CORSO DI FOTOGRAFIA. a cura di Adriano Frisanco

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Transcript:

CORSO DI FOTOGRAFIA DISPENSA ALLIEVI 2017 a cura di Adriano Frisanco

INTRODUZIONE Gli anni della rivoluzione digitale sono ormai finiti: la fotografia del 2017 è ormai definitivamente traslocata nel mare magnum del mondo digitale. La pellicola e il suo mondo analogico, l argento, la diapositiva unitamente al proiettore e tutti i riti connessi sono entrati nelle vetrinette dei ricordi, dei memorabilia, andando ad arricchire la memoria storica e ad alimentare la nostalgia di chi non ha accettato del tutto (o per niente) la dirompente novità che l ultimo decennio ha imposto con la brutalità tipica delle trasformazioni tecnologiche. L espressione rivoluzione digitale, ormai superata dagli eventi e dalla realtà del mercato, fa pensare che lo sconvolgimento abbia riguardato e colpito tutti gli ambiti fotografici, dalle fotocamere alla stampa, al modo stesso di fotografare. In realtà ciò che l immagine digitale ha sconvolto radicalmente è il mondo della produzione, sia delle fotocamere che delle pellicole, con multinazionali crollate come castelli di carta, marchi scomparsi nel nulla, aziende che si presentano sul mercato per la prima volta e che cercano di conquistarsi uno spazio in una competizione dall esito incerto. Il fotografo nato analogico, sia esso fotoamatore più o meno evoluto o professionista, pur con degli ovvi distinguo, ha vissuto questa fase di passaggio epocale con duplici sentimenti: da una parte attratto dalle enormi potenzialità operative ed espressive che la tecnologia digitale offre, dall altra reso incerto dalla consistenza effimera delle cosiddette novità che l apparato industriale/commerciale planetario impongono, con logiche tutt altro che effimere, al mercato. Per i fotografi nativi digitali il problema non si pone A ben vedere però, tutto ciò che riguarda invece la pratica della fotografia, la fase della ripresa, la fruizione finale, i contenuti estetici, la capacità e la funzione comunicativa che la fotografia ha sempre avuto fin dalla sua invenzione, sono rimasti pressoché intatti. Ciò che si doveva sapere prima dell avvento del digitale per poter ottenere delle immagini soddisfacenti lo si deve conoscere anche oggi. È d obbligo solamente l aggiornamento delle proprie competenze nell ambito delle nuove tecnologie digitali, per consentire di raggiungere i migliori risultati. Fotografare è, più che mai oggi, una delle attività più semplici, se s intende per fotografia la riproduzione otticamente fedele di una porzione di realtà. Esistono infatti centinaia di apparecchiature di prezzo accessibilissimo in grado di mettere a fuoco, di misurare la luce, impostare tempi e diaframmi, aggiungere la luce ausiliaria del flash nel caso di luce insufficiente, il tutto in maniera completamente automatizzata e con risultati spesso tecnicamente impeccabili. Quando alla fotografia si affida in compito più complesso come, ad esempio, quello di registrare e restituire una sensazione, un atmosfera, un idea, il fotografo scopre, oggi al pari di ieri, che anche la fotocamera più sofisticata e intelligente non è in grado, da sola, di raggiungere il risultato atteso e le immagini realizzate appaiono spesso vuote ed inespressive, comunque lontane da ciò che ci si aspettava nel momento dello scatto. La frequente delusione nel constatare i magri risultati ottenuti in ripresa non è quasi mai da imputare a guasti meccanici, esposimetri fuori taratura, insomma limiti dello strumento usato, bensì, spesso, alla ingenua illusione che si possa affidare ad un mezzo meccanico l espressione di sé, del proprio pensiero, delle proprie emozioni. Alla stessa stregua - e questo, curiosamente, risulta ovvio - un aspirante scrittore non può illudersi che un computer e un sofisticato software di videoscrittura oppure una stilografica di gran marca possano aiutarlo a scrivere un buon romanzo. La fotografia, al pari di altre forme espressive, ha un suo linguaggio molto articolato e complesso che va acquisito nei suoi aspetti tecnici e personalizzato nei suoi risvolti estetici. L apprendimento in fotografia è continuo, inesauribile (questa è una delle cose più