo ma non tale da compromettere il materiale, portare un elettrone di valenza al di sopra del livello di conduzione. Tale è il caso dei semiconduttori. 2.3 Semiconduttori intrinsechi ed estrinsechi Un semiconduttore può essere intrinseco oppure estrinseco, e ciò dipende dalla presenza o meno nella struttura di impurità, cioè atomi differenti da quelli del cristallo. Nei semiconduttori intrinsechi il materiale è puro, cioè la sua struttura cristallina è costituita tutta dagli stessi atomi, o le impurità sono talmente ridotte da non influire sul comportamento elettrico del materiale; nei semiconduttori estrinsechi invece sono state introdotte delle impurità tramite un processo che prende il nome di drogaggio Semiconduttori intrinsechi Nel caso di un semiconduttore intrinseco le cariche che possono contribuire alla conduzione elettrica sono soltanto quelle prodotte per eccitazione termica. La densità di elettroni di conduzione è descritta dalla seguente relazione: nn ii = TT 3 2ee EE gg 2kkkk (2.3) dove Eg rappresenta il gap fra la banda di valenza e quella di conduzione, k è la costante di Boltzmann e T è la temperatura. A temperatura ambiente di T = 300 K la densità di 35

36 CAPITOLO2. RIVELATORI A SEMICONDUTTORE elettroni di conduzione per il silicio puro vale m -3. Pur trattandosi di una densità bassa, è sufficiente a generare una corrente continua misurabile in presenza di un campo elettrico, tuttavia non tale da poter utilizzare il silicio intrinseco come rivelatore. Nei semiconduttori intrinsechi la densità di elettroni (n) è uguale a quella delle lacune (p): nn = pp = nn ii (2.4) Inoltre la legge dell azione di massa, assicura che il prodotto fra elettroni e lacune sia costante in condizioni di equilibrio termico: pppp = nn ii 2 (2.5) Semiconduttori estrinsechi Nel caso di un semiconduttore drogato la conducibilità cambia drasticamente. E possibile drogare un semiconduttore al silicio con atomi pentavalenti o trivalenti. Se viene introdotto un atomo pentavalente (es. fosforo), si forma un nuovo livello energetico al di sotto della banda di conduzione e l impurità viene detta donatore o donore; in un semiconduttore drogato con donori vi è un eccesso di elettroni di conduzione. Se invece viene introdotto un atomo trivalente (es. alluminio) si forma un livello energetico vicino alla banda di valenza e l impurità prende il nome di accettore; in questo caso vi è un eccesso di lacune. La densità di atomi accettori e donori si indicano rispettivamente con i simboli NA e ND. Il portatore la cui concentrazione è maggiore nel materiale viene detto maggioritario. La densità di carica nei semiconduttori deve comunque rimanere nulla e ciò si può esprimere matematicamente con la relazione: NN DD + pp NN AA nn = 0 (2.6) Valori tipici di drogaggio per rivelatori al silicio variano da atomi/cm 3 fino a atomi/cm 3 nell elettronica CMOS. Drogando il materiale con atomi pentavalenti (drogaggio di tipo n) si ottiene un eccesso di elettroni nella struttura che, anche a basse temperature, saranno in grado di contribuire alla conduzione. Se le impurità introdotte sono invece atomi trivalenti (drogaggio di tipo p) si ottiene un eccesso di lacune che si comportano come cariche positive libere di muoversi nella struttura. Un silicio fortemente drogato si indica spesso con il simbolo n+ oppure n++ per drogaggi di tipo n, e p+ oppure p++ per drogaggi di tipo p. 36

37 CAPITOLO2. RIVELATORI A SEMICONDUTTORE Nella Figura 2.5 (a) sono riportati la configurazione elettronica per silicio drogato n (in alto a sinistra) e p (in alto a destra); Nella Figura 2.5 (b) sono riportati i corrispondenti livelli energetici introdotti dall aggiunta di accettori o donori. Figura 2.5 (a): impurità di tipo n nella struttura del silicio (a sinistra) e impurità di tipo p (a destra) Figura 2.5 (b): nuovi livelli energetici formatisi dopo il processo di drogaggio 2.4 Correnti di deriva e di diffusione Le correnti che si instaurano nei semiconduttori in presenza di un campo elettrico sono generate sia dal flusso di elettroni e che da quello delle lacune. Esistono due tipi di corrente: la corrente di deriva o drift, dovuto alla presenza di un campo elettrico E applicato dall esterno, e una corrente di diffusione, generata invece da un gradiente di 37

38 CAPITOLO2. RIVELATORI A SEMICONDUTTORE concentrazione dei portatori nel dispositivo stesso. Nel caso della corrente di deriva, le velocità degli elettroni e delle lacune sono date, rispettivamente dalle seguenti relazioni: vv nn = μμ nn EE (2.7) vv pp = μμ pp EE (2.8) dove μμ nn e μμ pp definiscono le mobilità degli elettroni e delle lacune. La mobilità di portatori di carica indica la capacità di una particella carica di muoversi in un materiale in presenza di un campo elettrico e si misura in cm 2 /V s. I valori di mobilità nel silicio sono di circa 1500 cm 2 /V s per gli elettroni, mentre per le lacune è di circa 3 volte minore (500 cm 2 /V s). La mobilità è costante solo a bassi valori di campo elettrico, man mano che questo cresce le velocità dei portatori tendono a saturare, come mostrato in Figura 2.6. Inoltre le mobilità diminuiscono all aumentare della temperatura e della concentrazione di droganti. Nel caso del silicio è possibile assumere che il loro valore coincida con quello del semiconduttore intrinseco fino a concentrazioni dell ordine dei cm -3. Figura 2.6: Velocità di deriva nel silicio in funzione del campo elettrico e della temperatura espressa in Kelvin. La corrente di diffusione è invece presente anche in assenza di un campo elettrico esterno ed è dovuta ad un gradiente di concentrazione delle cariche nei dispositivi. I portatori liberi tendono a muoversi dalla regione ad alta concentrazione di carica a quella con concentrazione minore. Considerando quindi sia la componente di diffusione che quella di deriva, la corrente totale nel dispositivo sarà data dalla somme di questi due termini. 38

39 CAPITOLO2. RIVELATORI A SEMICONDUTTORE 2.5 Giunzione p-n Ogniqualvolta in un medesimo cristallo di semiconduttore una regione drogata p e una drogata n sono a contatto tra loro, si dice che si forma una giunzione p-n. Essa è illustrata schematicamente nella Figura 2.7. Lo ione donatore è rappresentato da un segno +, poichè, dopo che questo atomo ha donato un elettrone, esso diventa uno ione positivo. Lo ione accettatore è indicato con un segno, poichè, dopo che questo atomo ha accettato un elettrone, esso diventa uno ione negativo. A parte i portatori minoritari, all inizio vi sono nominalmente solo portatori di tipo p nel lato sinistro della giunzione e solo portatori di tipo n nel lato destro. Dato che attraverso la giunzione si manifesta un gradiente della densità di carica, le lacune inizialmente diffonderanno attraverso la giunzione verso destra, gli elettroni verso sinistra. Non appena i portatori di carica attraversano la giunzione, iniziano fenomeni di ricombinazione elettrone-lacuna: le lacune positive, che neutralizzano gli ioni accettatori in prossimità della giunzione nel silicio di tipo p, scompaiono per opera della ricombinazione con gli elettroni che diffondono in senso contrario attraverso la giunzione. Analogamente gli elettroni, che neutralizzano gli ioni donatori in prossimità della giunzione nel silicio di tipo n, si ricombinano con le lacune che hanno attraversato la giunzione provenendo dal materiale di tipo p. Si forma così, nei pressi della giunzione, una regione priva di carica detta regione di svuotamento o depletion layer, dove rimangono solo gli ioni positivi degli atomi donatori e gli ioni negativi degli atomi accettori; queste sono cariche fisse e immobili nel reticolo e danno luogo ad un campo elettrostatico E che si oppone al moto di diffusione. All equilibrio si forma una barriera di potenziale che tipicamente è pari al (50-90) % del gap e che dipende dal drogaggio dei semiconduttori. Il campo elettrico che si viene a creare produce un potenziale ai capi della giunzione detto potenziale di contatto e indicato con il simbolo Vd. Figura 2.7: Esempio della struttura di una giunzione p-n. 39

40 CAPITOLO2. RIVELATORI A SEMICONDUTTORE Considerando una densità di carica costante e un valore nullo per il campo elettrico ai bordi della regione, dalla legge di Gauss si ottiene l andamento del campo elettrico in funzione della profondità nella regione di svuotamento: EE(xx) = ρρ εεss ii (xx xx pp ) (2.9) Il potenziale di contatto, detto anche potenziale di built-in, è invece dato dalla seguente relazione: VV dd = kkkk qq llll NN AANN DD nn ii 2 (2.10) In Figura 2.8 sono riportati gli andamenti del campo elettrico e del potenziale in funzione della posizione nella regione svuotata. Come accennato in precedenza il valore del campo elettrico è nullo ai bordi della regione e massimo nella zona di contatto; la tensione invece è massima a uno dei due estremi e diminuisce fino a un valore (definito pari a 0) all altro capo della giunzione. Figura 2.8: Andamento del campo elettrico in funzione della posizione nella giunzione (sinistra) e andamento della tensione (destra) Polarizzazione della giunzione p-n Una giunzione viene polarizzata applicando una differenza di potenziale VBias ai suoi estremi. La polarizzazione si dice diretta quando si applica un potenziale positivo al lato p e negativo al lato n (VBias > 0), abbassando così la barriera di potenziale del rivelatore. In questo caso le lacune nel lato p e gli elettroni nel lato n vengono spinti verso il centro della giunzione e si riduce così l ampiezza della regione di svuotamento. La polarizzazione si dice invece inversa quando il potenziale nella regione p è inferiore a quello della regione n (VBias < 0), producendo in questo caso un aumento della barriera di potenziale. Elettroni e lacune si allontanano dal centro della giunzione e la regione di svuotamento si allarga. 40

41 CAPITOLO2. RIVELATORI A SEMICONDUTTORE Quando si applica una tensione ad una giunzione p-n si verificano due fenomeni: 1. cambia lo spessore della regione di transizione e quindi il valore della capacità di transizione in funzione del potenziale V applicato. 2. circola una corrente i = i(v ), la cui intensità è funzione della tensione applicata. Quando si polarizza inversamente una giunzione i portatori maggioritari sono attratti dai terminali del generatore, allontanandosi quindi dalla superficie di separazione, e come prima conseguenza si ha un allargamento della regione di transizione, il cui spessore W è descritto dalla: WW = 2εε SSSS qq 1 NN AA + 1 NN DD (VV dd + VV BBBBBBBB ) (2.11) In base all Equazione (2.11) la regione di svuotamento si estende maggiormente nella regione della giunzione con drogaggio minore. Figura 2.9: A sinistra giunzione p-n polarizzata, a destra potenziale in funzione della profondità della giunzione nel caso di polarizzazione diretta (VBias > 0) e inversa (VBias < 0). Nelle giunzioni p-n i portatori minoritari, creati termicamente, sottoposti all azione del campo esterno applicato, si dirigeranno anch essi verso i poli del generatore, ma attraversando la superficie di separazione. I due tipi di moto sono sostanzialmente diversi; infatti, mentre quello dei portatori maggioritari è solo transitorio e cessa non appena il controcampo creato dalle nuove regioni di carica spaziale bilancia l effetto del campo esterno, quello dei portatori minoritari seguita indefinitamente e, fissata la temperatura, dà luogo ad una corrente che dipende solo dal numero di coppie elettrone-lacuna create termicamente, ossia, in definitiva, dalla concentrazione intrinseca ni. Tale corrente I0, chiamata corrente inversa della giunzione, è una corrente di conduzione dei portatori minoritari attraverso la superficie di contatto ed è indipendente, entro un intervallo relativamente ampio, dal valore della tensione esterna applicata. Studiando il comportamento di una giunzione 41

42 CAPITOLO2. RIVELATORI A SEMICONDUTTORE nel caso di polarizzazione diretta e inversa si ottiene la caratteristica che descrive l andamento della corrente in funzione della tensione applicata, come ad esempio quella mostrata nella figura seguente. Figura 2.10: Andamento della corrente in funzione della tensione di polarizzazione applicata. Nel caso di polarizzazione diretta, la corrente è trascurabile per tensioni inferiori alla tensione di built-in, per poi aumentare bruscamente al di sopra di quella soglia. Nel caso di tensioni negative la corrente è debole, di circa 0.5 μa ed è dovuta essenzialmente alla creazione di portatori di carica a causa dell agitazione termica. Al di sopra di un valore di soglia (detta tensione di breakdown) si ha un forte aumento della corrente che può provocare guasti interni e danneggiare il dispositivo. 2.6 Rivelatori a stato solido Per costruire rivelatori di particelle si possono utilizzare giunzioni di vari tipi, come ad esempio quelle che si ottengono accoppiando due semiconduttori p + - n. La parte n, solitamente più spessa, prende il nome di substrato ed è utilizzata come regione svuotata sensibile per la rivelazione; la parte p + è molto più sottile e con densità di drogaggio maggiore per creare la giunzione. Il funzionamento dei rivelatori a stato solido è molto simile a quello di una camera di ionizzazione: una particella ionizzante che attraversa la giunzione polarizzata inversamente genera coppie elettrone-lacuna, che migrano verso gli elettrodi seguendo le linee di campo generando un segnale elettrico misurabile. 42

