INDAGINE AUSER SUL RAPPORTO TRA ENTI LOCALI E TERZO SETTORE



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INDAGINE AUSER SUL RAPPORTO TRA ENTI LOCALI E TERZO SETTORE I servizi sociali Gli Enti locali sono in difficoltà nella gestione dei servizi di assistenza e socio-educativi. In base alle recenti sentenze Tar che richiamano la sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 5072 del 30 agosto 2006 (che ha confermato a sua volta la pronuncia del Tar Sardegna del 2 agosto 2005), una parte importante dei servizi sociali (accezione ampia, che comprende l area socio-assistenziale e quella socio-educativa) possiede sicuramente rilevanza economica. Tali prestazioni devono essere gestite in forma remunerativa, all interno di un regime concorrenziale, in coerenza con quanto previsto dall articolo n. 113 del decreto legislativo 267/2000, in materia di servizi pubblici a rilevanza economica. La sentenza del Consiglio di Stato dà un forte scossone all impianto dei servizi sociali erogati a livello comunale. Infatti, se il sistema di servizi sociali venisse ricondotto ai moduli organizzativi tipici dei servizi a rilevanza economica (cioè i servizi cosiddetti a rete e produttivi), allora i Comuni non potrebbero più utilizzare le modalità di affidamento utilizzate fino ad oggi nell erogazione dei servizi socio-educativi per i minori e di assistenza agli anziani e ad altre categorie a rischio: quali l affidamento ad istituzioni o ad aziende speciali, gli affidamenti ad aziende pubbliche di servizi alla persona o a fondazioni derivanti dalla trasformazione delle ex IPAB, e l affidamento al terzo settore mediante trattativa privata. Ciò appare evidente sulla base della lettura dell art. 113, comma 5 del Testo Unico degli Enti Locali, che disciplina la materia della gestione dei servizi con rilevanza economica sulla base del ricorso alle seguenti formule: a) affidamento con gara a società di capitali; b) affidamento diretto a società miste, nelle quali il socio privato sia stato prescelto con procedura ad evidenza pubblica; c) affidamento diretto a società a capitale interamente pubblico, sulle quali le Amministrazioni esercitino un controllo effettivo. Ne deriva, in caso di applicazione di tale disciplina ai servizi sociali, che la gestione degli stessi può essere affidata senza gara a società a capitale interamente pubblico, solo a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano. In base alla pronuncia del Consiglio, è illegittimo l'affidamento diretto da parte di un ente 1

locale ad una società a capitale pubblico maggioritario dei servizi pubblici di gestione della comunità alloggio per minori, del centro educativo diurno per minori e della mensa sociale, di assistenza domiciliare in favore di persone anziane e/o svantaggiate, consegna di pasti caldi a domicilio, lavanderia e stireria, nonché gestione del centro di aggregazione per anziani. Tali servizi pubblici possiedono rilevanza economica, poiché si tratta di attività suscettibili, in astratto, di essere gestite in forma remunerativa e per le quali esiste certamente un mercato concorrenziale. Nella sentenza si sottolinea, inoltre, la valutazione relativa al carattere privo o meno di rilevanza economica del servizio in affidamento deve riferirsi a una considerazione globale dell'attività posta in essere dalla società affidataria. Cioè, se un soggetto societario è stato costituito per svolgere, accanto ad attività di significativa rilevanza sociale, anche e soprattutto attività di preminente rilevanza economica (servizi relativi ai porti turistici e ad aree archeologiche, compresi agenzie, bar, ristoranti, negozi di interesse turistico, servizi relativi a parcheggi pubblici e connessi a impianti sportivi ivi comprese eventuali strutture ricettive, servizi di trasporto pubblico scolastico, turistico, di disabili, servizi di pulizia presso stabili, uffici, ecc.), nonché operazioni finanziarie e immobiliari, anche a mezzo di strumenti derivati (come la concessione di fideiussioni, avalli, cauzioni, garanzie anche a favore