Working Paper. Innovazione senza sistemi. Federico Butera WP1 / 2010

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Working Paper Innovazione senza sistemi Federico Butera WP1 / 2010 È consentita la copia e la distribuzione a scopo divulgativo e didattico, citando la fonte. Sono consentite, inoltre, le citazioni purché accompagnate dall'idoneo riferimento bibliografico. Per ogni ulteriore uso, se ne vieta l'utilizzo senza il permesso scritto degli Autori.

1 Innovazione senza sistemi Federico Butera Sommario Questo contributo al volume si apre nel primo paragrafo con un breve esame dei dati sulla Ricerca e Sviluppo (R&S) nel Nord, con particolare riferimento alla R&S condotta dalle imprese. Emerge un drammatico gap fra Nord e Sud, ma ciò malgrado il Nord è nelle posizioni di coda delle aree più sviluppate dell Europa. L esame dei processi innovativi del sistema Nord si giustifica non solo per registrare e ipotizzare un superamento di un gap sconfortante con il Sud, ma per un raffronto preoccupante fra la capacità competitiva del Nord e dell intero Paese con i Paesi sviluppati, che usciranno dalla crisi ancor più agguerriti. Che fare? Emerge una produttività della R&S italiana superiore alla modesta quota di spesa allocata, in termini di brevetti e marchi europei. Emerge soprattutto che questa innovazione formalizzata di prodotto è la punta di un iceberg, in cui vi sono ben maggiori innovazioni di processo, di organizzazione, di marketing, di cultura, di lavoro, di brand che spesso hanno assicurato il successo del made in Italy, non solo delle industry delle 4 A (Abbigliamento, Arredo, Alimentazione, Automazione), ma anche in altre. Nel secondo paragrafo viene giustificato il titolo del contributo: l innovazione è molta e ribollente, ma è una innovazione senza un sistema che la sorregga: servizi, cultura, modelli di management, sistemi organizzativi, istruzione, infrastrutture, policy sono carenti. Nel terzo paragrafo illustreremo l idea che un allargamento della nozione di innovazione, una innovazione a 360, è necessaria per catturare e sviluppare tutte le forme attuali e potenziali di un Paese come l Italia: il Nord Italia fornisce esempi straordinari di innovazione a 360 che hanno avuto forte impatto sul successo delle imprese e dei territori, che però di solito vengono visti riduttivamente come l azione inesplicabile dell imprenditore invece che come un modo ampio, una italian way of doing industry (De Michelis in questo volume). Nel quarto paragrafo mostreremo come l innovazione a 360 scaturisce da una nuova configurazione delle imprese, delle amministrazioni in rete. Viene presentata l idea che i nuovi soggetti in grado di fare innovazione sono reti organizzative a dimensioni planetarie ma radicati su territori che di essi sono i crocevia. Il sistema Nord ha sviluppato in un modo marcato e originale questo modo di favorire e nutrire nuove forme di reti organizzative centrate sulla grande impresa e ora, in misura crescente, anche sulla media impresa, che giocano il ruolo di agenzie strategiche di distretti allungati. Vengono insieme potenziate la tradizionale capacità imprenditoriale delle PMI e la forza dei territori: ma il modello produttivo è probabilmente nuovo e necessita una nuova stagione di ricerche. Nel quinto paragrafo viene affrontata la questione organizzativa della R&S, che nei paragrafi precedenti abbiamo ridefinito nei contenuti e nel contesto in cui si svolge. Con quali strutture organizzative, con quale cultura, con quali sistemi professionali, con il supporto di quali tecnologie le persone generano innovazione? Gli studi sulla R&S nella grande impresa sono stati numerosi e hanno illuminato molte di tali questioni, innovando anche nei paradigmi di organizzazione e lavoro della grande impresa taylor-fordista. Ma ora, se la R&S è a 360 e ha luogo entro reti organizzative, come progettare e gestire in modo ad esse congruente le microstrutture (team, comunità di pratiche, etc.) e il lavoro dell innovazione (ruoli, professioni, persone)? Cooperazione anche remota, condivisione di conoscenze anche attraverso il web, comunicazione planetaria, comunità di pratiche e professionali, propongono scenari dell organizzazione del lavoro totalmente nuovi rispetto a quelli realizzati nelle grandi aggregazioni di R&S delle grandi impresa.