43 CAPITOLO2. RIVELATORI A SEMICONDUTTORE Figura 2.11: Particella ionizzante che attraversa un rivelatore a stato solido. In Figura 2.11 è rappresentato un tipico rivelatore al silicio, in cui la giunzione è data dal contatto tra la zona p + ad alto drogaggio e il substrato drogato di tipo n. Un ulteriore strato di drogaggio n + al fondo del rivelatore è utilizzato per permettere il contatto elettrico per la polarizzazione del dispositivo. Quando si applica una polarizzazione inversa abbastanza elevata, la regione di svuotamento si estende su tutta la regione del substrato, che diventa la regione attiva per la rivelazione del passaggio di particelle. Una particella ionizzante crea coppie elettrone/lacuna che derivano nel campo elettrico della giunzione, inducendo un segnale rivelabile sul contatto elettrico con lo strato p +. L ossido di silicio (SiO2) è utilizzato come isolante, mentre lo strato di alluminio serve per i collegamenti con le tensioni di polarizzazione e con l elettronica di lettura. Dal punto di vista elettrico, la struttura della giunzione completamente svuotata si comporta come un condensatore a facce piane e parallele, con spessore pari a quello della regione svuotata. La tensione necessaria per svuotare completamente la regione (tensione di svuotamento) è data dalla relazione: VV = NN DD eeww 2 2εε 0 εε SSSS (2.12) dove ND rappresenta la concentrazione dei portatori del substrato, W lo spessore del substrato, e la carica elementare ed εε SSSS la permittività del silicio. 43

44 CAPITOLO2. RIVELATORI A SEMICONDUTTORE Per valori di tensione di bias inferiori alla tensione di svuotamento la capacità della giunzione è inversamente proporzionale alla radice quadrata di VV, mentre per valori maggiori rimane costante essendo il sensore completamente svuotato. Il vantaggio principale dei rivelatori a semiconduttore sta nell energia necessaria per creare una coppia elettrone-lacuna, che è fino a 10 volte minore rispetto ai rivelatori a gas. L energia di ionizzazione del silicio infatti vale ad esempio 3.6 ev mentre l energia di ionizzazione dell azoto (usato ad esempio in camere a ionizzazione) vale ev. Tenuto anche conto della maggiore densità, i rivelatori a stato solido permettono quindi di produrre segnali elevati anche con spessori molto sottili; altri vantaggi sono una maggiore risoluzione spaziale per contatti di lettura opportunamente segmentati e un alta risoluzione temporale. 2.7 Formazione del segnale nel rivelatore Una radiazione ionizzante che attraversa il volume attivo genera coppie elettronelacuna (in media, 8000 coppie ogni 100 micron). L impulso elettrico sugli elettrodi deriva dalla carica indotta dal movimento delle cariche e formatesi per ionizzazione nel campo elettrico del substrato. Il segnale in un rivelatore è descritto dal teorema di Shockley-Ramo [15] che si basa sulla variazione istantanea delle linee di flusso del campo elettrico prodotte dalla carica che si muove verso un elettrodo. Approssimando un sensore come un condensatore a facce piane e parallele e considerando una carica elettrica in movimento, la densità delle linee di campo sugli elettrodi dipende dalla posizione della particella, come si osserva in Figura (a) (b) Figura 2.12: Linee di campo di una carica elettrica in un condensatore. Secondo il teorema di Ramo, la corrente indotta su un elettrodo è data dalla seguente relazione: 44

45 CAPITOLO2. RIVELATORI A SEMICONDUTTORE II kk (tt) = qq vv (xx) (xx) EE kk (2.13) dove il pedice k indica l elettrodo in esame, x è la distanza della carica di un elettrodo di riferimento, vv (xx) rappresenta la velocità della carica, ed (xx) EE kk (weighting field), è definito come il campo elettrico ottenuto ponendo a 1 il potenziale dell elettrodo k, e a 0 il potenziale di quelli restanti. Il weighting field si misura in cm -1 e non dipende dalla distribuzione delle cariche e dalla tensione applicata, ma soltanto dalla geometria degli elettrodi e dalle impedenze con cui sono connesse a massa. Siccome elettroni e lacune si muovono in direzione opposte, queste generano sullo stesso elettrodo una corrente dello stesso segno. Tenendo conto delle diverse mobilità per elettroni e lacune, la raccolta della carica indotta avviene in tempi diversi per i due tipi di particelle. Assumendo un sensore di spessore d ed una carica generata ad una distanza x dall elettrodo di riferimento, i tempi di raccolta di elettroni e lacune sono dati dalle seguenti espressioni: tt nn = xx vv nn = xx dd μμ nn VV BBBBBBBB (2.14) tt pp = dd xx vv pp = (dd xx) dd μμ pp VV BBBBBBBB (2.15) Dalle espressioni precedenti si nota come i tempi di raccolta per elettroni e lacune differiscono a causa sia della differente mobilità delle particelle sia della distanza dagli elettrodi in cui vengono generati. 2.8 Il rumore elettronico L elettronica di lettura è una componente chiave dei moderni sistemi di rivelazione. L informazione su un fenomeno fisico avvenuto nel volume di un rivelatore viene estratta a partire da un parametro del segnale generato, come la corrente, la carica o il tempo. Siccome il segnale generato in genere è debole e non misurabile direttamente è necessario utilizzare degli amplificatori. Un amplificatore, oltre a fornire in uscita un segnale di ampiezza maggiore di quello in ingresso, inevitabilmente introduce un rumore e un alterazione del segnale iniziale. Per capire da cosa dipende il rumore elettronico introdotto da un amplificatore collegato ad un sensore, si consideri il moto di cariche all interno di un sensore, che produce una corrente indotta pari a: ii = nn ee vv LL (2.16) 45

46 CAPITOLO2. RIVELATORI A SEMICONDUTTORE dove n è il numero di portatori di carica, v la loro velocità, e il valore della carica elementare ed L la distanza fra gli elettrodi di lettura [16]. Considerando il numero di particelle prodotte e la loro velocità statisticamente scorrelate, è possibile esprimere le fluttuazioni sulla corrente come la combinazione dei contributi dai contributi dovuti alle fluttuazioni in velocità e alle fluttuazione sul numero di particelle: dddd 2 = nn ee ll 2 dddd 2 + ee vv ll 2 dddd 2 (2.17) Le fluttuazioni casuali sulla velocità sono dovute all agitazione termica, Le fluttuazioni nel numero di cariche dipendendono principalmente dal processo statistico di produzione e ricombinazione delle cariche, nonché della probabilità di superare la barriera di potenziale. 2.9 Tipologie di rivelatori al silicio Nei seguenti paragrafi vengono descritte alcune tipologie di rivelatori al silicio che è possibile produrre sfruttando le proprietà delle giunzioni p-n. I sensori che si andranno a descrivere sono rivelatori Pin, rivelatori a microstrip e rivelatori a pixel. Sviluppi più recenti hanno portato alla creazione di diverse configurazioni per i sensori a pixel Rivelatori Pin Un PiN è formato da due regioni fortemente drogate p ed n fra le quali vi è una regione di materiale semiconduttore intrinseco, come mostrato in Figura La regione intrinseca di un rivelatore PiN è quella sensibile al passaggio di una particella e può essere larga a piacere in modo da espandere la sensibilità del dispositivo ad una regione più ampia. Un PiN si comporta come un diodo per segnali di bassa frequenza, mentre per segnali ad alta frequenza si comporta come una resistenza, di valore inversamente proporzionale alla tensione di bias applicata. Rispetto ad un diodo tradizionale formato dalla giunzione p-n, la regione di svuotamento è molto grande, praticamente costante e non dipende dalla tensione di polarizzazione applicata. Questi sensori non hanno una grande applicazione in fisica, ma sono importanti dal punto di vista della configurazione dato che risultano essere la matrice per alcuni sensori al silicio usati attualmente in fisica nucleare dove la regione intrinseca corrisponde di fatto ad una regione a basso drogaggio. 46

47 CAPITOLO2. RIVELATORI A SEMICONDUTTORE Figura 2.13: Diodo PiN Rivelatori a microstrip Per utilizzare un sensore al silicio come rivelatore di traccia è necessario che almeno una delle due facce della giunzione sia segmentata in strisce sottili; questo tipo di configurazione permette una ricostruzione monodimensionale della traccia mentre segmentando entrambe le facce del sensore al silicio con strip perpendicolari è possibile ottenere una misura bidimensionale della posizione della particella I rivelatori a microstrip sono quindi utilizzati per ottenere un informazione spaziale accurata sulla posizione della particella che ha attraversato il suo volume sensibile. In Figura 2.14 è riportato un rivelatore di questo tipo, che è caratterizzato dalla segmentazione di un elettrodo in tante strisce (strip) parallele tra loro, ognuna è accoppiata ad un canale dedicato dell elettronica di lettura. La spaziatura fra le strip è detta passo ed è tipicamente compresa fra 50 e 100 μm. Figura 2.14: Rivelatore a microstrip. Lo strato di ossido di silicio sopra gli elettrodi è un isolante e si comporta come un condensatore, bloccando la componente continua di corrente e permettendo il passaggio dell impulso del segnale. Sono inoltre presenti un bias ring, che fornisce tensione ad ognuna delle strip e polarizza le giunzioni opportunamente, e un guard ring in grado di modificare il campo elettrico agli estremi delle strip in modo da limitare le irregolarità dovute agli effetti di bordo. 47

48 CAPITOLO2. RIVELATORI A SEMICONDUTTORE Quando la particella attraversa il sensore perde energia ionizzando il mezzo; le coppie elettrone-lacuna generate migrano verso i rispettivi elettrodi inducendo un segnale sulle strip dovuto al movimento delle cariche. La posizione del passaggio della particella è determinato dalla strip colpita con una risoluzione pari a: σσ xx = pp 12 (2.18) dove p è il passo delle strip. La risoluzione può essere eventualmente migliorata tenendo conto della ripartizione di carica tra strip vicine. Sfruttando le differenti direzioni di deriva di elettroni e lacune è possibile costruire dei rivelatori a doppia faccia, cioè segmentando entrambi gli elettrodi: in questo modo è possibile ricavare due misure della posizione, eventualmente su direzioni ortogonali, misurando i segnali indotti ai due lati del sensore Rivelatori a pixel I rivelatori a pixel costituiscono la struttura più segmentata possibile per la misura della posizione delle particelle incidenti. In questi rivelatori la regione di lettura del rivelatore è suddivisa in celle indipendenti, ognuna collegata ad un canale dedicato dell elettronica di acquisizione. Attualmente esistono due tipologie di rivelatori di questo tipo: ibridi e monolitici. Nei primi l elettronica di lettura viene prodotta a parte ed in seguito accoppiata al rivelatore, mentre nei rivelatori monolitici l elettronica di lettura e il sensore sono modellati sullo stesso substrato. Figura 2.15: Rivelatore a pixel accoppiato ad un chip di elettronica ibrida. Sviluppi più recenti dei rivelatori a pixel hanno portato alla creazione di nuove configurazioni. 48

49 CAPITOLO2. RIVELATORI A SEMICONDUTTORE Sensori planari sono lo sviluppo della tecnologia già in uso nei rivelatori a pixel, con speciali accorgimenti di progetto per migliorarne la resistenza alla radiazioni e ridurre la regione non attiva ai bordi del rivelatore. Essi richiedono una bassa temperatura di esercizio e un alta tensione di svuotamento ma le loro proprietà meccaniche sono ben conosciute e le tecniche di produzione sono consolidate; hanno un costo di produzione relativamente basso e un alto rendimento produttivo. Sensori a Diamante utilizzano come materiale sensibile sottili spessori di policristalli di diamante. Data la struttura del reticolo cristallino del diamante, questi sono molto resistenti al danneggiamento da radiazione. Essi necessitano di una tensione di operazione pari a quella dei sensori planari al silicio ma la loro temperatura di esercizio risulta essere più alta. E ancora da dimostrare una buona uniformità produttiva collegata ad un alto rendimento. Sensori 3-D hanno come caratteristica principale quella di presentare una matrice tridimensionale di elettrodi che penetrano all interno del substrato di silicio. Gli elettroni e le lacune vengono raccolti da elettrodi cilindrici disposti perpendicolarmente alla superfice. Per raggiungere la condizione di svuotamento non è più quindi necessario svuotare tutto lo spessore del rivelatore ma solo la distanza che intercorre tra due elettrodi ottenendo così la condizione di svuotamento indipendente dallo spessore del substrato ma definita solo dalla configurazione del sensore. Si possono sviluppare varie configurazione del sensore per ottenere le caratteristiche richieste. I sensori 3D conservano lo spessore tipico dei rivelatori planari mentre riducono la spaziatura tra gli elettrodi; questo porta benefici per quanto riguarda una minore distanza di deriva per i portatori di carica e inoltre una diminuzione della tensione di svuotamento Metodi di produzione del silicio Nel seguente paragrafo vengono accennate le tecniche di produzione del silicio utilizzate attualmente per costruire sensori sottili e resistenti. I modi descritti sono: crescita epitassiale, processo di Czochralski e metodo floating zone. La crescita epitassiale consente di accrescere uno strato di silicio monocristallino su un substrato, anche esso costituito da silicio monocristallino, che ne indirizza la crescita. Con questa tecnica è anche possibile depositare materiali differenti (come metalli o isolanti) nella struttura, per realizzare le connessioni necessarie al chip di lettura. Il processo Czochralski consiste nel sollevamento verticale di un seme monocristallino di silicio immerso in pochi mm di silicio puro fuso. Quando vengono a contatto con il seme monocristallino, gli atomi di silicio fuso si orientano secondo il reticolo cristallino del seme. 49