entusiasmanti) e non privo di ostacoli e delusioni, ma se l appassionato non si spazientirà di fronte agli inevitabili insuccessi iniziali e saprà far tesoro dell esperienza, scoprirà che le operazioni che nella fase iniziale del proprio percorso di apprendimento lo hanno costretto a sforzi cerebrali titanici diventeranno, gradualmente, quasi automatiche e constaterà un progressivo miglioramento dei risultati e delle proprie capacità di controllo. Non garantisco a tutti coloro che seguiranno il corso a cui questa dispensa si riferisce di diventare dei Richard Avedon o degli Ansel Adams (per la cronaca un grande ritrattista e un grande paesaggista del secolo scorso), ma sono sicuro che tutti ne potranno trarre buon profitto in termini di soddisfazione personale. A tutti un augurio sincero di... buon viaggio! Adriano Frisanco

Capitolo 1 L INVENZIONE DELLA FOTOGRAFIA Questa immagine, così poco significativa dal punto di vista estetico, ha in realtà una grande importanza: è considerata la prima fotografia della storia. Fu scattata da Niepce nel 1826 e riproduce uno scorcio di case e tetti ripresi dalla finestra della sua abitazione, con una posa di otto ore! La fotografia1, in quanto tecnica di registrazione stabile di un immagine ripresa con un sistema ottico, è, storicamente, l esito di ricerche, di intuizioni, di scoperte scientifiche nel campo dell ottica e in quello della chimica, che per secoli hanno viaggiato su binari paralleli, senza mai incontrarsi. Solamente all inizio del 1800, per ragioni legate all evoluzione della società ancor più che squisitamente scientifiche, avvenne quella convergenza che nel volgere di pochi decenni portò all invenzione del procedimento fotografico ed al suo rapido perfezionarsi. Nelle pagine che seguono percorreremo le tappe fondamentali di questo affascinante percorso storico. Prima del 1000 STORIA CRONOLOGICA Testimonianze storiche parlano dell uso della camera obscura 2 e del foro stenopeico 3 fatto da Aristotele nel IV secolo a.c. Altre fonti riferiscono dell utilizzo della camera oscura nel corso del secolo X, da parte di scienziati arabi, per osservare le eclissi di sole senza ferirsi gli occhi. 1500 ca. Leonardo da Vinci (1452-1519) descrive con precisione l uso del foro stenopeico per proiettare all interno di una stanza l immagine (rovesciata) del paesaggio esterno. Ascoltiamo una sua descrizione:... dico che, se una faccia d uno edifizio o altra piazza o campagna che sia illuminata dal sole, arà al suo opposito un abitazione, e in quella faccia che non vede il sole sia fatto uno spiraculo rotondo, che tutte le alluminate cose manderanno la loro similitudine per detto spiraculo e appariranno dentro all abitazione nella contraria faccia, la quale vol essere bianca, e saranno lì appunto e sottosopra, e se per molti lochi di detta faccia facessi simili busi, simile effetto sarebbe per ciascuno... 1540 1558 1565 1569 Gerolamo Cardano (1501-1576), medico e matematico, introduce l uso della lente convessa in sostituzione del foro stenopeico, ottenendone immagini molto più luminose e nitide. Lo scienziato napoletano Giovanni Battista Della Porta (1538-1615), nel trattato Magiae naturalis libri quatuor, descrive per la prima volta in maniera completa la camera oscura, indicandola come mezzo per aiutare a dipingere. L alchimista Georg Fabricius (1516-1571), autore dell opera De metallicis rebus ac nominibus observationes variae et eruditae, descrive come, servendosi della camera oscura di G.B. Della Porta, sia riuscito a fissare l immagine di oggetti esterni su uno strato di sostanza chiamata luce cornea (forse nitrato d argento). Il veneziano Daniele Barbaro, docente presso l università di Padova e autore di un trattato sulla prospettiva La pratica della perspettiva, descrive l uso della lente convergente biconvessa e della camera oscura

