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OSSERVATORIO SUL PROCESSO AMMINISTRATIVO AGGIORNATO A LUGLIO-AGOSTO 2013 ANGELA OZZI GIUDIZIO DI OTTEMPERANZA Cons. Stato Sez. V, 30 agosto 2013, n. 4322 Sui poteri del giudice dell ottemperanza nell attuazione dei lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili e sul divieto del giudice di integrare la decisione resa da altro organo giurisdizionale. Come noto, ai sensi dell art. 112, 2 co. lett. e), c.p.a. l azione di ottemperanza può essere proposta per conseguire l attuazione «dei lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili al fine di ottenere l adempimento dell obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato». Si tratta di una delle novità più significative introdotte dal Codice del processo che sul punto ha valorizzato la portata dell art. 824 bis c.p.c., il quale prevede che «il lodo ha dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunciata dall autorità giudiziaria». Il riferimento agli effetti della sentenza ha portato la giurisprudenza prima e il legislatore del Codice poi a ritenere che anche il lodo arbitrale dia luogo a tutti gli effetti ad un giudicato, per l esecuzione del quale è quindi esperibile il rimedio del ricorso per l ottemperanza. Nel caso in esame, il Consiglio di Stato esamina in grado di appello una sentenza pronunciata su un giudizio di ottemperanza di un lodo arbitrale. Il giudice di primo grado aveva rigettato la richiesta di ottemperare al giudicato formatosi su un lodo arbitrale, ritenendo che la richiesta avesse in realtà carattere cognitorio, poiché il Comune ricorrente chiedeva al giudice dell ottemperanza di interpretare il contenuto precettivo del lodo, non solo alla luce del dispositivo, ma anche del contenuto complessivo del lodo medesimo. Il tribunale 1

amministrativo regionale rigettava tali richieste, declinando la propria giurisdizione rispetto ad un attività conoscitiva qualificata come cognitoria e quindi ritenuta esclusa dai poteri del giudice dell ottemperanza in materie non devolute alla giurisdizione amministrativa. Il Consiglio di Stato riforma la decisione del giudice di primo grado e svolge delle interessanti riflessioni circa i poteri del giudice dell ottemperanza allorquando sia richiesta l esecuzione di decisioni assunte da altri organi giurisdizionali esterni alla giurisdizione amministrativa. In primo luogo, il Consiglio di Stato rigetta l argomento secondo il quale nel caso di specie la richiesta di ottemperanza del lodo arbitrale avrebbe implicato anche attività di integrazione del lodo medesimo, riqualificando tale richiesta come di mera interpretazione del contenuto precettivo del lodo medesimo, in quanto tale perfettamente conoscibile dal giudice dell ottemperanza. Infatti, l art. 114, comma 6, c.p.a. prevede che il giudice dell ottemperanza possa conoscere di tutte le questioni relative all ottemperanza medesima, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario ad acta, nonché l art. 8, comma 1, c.p.a., prevede che in generale il giudice amministrativo possa conoscere di tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale nelle materie in cui non ha giurisdizione esclusiva, senza efficacia di giudicato. Il Collegio precisa che si ha integrazione dell atto oggetto di ottemperanza solo nel caso in cui il giudice attribuisca un bene della vita diverso da quello già attribuito dall atto oggetto dell ottemperanza. Così non era accaduto nel caso di specie, ove la richiesta rivolta al TAR concerneva l esatta misura dell obbligazione non ancora eseguita, la quale era perfettamente riscontrabile nel contenuto motivazionale del lodo arbitrale e quindi afferente il piano della mera interpretazione dell atto. Osserva, inoltre, il Collegio che nel giudizio di ottemperanza il g.a. può sempre adottare una statuizione analoga a quella che potrebbe essere emessa in sede di giudizio di cognizione al fine di risolvere eventuali dubbi interpretativi che sarebbero comunque devoluti alla sua giurisdizione, con il solo limite di non poter esercitare poteri di integrazione allorché la sentenza appartenga ad un organo giurisdizione differente. Tali poteri di integrazione sono invece ammessi allorquando il giudizio di ottemperanza attenga ad un giudicato del medesimo giudice amministrativo. In altre parole, il potere integrativo non può essere sottratto ai limiti esterni della giurisdizione del g.a. con la conseguenza che quando il giudizio di ottemperanza si riferisce ad un giudicato formatosi dinanzi ad un giudice diverso da quello amministrativo, la domanda concernente l esatta interpretazione del contenuto della decisione da attuare deve essere esaminata in base ad elementi esclusivamente 2