50 CAPITOLO2. RIVELATORI A SEMICONDUTTORE Nel metodo float zone un cristallo con struttura a composizione spuria si muove in una zona dove il materiale è liquido partendo da un seme cristallino che, come nel metodo precedente, ne orienta gli atomi nella zona fusa. Questo metodo permette di ottenere monocristalli di alta purezza e cristallinità. Una volta prodotti i wafer è possibile procedere alla costruzione del sensore. Questo consiste in varie fasi in cui il wafer di silicio viene lavorato con diverse tecniche. Come primo passo avviene il processo di ossidazione tramite il quale viene fatto crescere uno strato ossidante in presenza di ossigeno o vapore acqueo, che fungerà da materiale isolante nel sensore. In seguito avviene il processo di rimozione di parte dell ossido con la fotolitografia selettiva, in cui il wafer viene ricoperto da un materiale fotoresistente che si indurisce in presenza di radiazione elettromagnetica. Attraverso una maschera che segue uno schema preciso in base alla segmentazione richiesta in superficie, il wafer viene irraggiato con una luce specifica, in modo che le parti non illuminate possano essere rimosse insieme al materiale sottostante. Infine si rimuove anche lo strato fotoresistente in modo che il materiale conduttore assuma lo stesso schema della maschera applicata. Tramite il processo di impiantazione ionica, vengono inseriti degli ioni nella struttura del solido alternandone le proprietà fisiche. Per effettuare il processo è necessario avere una sorgente di ioni, un acceleratore di particelle e un sistema di guide per far impattare gli ioni sul materiale che si desidera drogare. La profondità di penetrazione dipende dall energia degli ioni, dalla specie ionica in uso e dal materiale irraggiato, ed è solitamente compresa fra 10 nm e 1 μm; infatti questa tecnica è utilizzata per drogare elementi superficiale del materiale irraggiato. Uno dei vantaggi principali dell impiantazione ionica è la possibilità di realizzare profili di drogaggio estremamente precisi, controllando sia il numero di ioni da impiantare che la loro profondità. Una problematica è invece legata al danneggiamento strutturale indotto dagli urti degli ioni con il materiale, che è però minimizzabile con trattamenti termici successivi; infatti scaldando il materiale, le impurità diffondono in esso ed è possibile realizzare strutture di spessori differenti. Vengono poi realizzate le metallizzazioni tramite tecniche come la deposizione chimica da vapore (CVD) [18]. Infine il sensore realizzato viene nuovamente ricoperto da uno strato isolante con delle aperture per i contatti con l elettronica di lettura. 50

51 Capitolo 3 Sensori al silicio con guadagno L evoluzione tecnologica ha portato allo sviluppo di rivelatori a stato solido con strutture sempre più complesse. Al fine di migliorare le efficienze di rivelazione, in particolare per il rilevamento di singoli fotoni, sono stati sviluppati sensori con un profilo di drogaggio tale da permettere una moltiplicazione interna delle cariche prodotte per ionizzazione. Nei paragrafi successivi verrà innanzi tutto descritto il guadagno dei dispositivi a stato solido; successivamente verranno trattati due sensori con guadagno interno, gli Avalanche Photodiode (APD) e i Silicon Photo-Multiplier (SiPM). Successivamente si descriveranno rivelatori innovativi con guadagno, chiamati Ultra Fast Silicon Detector (UFSD) le cui proprietà sono tali da permettere la misura simultanea della posizione e del tempo di passaggio di una particella con precisioni molto elevate, cosa che gli attuali sensori non sono in grado di fare. Questi sensori innovativi si prestano per essere utilizzati come contatori veloci del numero di particelle, essendo possibile produrli con spessori ridotti pur mantenendo un elevato rapporto segnale/rumore. 3.1 Guadagno nei dispositivi a stato solido Il guadagno in un dispositivo a semiconduttore è dato dalla moltiplicazione delle cariche tramite un processo che prende il nome di ionizzazione da impatto [19]. Questo processo moltiplicativo avviene in particolari regioni del sensore, dove sono presenti campi elettrici intensi che accelerano le particelle cariche generate, fino a raggiungere un energia superiore all energia di gap del semiconduttore: l energia acquistata può così essere sufficiente a creare coppie elettrone-lacuna nelle collisioni della carica con il reticolo. Se il campo elettrico nel dispositivo è abbastanza elevato, le cariche secondarie prodotte possono a loro volta liberarne delle altre e così via in un processo di moltiplicazione a valanga, che segue un andamento di tipo esponenziale: NN(xx) = NN 0 ee αα xx (3.1)

52 CAPITOLO 3. SENSORI AL SILICIO CON GUADAGNO dove N0 è il numero di cariche iniziali, x è lo spessore della regioni di amplificazione del rivelatore e α è il coefficiente di ionizzazione, che rappresenta la probabilità per un portatore di carica che percorre una distanza unitaria, di generare una coppia elettronelacuna tramite ionizzazione da impatto. Per un campo elettrico di circa 300 kv/cm i valori tipici di tali coefficienti rispettivamente per elettroni e lacune sono: αα ee = 0,66 coppie/µm (3.2) αα h = 0,17 coppie/µm (3.3) Il guadagno del dispositivo è dato dal rapporto del numero di portatori presenti dopo la ionizzazione rispetto al numero di portatori iniziali: GG = NN(xx) NN 0 = ee αα dd (3.4) dove d è la larghezza della zona di moltiplicazione. 3.2 Avalanche Photodiode e Silicon Photomultiplier Per le applicazioni nella Fisica delle Alte Energie è comune l utilizzo dei fotodiodi a valanga (Avalanche PhotoDiode, APD): si tratta di rivelatori al silicio che sfruttano l effetto fotoelettrico per generare un segnale. Poichè un fotone crea soltanto una coppia elettrone-lacune è necessario una moltiplicazione interna della carica prodotta per avere un segnale misurabile; questo avviene aggiungendo uno strato di guadagno che sfrutta i principi della moltiplicazione a valanga. Lo strato di guadagno produce una regione con campo elettrico elevato dove avviene il processo di moltiplicazione di carica. In Figura 3.1 è riportata la struttura di un fotodiodo a valanga può essere costituito da quattro strati di semiconduttore drogati in maniera differente: una zona p + con grande concentrazione di accettori (numero di accettori/cm 3 > ); una zona di semiconduttore intrinseco, ovvero non drogato, che serve a mantenere quasi costante il campo elettrico all interno della giunzione e a diminuirne la capacità; una zona p drogata meno intensamente della precedente; una zona n +, dove la concentrazione di donatori è grande (numero di donatori/cm 3 > ). 52

53 CAPITOLO 3. SENSORI AL SILICIO CON GUADAGNO La struttura di un APD è schematizzata in figura 3.1. Le cariche primarie prodotte attraversano la zona drogata p e producono delle cariche secondarie, che daranno luogo alla foto-corrente. Cruciale è dunque l inserimento di tale strato, poiché la generazione a valanga è dovuta alla sua presenza. Figura 3.1: Struttura di un APD. Il guadagno di un APD cresce con la tensione di polarizzazione e raggiunge valori tipici di Per raggiungere un regime di guadagno maggiore è necessario operare a tensioni maggiori del breakdown voltage (tensione di rottura), oltre il quale si vede nella caratteristica del diodo un incremento esponenziale della corrente. Per evitare danneggiamenti dello strumento vengono utilizzate tecniche di contenimento della valanga dette di quenching, in modo tale da poter aumentare la tensione. Un APD che lavora nel modo appena descritto è detto in Geiger mode e può raggiungere guadagni compresi fra 10 4 e Un Silicon PhotoMultiplier (SiPM) è una matrice di APD operanti in modalità Geiger, ciascuno in serie a una resistenza (quenching passivo), e collegati in parallelo tra di loro nello stesso substrato di silicio. La tensione operativa è del 10 20% superiore al valore di breakdown e non può essere incrementata a piacimento poiché il rumore di fondo è proporzionale alla tensione di polarizzazione inversa delle giunzioni. I valori operativi si aggirano intorno ai V. Il segnale in uscita da un SiPM è la somma analogica dei segnali degli APD; in questo senso la matrice può essere considerata uno strumento analogico: mentre un APD è un dispositivo binario, il SiPM fornisce un 53

54 CAPITOLO 3. SENSORI AL SILICIO CON GUADAGNO segnale elettrico proporzionale al numero di fotoni incidenti se questi sono in numero minore del numero di microcelle di APD, che chiameremo pixel. In questo senso è molto importante valutare le dimensioni dei pixel e l area morta che li circonda a seconda dell uso che si vuole fare dello strumento e dell illuminazione prevista. Guadagni tipici di un SiPM sono dell ordine di Dimensioni caratteristiche dei pixel sono comprese fra 15 μm e 70 μm con una densità compresa fra 100 mm -2 e 4000 mm -2. Dimensioni tipiche di un SiPM sono di alcuni mm 2 di area ed uno spessore di 300 μm. In Figura 3.2 è riportato lo schema della struttura di un SiPM. Come si nota, la regione di svuotamento è piuttosto sottile e questo comporta segnali rapidi e rende questi rivelatori adatti per applicazioni che richiedono ottime risoluzione temporali. Figura 3.2: Struttura di un SiPM. APD e SiPM sono caratterizzati da elevate efficienze, e forniscono segnali veloci con buoni rapporti segnale/rumore rendendoli degli ottimi rivelatori per fotoni di alta energia. Tuttavia, la generazione di molteplici cariche al loro interno produce un tempo morto elevato, compreso nell intervallo fra 3 e 20 ns. APD e SiPM non sono quindi sensori adatti per essere impiegati come contatori di singole particelle poiché hanno dei tempi morti eccessivi per l applicazione d interesse. Inoltre gli APD non possono essere segmentati in una struttura a pixel. Per questo motivo è necessario utilizzare un sensore che, mantenendo il vantaggio dei rivelatori a guadagno per quanto riguardo l efficienza di rivelazione e il rapporto segnale/rumore, permetta di mantenere tempi di raccolta e tempi morti molto brevi consentendo allo stesso tempo la possibilità di essere segmentato in pixel. 54

55 CAPITOLO 3. SENSORI AL SILICIO CON GUADAGNO 3.3 Low Gain Avalanche Detector I Low Gain Avalanche Detector (LGAD) sono sensori innovativi con strato moltiplicativo di guadagno, progettati e prodotti dall Centro Nacional de Microelectronica (CNM) di Barcellona [20]. Questi nuovi dispositivi sono ispirati agli APD normalmente utilizzati in applicazioni per la rivelazione di fotoni. A differenza degli ADP, in cui il guadagno è elevato e può arrivare a valori di 10 3, negli LGAD il guadagno invece è molto più modesto, di circa 10, in modo da avere un controllo maggiore sulla moltiplicazione di carica nel dispositivo, limitare la saturazione del segnale e mantenere tempi morti brevi. L introduzione dello strato di guadagno controllato permette di avere un segnale maggiore rispetto ad un rivelatore al silicio tradizionale, pur mantenendo tempi morti corti e la possibilità di segmentare il rivelatore in pixel o strip. Queste caratteristiche li rendono adatti per la rivelazione di particelle cariche di alta energia. In Figura 3.3 è riportato lo schema di un prototipo di un sensore LGAD, utilizzato negli studi descritti nei capitoli seguenti. La parte centrale larga 5000 μm rappresenta l area sensibile al passaggio di particelle, circondata da un collector ring largo 120 μm. Le parti esterne contengono strutture elettroniche per test e un channel stopper. Figura 3.3: Vista dall alto di un sensore LGAD. 55

56 CAPITOLO 3. SENSORI AL SILICIO CON GUADAGNO In Figura 3.4 è schematizzata la sezione trasversale di un sensore, dove sono visibili, a partire dall alto: Un doppio strato di ossido, SiO2 - Si3N4 di circa 400 nm che serve da isolante; La metallizzazione (in grigio) con spessore di circa 1.5 μm e collegata a terra; Uno strato di SiO2 per l elettrodo di lettura (in marrone) con l elettrodo fortemente drogato n++ (10 18 cm -3 ), utilizzato per la lettura del segnale, con uno spessore di 1 μm; Lo strato di guadagno (in azzurro) drogato p con boro di 5 μm di spessore; Substrato poco drogato p di 300 μm (in giallo); Uno strato drogato p ++ di 1 μm (in blu); Uno spessore metallico di 1 μm (in grigio). Per ottenere un guadagno costante in ogni punto del rivelatore è necessario che il campo elettrico nella regione di guadagno sia il più possibile uniforme; a tal fine è necessario un controllo accurato dell uniformità delle concentrazioni di drogaggio nello strato di guadagno e viene introdotto un guard ring, in grado di ridurre gli effetti di bordo. Figura 3.4: Struttura interna di un sensore LGAD. La diffusione dello strato p + al di sotto dello strato n +, forma quindi una giunzione lungo il centro degli elettrodi dove, in condizioni di polarizzazione inversa, si genera una regione localizzata di alto campo elettrico che può portare alla moltiplicazione degli elettroni che raggiungono l'elettrodo n +. Il profilo di drogaggio dello strato p + rappresenta il principale parametro tecnologico da definire per regolare il valore del guadagno. 56