2 Nelle conclusioni si presentano quattro implicazioni di policy per il Nord: a) rendere visibile e gestibile l innovazione a 360 sia all interno che tra le reti organizzative: narrare l innovazione che si svolge nelle imprese, nelle istituzioni e nei territori del Nord; b) identificare le insufficienze delle politiche della R&S, le carenze dei servizi per l innovazione: potenziare i beni collettivi per la competitività nella world city region del Nord; c) individuare le criticità e i deficit interni dei sistemi che consentono l innovazione: sviluppare e riprogettare le reti organizzative estese che hanno il baricentro nei territori del Nord ma che si sviluppano su scala globale; d) intervenire per ridisegnare microstrutture, mestieri e professioni strategiche critiche capaci di generare innovazione, oggi scarsamente gestite: valorizzare e potenziare ciò che Diamanti chiama il laburismo del Nord. 1. Ricerca e Sviluppo e innovazione in Italia e nel Nord 1 Le scarse risorse destinate alla Ricerca e Sviluppo L Italia, come si sa, è agli ultimi posti fra i Paesi sviluppati nelle spese in R&S sul PIL, con un modesto 1,09% contro il 2,09% della Francia, il 2,53% della Germania e il 2,61% degli USA. Il Giappone è al 3,3%, Israele al 4,65%. Su questa spesa l incidenza della spesa pubblica è maggiore in Italia che in altri Paesi, ossia il 50,7% contro quote non superiori al 30% di Israele, Svezia, Giappone, Svizzera, Finlandia, Stati Uniti, Germania, primi in classifica. La partecipazione delle imprese alla R&S in Italia è correlativamente minore. Il sistema nazionale della R&S è, quindi, di modeste dimensioni ed è garantito dalle amministrazioni pubbliche e, soprattutto, dalle università. 1 I dati contenuti in questo paragrafo hanno come fonte l Istat o l Unioncamere dove non diversamente specificato.

3 Spesa per R&S (%) sul PIL per settore istituzionale Anno 2006 Business enterprise Governo Estero Altre fonti nazionali Fonte: DG Research Dati: Eurostat, OECD [1] NL, IL: 2003; CH: 2004; BE, BG, DK, DE, EL, FR, IT, CY, LU, PT, SE, EU-27, IS, NO: 2005; AT: 2007; [2] CH: 004; IT, IS: 2005; IE, AT, SK, FI: 2007; [3] IL: La Difesa non è inclusa; [4] US: La maggior parte o tutto il capitale speso non è incluso. All estero è incluso nelle business enterprise. In questa triste classifica, il posizionamento del Nord Italia nella spesa in R&S è migliore di quello dell Italia e lo avvicina maggiormente ai Paesi ad alto livello di sviluppo, ma rimane comunque nelle posizioni di coda. Facendo un confronto della spesa in R&S fra aree europee più performanti, l Ile de France, con 12,5 miliardi di euro è al primo posto, seguita dalla Baviera, dalle aeree di Stoccarda, di Darmstadt, della Danimarca, di Rhône-Alpes, di Colonia. Ottava è la Lombardia con 3,16 miliardi di euro (Dati 2003). Il numero degli addetti alla R&S è di poco meno di 200.000 unità, modesto in assoluto (ad esempio, in Italia le badanti hanno abbondantemente superato il milione) e modesto in una comparazione internazionale.

4 Addetti alla R&S per settore istituzionale e regione Anno 2006 (Unità espresse in equivalenti tempo pieno) Valori assoluti Composizione % Istituzioni pubbliche Istituzioni private non profit Imprese Università Totale Istituzioni pubbliche Istituzioni private non profit Imprese Università Totale Nord 10.697,5 5.460,1 60.115,4 27.943,2 104.216,2 29,5 67,7 75,2 41,2 54,3 Centro 19.057,0 1.395,6 11.286,9 17.998,3 49.737,8 52,6 17,3 14,0 26,6 25,9 Mezzogiorno 6.410,3 1.212,1 8.679,2 21.746,8 38.048,4 17,9 15,0 10,8 32,2 19,8 Fonte: ISTAT La Ricerca e Sviluppo nel sistema delle imprese La spesa globale per R&S intra-muros, ossia quella svolta dalle imprese e dalle amministrazioni pubbliche al proprio interno con proprio personale e con proprie attrezzature, nel 2006 in Italia è stata di 16,8 miliardi, di cui il 56% del totale nel Nord, mentre solo del 25,1% nel Centro e del 18,5% nel Sud. La spesa delle imprese è di circa 8 miliardi, contro i 5 dell Università e i 2,9 delle istituzioni. In sostanza, le imprese sono quelle che svolgono in casa maggiore attività di ricerca, con forti finanziamenti pubblici, che come si è visto sono invece la quota maggiore dei fondi impegnati per la R&S in Italia. Nel Nord la percentuale della spesa delle imprese sale dal 56% della media nazionale al 74% contro il 15,8% del Centro e il 10,4% del Sud. Questa spesa inoltre riguarda in proporzione schiacciante le imprese oltre i 500 dipendenti che sostengono il 72,7% della spesa per R&S intramuros, mentre il contributo delle piccole imprese (sotto i 50 addetti) rimane limitato (5,1%). Spesa per R&S intra-muros per settore istituzionale e regione Anno 2006 (migliaia di euro) Valori assoluti Composizione % Istituzioni pubbliche Istituzioni private non profit Imprese Università Totale Istituzioni pubbliche Istituzioni private non profit Imprese Università Totale Nord 870.772 481.669 6.061.877 2.081.975 9.496.293 30 76,4 73,8 40,9 56,4 Centro 1.462.224 67.395 1.295.911 1.403.094 4.228.624 50,5 10,7 15,8 27,5 25,1 Mezzogiorno 564.094 81.168 852.545 1.612.600 3.110.407 19,5 12,9 10,4 31,6 18,5 Fonte: ISTAT La produttività della Ricerca e Sviluppo delle imprese: i brevetti Malgrado la penuria di risorse economiche e di persone investite, nella R&S italiana i risultati rivelano un alto tasso di produttività, almeno su un indicatore chiave: i brevetti. Nel 2006 in particolare il numero di brevetti in Italia è stato di 27.616. L incremento dei brevetti italiani è stato costante, pari al +4,9%, tra il 1999 e il 2006. Considerando la brevettazione per milione di abitanti, l Italia si colloca al sesto posto, con la Germania saldamente al primo e la Cina e la Russia ad occupare il fondo della classifica. Il nostro Paese sale invece di graduatoria, raggiungendo il secondo posto, se si considera il numero di brevetti per migliaio di ricercatori (58,65).