(in questo caso una stanza) per ottenere immagini disegnate con molta precisione. Ascoltiamolo:... serra poi tutte le finestre, e le porte della stanza, finché non vi sia luce alcuna, se non quella che viene da vetro, piglia poi uno foglio di carta, et ponlo incontra il vetro tanto discosto, che tu veda minutamente sopra l foglio tutto quello che è fuori di casa, il che si fa in una determinata distanza piú distintamente. Il che troverai accostando, overo discostando il foglio al vetro, finché ritroverai il sito conveniente. Qui vi vedrai le forme nella carta come sono, e le digradationi, e i colori, e le ombre, e i monumenti, le nubi, il tremolar delle acque, il volare degli uccelli, e tutto quello che si può vedere... vedendo dunque nella carta i lineamenti delle cose, tu puoi con un penello segnare sopra la carta tutta la perspettiva, che apparerà in quella e ombreggiarla, e colorirla teneramente, secondo che la natura ti mostrerà, tenendo ferma la carta fin che haverai fornito il disegno... 1685 Il frate tedesco Johan Zahn, autore del trattato di ottica Oculis artificialis teledioptricus, sive telescopium, perfeziona l invenzione ideata da Johan C. Sturm qualche anno prima, costruendo una camera oscura reflex, nella quale l immagine viene riflessa da uno specchio posto a 45 che la raddrizza nel senso verticale e permette di osservarla su un piano orizzontale. Possiamo considerarla il prototipo delle fotocamere reflex moderne. la camera obscura reflex 1700 1727 1757 1760 1786 1802 Si perfezionano le lenti introducendo l uso delle lenti composte. Il tedesco Johann H. Schultze (1687-1744) dimostra che i sali d argento anneriscono a causa della luce e non dell aria o del calore, come sino ad allora si pensava. Riesce a creare un disegno fotogenico coprendo parzialmente la superficie di una bottiglia piena di un miscuglio di gesso, argento e acido nitrico ed esponendola alla luce. Chiamò questo composto chimico scotophorus (portatore di tenebre). L italiano Giacomo Beccaria (1716-1781) scopre che il cloruro d argento è più sensibile del nitrato. Lo scrittore Tiphaigne de la Roche nel suo racconto fantastico Babylone, non parla di esperimenti scientifici mirabolanti ma vale la pena di ascoltare la sua divertente descrizione di un metodo per trattenere i simulacri delle cose, che suona incredibilmente profetica....tu sai che i raggi di luce, riflessi dai diversi corpi, riproducono, come dipinti in un quadro, questi corpi, specie in tutte le superfici lucide, quali ad esempio sulla retina dell occhio, sull acqua, sugli specchi. Gli spiriti elementari hanno cercato il modo di fissare queste immagini passeggere ed a questo scopo hanno composto una materia sottilissima, assai vischiosa, che in brevissimo tempo si secca e si indurisce. Essi inverniciano con questa sostanza una specie di tela e la mettono dinnanzi agli oggetti che vogliono ritrarre. Il primo effetto che la tela così preparata produce, è identico a quello che si ottiene da uno specchio, ma quello che uno specchio non potrebbe fare, quella tela lo fa, e cioè per mezzo della sua pellicola vischiosa, ritiene i simulacri. Lo specchio vi rende fedelmente l immagine degli oggetti, ma non ne conserva alcuna; le nostre tele le riflettono colla stessa fedeltà, ma le conservano tutte. Questa impressione delle immagini è l affare di un attimo; la tela subito viene tolta via e posta in un luogo scuro. Un ora dopo la pellicola è secca e si ha un quadro tanto grazioso che nessun arte potrebbe uguagliarne la beltà, ed il tempo non può alterarlo. Noi prendiamo nella loro sorgente più pura, nella luce stessa, i colori che i pittori traggono da materiali diversi, che il tempo altera sempre. La precisione del disegno, la varietà dell espressione, la gradazione delle tinte, le regole della prospettiva, noi le lasciamo tutte alla natura, la quale, con quella sicurezza che non si smentisce mai, traccia sulle nostre tele delle immagini tanto sorprendenti da far dubitare alla ragione, se le cose che chiamiamo realtà, non siano alla lor volta un altra specie di fantasmi che s impongono, oltre che alla loro vista, anche all udito, al tatto: e, insomma, a tutti i sensi in una volta...» Gilles Louis Cretien inventa un apparecchio cui da il nome di physionotrace che permette di tracciare il disegno di qualsiasi oggetto traguardandolo attraverso un prisma e, attraverso il collegamento con un pantografo, incidere la traccia su una lastra di rame così da poterne stampare un numero illimitato di copie. Solo il fatto di non aver trovato una sostanza adatta a fissare stabilmente le immagini impedisce che l inglese Thomas Wedgwood (1771-1805) venga annoverato tra i padri della fotografia. Accertata resta però la sua conoscenza della fotosensibilità dei sali d argento, che egli sperimenta caparbiamente senza però riuscire a conservare