di terzi), deve aversi riguardo non al semplice contenuto specifico dei singoli servizi affidati ma all'interesse economico globalmente perseguito a livello societario. La struttura societaria, infatti, è, nella specie, unitaria e profitti e perdite concorrono a formare il bilancio societario in termini unitari; per cui eventuali aspetti deficitari relativi a un singolo servizio ritenuto astrattamente privo di rilevanza economica possono essere corretti dagli aspetti compensativi legati all'espletamento di servizi dotati di rilevanza economica. Il provvedimento, che avrà effetti importanti sulla disciplina dei servizi sociali, si inserisce in un quadro normativo caratterizzato dai continui cambiamenti di rotta del legislatore e reso più incerto dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 272/2004, che ha praticamente annullato le disposizioni dell ultima versione del Testo unico degli enti locali (introdotte con il provvedimento di accompagnamento alla Finanziaria 2004); queste avevano reintrodotto, nel sistema dei servizi sociali e socio-educativi, modelli organizzativi improntati alla gestione pubblica. Il ginepraio delle norme sui servizi sociali I provvedimenti adottati recentemente dai Tribunali regionali (confermati dalla pronuncia del Consiglio di Stato) assestano, dunque, un altro colpo all impianto dell articolo 113-bis del Testo unico degli enti locali (decreto legislativo 267/2000) sui servizi privi di rilevanza economica. Questo, riformulato appena quattro anni fa, con l art. 14 comma 2 del decreto legge 289/2003, prevedeva che gli enti locali potessero intervenire nella gestione dei servizi senza rilevanza economica (non identificati dallo stesso provvedimento), attraverso l affidamento 2

e mediante le sole tipologie dell istituzione, azienda speciale e società a capitale interamente pubblico (con la gestione in house). In sostanza, i servizi pubblici locali contraddistinti da un regime di concorrenza erano solo quelli di rilievo economico. Erano altresì consentiti: - l affidamento diretto dei servizi culturali e del tempo libero anche ad associazioni e fondazioni dagli enti locali costituite o partecipate; - in generale la gestione in economia quando, per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio, non era opportuno procedere all affidamento esterno. Appositi contratti di servizio avrebbero poi dovuto regolare i rapporti tra enti locali e soggetti erogatori dei servizi. Successivamente, la sentenza della Corte Costituzionale n. 272/2004, in base a quanto disposto dalla modifica dell articolo 117 del Titolo V, ha annullato l articolo 113-bis del Testo unico, stabilendo che le competenze in materia di servizi privi di rilevanza economica spettano agli enti territoriali, con particolare riferimento alla competenza esclusiva delle fonti regionali; ciò perché le ragioni di tutela della concorrenza non legittimano lo Stato ad intervenire nella disciplina legislativa di tale fattispecie di servizi. La Corte ha aggiunto, inoltre, che deve considerarsi privo di rilevanza il servizio che, per sua natura o per i vincoli ai quali è sottoposta la relativa gestione, non dà luogo ad alcuna competizione e quindi appare irrilevante ai fini della concorrenza. La sentenza n. 272/04, che fa chiarezza sui riferimenti istituzionali, demanda di fatto alle Regioni il compito di disciplinare le attività prive di rilevanza economica. Del resto, con la riforma del Titolo V della Costituzione (legge costituzionale n. 3/2001) si è portato a conclusione un processo di completa trasformazione del modo di intendere le politiche sociali, le cui responsabilità gestionali e finanziarie sono state in gran parte trasferite verso il sistema locale. In particolare, alle Regioni è affidata la potestà legislativa esclusiva in campo socio-assistenzale. Tale riforma, che ha riaffermato la centralità delle Regioni, ha sollevato la questione di come garantire il mantenimento dei principi della l. 328/2000, di riforma delle politiche sociali, visto che quest ultima smette di essere vincolante