5 Deposito di domande di brevetto EPO: confronto fra i Paesi del G9 2 Quote 99-02 Quote 03-05 Quote 06 Quote 99-06 Variazione % media annua 99-06 USA 29,8% 28,5% 27,7% 28,9% 5,4% Germania 19,9% 18,8% 18,0% 19,2% 3,9% Giappone 17,7% 17,7% 17,9% 17,7% 6,2% Francia 6,9% 6,7% 6,3% 6,7% 4,0% Gran Bretagna 4,6% 4,2% 3,7% 4,3% 2,7% Italia 3,2% 3,3% 3,3% 3,3% 4,9% Canada 1,4% 1,4% 1,5% 1,4% 7,0% Cina 0,1% 0,3% 0,6% 0,3% 39,7% Fed. Russa 0,1% 0,1% 0,1% 0,1% 11,7% Paesi G9 83,8% 81,0% 79,0% 81,9% 5,0% Totale EPO 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 5,9% Fonte: Elaborazioni Unioncamere-Dintec su dati EPO Elevato è anche il deposito di marchi comunitari. Nell intervallo 1999-2006, presso lo UAMI (Ufficio Armonizzazione Mercato Interno) sono state registrate complessivamente 403.206 domande di marchio comunitario, la maggior parte delle quali (68,1%) si deve a Paesi del G9. Al sistema Italia si devono 34.073 domande, l 8,2% del totale. Tra i Paesi appartenenti al G9, l Italia è in quarta posizione, dietro ad USA, Germania e Gran Bretagna, ma davanti a Giappone e Francia. L 87,% dei brevetti viene depositato da imprese. Più basso, invece, è l apporto al processo di brevettazione da parte delle università o delle strutture pubbliche di ricerca. Gran parte di questi brevetti riguarda i prodotti più che i processi e non include gli avanzamenti e le scoperte della ricerca di base. Suddivisione delle domande di brevetto EPO per tipologia di richiedente (1999-2006) Soggetti Quote 99-02 Quote 03-05 Quote 06 Quote 99-06 Imprese 87,1% 87,9% 85,8% 87,2% Inventori (persone fisiche) 10,1% 8,6% 10,3% 9,5% Epr/Università 1,5% 2,1% 2,4% 1,9% Richiedenti non italiani 1,3% 1,4% 1,5% 1,4% Totale brevetti 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% Fonte: Elaborazioni Unioncamere-Dintec su dati EPO Il Nord, i brevetti e i marchi comunitari Il Nord Italia in generale e il Nord-Ovest in particolare la fanno da padrone nella brevettazione italiana. Dal 1999 al 2006, l 82% del totale dei brevetti proviene delle regioni settentrionali. Il Nord- Ovest ne concentra il 50,1%, grazie all apporto fornito dal Piemonte e dalla Lombardia. Veneto ed Emilia-Romagna sono a loro volta in gran parte tributarie della performance raggiunta dal Nord-Est (31,9%). La quota rimanente delle domande si deve invece al Centro per il 13,4% e al Sud e Isole per il 3,2%. 2 La variazione percentuale media annua, calcolata tramite il CAGR (Compound Annual Growth Rate), racchiude il tasso di crescita medio annuo nel periodo 1999-2006.