nel tempo le immagini prodotte che invariabilmente si deterioravano non appena esposte alla luce. Ecco come Sir Humphry Davy amico e collaboratore di Wedgwood descrive gli esperimenti sul Journal of the Royal Institution del 1802.... se si immerge un foglio di carta in una soluzione di nitrato d argento, nell oscurità non si manifesta alcun cambiamento; ma alla luce del giorno questa carta cambia rapidamente colore e diviene nera dopo una azione prolungata. la rapidità dell impressione è proporzionale all intensità della luce; così al sole sono sufficienti due o tre minuti, mentre necessitano alcune ore alla luce diffusa... 1807 Lo scienziato William Hyde Wollaston progetta la camera lucida, un ulteriore strumento che facilita il pittore, dilettante o professionista, nella copia dal vero. L utilizzatore traguarda attraverso un prisma sia il soggetto che il foglio da disegno: non gli resta che seguire con la matita l immagine virtuale osservata nel prisma per ottenere un disegno realistico con relativa poca fatica. La camera lucida riscosse molto successo tra i viaggiatori che ne apprezzarono la facile trasportabilità. la camera lucida, un aiuto per il pittore 1816-27 È questo il lasso di tempo necessario a Joseph Nicephore Niepce 4, ricco possidente terriero francese, per sperimentare vari metodi atti ad ottenere un immagine direttamente generata dalla luce e resa stabile nel tempo. É databile al 1826 o all anno successivo quella che viene considerata, pur se in maniera controversa, la prima fotografia della storia che fa di Niepce uno dei padri fondatori della fotografia. Eliografia realizzata da Niepce nel 1827 (un anno dopo la veduta riprodotta in apertura del capitolo), raffigurante una tavola imbandita 1829 1835 Nasce il sodalizio fra Niepce e il pittore parigino Louis-Jacques Mandè Daguerre 5 (inventore e proprietario del diorama 6 ) che stipulano un contratto di collaborazione della durata di 10 anni al fine di proseguire le ricerche. Il contratto prevedeva l impegno a proseguire le ricerche, a scambiarsi le informazioni sui progressi ottenuti, a pubblicarli sotto il doppio nome ed a dividere i futuri guadagni in parti uguali. Niepce non godette i frutti di tale accordo poiché morì nel 1833. Louis Daguerre, proseguendo le ricerche di Niepce, scopre per caso l azione del mercurio per sviluppare la cosiddetta immagine latente. Una raffinata natura morta del 1837 è il soggetto di questa fotografia ripresa da Daguerre utilizzando la tecnica alla quale diede poi il nome: il Dagherrotipo. 7-1-1839 Il giorno 7 gennaio 1839, a Parigi, viene presentata ufficialmente l invenzione del dagherrotipo 7. Il quotidiano Gazette de France racconta così l annuncio pubblico dell invenzione: annunciamo un importante scoperta del nostro famoso pittore del Diorama, M. Daguerre. La scoperta ha del prodigioso. Sconvolge tutte le teorie scientifiche della luce e dell ottica e rivoluzionerà l arte del disegno. M. Daguerre ha trovato il modo di fissare le immagini che si dipingono da sole dentro una camera oscura, sicchè esse non sono più fugaci riproduzioni di oggetti, ma ne sono l impronta fissa e durevole che,

come un dipinto o un incisione, non ha più bisogno della presenza dell oggetto... I signori Arago, Biot e Humboldt hanno verificato l autenticità di questa scoperta, che ha suscitato la loro ammirazione e M. Arago la renderà nota fra pochi giorni all Accademia delle Scienze. Natura morta, architettura: sono questi i trionfi dell apparecchio che Daguerre vuol chiamare, dal proprio nome, Daguerotype... Viaggiatori! Forse a prezzo di qualche centinaio di franchi, avrete presto la possibilità di acquistare l apparecchio di Daguerre e potrete riportare in Francia i più bei monumenti e panorami del mondo intero... Veduta parigina ripresa da Daguerre nel 1839 31-1-1839 L inglese Henry Fox Talbot, presenta alla Royal Society una memoria dal titolo Note sull arte del disegno fotogenico, ossia sul procedimento attraverso il quale si possono ritrarre gli oggetti