57 CAPITOLO 3. SENSORI AL SILICIO CON GUADAGNO In Figura 3.5 è riportato il profilo di drogaggio del dispositivo lungo la linea di taglio mostrato in figura 3.4. La linea rossa rappresenta la concentrazione di fosforo dell elettrodo n++ in funzione della profondità, mentre la linea blu rappresenta la concentrazione di boro nella regione drogata p. La zona in cui le concentrazioni di fosforo e boro si compensano rappresenta la regione ad alto campo dove avviene il guadagno. Figura 3.5: Profilo di drogaggio in funzione della profondità lungo la linea Ultra Fast Silicon Detectors Lo sviluppo di sensori LGAD contempla l ottimizzazione di questi rivelatori per misure temporali di elevata precisione, con la prospettiva di sviluppare sensori segmentati in grado di fornire simultaneamente misure spaziali con risoluzioni dell ordine di 10 μm e temporali con risoluzioni dell ordine di 10 ps. Si tratta di prestazioni non raggiungibili con i rivelatori attuali, che sono ottimizzati per fornire alte risoluzioni spaziali o per misure accurate di tempo, ma non permettono di misurare entrambe con accuratezza. Questi rivelatori innovativi, chiamati Ultra Fast Silicon Detector (UFSD [21]) possono avere spessori molto sottili, di poche decine di μm, per consentire dei tempi di raccolta molto brevi e misure temporali con una risoluzione elevata. Spessori molto sottili hanno come inconveniente che la carica rilasciata è ridotta proporzionalmente allo spessore della zona attiva del sensore. L utilizzo di UFSD permette proprio di 57

58 CAPITOLO 3. SENSORI AL SILICIO CON GUADAGNO compensare questa perdita di segnale, grazie al guadagno interno intrinseco di questi rivelatori. Un altra problematica relativa all uso di sensori sottili è legata all aumento della capacità del sensore e quindi, per motivi descritti nel paragrafo 2.8, all aumento del rumore del sistema. Fino ad oggi i rivelatori a semiconduttore hanno privilegiato la precisione spaziale, trascurando gli aspetti legati al tempo. Essere in grado di risolvere la dimensione temporale con una risoluzione di poche decine di picosecondi, è un decisivo miglioramento per quanto riguarda i sensori al silicio ed apre le porte a molte altre applicazioni che non riguardano solo la fisica delle alte energie: Rivelatori di particelle: grazie alla possibilità di produrre sensori sottili, gli UFSD sono utili in applicazioni di rivelazione di particelle in cui la quantità di materiale è critica; inoltre, la moltiplicazione interna delle cariche serve a compensare i portatori di carica intrappolati in difetti presenti nella struttura cristallina. Trovano anche impiego in pre tracciamenti precisi e ricostruzione del vertice in quanto identificare con alta risoluzione le caratteristiche temporali degli eventi porta ad una riduzione delle coincidenze casuali e, in generale, a un aumento dell'efficienza di tracciamento; Time of Flight (ToF): la misura del tempo di volo dà indicazioni sul tempo impiegato da una particella per percorrere una certa distanza in un determinato mezzo. Fra le varie tecniche basate sulla misura del ToF che trarrebbero benefici dall'utilizzo degli Ultra Fast Silicon Detectors, vi è senz'altro la Positron Emission Tomography (PET) che è il sistema più potente ed esteso di diagnostica per immagini ed è utilizzato per rivelare cambiamenti fisiologici nei tessuti. Questa tecnica prevede l'iniezione di un radiofarmaco che, dopo un certo tempo, emette un positrone; questo poi si annichila con un elettrone producendo una coppia di fotoni gamma che vanno in direzioni opposte. Il punto cruciale di questa tecnica è quindi la rivelazione simultanea di coppie di fotoni e proprio per questo motivo la risoluzione spaziale e quella temporale sono di fondamentale importanza e l'uso degli UFSD sarebbe di grande vantaggio per migliorare le prestazioni della PET. Inoltre, i sistemi basati su ToF hanno un forte potenziale nel controllo industriale, tecnologico, automotive e in robotica: l'uso degli UFSD può essere di grande aiuto nella ricostruzione tridimensionale delle immagini, in quanto permetterebbe una risoluzione spaziale di pochi mm a bassa potenza di illuminazione; Conteggio di particelle: le prestazioni degli UFSD permetteranno di sviluppare nuovi strumenti per applicazioni di conteggio delle particelle con frequenze di funzionamento molto alte: ad esempio, sarebbe possibile avere una misura accurata della dose assorbita dai pazienti nell'adroterapia. Questa è l applicazione di cui si è maggiormente interessati ai fini di questa tesi. Inoltre, anche gli esperimenti di scienza dei materiali che utilizzano raggi X trarrebbero benefici dalle peculiarità offerte dagli UFSD. 58

59 CAPITOLO 3. SENSORI AL SILICIO CON GUADAGNO 3.5 Simulazione di segnali in rivelatori UFSD Weightfield2 (WF2 [22]) è un programma open-source sviluppato presso il Dipartimento di Fisica e l Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di Torino che permette di simulare sensori UFSD con lo scopo di determinarne la forma del segnale prodotto in risposta al passaggio di diversi tipi di particelle. Weightfield 2 si basa su Weightfield, un programma di simulazione dell Istituto HEPHY di Vienna [23] in grado di simulare la corrente indotta in un diodo al silicio eventualmente segmentato in microstrip. La versione modificata permette di aggiungere il modello dello strato di guadagno in modo da simulare la moltiplicazione della carica. Il programma è scritto in C++ e utilizza il framework ROOT [24]. Dall interfaccia principale, mostrata in Figura 3.6, è possibile scegliere diverse impostazioni, tra cui: Tipo di particella: MIP (minimum ionizing particle), particelle α, particelle cariche pesanti quali protoni e ioni carbonio e la loro energia cinetica; Deposito di energia: uniforme o includendo le fluttuazioni di landau locali. Proprietà del rivelatore: tipo, geometria, numero di strip, fattore di guadagno, tensione di bias e di svuotamento; Elettronica di lettura (effetti dell amplificazione sul segnale). Figura 3.6: Interfaccia del programma di simulazione Weightfield2. La corrente indotta su un elettrodo è calcolata con il teorema di Ramo (paragrafo 2.7). La velocità delle cariche nel campo elettrico, generato a partire dalla tensione di bias impostata, è calcolata a partire dalle espressioni descritte nel paragrafo 2.4, utilizzando delle relazioni empiriche che tengono conto delle velocità di saturazione per 59

60 CAPITOLO 3. SENSORI AL SILICIO CON GUADAGNO elevati campi elettrici. Per ottenere risultati con una buona statistica viene utilizzato il batch mode che permette di simulare la corrente prodotta da un certo numero di particelle e di valutare le fluttuazioni nei segnali. Un segnale tipico prodotto da una particella al minimo di ionizzazione è mostrato in Figura 3.7. In questa figura le curve colorate rappresentano i contributi alla corrente degli elettroni (blu) e lacune (rosso) iniziali prodotte dalla ionizzazione primaria. La curva verde rappresenta la corrente totale, mentre le curve nere la tensione misurata dopo lo stadio di amplificazione. Il contributo principale al segnale è dato dalle lacune di guadagno, che dominano nella generazione del segnale. Le fluttuazioni nel numero di cariche prodotte sono riprodotte utilizzando le parametrizzazioni nelle distribuzioni di Landau aspettate su singoli spessori di 5 um del rivelatore. Figura 3.7: Contributi alla corrente delle diverse cariche primarie (elettroni in blu e lacune in rosso) e secondarie (elettroni in viola e lacune in celeste) prodotte in un diodo UFSD. La curva verde rappresenta il segnale totale, e le curve nere quello in uscita dallo stadio di amplificazione. Per dare un idea della forma del segnale [25] bisogna tener conto dell evoluzione del moto delle cariche prodotte dalla ionizzazione primaria e di quelle secondarie prodotte nella regione di guadagno. Figura 3.8: Coppie elettrone lacuna generate dalla ionizzazione primaria e dalla moltiplicazione all interno dello strato di guadagno 60

61 CAPITOLO 3. SENSORI AL SILICIO CON GUADAGNO Le lacune iniziali, prodotte dalla ionizzazione primaria, vengono raccolte dall elettrodo p mentre gli elettroni primari raggiungono la regione di guadagno producendo coppie secondarie elettrone - lacuna. Mentre gli elettroni di guadagno derivano e vengono assorbiti subito dall elettrodo di lettura, le lacune di guadagno hanno un lungo moto di deriva in direzione dell elettrodo p. Il moto di queste lacune di guadagno fornisce un grosso contributo in corrente nel segnale totale generato dal sensore al passaggio di una particella al minimo di ionizzazione. Il segnale totale è dato dal contributo delle cariche iniziali, dagli elettroni di guadagno e soprattutto dalle lacune di guadagno: la forma del segnale che ci si aspetta è quella presentata in figura 3.9, ottenuta tramite simulazione con WF2. Figura 3.9: Segnali generati dalla deriva delle coppie elettrone lacuna Dalla figura 3.9 si evince come il segnale azzurro, dovuto alle lacune di guadagno, sia il contributo principale al segnale totale (in verde/nero). In figura 3.10 il segnale totale, ottenuto dalla simulazione, viene comparato con un segnale generato da un pico-laser e misurato con un oscilloscopio. Figura 3.10: Comparazione della simulazione con un segnale proveniente da un picolaser. 61

62 CAPITOLO 3. SENSORI AL SILICIO CON GUADAGNO 3.6 Resistenza alle radiazioni di sensori UFSD La caratteristica principale dei sensori, sui quali si lavorerà in questa tesi, è il guadagno moderato che permette un alto rapporto segnale rumore. Tale strato è però sensibile al danno dovuto a ripetuti irraggiamenti. Dato che l obiettivo di questa tesi è l utilizzo di sensori al silicio innovativi come contatori di particelle, bisogna conoscere i meccanismi fisici che intervengono quando un sensore è sottoposto a flussi consistenti di particelle. In particolare è di fondamentale importanza analizzare il danno da radiazioni degli UFSD e studiarne l impatto sulle prestazioni di questi dispositivi. Ci sono due effetti principali che producono un'alterazione del comportamento di sensori UFSD in seguito all'assorbimento di una dose di radiazioni [26]. Danneggiamento superficiale. Nel substrato del semiconduttore l'alta densità di droganti permette ai portatori di carica depositati di ricombinarsi, ciò fa sì che non vi siano tracce permanenti del passaggio di una particella carica che perde energia per ionizzazione. Al contrario il passaggio di una radiazione ionizzante provoca un aumento della carica intrappolata negli strati di ossido superficiale del rivelatore. Le coppie e-h create in questo strato possono ricombinarsi o spostarsi nel campo elettrico dell ossido: gli elettroni verso l'interfaccia SiO2-Si, le lacune verso il contatto metallico. Gli elettroni, che hanno una maggiore mobilità, vengono iniettati nel substrato di silicio. Le lacune, meno mobili, possono essere intrappolate all interno dell'interfaccia SiO2-Si. Questa cattura comporta un aumento della carica positiva dell ossido e quindi una degradazione della qualità dell ossido stesso. Oltre alla carica intrappolata, la radiazione ionizzante produce anche nuovi livelli energetici nella banda di gap dell'interfaccia SiO2-Si. Questi livelli possono essere occupati da elettroni o da lacune, a seconda della posizione del livello di Fermi nell'interfaccia e la corrispondente carica può essere aggiunta o sottratta alla carica dell ossido. Gli effetti della radiazione sullo strato di ossido superficiale dipendono dal disegno specifico rivelatore. Danneggiamento del substrato. Il danno maggiore è causato dalla perdita di energia nel mezzo della radiazione non ionizzante (NIEL, Non Ionizing Energy Loss) con un atomo del reticolo di silicio. Il danno si verifica se l'energia trasferita all'atomo di silicio è sufficiente per rimuoverlo dal reticolo. L'atomo liberato viene chiamato PKA (primary knockon atom) mentre l interstizio vagante creato nel substrato è chiamato coppia di Frankel. La soglia minima di energia per lo spostamento di un atomo è 15 ev. L'energia di rinculo dei PKA può essere di qualche decina di kev e quindi può rimuovere altri atomi del reticolo cristallino, dando luogo ad una cascata PKA. L insieme delle PKA, come l insieme delle coppie di Frankel, possono andare a formare strutture stabili all interno del substrato che agiscono come centri di cattura degli elettroni e delle lacune. Queste strutture alterano di fatto il sensore diminuendo l efficienza di raccolta della carica. 62

63 CAPITOLO 3. SENSORI AL SILICIO CON GUADAGNO Al fine di valutare gli effetti dell esposizione a radiazioni, diversi sensori UFSD sono stati irraggiati con un flusso fino a cm 2 di protoni con spettro in energia centrato intorno a 800 MeV. Si è constatata una diminuzione del guadagno di circa il 20% e tale percentuale aumenta per flussi maggiori. A dimostrazione di quanto detto si può chiaramente vedere, nella figura 3.11, come la carica generata dal sensore al passaggio di una particella al minimo di ionizzazione diminuisca per i sensori che sono stati irraggiati con fluenze crescenti. Figura 3.11: Carica generata dall UFSD al passaggio di una particella al minimo di ionizzazione dopo l irraggiamento a diverse fluenze di protoni [G. Kramberger, 24th RD50 workshop,2014]. Obiettivo del gruppo di fisica medica di Torino e ripetere nel futuro tali misure utilizzando fasci terapeutici e studiare come mantenere costante il rapporto segnale rumore fino a flussi di p/cm 2, flussi corrispondenti al trattamento di un centinaio di pazienti. Come accennato in precedenza, il danno da irraggiamento diminuisce le cariche generate nel sensore al passaggio di particelle al minimo di ionizzazione. Al fine di studiare tale diminuzione di carica bisogna esser in grado di poter visualizzare il segnale in corrente generato dal sensore e non il segnale finale processato dall elettronica di lettura il quale è falsato da sistemi di amplificazione e acquisizione. Per effettuare uno studio del segnale in corrente è stato sviluppato, nell ambito di questa tesi, una procedura software, basata sull analisi di Fourier dei segnali, che permette il disaccoppiamento dell effetto dell elettronica dal segnale generato dal sensore. Questo studio verrà descritto nel capitolo 5, al paragrafo