6 Distribuzione temporale e per macroarea geografica delle domande di brevetto EPO (1999-2006) Quote 99-02 Quote 03-05 Quote 06 Quote 99-06 Variazione % media annua 99-06 Nord-Ovest 50,6% 49,3% 50,8% 50,1% 4,6% Nord-Est 31,7% 32,6% 30,4% 31,9% 4,4% Centro 13,1% 13,5% 14,4% 13,4% 7,4% Sud e Isole 3,3% 3,3% 2,9% 3,2% 3,7% Richiedenti non italiani 1,3% 1,4% 1,5% 1,4% 6,5% Totale complessivo 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 4,9% Fonte: Elaborazioni Unioncamere-Dintec su dati EPO Anche nel deposito di Marchi Comunitari trainante è il ruolo del Nord-Ovest (40,7%), seguito dal Nord-Est (34,5%), dal Centro (19,2%) e infine dal Sud e dalle Isole (5,6%). Tra le regioni, la Lombardia e il Veneto sono quelle più attive, seguite da Emilia Romagna e Toscana. Marchi comunitari depositati per area geografica (1999-2006) Area geografica Marchi depositati 99-06 % sul totale Nord-Ovest 13.859 40,7% Nord-Est 11.740 34,5% Centro 6.538 19,2% Sud e Isole 1.920 5,6% TOTALE 34.057 100,0% Fonte: Elaborazioni Unioncamere-Dintec su dati Saegis ed UAMI Grandi imprese e medie imprese Quali imprese innovano? Come nella spesa in R&S anche nella brevettazione le grandi imprese fanno la parte del leone. Top 10 aziende per deposito di domande di brevetto EPO (1999-2006) Denominazione Somma domande di brevetto Prov. Settore tecnologico prevalente 1 STMICROELECTRONICS S.r.l. 1311 MI Tecnologie informatiche 2 C.R.F. SOCIETÀ CONSORTILE PER AZIONI 461 TO Motori, pompe, turbine 3 G.D S.p.A. 333 BO Movimentazione, manutenzione, stampa 4 PIRELLI PNEUMATICI S.p.A. 252 MI Trasporti 5 PIRELLI CAVI E SISTEMI S.p.A. 155 MI Ottica 6 TELECOM ITALIA S.p.A. 150 MI Telecomunicazioni 7 FIAT AUTO S.p.A. 127 TO Trasporti 8 AUSIMONT S.p.A. 118 MI Macromolecole, polimeri 9 SIGMA-TAU INDUSTRIE FARMACEUTICHE RIUNITE S.p.A. 117 RM Chimica organica, chimica fine 10 DANIELI & C. OFFICINE MECCANICHE S.p.A. 115 PD Utensili e macchinari Per l individuazione del settore tecnologico prevalente è stata utilizzata la classificazione basata sui codici IPC, predisposta da OST-INPI/FhG-ISI.

7 Le medie imprese fanno la loro parte e ancora con una forte prevalenza nel Nord. Ma una quota limitata delle imprese oltre i 100 dipendenti brevetta: solo il 16,6% del totale delle medie imprese ha registrato un brevetto europeo e solo il 23,4% di esse ha registrato un marchio comunitario. I dati forniti dall Unioncamere lo testimoniano. 2. Innovazione senza sistemi Dai pochi dati con cui abbiamo aperto questo contributo emergono alcuni punti di attenzione: a. l Italia dispone di una quota di risorse destinata alla R&S inferiore a tutti i Paesi sviluppati; b. i finanziamenti pubblici sono in proporzione più alti di quelli di altri Paesi; c. l Italia, per numero di brevetti e di marchi comunitari registrati, è invece in una buona posizione e in costante crescita; d. forte è il contributo delle grandi imprese alla brevettazione, mentre modesto è quello delle medie imprese, nullo quello delle piccole imprese; e. la proporzione di risorse dedicate alla R&S, di brevetti e marchi comunitari, di innovazioni di processo nel Nord sono di ordini di grandezza superiori a quelli registrati nell Italia centrale e meridionale; f. tuttavia, il volume di innovazioni generate è molto più elevato: le innovazioni di processo (marketing, organizzazione, metodi, tecnologie di produzione, etc.) e le innovazioni di prodotto incrementali sono molto più numerose del numero dei brevetti; Sotto la punta di questo iceberg sembrano esserci innovazioni di prodotto e di processo assai più vaste, ossia un ribollire di innovazioni senza sistema che si sviluppano: 1. senza che vi sia una visione e un robusto governo dei processi innovativi entro aree territoriali significative (Italia, Nord, regioni); 2. senza che sia condivisa una idea di innovazione a 360 che sia oggetto di politiche pubbliche e senza una grande attenzione da parte di chi guida le imprese, le istituzioni, le Pubbliche Amministrazioni;

8 3. senza che siano ben comprese, gestite e sviluppate le organizzazioni e le professioni che innovano nelle imprese, nelle amministrazioni, nei territori; 4. senza che sia potenziata la capacità di usare bene i modesti fondi pubblici per l innovazione, sia all interno degli enti pubblici che, soprattutto, nelle interazioni fra pubblico e privato; 5. senza che siano individuate le diseconomie e le esigenze di servizi per sostenere le organizzazioni che innovano; 6. senza che un sistema di politiche e di gestione delle organizzazioni che innovano sostenga il consolidamento e lo sviluppo delle capacità innovative del Nord già dimostrate: la posizione differenziale del Nord rispetto al resto del Paese non protegge le sue imprese e i suoi terrori nella crisi e nella crescente competizione internazionale; 7. senza che in