interni al giudicato e mai esterni, poiché la valutazione di questi ultimi spetta al giudice che ha emesso la decisione. Precisa a tal proposito il Collegio che «se il potere interpretativo connesso al giudice dell ottemperanza potesse estendersi anche in relazione ad elementi esterni, la valutazione andrebbe inammissibilmente ad impingere nella giurisdizione (e nella valutazione) del giudice che ha emesso la sentenza nella sede propria del giudizio di esecuzione della stessa». Ciò non toglie, tuttavia, che «le prescrizioni che il giudice dell ottemperanza è chiamato a dettare affinché alla sentenza dell A.G.O. sia data integrale esecuzione possano essere utili anche ai fini della risoluzione di questioni di merito non esaminate dalla eseguenda sentenza, essendo questo un effetto che si riconnette a qualsiasi pronuncia del giudice». In sostanza, la pronuncia epigrafata delinea la portata dei poteri interpretativi del giudice dell ottemperanza, anche rispetto alle pronunce di altre giurisdizioni, rilevando come la verifica dell esatto adempimento del giudicato debba essere condotta dal giudice amministrativo esaminando in primo luogo il quadro processuale nel quale si colloca la sentenza (o decisione) della quale si chiede l ottemperanza e in seguito attraverso l esame delle eventuali sopravvenienze di fatto e di diritto intervenute prima della notificazione della sentenza della quale si chiede l ottemperanza. RINUNCIA AL RICORSO Cons. Stato, Sez. V, 27 agosto 2013, n. 4271 Nel caso di rinuncia al ricorso, il giudice non si può sostituire alle parti nella valutazione dell interesse ad agire. Con la sentenza in epigrafe, il Consiglio di Stato dichiara il ricorso in appello sottoposto al suo esame improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto nel corso dell udienza i difensori delle parti presenti avevano dichiarato la sopravvenienza di carenza di interesse alla decisione. 3

Nel dichiarare l improcedibilità, il Collegio svolge alcune riflessioni sull istituto della rinuncia al ricorso, attualmente disciplinato dall art. 84 c.p.a. In particolare, osserva il Collegio che in virtù del principio della domanda, che anima il processo amministrativo, il sindacato giurisdizionale può essere attivato soltanto ad iniziativa del soggetto che si ritiene leso. Il processo amministrativo resta, infatti, nella piena disponibilità della parte che lo ha attivato, senza che il giudice adito abbia alcuna possibilità di deciderlo nel merito, ove la parte attrice, prima dell introito del ricorso per la delibazione nel merito, abbia dichiarato di non avere più alcun interesse alla pronuncia di annullamento dei provvedimenti gravati. Qualora, invece, la rinuncia non sia espressamente dichiarata da parte del ricorrente, ma si possa desumere da fatti univoci successivi alla proposizione del ricorso o sia possibile desumere argomenti di prova dal comportamento delle parti, è comunque consentito al giudice dichiarare la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione, come indicato dall art. 84, 4 comma c.p.a.. INTERRUZIONE DEL PROCESSO Cons. Stato Sez. IV, 29.08.2013, n. 4312 La mancata interruzione del processo deve essere eccepita solo dalla parte nei confronti della quale l evento si sia verificato e non da parte del controinteressato, il quale è privo di interesse. La sentenza del Consiglio di Stato qui in esame si sofferma sull istituto dell interruzione del processo, per la disciplina del quale l art. 79 c.p.a. rinvia integralmente alle disposizioni del codice di procedura civile. L interruzione si verifica, in particolare, quando sopravvenga la morte o la perdita della capacità della parte prima della costituzione in giudizio (art. 299 c.p.c.), la morte o perdita della capacità della parte costituita o del contumace (art. 300 c.p.c.) o ancora la morte o impedimento del procuratore (art. 301 c.p.c.). In questi casi, il codice di rito subordina la prosecuzione del processo ad un iniziativa di coloro ai quali spetta proseguire il processo (gli eredi), oppure all altra parte che provveda a citare coloro che debbono costituirsi per proseguirlo in 4