64 CONCLUSIONI Capitolo 4 Caratterizzazione in laboratorio di sensori UFSD In questo capitolo vengono descritte le misure di caratterizzazione in laboratorio di alcuni sensori UFSD. Le misure eseguite includono lo studio dell andamento delle curve corrente vs tensione, tensione vs frequenza, capacità vs tensione e 1/c 2 vs tensione. Dall analisi delle curve precedenti è possibile ricavare il valore della tensione di svuotamento, la capacità del sensore completamente svuotato e una stima del profilo di drogaggio. È stata inoltre studiata l uniformità di risposta di alcuni sensori con segnali da impulsi laser. Prima di illustrare l analisi dei dati e i risultati ottenuti vengono descritti gli strumenti utilizzati per le misure di laboratorio. 4.1 Lista dei sensori analizzati I sensori utilizzati in questo studio sono stati fabbricati dal Centro Nacional de Microelectronica (CNM) di Barcellona in due diversi lotti di produzione. Si tratta di diodi di spessore 300 μm con le caratteristiche e i profili di drogaggio descritti nel paragrafo 3.4 del capitolo precedente. Rispetto al sensore senza guadagno, il sensore UFSD ha una giunzione aggiuntiva corrispondente all interfaccia tra l elettrodo n + e il strato p +, come si può notare in Figura 4.1. (a) (b) Figura 4.1: Schema sensori con strato di guadagno (a) e senza (b). Nella Tabella 4.1 sono riassunte alcune caratteristiche dei sensori analizzati. Il primi due diodi elencati in tabella 4.1 hanno uno strato di moltiplicazione, con un guadagno nominale di circa 10, mentre gli ultimi due invece sono privi di questo strato e sono utilizzati per confronto. I diodi (1) e (3) sono dotati di un guard ring che uniforma

65 CAPITOLO 4. CARATTERIZZAZIONE IN LABORATORIO DI SENSORI UFSD il campo elettrico. Mentre diodi (2) e (4) ne sono sprovvisti. Ognuno di questi sensori è dotato di metallizzazioni al contorno a cui è possibile applicare le tensioni di polarizzazione, sia positive che negative, in base alle caratteristiche del dispositivo. Ogni sensore è, inoltre, dotato una finestra nella metallizzazione esterna per permettere il passaggio di impulsi laser. # Sensore Guadagno Vbreak Guard Ring Area (mm 2 ) nominale 1 W4E3 10 >600 Si 4,84 2 W8B4 10 >600 NO 25,3 3 W2G8 NO >600 Si 38,44 4 W9B6 NO >600 NO 25,2 Tabella 4.1: Lista dei sensori utilizzati. Gli studi descritti in questo capitolo riguardano i sensori (1) e (3). 4.2 Apparato sperimentale L apparato sperimentale con cui sono state effettuate le misure di caratterizzazione è mostrato In Figura 4.2 e consiste nei seguenti strumenti: _ Un generatore di tensione; _ Un misuratore LCR; _ Un PC per il controllo da remoto della strumentazione e per l acquisizione dei dati. Figura 4.2: setup sperimentale utilizzato per la caratterizzazione. L apparato sperimentale con cui sono state effettuate misure sulla risposta del sensore ad impulsi laser e di uniformità di risposta è mostrato in Figura 4.3 (a) e (b) e consiste nei seguenti strumenti: 65

66 CAPITOLO 4. CARATTERIZZAZIONE IN LABORATORIO DI SENSORI UFSD _ Un amplificatore; _ Un oscilloscopio; _ Un generatore di impulsi laser; _ Un generatore di alta e bassa tensione; _ Tre assi di movimentazione, lungo X, Y e Z. _ Una lente convergente da apporre alla parte terminale della fibra del laser. _ Un PC per il controllo da remoto della strumentazione e per l acquisizione dei dati. LV (Amplifier) Oscilloscope HV (Bias) Box Amplifier Laser controller (a) Z Axis Laser fiber X Axis Detector Y Axis (b) Figura 4.3: Sia in (a) che in (b) viene mostrato il setup sperimentale utilizzato per le misure di uniformità. 66

67 CAPITOLO 4. CARATTERIZZAZIONE IN LABORATORIO DI SENSORI UFSD Il generatore di tensione Il generatore di tensione utilizzato per polarizzare i sensori è il modello Keithley 2410 (Figura 4.4) in grado di generare tensioni comprese fra V e V con una sensibilità dell ordine del mv e misurare correnti comprese fra 10 pa e 1 A. Una volta impostata una corrente massima erogabile, vengono forniti opportuni valori di tensione al sensore con rampe di salita controllate da computer tramite un interfaccia GPIB. Figura 4.4: Il generatore di tensione Il misuratore LCR Il misuratore LCR (modello Agilent E490A), mostrato in Figura 4.5, è strumento in grado di misurare i valori dell induttanza L, della capacità C e della resistenza R. L impedenza Z di un sensore è una grandezza complessa che può essere espressa come: Z = R + jx (4.1) dove la parte reale R rappresenta la resistenza elettrica, mentre la parte immaginaria X è la reattanza che può avere caratteristiche capacitive o induttive. Per effettuare le misure di impedenza, al sensore in esame viene applicato un segnale sinusoidale di frequenza e ampiezza opportuna. Lo strumento determina quindi il valore della resistenza a partire dalla misura di corrente e il valore di reattanza dallo sfasamento tra corrente e tensione del circuito. Per l analisi è stata impostata una frequenza di 10 khz per il sensore senza guadagno mentre per il sensore con guadagno è stata impostata una frequenza di 1,5 KHz; i valori di frequenza sono stati scelti analizzando il comportamento della capacità in funzione della frequenza. L accuratezza delle misure ottenute è dello 0.05%. 67

68 CAPITOLO 4. CARATTERIZZAZIONE IN LABORATORIO DI SENSORI UFSD Figura 4.5: Il misuratore LCR Agilent E490A Gli amplificatori Per amplificare il segnale del sensore sono stati utilizzati due amplificatori della Cividec Instrumentation [27]: un Broadband Amplifier modello C2 (nel seguito indicato con BB e visualizzabile in figura 4.6 (a) con relativo schema in figura 4.7 (a) e un Fast Charge Sensitive Amplifier modello C6 (nel seguito indicato con CSA visualizzabile in figura 4.6 (b) con relativo circuito in figura 4.7 (b). Il BB è un amplificatore di corrente con un basso rumore e con banda passante estesa da 1 MHz e 2 GHz, e quindi adatto per misurare transienti veloci. Ha un guadagno di 40 db e il rumore in uscita è di 2.5 mv RMS. Il CSA invece è un amplificatore che fornisce un segnale proporzionale alla carica raccolta. La sua costante di tempo produce un segnale in uscita con un tempo di salita di 3.5 ns. Si tratta quindi di un amplificatore non adatto a misure di transienti veloci, ma permette tuttavia di ridurre le fluttuazioni di rumore del segnale in ingresso. Entrambi gli amplificatori sono dotati di un ingresso HV (High Voltage) per fornire la tensione di polarizzazione al sensore. (a) (b) Figura 4.6: Amplificatore Broadband (a) e amplificatore Charge Sensitive Amplifier (b). 68

69 CAPITOLO 4. CARATTERIZZAZIONE IN LABORATORIO DI SENSORI UFSD (a) (b) Figura 4.7: schema elettrico relativo all amplificatore Broadband (a) e schema relativo all amplificatore Broadband elettrico (b) Il laser Per simulare il passaggio di particelle nel diodo e misurarne il segnale prodotto si è utilizzato un Picosecond Diode Laser della Advance Diode Laser System associato al controller EIG2000DX. Questo strumento è dotato di due teste che emettono impulsi laser di breve durata (30 ps) con due possibili lunghezze d onda: una lunghezza d onda λ = 1064 nm, in grado di attraversare tutto lo spessore del silicio simulando così la ionizzazione prodotta da una particella al minimo di ionizzazione, e una lunghezza d onda λ = 400 nm, che penetra solo nei primi 10 um dello spessore del silicio e quindi in grado di simulare la ionizzazione di una particella α poco penetrante L oscilloscopio L oscilloscopio utilizzato per analizzare i segnali è un LeCroy WaveRunner 625Zi, con un ampiezza di banda di 2.5 GHz ed una frequenza di campionamento di 40 Gsample/s. Lo strumento è controllato da remoto con un programma scritto in LabView e le forme d onda sono salvate su file per essere quindi analizzate con programmi sviluppati nell ambito del lavoro di tesi. Figura 4.8: Oscilloscopio LeCroy WaveRunner 625Zi. 69

70 CAPITOLO 4. CARATTERIZZAZIONE IN LABORATORIO DI SENSORI UFSD 4.3 Caratterizzazione dei sensori La caratterizzazione dei sensori è consistita nell analisi di diverse misure, quali le curve I-V, C-f, C-V. Da queste curve si sono è determinata la tensione di svuotamento, la capacità dei sensori svuotati e una stima del profilo di drogaggio Curva I-V La misura della curva I-V permette di rivelare eventuali difetti nel sensore e permette di verificare la presenza, o l assenza, di uno strato di guadagno all interno dei sensori. Per effettuare questa misura si è utilizzato il solo generatore di tensione connesso direttamente al sensore. Per l'automatizzazione delle misure si è utilizzato un interfaccia sviluppata in labview per il controllo del generatore di tensione e l'acquisizione dei valori di corrente. I (A) 5E-08 4,5E-08 4E-08 3,5E-08 3E-08 2,5E-08 2E-08 1,5E-08 1E-08 5E-09 0 I-V gain 0 50 V(V) Figura 4.9: curva corrente vs tensione per il sensore (3). 70

71 CAPITOLO 4. CARATTERIZZAZIONE IN LABORATORIO DI SENSORI UFSD I (A) 9E-08 8E-08 7E-08 6E-08 5E-08 4E-08 3E-08 2E-08 1E-08 0 I-V senza guadagno Zona V (V) Figura 4.10: curva corrente vs tensione per il sensore (1). Esempi delle curve ottenute sono mostrate nelle figure 4.9 e 4.10, rispettivamente per i sensori (3) e (1): sull'asse delle ascisse sono riportati i valori della tensione, mentre sull'asse delle ordinate si hanno i valori relativi alla corrente. Durante lo svuotamento del sensore (1), visibile nella figura 4.10, si nota un gradino, evidenziato con un cerchio rosso corrispondente allo svuotamento dello strato di guadagno. Questo gradino è assente nella figura 4.9 poiché il sensore (3) è sprovvisto di strato di guadagno Curva C-F La seconda serie di misure fa uso del misuratore LCR per determinare la capacità dei sensori. I diodi planari, quali i sensori analizzati, si comportano come condensatori a facce piane parallele, per cui la capacità è direttamente proporzionale alla superficie A ed inversamente proporzionale alla distanza tra gli elettrodi, corrispondente allo spessore W della zona di svuotamento: C = ε 0 ε r A W (4.2) In base alla geometria dei sensori analizzati, si è stimata la capacità di 23,2 pf per il sensore (3) e 3,12 pf per il sensore (1). Per la corretta misura di capacità è innanzi tutto necessario definire la frequenza di lavoro del misuratore LCR. Vengono impostati due valori di tensioni di lavoro: il primo valore è scelto in modo tale da produrre lo svuotamento completo del sensore; in corrispondenza del secondo valore di tensione il sensore invece non è completamente svuotato. Una volta impostata 71

72 CAPITOLO 4. CARATTERIZZAZIONE IN LABORATORIO DI SENSORI UFSD la tensione viene fatta variare la frequenza tra 100 Hz e 2 MHz a passi di 50 Hz. I risultati sono mostrati nelle figure 4.6 e 4.7, rispettivamente i sensori (3) e (1): sull'asse delle ascisse, in scala logaritmica, è presente la frequenza, mentre sull'asse delle ordinate la capacità. Intorno ad 1 khz, si osserva una risonanza tipica nei circuiti RLC. 5E-10 4E-10 C-f 2V (non svuotato) 50V (svuotato) Capacitance (F) 3E-10 2E-10 1E-10 f lav = 10kHz Frequency (Hz) Figura 4.11: Curva C-f del sensore (3) senza guadagno. Capacitance (F) 1,40E-09 1,20E-09 1,00E-09 8,00E-10 6,00E-10 4,00E-10 2,00E-10 C-f f lav = 1,5 khz 15 V (non svuotato) 80 V (svuotato) 0,00E Frequency (Hz) Figura 4.12: Curva C-f del sensore (1) con guadagno. 72

73 CAPITOLO 4. CARATTERIZZAZIONE IN LABORATORIO DI SENSORI UFSD Dalle curve capacità vs frequenza è stato quindi possibile selezionare le frequenze da impostare per procedere con le misure successive, scegliendo il valore di frequenza per cui la capacità misurata si avvicinasse maggiormente a quella calcolata nell'equazione (4.2): si è scelto quindi flav = 10 khz per il sensore (3) e flav = 1,5 khz per il sensore (1) Curva C-V Fissate le frequenze di lavoro come descritto nel paragrafo precedente, si è proseguito a misurare l'andamento della capacità in funzione della tensione applicata. Nelle Figure 4.13 a) e b) sono riportati gli andamenti delle capacità in funzione della tensione, rispettivamente per il sensore senza guadagno (3) e per quello con guadagno (1). Sull asse delle ascisse sono riportate le tensioni espresse in volt, sull asse delle ordinate i valori di capacità espressi in farad. Capacitance (F) 3E-10 2,5E-10 2E-10 1,5E-10 1E-10 5E-11 C-V Voltage (V) (a) 1,70E-09 C-V 1,40E-09 Capacitance (F) 1,10E-09 8,00E-10 5,00E-10 2,00E-10-1,00E Voltage (V) (b) Figura 4.13: Andamento della curva C-V per sensore senza guadagno (a) e sensore con guadagno (b). 73