quando il legislatore regionale decida di approvare una nuova legge di riordino dei propri servizi socio-assistenziali. La legge 328/2000 La tappa normativa principale del processo di riforma delle politiche sociali è senza dubbio l avvento della legge 328/2000, che ha introdotto enormi novità in materia di programmazione e gestione dei servizi sociali, anche con riferimento alle tematiche dell affidamento dei servizi. Quattro sono i nuovi principi della programmazione sociale, introdotti dalla 328: lo sviluppo della rete dei servizi sociali deve essere centrato sulla specificità dei bisogni, in coerenza con una logica di promozione del benessere collettivo, e puntare sulla pluralità dell'offerta delle prestazioni garantendo il diritto di scelta fra gli stessi servizi. 3

il sistema di erogazione delle prestazioni deve basarsi su una nuova competenza nella esigibilità dei parametri di qualità sociale; Regioni ed enti locali sono chiamati a coordinare gli interventi sociali con quelli sanitari e dell'istruzione e con l'intero pacchetto delle politiche attive di formazione, di avviamento e di reinserimento al lavoro; è introdotto il metodo permanente di intervento fondato sulla concertazione e cooperazione a livello istituzionale e con il coinvolgimento attivo del terzo settore, delle fondazioni e delle unità sanitarie locali. In questo contesto, la legge n. 328 del 2000 prevede che ai fini dell affidamento dei servizi sociali, gli enti pubblici promuovono azioni per favorire la trasparenza e la semplificazione amministrativa nonché il ricorso a forme di aggiudicazione o negoziali che consentano ai soggetti operanti nel terzo settore la piena espressione della progettualità, avvalendosi di analisi e di verifiche che tengano conto della qualità dei servizi.; si istituisce il piano di zona - cioè l ambito sovracomunale di gestione che dovrebbe garantire la realizzazione di una rete di servizi sociali mirati alla persona, con il coinvolgimento attivo del volontariato. La legge n. 328/2000 affida alle Regioni compiti importanti di indirizzo, programmazione e coordinamento del sistema integrato di interventi e servizi sociali. In particolare, il governo regionale è chiamato ad elaborare il Piano degli interventi e dei servizi sociali, principale strumento di programmazione delle politiche sociali locali, nel quale sono contenute scelte importanti in ordine agli obiettivi strategici prioritari: dalla valorizzazione di specifiche tipologie di prestazioni alle sperimentazioni, dalla ripartizione dei finanziamenti in ambito locale agli incentivi per la gestione associata delle funzioni. Alle Regioni spettano, inoltre, i compiti di dare attuazione alla riforma delle Ipab (i vecchi di Istituti di assistenza e beneficenza) e di regolamentare i requisiti per l autorizzazione/accreditamento delle strutture assistenziali residenziali e semi residenziali, nonché quella relativa alle procedure di affidamento dei servizi al Terzo settore, sulla base di requisiti e principi generali indicati dallo Stato. Fino ad oggi, la maggior parte dei governi regionali non ha provveduto a regolamentare in generale il settore dei servizi privi di rilevanza economica, e, soprattutto, spesso non ha fornito indirizzi ai Comuni sulle modalità di gestione degli interventi socio-assistenziali. Infatti, a circa sette anni dalla introduzione della riforma dell assistenza - la legge 328/2000 - solo 5 Regioni (Calabria, Emilia Romagna, Piemonte, Puglia e Toscana), hanno adottato leggi organiche di riordino del settore dei servizi sociali. In particolare, risultano inapplicati gli indirizzi della riforma che innovano le modalità di affidamento e di gestione dei servizi sociali: la costituzione dei Piani di zona; la regolamentazione del rapporto con il volontariato; l introduzione dei requisiti per l autorizzazione/accreditamento delle strutture e dei servizi sociali. 4