termini non egoisti il Nord operi come locomotiva dello sviluppo di un Sud il cui ritardo nelle risorse e nei risultati per l innovazione non può che aggravare il divario complessivo con il Nord e il resto dell Europa. Occorre che: o le politiche pubbliche (della ricerca, del trasferimento tecnologico, della creazione e dello sviluppo di impresa, della formazione); o il sistema di servizi (credito, infrastrutture, tecnologie, servizi alle imprese, scuola); o le azioni per aumentare la conoscenza dell innovazione nell impresa, nelle amministrazioni, nei territori e quindi le capacità di management; siano più efficaci quanto più rispondono rispondano a bisogni ben identificati, siano misurati nei risultati nello stesso modo al Nord, al Centro e al Sud. I compiti principali delle politiche e del management dell innovazione sembrano concentrarsi sulla necessità di: aumentare di ordini di grandezza il contributo della R&S generata nel Centro e nel Mezzogiorno, facendo in modo che i finanziamenti pubblici non rappresentino contributi alle spese correnti, ma attivino capacità endogene di innovazione nelle imprese, nelle amministrazioni e nei territori del Centro e del Mezzogiorno; fornire servizi maggiori e migliori alla capacità innovativa del Nord Italia che, pur essendo assai maggiore di quella del resto del Paese, è tuttavia agli ultimi posti fra le aree e i Paesi sviluppati con cui il Nord compete direttamente nel mercato mondiale; evidenziare e potenziare ogni forma di innovazione. Oltre a quella di prodotto anche quelle di processo, di organizzazione, di marketing, di lavoro, di cultura, che rimangono sommerse nelle statistiche e invisibili alle politiche pubbliche; promuovere un management dell innovazione che assuma tutta la complessità ma anche la gestibilità delle imprese e dei territori che innovano: ossia sviluppare innovazione con nuovi modelli di management, di organizzazione e di lavoro; sviluppare nelle politiche pubbliche e nella condotta del management privato e pubblico capacità di attivare e rendere visibili reti di imprese, istituzioni, territori che divengano i nuovi soggetti che producono innovazione. Occorre quindi sviluppare un comune apprezzamento e un comune metodo per azioni differenziate a seconda dei territori, delle imprese, delle istituzioni pubbliche. A questo intento sono dedicate le pagine che seguono. 3. L innovazione a 360 Una politica e un management dell innovazione richiedono prioritariamente una concezione condivisa di cosa è realmente l innovazione. Le risorse per l innovazione che sono investite sui territori, sui centri di ricerca, sulle imprese, sui lavoratori, hanno un buon ritorno non solo in ragione della loro quantità (che purtroppo oggi è drammaticamente bassa), ma anche in base alla qualità della organizzazione e alla qualità delle risorse manageriali e professionali. Se tali risorse sono destinate a territori che non sono preparati

9 ad usarle, a imprese che utilizzano i fondi per migliorare solo il bilancio corrente, a manager che ritengono che gli addetti all innovazione siano solo i tecnici e gli scienziati, tali risorse non fruttificheranno come potrebbero. I buoni risultati del sistema delle imprese del Nord, in termini di brevetti, marchi e molto altro, malgrado la penuria di risorse investite ci dà l indizio che c è qualcosa di buono nell organizzazione e nelle risorse umane del sistema delle imprese. L innovazione non è appannaggio delle grandi imprese high-tech come si pensa (anche se sono quelle che brevettano di più), ma coinvolge ogni tipo di impresa: imprese grandi, medie, piccole; imprese high-tech e low-tech; imprese di prodotto e di servizio; imprese internazionali e imprese locali; imprese di ogni tipo di assetto azionario; imprese individuali ed ecosistemi socio-economici. Le dimensioni dell innovazione a 360 sono numerosissime e raramente si può innovare una sola di queste dimensioni senza coinvolgere le altre: modelli di business, mercati, prodotti, servizi, processi, organizzazione, cultura, valori e altro ancora. Innovazione è sempre gestione del cambiamento: significa far seguire a una nuova strategia un nuovo sistema organizzativo e avere persone che spingono e sono disposte a farlo. Innovazione è porsi domande sulle azioni che si devono fare per perseguire una strategia. La domanda se le imprese tessili o calzaturiere possono reggere la concorrenza cinese sul costo del prodotto è mal posta: occorrerebbe chiedersi se è possibile che le imprese e le persone sviluppino innovazioni che consentano competitività internazionale sulla business idea, sul design, sul valore di marchio, sulla progettazione del prodotto e dei servizi associati, sull automazione, sui processi logistici, sulla rete commerciale e così via. Un paio di scarpe cinesi costa 10 euro, un paio di