naturali senza l ausilio del pennello e di un artista. La caratteristica del procedimento di Talbot era l utilizzo, come materiale sensibile, di carta imbevuta di cloruro di argento che esposta e poi sviluppata in acido pirogallico, dava luogo ad una immagine negativa. Questa, resa traslucida con un bagno di cera, permetteva di ottenere qualsiasi quantità di copie positive, per contatto. Al contrario, il dagherrotipo era direttamente positivo, ma in copia unica, senza possibilità di duplicazione. Possiamo considerare Talbot l inventore del procedimento negativo-positivo. Henry Fox Talbot. Risale al 1839 questa immagine di un ramo di foglie ottenuta per contatto su un negativo di carta imbevuto di sali di argento. 14-7-1839 Un altro francese Hippolyte Bayard, impiegato dello stato, ottiene bellissimi risultati (con un complesso procedimento su carta al cloruro di argento, con cui realizza copie direttamente positive) che espone in una sala parigina ottenendo tanti apprezzamenti... ma pochi soldini. Nonostante gli scarsi successi economici non abbandonerà la passione per la fotografia e, utilizzando varie tecniche, ci lascerà molte bellissime immagini. Hippolyte Bayard. È del 1840 questo spiritoso autoritratto in figura di annegato, che Bayard realizzò per sottolineare la delusione per lo scarso successo economico delle sue mostre 1847 1854 1871 Evrard inventa un supporto migliore della carta, per realizzare i negativi calotipici, usando lastre di vetro ricoperte di albume, poi sensibilizzato con sali d argento. Viene inventato il procedimento al collodio (lastra umida). Una lastra di vetro veniva ricoperta da un sottile strato di collodio (nitrocellulosa- alcol-etere) e sali di argento. Questo procedimento in pochi anni va a sostituire le tecniche di Daguerre e di Talbot. L inglese Richard Maddox sperimenta l uso dell emulsione di gelatina e bromuro d argento per la preparazione

dei negativi, tecnica che, perfezionata nel 1878, dominerà la storia della fotografia fino ai giorni nostri. Ascoltate cosa scrive nel 1880 il direttore del British Journal of Photography : Sempre avanti, sempre avanti corre la gelatina per la sua vischiosa strada. E tu sei costretto ad usarla, se vuoi che il successo ti arrida. O collodio lento, vecchio, sorpassato sono finiti i tuoi giorni di gloria. Alle lastre di Gelatina devi ormai cedere il passo NOTE 1 Il termine fotografia (letteralmente scrittura con la luce), venne usato per la prima volta nel febbraio 1839 in uno scambio epistolare fra John Herschel e Henry Fox Talbot. 2 3 4 Per camera oscura (da non confondersi con la camera oscura intesa come stanza adibita a sviluppo e stampa) si intende un qualunque dispositivo (stanza oscurata, scatola a tenuta di luce ecc.) che, attraverso l uso di un piccolo foro o di una lente permetta la formazione di un immagine di un soggetto posto al di fuori di essa, proiettandola e rendendola visibile al proprio interno. Fino al 1600 essa fu una vera e propria stanza. Successivamente fu ridotta a dimensioni più piccole e resa così trasportabile. In tal modo il suo utilizzo si diffuse tra artisti, architetti e studiosi di varie discipline. Qualunque fotocamera, anche la più moderna e sofisticata, è in realtà una versione elaborata della camera oscura. Il foro stenopeico, progenitore della lente e degli attuali obiettivi è un minuscolo forellino ricavato su un supporto sottile e dotato di bordi molto netti, che permette, utilizzato con una camera oscura, (ma anche con una fotocamera moderna) di ottenere un immagine invertita dei soggetti posti davanti a se, proiettandoli dalla parte opposta. Una superficie bianca o traslucida può rendere visibile l immagine proiettata e un foglio di materiale fotosensibile può anche registrarla stabilmente. L immagine prodotta dal foro stenopeico non potrà mai essere molto nitida poiché, in assenza di un dispositivo che faccia convergere i raggi luminosi, ogni punto del soggetto verrà riprodotto come un minuscolo cerchio, tanto più grande quanto maggiore sarà il diametro del foro stenopeico e quanto maggiore sarà la distanza fra il foro e il piano sul quale viene proiettata l immagine. Per ottenere immagini sufficientemente leggibili (peraltro non prive di un