74 CAPITOLO 4. CARATTERIZZAZIONE IN LABORATORIO DI SENSORI UFSD Si noti la differenza dei profili dei due sensori, dovuta alla presenza o meno dello strato di guadagno. Per il sensore senza guadagno il valore di capacità decresce più lentamente fino ad un valore costante per valori di tensione superiori a quella di svuotamento. Per quanto riguarda invece il rivelatore con strato di guadagno si nota una prima regione in cui la capacità decresce fino ad un valore di tensione corrispondente alla tensione di svuotamento dello strato di guadagno, dopodiché la capacità diminuisce drasticamente per poi rimanere costante per tensioni superiori corrispondenti allo svuotamento completo del sensore. I valori di capacità ottenuti in condizione di svuotamento per i sensori analizzati sono di 25,8 pf per il sensore senza guadagno (3), 5,23 pf per il sensore (1) con strato di guadagno. Questo valori si discostano leggermente da quelli ottenuti nel paragrafo precedente, ma è necessario tener conto dell'area effettiva, in particolare del sensore con guadagno, e della forma irregolare del campo elettrico ai bordi del sensore Curva 1/C 2 V Le curve 1/C 2 -V permettono di ottenere informazione sulla struttura interna dei dispositivi, come il profilo di drogaggio, e il valore della tensione di svuotamento. La tensione necessaria a svuotare un tratto di silicio dipende dalla densità di droganti: maggiore è il drogaggio, maggiore sarà la tensione necessaria per svuotare tutto il sensore. La tensione di svuotamento è definita come il valore di V al di sopra della quale la capacità è indipendente dalla tensione applicata. Il fatto che la capacità diventi costante dopo lo svuotamento è osservabile sia dalle curve C-V (figura 4.13) che a partire dal grafico 1/C 2. Utilizzando l'equazione (4.3) e l equazione (2.10), si può esprimere 1/C 2 in funzione di tensione e densità di droganti: 1 2VV qqnn AA εε SSSS AA 2 pppppp VV < VV dddddddd = CC 2 (4.3) cccccccccccccccc pppppp VV > VV dddddddd Per ricavare il valore della tensione di svuotamento dalle curve si è utilizzato il metodo dell'intercetta: questo metodo considera l'intersezione tra la retta ottenuta dalla regressione lineare della regione prima dello svuotamento (cioè quando la capacità dipende fortemente dalla tensione) e la retta dopo lo svuotamento (quando C diventa circa costante). Nelle figura 4.14 (a) e (b) sono mostrati i grafici per il sensore senza guadagno (3) e con guadagno (1): sull'asse delle ascisse sono rappresentati i valori di tensione, mentre 74

75 CAPITOLO 4. CARATTERIZZAZIONE IN LABORATORIO DI SENSORI UFSD sull'asse delle ordinate i valori di 1/C 2. I valori delle tensioni di svuotamento Vdepl ottenuti per i due sensori sono: Vdepl = 66,7 V per il sensore senza guadagno (3). Vdepl = 44 V per il sensore senza guadagno (1). 2,00E+21 1/CC 2 - V 1/c 2 (1/F 2 ) 1,50E+21 1,00E+21 5,00E+20 0,00E Voltage (V) (a) 1E+23 1/C 2 - V 1/c 2 (1/F 2 ) 8E+22 6E+22 4E+22 2E E Voltage (V) (b) Figura 4.14: Andamento della curva 1/C 2 -V per un sensore con guadagno (b) e per un sensore senza guadagno (a). Su entrambi i grafici sono sovrapposte le interpolazioni lineari sulle diverse regioni delle curve Stima del profilo di drogaggio A partire dall Equazione (4.2), è possibile ottenere la concentrazione di portatori ND (e quindi il profilo di drogaggio), considerando la derivata di 1/C 2 in funzione di V: 75

76 CAPITOLO 4. CARATTERIZZAZIONE IN LABORATORIO DI SENSORI UFSD NN(WW) = 2 qqεε SSSS AA 2dd 1 CC 2 dddd (4.4) Ogni valore della tensione di bias corrisponde ad un valore di larghezza della zona di svuotamento, pari a: WW = εε 0 εε SSSS AA CC (4.5) Dalla curva 1/C 2 è quindi possibile, utilizzando le Equazioni (4.4) e (4.5), ricavare il profilo di drogaggio in funzione dello spessore della zona di svuotamento, come mostrato in figura 4.15 per il sensore senza guadagno ei n figura 4.16 per il sensore con guadagno. N A -W (sensore senza guadagno) 1,00E+16 1,00E+15 1,00E+14 1,00E+13 N A (1/cm3) 1,00E W (um) 1,00E+11 Figura 4.15: Andamento del profilo di drogaggio in funzione della larghezza della zona di svuotamento per il sensore senza guadagno. 76

77 CAPITOLO 4. CARATTERIZZAZIONE IN LABORATORIO DI SENSORI UFSD 1,00E+17 N A -W (sensore con guadagno) 1,00E+16 N A ( 1/cm3) 1,00E+15 1,00E+14 1,00E+13 1,00E+12 1,00E+11 0, W (um) Figura 4.16: Andamento del profilo di drogaggio in funzione della larghezza della zona di svuotamento per il sensore con guadagno. Come si può notare dalla Figura 4.16 la concentrazione di droganti è molto alta nei primi μm nel sensore per poi decrescere molto rapidamente; questa regione corrisponde allo svuotamento della regione di guadagno p+. La regione lineare corrisponde allo svuotamento del substrato p, mentre la parte finale corrisponde all elettrodo p Studio di uniformità della risposta dei sensori Dopo aver caratterizzato i sensori in dotazione è stato effettuato uno studio di uniformità sulla risposta dei rivelatori. A tal scopo si è utilizzato il pico laser descritto nel paragrafo e un asse di movimentazione in grado di effettuare spostamenti nelle direzioni di x, y e z. Come valore verrà acquisita l area del segnale espressa in pv s, valore proporzionale alla carica generata dal sensore al passaggio delle particelle simulate dal laser. Sull asse verticale viene fissata la fibra del laser sulla quale è montata una lente che permette di far convergere in un punto di piccole dimensioni il fascio del laser. Tale lente ha il suo punto focale ad una distanza di 11 mm e il fascio in corrispondenza del punto focale ha un diametro di una decina di μm, le misure sono state effettuate utilizzando un amplificatore BB (paragrafo 4.2.3). La forma del segnale raccolto con l oscilloscopio (paragrafo 4.2.5) e si considera come valore proporzionale alla carica 77

78 CAPITOLO 4. CARATTERIZZAZIONE IN LABORATORIO DI SENSORI UFSD raccolta, l integrale del segnale. Per poter effettuare una scansione corretta bisogna far combaciare il punto focale della lente con la superficie del sensore. Fibra del laser Fascio laser Asse mov. in z Punto focale (P f) Metallizzazione Direzione z Supporto del sensore Figura 4.17: Schema del setup utilizzato per effettuare la misura di uniformità del segnale. Zone di lavoro al di sopra o al di sotto del punto focale corrisponderebbero a dimensioni del fascio sulla sensore maggiori di quella minima e ad una precisione minore nella risoluzione spaziale delle scansioni effettuale. Oltre alla perdita d informazioni ci sarebbe una lettura errata del segnale nei pressi dei bordi del sensore; essendo questi costituiti da una metallizzazione che riflette il fascio falsando la misura. La focalizzazione ottimale della lente è stata trovata effettuando scansioni ad altezze z differenti in corrispondenza del bordo del sensore. Una volta trovata la focalizzazione si è proceduto ad effettuare due misure distinte: 1. scansione della risposta del sensore su una linea parallela all asse y per un totale di 80 punti di acquisizione. 2. scansione della risposta del sensore su tutta la sua superficie. La superficie viene suddivisa in una matrice 8x8, per un totale di 64 punti di acquisizione Scansione del sensore W2G8 Viene analizzato per primo il sensore (3), rivelatore senza guadagno. Dopo aver trovato la focalizzazione si passa ad effettuare una scansione di linea sull asse y. 78

79 CAPITOLO 4. CARATTERIZZAZIONE IN LABORATORIO DI SENSORI UFSD 250 Scansione in y del W2G8 200 pv*s mm Figura 4.18: Scansione in y del W2G8. La figura 4.18 mostra i valori dei segnali medi risultati per ogni impulso del laser in una scansione lineare lungo il sensore. Si possono subito notare le zone di salita del segnale in corrispondenza dei bordi. L elevata pendenza è indice di un ottima focalizzazione. Nei pressi dei bordi degli impianti di metallizzazione si possono visualizzare due aree ove vi è un aumento di segnale rispetto alla parte centrale del sensore. Per via della struttura del sensore, queste due zone, non dovrebbero esistere. Da parte del costruttore non ci sono indicazioni sul fatto che il sensore generi più carica alle sue estremità. La spiegazione più plausibile per questi effetti di bordo è legata all incollaggio del sensore sulla struttura metallica di supporto con una resina di vetronite. Ipotizzando che la colla si sia espansa in modo tale che solo la parte inferiore centrale del sensore fosse ricoperta, questo implicherebbe che la parte centrale non permetterebbe riflessioni mentre le parti laterali, a contatto con la scatola metallica che contiene il sensore, sarebbero soggette a riflessioni della scatola stessa. Essendo questa una semplice ipotesi bisognerà validarla in futuro. Dopo aver effettuato la scansione di linea sull asse y, si è proceduto ad una scansione sull area del sensore. 79

80 CAPITOLO 4. CARATTERIZZAZIONE IN LABORATORIO DI SENSORI UFSD Figura 4.19: Scansione ad area del W2G8. Nonostante i pochi punti non rendano la ricostruzione ad alta definizione, è possibile intravedere come i punti con carica maggiore si dispongano su un cerchio esterno del sensore. Questa visione d insieme permette di avvalorare l ipotesi precedentemente fatta sull espansione della colla sottostante al rivelatore. Si necessitano ulteriori studi per dare conferma di tale ipotesi Scansione dei sensori W4E3 e W8B4 In ultimo vengono analizzati i sensori (1) e (2), entrambi con strato di guadagno. Il sensore (1) è dotato di guard ring, mentre il (2) ne è sprovvisto. Dopo aver trovato la focalizzazione si passa ad effettuare una scansione di linea sull asse y. 80

81 CAPITOLO 4. CARATTERIZZAZIONE IN LABORATORIO DI SENSORI UFSD 2500 Scansione in y del W4E pv*s ,5 1 1,5 2 2,5 mm Figura 4.20: Scansione in y del W4E3. Scansione in y del W4E pv*s mm Figura 4.21: Scansione in y del W8B4. Anche in queste scansione la pendenza delle rampe di salita e discesa sono indice di un ottima focalizzazione. Si nota che entrambi i sensori rispondono in modo abbastanza uniforme per tutta la scansione e lo strato di guadagno interviene attivamente generando una moltiplicazione di carica di un ordine di grandezza più grande rispetto al sensore (1). Questo dato si accosta perfettamente alle previsioni dato che il guadagno nominale è di circa

82 CAPITOLO 4. CARATTERIZZAZIONE IN LABORATORIO DI SENSORI UFSD Dopo aver effettuato le scansioni di linea sull asse y, si passa alle scansioni ad area dei sensori. Figura 4.22: Scansione ad area del W4E3. Nella figura 4.22 è presentata la scansione ad area del sensore W4E3 con guadagno e con guard ring. Si può visualizzare come il centro del sensore risponda meglio al passaggio di particelle rispetto ai bordi. Si è supposto che questo comportamento possa esser legato alla non perfetta raccolta delle cariche ai bordi dovuti alla forma del campo elettrico in vicinanza dell'estremità della giunzione di guadagno. Altro motivo potrebbe esser attribuito ad un accumulo di sporcizia ai bordi che interviene attivamente attenuando il fascio. 82

83 CAPITOLO 4. CARATTERIZZAZIONE IN LABORATORIO DI SENSORI UFSD Figura 4.23: Scansione ad area del W8B4. Nella figura 4.23 è presentata la scansione ad area del sensore W8B4 con guadagno ma senza guard ring. Si può notare ancora meglio questa differenza di carica generata da alcune parti del sensore. Il sensore (2), ad un esame visivo, risultava molto sporco; tutto ciò avvalora la tesi sull attenuazione del fascio. Per una corretta identificazione del passaggio di una particella è necessario che la procedura di drogaggio sia tale da fornire una risposta uniforme sul sensore; un guadagno non uniforme genererebbe una efficienza di conteggio non controllata. In questo studio preliminare si è visto come la risposta del sensore sia prevalentemente uniforme, dando una indicazione sull uniformità di risposta ottenibile con un drogaggio ad impiantazione ionica. 83

84 CONCLUSIONI Capitolo 5 Studio del segnale In questo capitolo viene descritto lo studio della forma de segnale prodotto in diversi sensori UFSD. Il passaggio di particelle è simulato con un impulso laser di breve durata, e la forma del segnale viene raccolta da un oscilloscopio interfacciato con un software di controllo e acquisizione scritto in LabView nell'ambito del lavoro per la tesi. L'analisi dei dati viene effettuato con programmi scritti in ambiente ROOT. Gli studi sono condotti sia su sensori convenzionali che con sensori con guadagno. Al fine di disaccoppiare il segnale in corrente prodotto nel sensore dall'effetto dell'elettronica di amplificazione e di acquisizione, il setup sperimentale è schematizzato con una funzione di trasferimento, valutata utilizzando un software di simulazione e quindi utilizzata su sensori di diverso tipo. Prima di procedere con l analisi dei dati vengono descritti gli strumenti utilizzati per le misure di laboratorio. 5.1 Apparato sperimentale L apparato sperimentale con cui sono state effettuate le misure è mostrato in Figura 5.1 e consiste nei seguenti strumenti: _ Un amplificatore, descritto a paragrafo 4.2.3; _ Un oscilloscopio descritto a paragrafo 4.2.4; _ Un generatore di impulsi laser descritto a paragrafo 4.2.5; _ Un generatore di alta e bassa tensione descritto a paragrafo 4.2.1; _ Software scritto in NI Labview per il controllo e l acquisizione dei segnali dall oscilloscopio.