scarpe italiane di alta gamma oltre 1.000 euro: la differenza sta nella qualità dei mestieri, dell organizzazione, del mercato. L innovazione non è solo un tema di ricerca fondamentale e pura: è necessario aprire nuovi centri di ricerca ma non è sufficiente. Il tema dell orchestrazione delle azioni innovative ad esempio sull impresa e sui territori è spesso non sufficientemente considerato e non governato. L invenzione è la scoperta di una nuova idea. Creatività, genialità, fortuna, oltre all impiego di ogni sorta di conoscenze, stanno alla base dell invenzione. Le forme legali dell invenzione sono la pubblicazione scientifica e il brevetto. Quasi mai l invenzione è il risultato di una illuminazione individuale, ma piuttosto di un lungo processo condotto per lo più da comunità cosmopolite. È quello a cui puntano la ricerca scientifica e la ricerca industriale. L invenzione è ben distinta dall innovazione, ossia il processo di applicazione di una nuova idea per creare un nuovo processo o prodotto Come diceva provocatoriamente Freeman, inventare, fare ricerca, fare invenzioni non è una cosa difficile: la cosa difficile è sviluppare i prodotti e i servizi ed innovare le imprese. Naturalmente, questo apre un grande problema: mentre un brevetto è una cosa chiara e ben precisa, mentre si sa che cosa fa un ricercatore che si occupa di semiconduttori, è più difficile individuare, promuovere, governare i processi innovativi che hanno l obiettivo di portare sul mercato un prodotto o un servizio. Esiste un problema culturale di fondo nella indiscutibile familiarità mostrata nei confronti del modello dell inventore rispetto a quella mostrata nei confronti del modello del innovatore. Questo ha orientato, distorcendoli profondamente, il sistema formativo, l organizzazione del lavoro, l organizzazione dell impresa, le relazioni industriali, la comunicazione e molto altro. L innovazione è sempre orchestrazione: non c è mai nessuno che è più furbo di tutti quanti messi insieme. L execution della innovazione, come dicono gli anglosassoni, è fondamentale. Il problema fondamentale non è farsi venire una buona idea ma portarla ad esecuzione, farla diventare offerta, fabbrica, lavoro, occupazione, risorse, mercato, sviluppare la cultura dell innovazione. Qual è l impresa che fa innovazione? È quella che non aspetta the next big thing ma che riesce a convincere i suoi clienti, i suoi investitori, i suoi lavoratori che essa può innovare tutto: certamente i prodotti, ma anche i processi, l organizzazione, la cultura, l immagine.

10 L Italia non è nota in questi ultimi anni per invenzioni e innovazioni radicali (prodotti di nuova concezione, nuove costellazioni, nuove piattaforme tecnologiche) : esse sono sempre altamente desiderabili ma spesso molto onerose senza gli ingenti investimenti (il più delle volte associati a spese militari). L Italia profonde un grande impegno su innovazioni incrementali che portano a sviluppare le vendite e consentono di crescere e prosperare all impresa grande, all impresa piccola, alla rete di impresa, alle imprese e ai territori in rete, ai distretti tecnologici, ai parchi tecnologici,. Le imprese italiane che sono cresciute e hanno risultati positivi, e in particolare quelle del Nord, hanno sperimentato un gran numero di modalità di innovazione. Esse, per lo più, non sono registrate dalle statistiche. I processi e i fenomeni innovativi scorrono come parte della battaglia quotidiana troppo faticosa per comprenderne i punti di discontinuità. Le innovazioni non sono chiare spesso neanche a chi le ha promosse e a chi è intorno a lui/lei. Prevalgono visioni distorte: invenzione e non innovazione; idea e non realizzazione; intuizione e decisione imprenditoriale e non organizzazione per realizzarla e generarne altra; flessibilità e disponibilità e non nuove professionalità. Mancano i servizi per aiutare le imprese: istruzione, trasferimento tecnologico, consulenza, semplicità amministrativa. Sul territorio sono insufficienti i beni comuni per la competitività (scuola, infrastrutture, legalità, etc.): scarsissimi al Sud e da migliorare al Nord. In sintesi, organizzazione e professioni nuove sono spesso invisibili a chi vuole sviluppare innovazioni o a chi le ha fatte. L innovazione prende tante forme. La prima serie di innovazioni riguarda il modello di business, anche se esse sono spesso presentate come scelte autocratiche dell imprenditore innovativo prese una volta per tutte, a cui l intendenza seguirà. Il modello Benetton ha rappresentato una grande innovazione di impresa a cui al contrario ha partecipato un gran numero di dirigenti, tecnici, operai, franchisee. Oggi Zara riproduce quel modello produttivo, ma vi aggiunge un ulteriore componente: copia le collezioni degli altri, ma è più rapida a portarle ad esecuzione, usando