certo fascino!) il diametro deve aggirarsi intorno a 1/2 mm 1/4 mm. Diametri minori non forniscono risultati ottici migliori poiché, se è vero che il fascio di raggi proveniente da un foro più piccolo sarebbe più ristretto e sarebbe quindi in grado di generare un immagine più nitida, è vero anche che il fenomeno della diffrazione ottica assumerebbe proporzioni tali da vanificare ogni miglioramento. JOSEPH NICEPHORE NIEPCE Nato in Francia a Chalon sur Saone nel 1765. Possidente terriero ma ancor più appassionato inventore (di sua invenzione fu un motore a combustione interna col quale riuscì a muovere una grossa imbarcazione), si dedicò inizialmente alle problematiche relative alla tecnica della litografia importata in Francia nel 1815. Sua ambizione era di trovare un metodo per incidere le lastre (di peltro invece che di pietra) utilizzando la camera oscura come sorgente dell immagine. I suoi tentativi lo portarono a sperimentare le proprietà fotosensibili del cloruro di argento e già nel 1816 era in grado di ottenere riproduzioni ottiche su carta sensibilizzata con cloruro d argento ed esposta in una rudimentale camera oscura e con l ausilio di una lente. Le immagini così ottenute erano dei negativi, ovvero riproduzioni con i toni invertiti (le parti chiare del soggetto riprodotte come scure e viceversa). Non riuscendo a trovare un metodo valido per re-invertire la scala tonale per ottenere immagini positive, puntò sull ipotesi opposta: cercare una sostanza che schiarisse se colpita dalla luce. Trovò la risposta alle sue ricerche nel bitume di Giudea, una sorta di pece nera utilizzata dagli incisori per proteggere le lastre dall attacco degli acidi. Il bitume di Giudea possiede la proprietà di indurirsi se colpito dalla luce e diventare così insolubile negli abituali solventi. Niepce realizzò nel 1826 una riproduzione di un incisione del 1600 raffigurante il vescovo di Reims, soprapponendo a contatto l incisione resa traslucida con la lastra cosparsa di bitume ed esponendole alla luce. Un lavaggio nel solvente permise di asportare lo strato di bitume solo in corrispondenza dei punti che non avevano ricevuto luce (corrispondenti alle parti scure del disegno originale). Constatati i buoni risultati Niepce si cimentò con la camera oscura riprendendo

il cortile della sua casa e ottenendo quella che alcuni storici considerano la prima fotografia della storia, databile tra il 1826 e il 27. La lastra, ancora esistente è conservata presso la collezione Gernsheim ad Austin, Texas. Niepce continuò a realizzare le sue eliografie (questo fu il nome da lui attribuito al suo procedimento) ed a cercare di migliorarne la qualità. Nel 1827, durante un viaggio a Londra, ebbe modo di incontrare il pittore Louis-Jacques Daguerre, che stava portando avanti ricerche analoghe alle sue. La conoscenza fra loro sfociò, due anni più tardi, nella firma di un contratto di collaborazione che durò fino alla morte di Niepce, avvenuta nel 1833.Sulla visita di Niepce al Diorama di Daguerre egli stesso ne dà testimonianza entusiasta in una lettera al figlio: Ho avuto frequenti incontri con Monsieur Daguerre. È venuto a trovarci ieri... e la conversazione sull argomento che ci interessa è veramente inesauribile... Non ho visto nulla che mi abbia colpito e dato più piacere del Diorama. Ci ha fatto da guida M. Daguerre e abbiamo così avuto l opportunità di contemplare i meravigliosi quadri che sono lì esposti. Non vi è nulla che superi le due vedute dipinte da Daguerre stesso: una di Edimburgo durante un incendio di notte, l altra di un villaggio svizzero inerpicato su una strada posta di fronte a montagne altissime ricoperte di neve. Queste raffigurazioni sono così reali, anche nei loro più minuti particolari, che lo spettatore crede di vedere effettivamente una natura rustica e selvaggia, con tutte le illusioni che possono dare il fascino dei colori e la magia del chiaroscuro. L illusione è così grande che si è tentati di lasciare il proprio posto, di uscire all aperto e di arrampicarsi sulla cima della montagna. Ti assicuro che non vi è la minima esagerazione da parte mia, gli oggetti sono - o sembrano - di grandezza naturale 5 6 7 LOUIS-JACQUES MANDÉ DAGUERRE Nato a Parigi nel 1787. Pittore