Le modalità di affidamento dei servizi sociali A seguito della cancellazione dell articolo 113-bis del Testo Unico e in attesa di un più puntuale intervento delle Regioni, attualmente tutti i Comuni possono gestire i servizi sociali ricorrendo: 1 all intervento in economia, quando, per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio, non sia opportuno procedere ad altre modalità; 2 all azienda speciale, che è ente strumentale dell ente locale, dotata di personalità giuridica e di autonomia imprenditoriale; 3 all istituzione, cioè l ente senza rilevanza imprenditoriale ma con autonomia gestionale che fa capo al Comune; 4 alle società a capitale interamente pubblico; 5 al sistema delle convenzioni con i soggetti del terzo settore. Fino ad oggi, le amministrazioni comunali hanno gestito gli interventi socio-assistenziali soprattutto attraverso le formule delle convenzioni con i soggetti del terzo settore ( affidamento a terzi ) e in economia, mostrando una scarsa attenzione alle potenzialità di sviluppo economico e occupazionale che possono derivare da una gestione più imprenditoriale dei servizi alla persona. Soprattutto nei comuni medi e piccoli è stata privilegiata la scelta dell affidamento dei servizi alle cooperative sociali, l'unica forma di impresa privata a finalità sociale consentita dalla legge italiana, e in attesa di essere riformata in base a quanto previsto dalla legge delega n. 118/2005 e dal successivo provvedimento normativo di attuazione.. Tale modello di gestione presenta tuttavia diversi elementi di debolezza. Il sistema delle cooperative sociali è infatti in parte caratterizzato dalla carenza di capacità manageriali, dal problema del lavoro nero e dalla forte dipendenza nei confronti dei finanziamenti pubblici: tutti elementi che fanno dell impresa sociale un soggetto fortemente esposto alla pratica in uso ancora presso diversi comuni, dell affidamento dei servizi sociali tramite la formula del massimo ribasso. Proprio per questo, nel fornire ai comuni gli indirizzi per la gestione dei servizi sociali, la recente legge regionale n. 41/2005 della Toscana, ha previsto che, per l affidamento di tali prestazioni, l ente pubblico proceda secondo modalità tali da permettere il confronto tra più soggetti e più offerte e comunque tenendo conto dei diversi elementi di qualità dell offerta, escludendo l utilizzo del massimo ribasso e prevedendo specifici standard per la valutazione dell efficacia delle prestazioni. La valorizzazione del volontariato Relativamente alle procedure di affidamento dei servizi alle associazioni e al volontariato, queste si restringono a quelle previste dal Dpcm 30 marzo 2001, di disciplina, in applicazione della legge 328, del ruolo del terzo settore nella programmazione e gestione dei servizi alla persona. In sostanza, per attivare la partecipazione delle associazioni, gli enti locali sono esortati ad avvalersi di forme di aggiudicazione o negoziali (come l appalto concorso, la licitazione 5

privata e la trattativa privata) dei servizi sociali, attraverso le quali si tenga conto delle capacità progettuali dei concorrenti del terzo settore, della qualità e delle caratteristiche delle prestazioni, e della qualificazione del personale. Le organizzazioni di volontariato possono inoltre essere coinvolte solo nella gestione di servizi che non richiedono una organizzazione complessa (come, ad esempio gli interventi di promozione sociale), e a condizione che l ente faccia ricorso al criterio di aggiudicazione dell offerta economicamente più vantaggiosa, evitando, in questo modo, la formula del massimo ribasso. Come previsto dallo stesso atto di indirizzo, le Regioni avrebbero dovuto disciplinare il ruolo del volontariato nei servizi comunali per dare finalmente certezze e regole trasparenti alle numerose esperienze di partenariato sociale avviate nei comuni. I modelli di servizi cui si riferiscono le disposizioni di programmazione sociale adottate da Regioni ed enti locali sono ancora molto generici, e risultano piuttosto orientati a recepire gli indirizzi della legge di riforma del 2000, con particolare riferimento alla possibilità per gli enti locali di favorire l utilizzo di forme di aggiudicazione