riassunzione; in caso di mancata riassunzione del processo entro il termine perentorio di tre mesi dall interruzione, il processo si estingue. La ratio sottesa all istituto in esame è quella di tutelare la parte colpita dall evento, in quanto è quest ultima a dover valutare la permanenza dell interesse alla prosecuzione del giudizio. La legittimazione attiva e passiva si trasmette, infatti, a tutti gli eredi al momento della morte della parte e il rapporto processuale deve proseguire nei confronti di costoro. La Cassazione configura in questo caso «un ipotesi di litisconsorzio necessario di natura processuale, indipendentemente dalla natura scindibile o inscindibile del rapporto dedotto in giudizio». Ma cosa accade nel caso in cui il contraddittorio, a seguito della riassunzione, non sia stato integrato nei confronti di un coerede, nei confronti del quale la decisione produrrebbe comunque effetti? Nel giudizio in esame si lamentava la nullità della sentenza di primo grado, proprio perché il litisconsorzio necessario non sarebbe stato rispettato, per mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di un coerede del ricorrente, che sarebbe stato pretermesso. Di contro, parte resistente osservava che nel caso di specie il trasferimento contrattuale dei diritti di successione posto in essere dall erede pretermesso avrebbe fatto venir meno il litisconsorzio necessario e reso superflua l integrazione del contraddittorio nei suoi confronti. Il Consiglio di Stato risolve la questione di carattere processuale, riscontrando l inammissibilità del motivo de quo per difetto di interesse. Se, infatti, l istituto dell interruzione del processo è finalizzato alla tutela della parte colpita dall evento, come chiaramente espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza 28 novembre 2003, n. 349, ne consegue che la valutazione in ordine alla prosecuzione del processo deve essere compiuta soltanto dalla parte che vi ha interesse, cioè da quella che avrebbe dovuto decidere per la prosecuzione del giudizio (nel caso di specie dall erede pretermesso a seguito della cessione dei diritti di successione). Tale interesse non sussiste, invece, nel caso del controinteressato che si lamenti della mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di uno dei coeredi del ricorrente. Il Consiglio di Stato richiama, a tal proposito, la pronuncia della Corte Costituzionale n. 349/2003 secondo la quale «è del tutto estranea alla norma impugnata la finalità di tutelare le controparti dal pregiudizio della mancata interruzione del processo, la quale finalità sarebbe anzi in contrasto con la funzione stessa del processo e con il principio costituzionale che impone sia assicurata la sua ragionevole durata». Osserva, infine, il Collegio che la vicenda attinente al trasferimento contrattuale dei diritti in capo ad uno dei coeredi del ricorrente non farebbe venir meno il litisconsorzio processuale, ma solo scattare la norma che consente l estromissione dei coeredi cedenti, ex art. 111 c.p.c. (successione a 5

titolo particolare nel diritto controverso). La decisione in ordine al potere di provocare o meno l interruzione del processo spetta quindi esclusivamente alla parte in danno della quale si è verificato l evento interruttivo. RICORSO DI PRIMO GRADO Consiglio di Stato, Sez. IV, 22 agosto 2013, n. 4245 Sulla decorrenza del termine di impugnazione degli strumenti urbanistici dalla data di pubblicazione nel Bollettino della regione o dalla comunicazione personale. Nella pronuncia epigrafata, osserva il Consiglio di Stato che il termine decadenziale per impugnare gli strumenti urbanistici decorre dalla data della loro pubblicazione nel Bollettino ufficiale della regione o dalla comunicazione personale, e non invece dalla data in cui il ricorrente ne afferma aver avuto piena conoscenza. Quanto alla pubblicazione degli atti sul Bollettino ufficiale, essa integra una conoscenza legale a carattere generale dalla quale decorre il termine di impugnazione, come confermato da ampia giurisprudenza sul punto (in particolare, nella pronuncia si fa riferimento alle sentenze Consiglio di Stato sez. IV 22 febbraio 2013 n. 1097; Consiglio Stato sez. VI 4 giugno 2007 n. 2934, Consiglio Stato sez. IV 30 luglio 2002 n. 4075); quanto invece alla comunicazione personale, il dies a quo decorre dal giorno di ricezione della notifica individuale. CONTROINTERESSATO T.A.R. Lazio Roma Sez. I-ter, 01 luglio 2013, n. 6499 Sulla nozione di controinteressato sostanziale e occulto. Con la sentenza in esame, il TAR Lazio si pronuncia su un giudizio di tipo demolitorio, avente ad oggetto l impugnazione di un decreto del Ministero dell Interno con il quale si disponeva una riduzione dei contributi statali destinati alle Province. Il Collegio si arresta ad un profilo di rito, accogliendo l eccezione di inammissibilità del ricorso, per omessa notificazione ad almeno una 6