paesaggista di una certa abilità e ancor più abile imprenditore, nel 1822 aprì il Diorama da cui trasse successo e guadagni. Proprio la necessità di produrre vedute di paesaggio il più possibile realistiche, da utilizzare nei suoi spettacoli, determinò il suo vivo interesse per gli esperimenti di Niepce. Già nel 1826 tentò di saperne di più scrivendogli una lettera alla quale Niepce rispose in termini molto evasivi. Un tentativo nel gennaio 1827 non diede migliori frutti ma stuzzicò almeno la curiosità del più anziano ricercatore, al punto che nel corso dell agosto successivo ricevette la sua visita a Parigi. Due anni più tardi stipulò con lui un contratto di collaborazione decennale, ma, dopo la morte del socio avvenuta nel 1833, dovette proseguire le ricerche da solo poiché, nonostante nella società fosse subentrato il figlio di Niepce Isidore, non ottenne da lui alcun contributo. Nel 1835 sperimentò un procedimento notevolmente diverso da quello dell eliografia di Niepce, a cui diede il nome di dagherrotipia. Nel 1838 illustrò la sua invenzione a Dominique Francois Arago, un eminente scienziato ed influente uomo politico il quale gli propose di vendere l invenzione allo stato francese. Il 7 agosto dell anno successivo il re di Francia Luigi Filippo firmò il provvedimento di legge che conferiva un vitalizio di 6.000 franchi all anno a Daguerre ed uno di 4.000 a Isidore Niepce a fronte della cessione dei diritti sull invenzione. Poco dopo l infaticabile Daguerre scrisse un volumetto dal titolo Historique et description du procedè du Daguerreotype et du Diorama che, nel volgere di pochi mesi, venne tradotto e pubblicato in Germania, Olanda, Spagna, Stati Uniti d America, Danimarca, Svezia, Russia, Irlanda, Austria, Italia e persino Giappone. Non mancò neppure, da buon imprenditore qual era, di mettere in produzione una linea di apparecchi da ripresa. DIORAMA Teatro creato a Parigi da Daguerre e dal socio Bouton nel 1822. Nel diorama venivano presentate scenografie molto grandi e accurate riproducenti scene di paesaggio e altro, con effetti di illuminazione in dissolvenza tali da creare grande stupore nel pubblico. I dipinti venivano realizzati da Daguerre che si serviva talvolta di una camera oscura per copiare con perfetta aderenza alla realtà le varie scene necessarie allo spettacolo. È comprensibile l interesse che il pittore provava verso qualunque tecnica gli permettesse di migliorare la qualità delle sue rappresentazioni (oltre a rendere più rapida e precisa l esecuzione dei dipinti). Il Dagherrotipo La tecnica inventata da Daguerre e diffusa in tutto il mondo a partire dal 1839, si basa su un procedimento articolato in cinque fasi: 1. Preparazione del materiale sensibile: una lastra di rame argentata viene perfettamente pulita e lucidata a specchio.

2. Sensibilizzazione: la lastra viene esposta, al buio, ai vapori di iodio, con la conseguente produzione sulla superficie di ioduro d argento, sostanza fotosensibile. 3. Esposizione: la lastra sensibilizzata è esposta all interno di una camera oscura per un tempo che, agli inizi, si aggirava attorno ai 30 minuti in presenza di intensa luce solare (enorme progresso rispetto alle 8 ore richieste dal procedimento eliografico di Niepce!). 4. Sviluppo: la lastra viene sviluppata, in un apposita scatola a tenuta di luce, esponendola a vapori di mercurio che si amalgama all argento ridotto dalla luce, in proporzione all intensità della stessa, dando luogo a un deposito biancastro. 5. Fissaggio: un bagno in una soluzione di cloruro di sodio (agli inizi e con scarsa efficacia) o di iposolfito di sodio (con risultati più duraturi), contribuisce all eliminazione dello ioduro di argento residuo (che non è stato esposto alla luce e quindi non ha subito gli effetti dello sviluppo e conserva intatta la sua sensibilità). In tal modo sono potuti giungere fino a noi, in condizioni eccellenti, migliaia di dagherrotipi, prodotti nel ventennio a partire dal 1839. L uso del dagherrotipo verrà in seguito abbandonato a causa dei suoi limiti intrinseci: era fragile, delicato tanto da dover essere protetto in un astuccio rigido, era in copia unica e, aspetto non di poco peso per la sua diffusione di massa, abbastanza costoso.