ristrette o negoziali che consentano la piena espressione dei soggetti del terzo settore (cooperative sociali e soggetti del volontariato), anche promuovendo forme di co-progettazione delle stesse prestazioni. I rapporti tra enti locali e volontariato sono tuttavia ancora poco chiari. La sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Piemonte (n.1604 del 31 marzo 2006) ha, infatti, ribadito per la quinta volta nell arco di una anno, il divieto di ricorrere a gare di appalto (cioè ad evidenza pubblica) per l affidamento dei servizi ad organizzazione di volontariato, annullando l avviso pubblico e la delibera di aggiudicazione approvati dal comune di Vercelli. In base a tale sentenza, alle associazioni può essere affidata la gestione di servizi sociali solo sulla base di procedure ristrette e/o negoziate (trattativa privata, licitazione, appalti concorso e per progetti), a patto che queste non attivino regimi di concorrenzialità tra volontariato e imprese cosiddette sociali e private. Ricorrendo all evidenza pubblica sottolinea la sentenza - il regime di favore di cui gode il volontariato sotto vari aspetti (in primo luogo fiscale e previdenziale) altererebbe i normali parametri concorrenziali. La pronuncia del Tar Piemonte non introduce significativi elementi di novità nella giurisprudenza in materia: tuttavia, proprio per la frequenza con cui i tribunali regionali sono chiamati ad esprimersi in materia (sempre a marzo il Tar Campania ha bocciato un analoga operazione, questa volta effettuata da una Asl), la sentenza evidenzia come gli enti territoriali continuano a incontrare notevoli difficoltà nell applicazione delle norme che disciplinano le modalità di affidamento dei servizi alla persona e socio-sanitari alle organizzazione del terzo settore. Difficoltà accresciute dalla recente evoluzione del quadro normativo, all interno del quale operano leggi di settore (la 328/2000 di riforma dell assistenza e la legge-quadro sul volontariato 266/1991) poco coerenti con il nuovo articolo 117 della Costituzione, che ha affidato alle Regioni la competenza legislativa esclusiva in materia di servizi sociali. Il caso preso in esame dal tribunale del Piemonte riguarda il Comune di Vercelli, che nel 2005 ha affidato il servizio di telesoccorso per persone anziane e disabili a una organizzazione di volontariato, a seguito dell emanazione di un avviso pubblico. 6

L affidamento è stato contestato da due cooperative sociali locali per violazione del divieto per le associazioni di volontariato di partecipare alle gare d appalto, divieto desumibile dalle norme nazionali di settore e regionali, che consentirebbero solo forme di finanziamento non caratterizzate dal fine di lucro. In particolare, la sentenza si ispira all art. 5 della legge 266/1991 (legge quadro sul volontariato), in base al quale i proventi delle associazioni sono costituiti esclusivamente dai rimborsi derivanti da convenzioni e dalle attività commerciali e produttive marginali, tra cui non rientrano gli appalti pubblici. L accreditamento e l autorizzazione ai servizi L accreditamento è stato introdotto nei servizi sociali con la legge 328/2000, con l obiettivo di innalzare i livelli di efficacia delle prestazioni sociali e di uniformare gli standard dei servizi. Entrato ormai a regime nel sistema sanitario come metodo di certificazione della qualità e dell idoneità di strutture e servizi, in sostanza, l accreditamento è la modalità attraverso la quale i diversi soggetti, pubblici e privati, purché in possesso di requisiti strutturali, tecnologici, organizzativi e di qualità previsti dalla normativa regionale, possono accedere ai finanziamenti sociali. In base alla normativa vigente, le Regioni sono chiamate a definire criteri per l'autorizzazione, l'accreditamento e la vigilanza delle strutture e dei servizi a gestione pubblica o privata (dimensioni e caratteristiche delle strutture, requisiti di professionalità degli operatori, etc.). I Comuni, invece, sono o titolari delle funzioni amministrative, e provvedono dunque a rilasciare