85 CAPITOLO 5. STUDIO DEL SEGNALE (a) (b) Figura 5.1: Setup sperimentale costituito da oscilloscopio, power supply, laser controller (a) e dal sensore collegato all amplificatore e alla testa del laser (b) Software in NI Labview Il programma di acquisizione scritto in NI Labview, nell ambito del lavoro di tesi, controlla in remoto l oscilloscopio (collegato al computer mediante una porta USB) e successivamente trasferisce i dati acquisiti dall oscilloscopio al computer in formato testuale. Come si può notare dall immagine della schermata principale (figura 5.2) si possono inserire diversi parametri a partire dai canali usati per il trigger e la lettura, ai relativi livelli e intervalli di tensione, le basi dei tempi e l'intervallo temporale di acquisizione. 85

86 CAPITOLO 5. STUDIO DEL SEGNALE Figura 5.2: Interfaccia in NI Labview per il controllo dell acquisizione dei segnali. Si può inoltre inserire il numero di acquisizioni desiderate e impostare su quanti valori effettuare la media del segnale. Questo programma di controllo permette un acquisizione dati molto veloce (0,5 secondi per forma d onda trasferita sul pc) e velocizza enormemente la calibrazione dei parametri dell oscilloscopio: è inoltre possibile automatizzare l'acquisizione di un numero notevole di forme d'onda o eventualmente considerarne i valori medi. 5.2 Segnali prodotti con impulsi laser Utilizzando il setup sperimentale presentato nel paragrafo 5.1, si è effettuata un acquisizione dei segnali generati nei sensori in risposta ad impulsi laser. In questo studio si utilizza la lunghezza d onda di 1064 nm in modo da simulare una particella al minimo di ionizzazione e la lunghezza d onda di 400 nm in modo da simulare delle particelle α. I segnali ottenuti, amplificati dai due amplificatori in dotazione, sono stati ottenuti sia da UFSD con strato di guadagno (sensore W4E3) che con sensori senza strato di guadagno (sensore W2G8) per valutarne le differenze. Le acquisizioni sono state effettuate a due tensioni differenti (400 V e a 600 V) e sono state mediate su mille impulsi del laser, al fine di rendere l acquisizione più pulita e meno soggetta al rumore elettronico. In questa tesi verranno presentati solo i risultati per i segnali a 600 V. 86

87 CAPITOLO 5. STUDIO DEL SEGNALE Impulsi laser con lunghezza d onda di 1064 nm Verranno ora mostrati i segnali prodotti con impulsi laser ad una lunghezza d onda di 1064 nm: in figura 5.3 sono mostrati i segnali prodotti con impulsi laser di lunghezza d'onda di 1024 nm sul sensore senza guadagno ((a) e (b)) o senza guadagno ((c) e (d)), acquisiti con un amplificator BB o CSA. (a) (b) (c) (d) Figura 5.3: Nelle figure (a) e (b) vengono mostrate le acquisizioni del sensore senza guadagno mentre nelle figure (c) e (d) vengono mostrate le acquisizioni del sensore con guadagno. 87

88 CAPITOLO 5. STUDIO DEL SEGNALE Dalla figura 5.3 si possono vedere differenze sostanziali nei segnali acquisiti, dovute sia alla presenza o meno dello strato di guadagno e sia all utilizzo di due amplificatori differenti. I segnali mostrati nelle parti (a) e (c) sono stati amplificati con un BB mentre i segnali mostrati nelle parti (b) e (d) sono stati amplificati con un CSA. Per le differenze relative al guadagno si nota che i segnali in figura 5.3 hanno un altezza in tensione ben più alta dei segnali nei grafici (a) e (b) della stessa figura, acquisiti col sensore senza guadagno. Per le differenze relative all amplificazione si può osservare che nei grafici (b) e (d) della figura 5.3, acquisiti con un amplificatore CSA, il segnale ha una durata maggiore rispetto al segnale visualizzabile nelle parti (a) e (c). Ciò è dovuto alle diverse costanti di tempo dei due amplificatori, ben più alta per il CSA (di circa 3,5 ns) rispetto all'amplificatore BB a larga banda passante Calcolo del guadagno del sensore W4E3 Come spiegato nel paragrafo 3.1, il guadagno di un rivelatore UFSD è dato dal rapporto del numero di portatori presenti dopo la ionizzazione rispetto al numero di portatori iniziali. Si può quindi calcolare il guadagno del sensore W4E3 effettuando il rapporto fra la carica raccolta rispetto a quella raccolta dal sensore W2G8 che, a parità di altre condizioni, è privo di strato interno di amplificazione. Tenuto conto che l'amplificatore CSA integra la corrente in ingresso, si considera, in prima approssimazione, la carica raccolta direttamente proporzionale al massimo del segnale. Per un amplificatore BB, la cui tensione in uscita segue la forma della corrente in ingresso, si considera l'integrale del segnale direttamente proporzionale alla carica raccolta nel sensore. I guadagni per i due amplificatori sono quindi valutati, rispettivamente per segnale da un amplificatore CSA o BB, come: GG CCCCCC = VV wwww mmmmmm VVmmmmmm (5.1) nnnn GG BBBB = tt1 tt0 VV wwww(tt)dddd tt1 VV nnnn (tt)dddd tt0 (5.2) VV wwww (t) e VV nnnn (tt) sono i segnali in tensione misurati in uscita dai dall'amplificatore BB rispettivamente per il sensore con e senza guadagno, e VV wwww mmmmmm e VV nnnn mmmmmm i massimi dei segnali per i due sensori. 88

89 CAPITOLO 5. STUDIO DEL SEGNALE I valori del guadagno è stato valutato per due valori della tensione (400 V e 600 V) e i risultati sono mostrati nella tabella 5.1. Tensione 400V 600V Guadagno BB 5,41 6,13 Guadagno CSA 5,83 7,19 Tabella 5.1: Guadagno del sensore W4E3 in funzione della tensione e valutato con due diversi amplificatori. Dalla tabella si evince che il guadagno tende ad aumentare all aumentare della tensione di bias. Questo incremento è collegato al coefficiente di ionizzazione, dipendente dal campo elettrico applicato Impulsi laser con lunghezza d onda di 400 nm Una radiazione elettromagnetica con lunghezza d onda di 400 nm non attraversa tutto il sensore, ma si arresta nei primi micron di spessore del silicio. Impulsi laser di questa lunghezza d'onda sono quindi utilizzati per simulare la ionizzazione di particelle α, che si arrestano nei primi strati superficiali del sensore. I segnali prodotti da impulsi di bassa lunghezza d'onda sono studiati separatamente per un illuminazione sulla faccia superiore del sensore ("top"), dove è presente l'elettrodo n ed eventualmente lo strato di guadagno, e sulla superficie inferiore ("bottom") Irraggiamento della superficie top In figura 5.4 sono mostrati i segnali prodotti con impulsi laser ad una lunghezza d onda di 400 nm incidenti sulla superficie dei sensori con ((c) e (d)) e senza guadagno ((a) e (b)) e acquisiti con amplificatore BB ((a) e (c)) o CSA ((a) e (c)). 89

90 CAPITOLO 5. STUDIO DEL SEGNALE Zona 1 (a) (b) (c) Zona 2 (d) Figura 5.4: segnali prodotti da impulsi laser di λ=400 nm sulla superficie top, in (a) e (b) vi sono le acquisizioni del sensore senza guadagno mentre nelle in (c) e (d) vi sono le acquisizioni del sensore con guadagno. Nei grafici (b) e (d) della figura 5.4, in cui il segnale è stato amplificato da un CSA, non si riscontrano differenze evidenti della forma del segnale, tranne che per l altezza in tensione del segnale dovuta allo strato di guadagno. La forma e la durata della forma d onda, risultano molto simili poiché il CSA integra la carica con una costante di tempo relativamente alta, perdendo così molte informazioni sul segnale. Le forme d'onda raccolte con l'amplificatore BB (grafici (a) e (c) di Figura 5.4), più vicine alla forma del segnale in corrente prodotto nel sensore, mostrano delle peculiarità. Il contributo al segnale degli elettroni è trascurabile, essendo questi immediatamente raccolti dall'elettrodo n. La forma del segnale è quindi legata al moto di deriva delle sole lacune. Nella zona 1 del grafico (a) relativo al sensore senza guadagno il segnale ha una pendenza minima e risulta quasi stazionario per qualche nanosecondo. Questa zona corrisponde alla deriva delle lacune generate nella parte superiore del sensore. Una volta che queste avranno raggiunto l elettrodo p, il segnale 90

91 CAPITOLO 5. STUDIO DEL SEGNALE riprenderà a decrescere mano a mano che le lacune sono assorbite. Nella zona 2 del grafico (c) relativo al sensore con guadagno avviene un fenomeno analogo, con la sostanziale differenza che entra in gioco lo strato di guadagno. Questa zona corrisponde alla deriva degli elettroni generati nella parte superiore del sensore; questi attraversano però lo strato di guadagno che va a generare moltiplicazione di carica, formando così elettroni lacune secondarie. Le particelle secondarie formate deriveranno a loro volta dando vita alla conformazione particolare verificatasi nella zona Irraggiamento della superficie bottom In figura 5.5 sono mostrati i segnali prodotti con impulsi laser ad una lunghezza d onda di 400 nm incidenti sulla superficie dei sensori con ((c) e (d)) e senza guadagno ((a) e (b)) e acquisiti con amplificatore BB ((a) e (c)) o CSA ((a) e (c)): Zona 1 (a) (b) Zona 2 Zona 3 (c) (d) Figura 5.5: segnali prodotti da impulsi laser di λ=400 nm sulla superficie bottom, in (a) e (b) vi sono le acquisizioni del sensore senza guadagno mentre nelle in (c) e (d) vi sono le acquisizioni del sensore con guadagno. 91

92 CAPITOLO 5. STUDIO DEL SEGNALE I segnali amplificati dal CSA (grafici (b) e (d) della figura) non consentono di evidenziare strutture particolari, a causa della grande costante di tempo dell amplificatore CSA. I grafici (a) e (c), della figura 5.5, acquisiti utilizzando un amplificatore BB, mostrano delle strutture legate alla modalità di formazione del segnale. A differenza di quanto mostrato nel paragrafo precedente, nel caso di un impulso laser che ionizzi solo in prossimità della superficie inferiore del sensore, le lacune prodotte sono immediatamente raccolte dall'elettrodo p, e la forma del segnale dipende esclusivamente dalla deriva degli elettroni primari verso l'elettrodo n ed eventualmente dalla formazione di cariche secondarie nella regione di guadagno. Nella zona 1 del grafico (a) il segnale risulta quasi stazionario per qualche nanosecondo. Questa zona corrisponde alla deriva degli elettroni generati nella parte inferiore del sensore che va poi a decrescere quando questi sono raccolti dall elettrodo n. La prima regione di segnale costante (zona 2 in figura) è formato durante la deriva degli elettroni verso l'elettrodo n. La durata di questo plateau è dunque legato al tempo di deriva degli elettroni dall'elettrodo p dove sono stati creati, fino all'elettrodo n. La seconda parte del segnale (zona 3) è legato invece alle cariche secondarie prodotte nella regione di moltiplicazione. Gli elettroni secondari prodotti in questa regione sono subito raccolti dall'elettrodo n, non contribuendo quindi al segnale, mentre le lacune di guadagno cominciano un moto di deriva verso l'elettrodo p. Il segnale stazionario in questa zona del grafico è dunque legato alla deriva delle lacune di guadagno prodotte nella ionizzazione secondaria. La durata di questa parte del segnale è dunque pari al loro tempo di deriva, mentre l'altezza dipende dal guadagno del sensore. Il segnale svanisce quando le lacune sono tutte raccolte dall'elettrodo. 5.3 Funzione di trasferimento Il segnale da un sensore inevitabilmente viene distorto dalla catena di amplificazione e di elettronica di lettura. Questo è particolarmente evidente per amplificatori a banda stretta e può portare alla perdita di informazioni come mostrato nei paragrafi precedenti in cui la struttura della forma del segnale non era più riconoscibile con amplificatori CSA. Nel futuro si intende studiare il danneggiamento da radiazioni di sensori UFSD da usare per applicazioni di monitoraggio di fasci terapeutici. Al fine di evidenziare l'evoluzione della forma del segnale con la dose assorbita, si è sviluppato un metodo che permette di disaccoppiare l'effetto dell'elettronica di lettura dal segnale misurato, al fine di estrarre la forma del segnale originale prodotto nel rivelatore. Questo studio è ispirato all'articolo [28] di cui si riprende il metodo di base. 92