delle Province controinteressate tra le quali erano ripartite le riduzioni, svolgendo delle riflessioni sulla nozione di controinteressato formale sostanziale e su quella di controinteressato occulto. Osserva il TAR che la nozione di controinteressato formale sostanziale (anche detto controinteressato in senso tecnico) prevede la contemporanea presenza di un elemento formale, che scaturisce dall esplicita previsione del provvedimento impugnato o dalla sua immediata individualità, e di un elemento sostanziale, che discende dal riconoscimento in capo al controinteressato di un interesse al mantenimento della situazione esistente. Accanto a tale posizione, la giurisprudenza riconosce tuttavia un altra categoria di controinteressati, i c.d. controinteressati occulti. Si tratta di coloro che vantano un interesse alla conservazione dell atto, ma non sono individuabili attraverso il provvedimento impugnato. Nel caso di specie, soggetti controinteressati erano quelle Province che avrebbero visto ridursi il contributo loro destinato nel caso di accoglimento della richiesta di annullamento del decreto, mentre parte ricorrente aveva individuato nel Ministero dell Economia il controinteressato, qualificato invece dal Collegio quale litisconsorte necessario, avendo preso parte al procedimento conclusosi con l adozione del decreto ministeriale impugnato. GIUDIZIO DI APPELLO Cons. Stato Sez. IV, 01 luglio 2013, n. 3534 Sul contenuto del ricorso in appello ai sensi dell art. 101 c.p.a.: la parte soccombente, quando adisce il giudice di appello, deve indicare le ragioni per le quali le conclusioni cui il primo giudice è pervenuto non sono condivisibili. Con la pronuncia epigrafata, il Consiglio di Stato si sofferma nella descrizione del contenuto del ricorso in appello. La natura di rimedio a critica libera del giudizio di appello, infatti, consente alla parte appellante di far valere qualunque vizio della sentenza dinanzi al giudice di secondo grado, in contrapposizione ai mezzi di gravame a critica vincolata, ove la legge ha già prefissato i possibili motivi di gravame della sentenza, come accade per la revocazione e l opposizione di terzo. 7

Nella pronuncia in epigrafe, il Consiglio di Stato ribadisce che il ricorso in appello deve consistere nell esame delle critiche rivolte contro i capi della sentenza gravata e non invece nella mera riproposizione dei motivi di primo grado o delle questioni ed eccezioni articolate nel precedente grado di giudizio. Le doglianze meramente riproduttive delle eccezioni proposte con il ricorso di primo grado sono, dunque, da considerarsi inammissibili. PROCESSO AMMINISTRATIVO T.A.R. Lazio Roma Sez. II-bis, 04 luglio 2013, n. 6620 Sul carattere necessariamente intersoggettivo del giudizio amministrativo, non potendo lo stesso essere attivato per controversie meramente interne tra gli organi di un medesimo ente. Con il ricorso introduttivo del giudizio, veniva sottoposta alla cognizione del TAR Lazio una delibera di Giunta municipale, impugnata dalla responsabile del settore finanziario del Comune, la quale contestava la difformità della relazione approvata dalla Giunta rispetto a quella da ella stessa preparata. In sede di approvazione del rendiconto annuale, infatti, la Giunta comunale aveva ritenuto di non approvare la relazione predisposta dalla ricorrente, ma di predisporne una nuova, che veniva quindi approvata. La responsabile del settore finanziario insorgeva avverso tale delibera, rilevando l illegittimità della relazione così approvata ed in particolare riscontrando una violazione di legge, nonché una violazione dei principi che disciplinano la separazione tra le funzioni politiche e quelle amministrative, in quanto il D.lgs. 267/2000 assegna al Dirigente il compito di predisporre la relazione illustrativa da allegare al rendiconto mentre nel caso di specie la predisposizione di una diversa relazione da parte della Giunta avrebbe determinato il superamento di una competenza di legge. Il Collegio non perviene all esame del merito della controversia, ritenendo fondata l eccezione di inammissibilità consistente nel difetto di legittimazione ad agire del responsabile del settore finanziario del Comune. Osserva, infatti, sul punto il TAR che «il giudizio amministrativo è diretto a risolvere controversie intersoggettive e non è aperto alle controversie tra organi o componenti di organi di uno stesso ente, destinati di regola a trovare composizione in via 8

politico-amministrativa all interno dello specifico Ordinamento di settore (fra le altre, Cons. Stato sez. V, sent. 14 settembre 2012, n. 4892)». Il Collegio riconosce soltanto la permanenza di un interesse morale e professionale della ricorrente, in quanto le valutazioni svolte dalla Giunta possono incidere sulla professionalità della ricorre e quindi avere una rilevanza nell ambito del rapporto di impiego. Rispetto a tale questione, tuttavia, TAR declina la sua giurisdizione, rimettendo la controversia al giudice ordinario. REVOCAZIONE Cons. Stato Sez. V, 30 agosto 2013, n. 4319 L errore di fatto revocatorio non ricorre nell ipotesi di erroneo o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali. La sentenza in esame si inserisce in quel solco giurisprudenziale avviato con la pronuncia dell Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 10 gennaio 2013, n. 1, volto ad individuare i caratteri del cd. errore di fatto revocatorio. Secondo il Supremo Consesso, infatti, l errore di fatto, oltre a dover apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, deve altresì essere caratterizzato: a) dal derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, facendo cioè ritenere un fatto documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato; b) dall attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; infine, c) dall essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare. Tanto premesso, ribadisce poi il Consiglio di Stato che l errore di fatto revocatorio è quello che si sostanza in «una svista o abbaglio dei sensi», il quale tuttavia non ricorre «nell ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali, ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero ancora quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita». 9