prodigiosi sistemi informativi. Un storia di progettazione e cambiamento organizzativo è l innovazione della business idea. Che differenza c è tra una palestra, un fitness club e un wellness club? Apparentemente poca. In tutti e tre i casi, infatti, le persone si esercitano con attrezzi ginnici. Però il modello è totalmente diverso: sono diversi i mercati, il concept, i servizi, il sistema di erogazione, la visibilità e molto altro. Quando Technogym introduce l idea del wellness si rivolge ad un mercato diverso da quello che frequenta le palestre o i fitness club: esso si rivolge al mercato delle persone che vogliono curare la propria salute attraverso l esercizio fisico. Ma questa brillante business idea non basta: occorre che sia accompagnata dalla organizzazione, cioè che all imprenditore siano associati i manager, i professional, i tecnici. Per assicurare il passaggio dalla palestra al fitness club, e poi al wellness club l imprenditore è fondamentale ma un ruolo centrale lo hanno avuto l organizzazione, i manager e i professional di mercato e di tecnologia, gli impiegati e gli operai. Di simili idee brillanti e generose è tappezzato l elenco dei protesti e dei fallimenti: ma Nerio Alessandri partendo da una buona business idea ha creato una organizzazione, ha associato persone capaci e insieme hanno portato al successo la sua idea. È più facile comprendere la dimensione organizzativa dell innovazione rappresentata da quel tipo particolare (ma molto diffuso nelle piccole e medie imprese italiane) che è il miglioramento continuo della qualità. Molte imprese italiane sono leader mondiali non perché hanno un prodotto esclusivo, ma perché hanno sviluppato percorsi di eccellenza produttiva. Vi sono invenzioni, apparentemente modeste, che però incontrano il favore del pubblico per le prestazioni aggiuntive, il rapporto qualità/presso, l usabilità, per l estetica e finiscono con il fissare uno standard su cui acquisiscono un vantaggio competitivo. Questa è il dominant design, come lo definisce Utterback. Molte imprese italiane leader mondiali nel loro campo hanno sviluppato nel momento giusto innovazioni in qualche elemento del prodotto e del servizio graditi alla clientela, che hanno assicurato loro una posizione dominante: pensiamo ad Alessi, o a IMA di Bologna, leader mondiale nella produzione di macchine automatiche per il confezionamento di prodotti farmaceutici, cosmetici, tè e caffè, e a molte altre ancora. Il settore del legno-arredo, un settore tradizionale,

11 ha combinato design e qualità semiartigianale, taylor made product e internazionalizzazione, creando standard che si sono affermati in tutto il mondo. La creazione di un mercato che prima non c era è un altra importante forma di innovazione. Questa innovazione che analizza i casi del Walkman, delle linee aeree no cost, del Circque du Soleil e altre, viene chiamata da Christensen disruptive innovation, ossia un innovazione che rompe il mercato, creando consumatori che prima non c erano. L industria della moda italiana, per esempio, ha creato in trent anni un mercato che prima non c era per tipologia di offerta, per combinazione di prodotto e comunicazione, per internazionalizzazione. Vi è una grande riserva di potenza del sistema produttivo italiano, utilizzabile quasi subito. Le imprese italiane innovano ogni giorno, molto di più e più estesamente di quello che esse stesse spesso sappiano. Un gran numero di innovazioni sono oggi scambiate per buone pratiche : se venissero comprese, ingegnerizzate, raccontate, diffuse, riusate il tasso di innovazione crescerebbe. Sono innovazioni latenti, ossia azioni virtuose, laboratori nascosti nel quotidiano, processi endemici dai quali scaturisce spesso quella innovazione, o quel modello di business, che fa crescere e internazionalizzare l impresa. Sono innovazioni che producono risultati economici e competitivi spesso rilevanti. È molto importante mettere a fuoco questo fenomeno, perché a) l imprenditore spesso è un innovatore che non sa di esserlo, che rischia di non comunicare all interno e all esterno quello che ha fatto, di non dare seguito e sufficiente valore a quello che egli stesso ha fatto; b) il sistema produttivo italiano conosce poco se stesso poiché le imprese non imparano abbastanza da queste innovazioni latenti e da quelle nazionali e internazionali narrate, cercando prescrizioni dottrinarie o soluzioni prefabbricate provenienti da altri contesti. Vediamo un solo esempio di innovatore che non sa di esserlo. Una impresa di salotti conduce per mesi una trattativa in Cina per produrre a costi più bassi e per vendere anche sullo sterminato mercato cinese. Pensa di fare una ordinaria operazione di offshoring della produzione per abbatterne i costi. Quando i partner cinesi vanno alla firma avvertono però che