93 CAPITOLO 5. STUDIO DEL SEGNALE In questo studio si schematizza il sensore come un generatore di corrente in parallelo con la sua capacità, e si prova a vedere se sia possibile modellizzare la forma segnale misurato con l'oscilloscopio (O(t)) in termini di un prodotto di convoluzione del segnale in corrente prodotto nel sensore (I(t)) con una funzione di trasferimento TF(t) che tiene conto dell'effetto della capacità del sensore, dell'amplificatore e di tutta la catena di elettronica di lettura. Figura 5.6: Modellizzazione del segnale. Per estrarre la corrente in uscita dal sensore ci si avvale di uno studio mediante analisi di Fourier applicando il teorema della convoluzione. Poiché i segnali usati in questa tesi sono campionati dall oscilloscopio, si usa la trasformata di Fourier a tempo discreto per l analisi in frequenza dei segnali. La principale ragione che rende importante la trasformata di Fourier discreta (DFT) è l esistenza di algoritmi veloci per il suo calcolo; essi adottano una tecnica di decomposizione ricorsiva della DFT in trasformate di dimensioni ridotte ogni volta della metà. Genericamente tali algoritmi sono chiamati FFT (Fast Fourier Transform), che permettono di calcolare la DFT in un tempo quasi lineare (dell ordine di NlogN) con la quantità N di campioni [29]. Si considerino ora segnali a tempo discreto f(t) in un arco temporale finito, per esempio nulli prima di 0 e non nulli fino ad un tempo N 1; essi possono essere descritti da un vettore [f(0),..., f(n 1)]. Si consideri il segnale a tempo discreto g(t) come risposta del sistema all impulso dato da una delta di Dirac. La convoluzione tra f(t) e g(t) è data dal vettore h(t) a 2N componenti dove: ff(tt) gg(tt) = NN 1 ss=0 ff(tt)gg(tt ss)dddd = h(tt) (5.3) dove 0 < ss < NN 1 e 0 < tt < 2NN 1. Il teorema di convoluzione afferma che la trasformata di Fourier veloce FFT(h(t)) del segnale convoluto h(t) è il prodotto della trasformate di Fourier veloci FFT{f} e FFT{g}. 93

94 CAPITOLO 5. STUDIO DEL SEGNALE FFFFFF{h(tt)} = FFFFFF{ff(tt)} FFFFFF{gg(tt)} (5.4) La funzione di trasferimento può essere quindi ottenuta come il rapporto di un segnale misurato rispetto ad un segnale in corrente non perturbato dall'effetto dell'elettronica di lettura. FFFFFF{TTTT(tt)} = FFFFFF{OO(tt)} FFFFFF{II(tt)} (5.5) La funzione di trasferimento viene estratta a partire dalla misura di un segnale O(t) da un sensore senza guadagno e da una stima del segnale in corrente I(t) ottenuta da una simulazione con Weightfield2 (paragrafo 3.5). Si utilizza un sensore privo di strato di guadagno essendo per quest'ultimo più semplice stimare la forma del segnale originario in corrente rispetto alle complicazioni aggiunte da uno strato di amplificazione interno. Successivamente, la stessa funzione di trasferimento viene applicata per ottenere una deconvoluzione di un segnale in corrente da un sensore UFSD; quest'ultima operazione è lecita purchè la capacità del rivelatore e l'elettronica di lettura siano le stesse di quelle utilizzate per estrarre la funzione di trasferimento. Una volta stimata la funzione di trasferimento, questa può essere applicata per una deconvoluzione del segnale in corrente a partire dai segnali misurati su sensori diversi, o sullo stesso sensore con diversi valori di tensione o in seguito ad un irraggiamento. II(tt) = FFFFFF 1 { FFFFFF{OO(tt)} FFFFFF{TTTT} } (5.10) Punto focale della mia tesi è dimostrare che la stessa funzione di trasferimento può essere applicata a qualsiasi sensore con identica capacità purchè venga mantenuta la stessa elettronica di lettura. Questo sarà utile in futuro per valutare come evolve il segnale in corrente di un sensore con guadagno al variare della dose assorbita durante test di irraggiamento. 5.4 Validazione dell algoritmo con la simulazione L analisi dati è stata effettuata mediante un programma sviluppato in C++ e che utilizza il framework ROOT. Tale programma utilizza i file contenenti le forme d'onda misurate con l'oscilloscopio o simulati con Weightfield2. Il programma, una volta acquisiti i dati può effettuare due diverse operazioni a scelta: La prima opzione permette di elaborare la funzione di trasferimento. Innanzi tutto vengono calcolate le trasformate di Fourier delle forme d'onda dai dati in ingresso, una ottenuta dalle misure con l'oscilloscopio, l'altra corrispondente al 94

95 CAPITOLO 5. STUDIO DEL SEGNALE segnale in corrente nel sensore ed ottenuta con la simulazione Weightfield2. Si possono elaborare anche modulo e fase dei suddetti dati. Una volta elaborate le trasformate di Fourier si può applicare l equazione (5.4) e ricavare le parti reali e immaginarie (o in alternativa modulo e fase) della funzione di trasferimento ed infine salvarla su file per poi poterla applicare in un secondo momento. La seconda opzione del programma permette di applicare la funzione di trasferimento salvata precedentemente per la deconvoluzione dei segnali in corrente a partire da altre forme d'onda misurate su sensori diversi o per diverse condizioni di lavoro. Per verificare la piena funzionalità di questo software, la funzione di trasferimento, viene calcolata utilizzando il segnale in corrente e il segnale modificato dall'elettronica di lettura, entrambi simulati con Weightfield2. I segnali da WF2 sono stati simulati su una media di cento particelle al minimo di ionizzazione. L'applicazione dell'equazione (5.4) permette di riottenere l'andamento del segnale in corrente nel sensore, che deve essere uguale a quello simulato. Il processo è puramente dimostrativo e serve a validare la correttezza delle funzionalità del programma. (a) (b) (c) Figura 5.7: Segnale in corrente generato dalla simulazione Weightfield2 (a), segnali in tensione simulati tenendo conto delle caratteristiche di un amplificatore BB (b) e CSA (c).. 95

96 CAPITOLO 5. STUDIO DEL SEGNALE I risultati ottenuti con un sensore senza guadagno sono mostrati in Figura 5.7: nel primo grafico viene mostrata la corrente generata nel sensore al passaggio di una particella virtuale al minimo di ionizzazione. Il secondo e terzo grafico rappresentano i segnali simulati che si potrebbero vedere all oscilloscopio utilizzando come amplificatori un BB (secondo grafico) e un CSA (terzo grafico). Current (μa/bin width) (a) Voltage (mv/bin width) (b) Voltage (mv/bin width) (c) Figura 5.8: FFT del segnale in corrente generato dalla simulazione Weightfield2 (a), trasformate di Fourier dei segnali in tensione simulati tenendo conto delle caratteristiche di un amplificatore BB (b) e CSA (c). Vengono analizzate le FFT dei segnali mostrati in figura 5.8. Nel grafico in basso (c) si può chiaramente notare come la tensione sia maggiore a basse frequenze rispetto 96

97 CAPITOLO 5. STUDIO DEL SEGNALE al grafico centrale (b). Questo dimostra che il CSA può esser considerato come un passa basso con in frequenza di taglio inferiore rispetto a quella del BB. (a) (b) Figura 5.9: Moduli delle funzioni di trasferimento per un amplificatore BB (a) e CSA (b). Nei grafici (a) e (b) della figura 5.9 si possono visualizzare i moduli delle FFT della funzione di trasferimento. La parte iniziale dei grafici corrisponde ad una zona detta resistiva, dove le resistenze dell elettronica sono predominanti. La parte decrescente del grafico invece è detta zona capacitiva, dove le capacità sono predominanti sull elettronica del sistema. È evidente come nel BB predomini la zona resistiva fino a frequenze di qualche centinaia di MHz. 97

98 CAPITOLO 5. STUDIO DEL SEGNALE (a) (b) Figura 5.10: Fasi delle funzioni di trasferimento ottenute per un amplificatore BB (a) e CSA (b). Nei grafici (a) e (b) della figura 5.10 si possono visualizzare le fasi della FFT della funzione di trasferimento. La fase è di difficile interpretazione: i cambiamenti di fase da +90 a -90, e viceversa, sono stati attribuiti alla carica e scarica dei condensatori di tutta l elettronica elaborata. 98

99 CAPITOLO 5. STUDIO DEL SEGNALE (a) (b) Figura 5.11: Confronto dei segnali in corrente dalla simulazione Weightfield2 (linea rossa) con le forme d'onda ottenute dalla deconvoluzione dei segnali in tensione (punti blu) con una simulazione di un amplificatore BB (a) o CSA (b) La figura 5.11 mostra il segnale in corrente ottenuto applicando il teorema di deconvoluzione e la FFT inversa (5.10). Si può notare chiaramente come il segnale ottenuto dalla deconvoluzione sia in pieno accordo con la corrente simulata da WF2 dimostrando la validità degli algoritmi sviluppati. 99

100 CAPITOLO 5. STUDIO DEL SEGNALE 5.5 Determinazione della funzione di trasferimento e deconvoluzione di segnali misurati Una volta validato il codice si può applicare la tecnica ai segnali prodotti con impulsi laser (vedi Sezione 5.2) con lunghezza d onda di 1064 nm e di intensità tale da riprodurre il segnale di una particella al minimo di ionizzazione. Questi sono stati acquisiti con l'oscilloscopio, con sensori e amplificatori diversi. Per la determinazione della funzione di trasferimento si utilizza un sensore senza guadagno e come segnale in corrente originale quello ottenuto da una simulazione con Weightfiled2. La stessa funzione di trasferimento viene quindi applicata per la deconvoluzione del segnale misurato da un sensore con guadagno, di pari capacità e con la stessa elettronica di amplificazione, e il risultato confrontato con la simulazione Weightfield2 dello stesso sensore. I sensori utilizzati sono il W9B6, senza guadagno, e il W8B4 con guadagno, entrambi descritti nel paragrafo 4.1. (a) (b) (c) Figura 5.12: Segnali utilizzati per elaborare la funzione di trasferimento. 100

101 CAPITOLO 5. STUDIO DEL SEGNALE Il grafico (a) della figura 5.12 mostra il segnale in corrente simulato da WF2. Il grafico (b) della stessa figura mostra il segnale misurato da un amplificatore BB in corrispondenza di un impulso del picolaser, mentre il grafico (c) mostra il segnale da un amplificatore CSA. I segnali sono stati mediati su mille impulsi del laser per ridurre il più possibile le fluttuazioni di rumore. Nei grafici (b) e (c) si possono notare delle fluttuazioni residue, identificati come effetti di interferenza sul segnale misurato provocati dai cavi che comandano gli impulsi laser, e che non si e' riuscito a eliminare del tutto. Si può notare come il segnale in uscita dall'amplificatore ad ampia banda (BB) sia contenuto entro un intervallo temporale di circa 5 ns, comparabile con il segnale in corrente prodotto dal sensore simulato da Weightfiled2. Invece le costanti di tempo dell'amplificatore CSA producono un segnale allargato, di durata di circa 30 ns. Di fatto il BB risulta più adatto per misure per transienti veloci. Current (μa/bin width) (a) Voltage (mv/bin width) (b) Voltage (mv/bin width) (c) Figura 5.13: FFT dei segnali utilizzati per estrarre la funzione di trasferimento. Una volta calcolate le FFT dei segnali si può determinare la funzione di trasferimento (TF) utilizzando la formula (5.4). Tenendo conto che le FFT sono dei numeri complessi, la funzione di trasferimento stessa è una funzione complessa della frequenza, calcolata come segue: 101

102 CAPITOLO 5. STUDIO DEL SEGNALE FFFFFF(TTTT) = FFFFFF(TTTT) RRRR + ii FFFFFF(TTTT) IIII = FFFFFF(OO) RRRR+ii FFFFFF(OO) IIII FFFFFF(II) RRRR +ii FFFFFF(II) IIII (5.6) FFFFFF(TTFF) RRRR = FFFFFF(OO) RRRR FFFFFF(II) RRRR +FFFFFF(OO) IIII FFFFFF(II) IIII FFFFFF(II) 2 RRRR +FFFFFF(II) IIII FFFFFF(TTTT) IIII = FFFFFF(II) RRRR FFFFFF(OO) IIII FFFFFF(OO) RRRR FFFFFF(II) IIII FFFFFF(II) 2 RRRR +FFFFFF(II) IIII 2 (5.7) 2 (5.8) Il modulo e la fase della funzione di trasferimento sono calcolate a partire dalla parte reale e immaginaria come segue: FFFFFF(TTTT) mmmmmm = FFFFFF(TTTT) 2 2 RRRR + FFFFFF(TTTT) IIII (5.9) FFFFFF(TTTT) pphaaaaaa = tan 1 FFFFFF(TTTT) IIII FFFFFF(TTTT) RRRR (5.10) (a) (b) Figura 5.14: Moduli delle Fast Fourier Transform delle funzioni di trasferimento per un amplificatore BB (a) e CSA (b). 102

103 CAPITOLO 5. STUDIO DEL SEGNALE Nei grafici (a) e (b) della figura 5.14 si possono visualizzare i moduli della FFT della funzione di trasferimento. È evidente come a frequenze superiori ad 1 GHz ci sia un elemento che disturbi il segnale rendendolo rumoroso. Si è ipotizzato che possa essere dovuto all interferenza dei cablaggi. (a) (b) Figura 5.15: Fasi delle Fast Fourier Transfor delle funzioni di trasferimento per un amplificatore BB (a) e CSA (b). Nei grafici (a) e (b) della figura 5.15 si possono visualizzare le fasi della FFT della funzione di trasferimento. 103

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