le autorizzazioni e ad accreditare direttamente i soggetti che operano nel sociale. Sono trascorsi circa 7 anni dall approvazione della legge 328 2000 e le Regioni stanno ancora compiendo i primi passi per introdurre l istituto dell accreditamento dei servizi sociali, necessario a regolamentare il rapporto tra enti locali e imprese sociali e a fissare standard di funzionamento e di gestione delle strutture e dei servizi. Fino a oggi solo 3 amministrazioni (le Regioni Marche e Veneto e la Provincia di Trento) hanno concluso il percorso di modernizzazione dei propri sistemi di offerta dei servizi sociali. Vi è poi un gruppo di Regioni (Abruzzo, Calabria, Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Molise, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria, Valle d Aosta e la Provincia di Bolzano) che ha avviato le procedure senza però giungere a risultati concreti. Solo le Regioni Basilicata, Campania, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Sardegna e Sicilia non hanno ancora definito sistemi di accreditamento. I ritardi delle Regioni, in base a quanto rilevato da una recente indagine realizzata dall Università La Sapienza di Roma per conto del ministero delle Politiche sociali, derivano in parte dalla complessità delle procedure introdotte dalla legge 328/2000, ma sono da collegarsi anche alla impreparazione delle amministrazioni a governare il sistema di welfare sulla base di regole certe per l offerta dei servizi. La definizione regionale dei criteri di accreditamento è essenziale perché consente di 7

garantire ai cittadini prestazioni sociali più adeguate e certificate e maggiore trasparenza nella scelta delle strutture e dei soggetti gestori (pubblici e privati) dei servizi. Al riguardo, Marche, Veneto e Provincia di Trento hanno riconosciuto l idoneità, ai soggetti sociali, ad essere fornitori degli enti locali, sulla base di criteri inerenti i requisiti dei soggetti (professionalità, esperienza maturata, possesso della carta dei servizi, etc.) e delle strutture (idoneità dei luoghi, le dimensioni del locali, etc.) e gli standard di prestazioni (ad esempio la presenza di determinate figure professionali necessarie all erogazione di un certo servizio). La provincia di Trento costituisce un caso atipico: l ente ha infatti scelto di non istituire un sistema di accreditamento ma solo di autorizzazione, anche se, concretamente, la differenza tra i due atti è praticamente nulla. Le tre leggi regionali già approvate non esauriscono comunque il quadro degli interventi avviati. Numerose Regioni hanno avviato i lavori per definire l accreditamento anche se ancora non hanno concluso l iter amministrativo di approvazione di tale strumento. Dall'esame dei procedimenti avviati dalle Regioni, la ricerca realizzata dall Università La Sapienza di Roma ha individuato tre modelli distinti di rapporti istituzionali, partendo dal presupposto che l accreditamento ha una importanza cruciale ai fini della distribuzione dei poteri tra regioni ed enti locali nell offerta di servizi sociali. Concentrando in sé enormi poteri, compresi quelli di verifica e controllo delle attività di accreditamento, un gruppo di Regioni (Bolzano e Trento, Calabria, Valle d Aosta e Piemonte limitatamente ai servizi residenziali) avrebbe adottato un modello di accentramento nella gestione del sistema di offerta dei servizi. Viene invece definito come decentrato, il percorso di accreditamento intrapreso da Abruzzo, Liguria, Lombardia, Molise e Piemonte (questa volta relativamente ai servizi territoriali), visto che in questi casi le Regioni hanno attribuito un ruolo significativo alle Province, in qualità di ente di cerniera tra regioni e comuni. Infine, le scelte adottate da Emilia Romagna, Marche, Puglia, Toscana e Veneto, risultano fedeli al sistema disegnato dalla legge di riforma dell assistenza, in base al quale spetta alla Regione il ruolo di programmazione e di definizione dei criteri di rilascio dell accreditamento e ai comuni quello di predisposizione e controllo degli strumenti di offerta. 8