dopo due anni andranno con la loro faccia, ossia intendono mettere il loro brand su prodotti, stabilimenti e reti di vendita. L imprenditore pensa di essere caduto in una trappola orientale. I cinesi capiscono e gli propongono una aggiunta al contratto: essi importeranno i divani venduti con il brand dell imprenditore e anche quelli fabbricati in Italia. Saranno prodotti di alta qualità, venduti a prezzi più alti con il brand italiano: l affluent class cinese, che è già di dimensioni pari a quella europea, sicuramente li apprezzerà e li comprerà. L imprenditore italiano accetta. Poi, per dare esecuzione al contratto, non si limita ad esportare quello che produceva prima, ma innova il design, il marketing, i sistemi di produzione, la logistica e li differenzia per i suoi due nuovi mercati: Italia e Cina. Ha successo. Pensa però di aver fatto genericamente internazionalizzazione e di aver coniugato caso, spirito imprenditivo e coraggio : non riesce a comunicare ai suoi dirigenti, dipendenti, fornitori, clienti e competitori il fatto che tutti insieme hanno realizzato un fior di innovazione a 360, ripensando modello di business, processi, organizzazione e persone. È questo un caso di innovazione latente, di genio e regolatezza e di grande successo. Ma il suo limite è che non si diffonde perché si non riesce a spiegare all interno la morale della favola, un cambiamento di modello di business realizzato cambiando appropriatamente organizzazione e persone. Formare all innovazione in generale implica sviluppare nei manager, nei professional, nei tecnici e nei lavoratori tutti, competenze complesse di natura cognitiva conoscenze scientifico-tecniche; conoscenze e abilità operative; conoscenze tacite; conoscenze contestuali; conoscenze di interazione con i sistemi tecnologici nonché di natura comportamentale leadership; lavoro in gruppo; pensiero laterale; maturazione dell intelligenza emotiva e molto altro. Formare all innovazione a 360 implica inoltre sviluppare una idea e una cultura dell innovazione e sviluppare in tutti i membri dell organizzazione la capacità di essere partecipanti attivi nel processo di innovazione.

12 4. L innovazione come sviluppo del sistema delle imprese nel Nord La tesi È in corso una intensificazione della divisione del lavoro dei processi produttivi e di business, che è l inverso dell integrazione verticale che aveva caratterizzato la prima rivoluzione industriale. Si ha un ricorso estensivo a outsourcing e offshoring. Le grandi e le medie imprese italiane procedono sempre più estesamente a delocalizzare in diverse aree italiane, in Europa, in Asia, non solo fasi dei processi produttivi (fabbricazione, manutenzione, stoccaggio) e commerciali (marketing, vendite, distribuzione), ma anche parti di processi di conoscenza, come design, R&S, CRM, logistica, servizi informatici, contabilità e controllo di gestione e altro. La delocalizzazione è solo una faccia del processo di internazionalizzazione: l altra è costituita dalle alleanze, dalle joint venture, dalle merger e acquisition con cui le imprese italiane costruiscono all estero nuove iniziative imprenditoriali. Tutto ciò richiede alle imprese italiane nuove capacità: fare strategie internazionali e sviluppare contemporaneamente le strutture con cui realizzarle (che come vedremo sono le reti d impresa); aprire e gestire nuovi mercati, cosa che richiede competenze specifiche per lo più nuove per le imprese italiane (compliance, mercato, distribuzione, produzione di altri Paesi); sviluppare e mantenere alleanze con partner e talvolta con competitori per l innovazione di prodotti/servizi, processi, mercati, organizzazione (co-opetition); incorporare nei prodotti/servizi valore aggiunto derivante dall immateriale (marchio, immagine, design, servizi post vendita). Le grandi imprese e anche alcune delle medie imprese, sia nei settori high-tech che tradizionali sanno già gestire relazioni reticolari internazionali: questo si aggiunge alle capacità che esse hanno tradizionalmente sviluppato sul proprio territorio e in altre parti del territorio nazionale di gestire relazioni (fra imprese, fra imprese e professionisti, fra imprese e istituzioni). Ciò implica una nuova concezione e gestione dell impresa (non più monolitica e radicata su un solo territorio ma reticolare e estesa in Italia e all estero). Ciò implica anche una nuova visione della relazione fra le imprese e territori, non meri contenitori di attività produttive ma strutture di produzione di servizi esse stesse (Perulli, 2007) e di per la competitività (Le Galès, Pichierri e Pacetti). La tesi che sottostà al presente contributo alla ricerca sul Nord è che i quattro tipi di sistemi identificati nel progetto di ricerca della Fondazione Irso (Centri metropolitani, Nodi produttivi, Nodi di servizi, Nodi suburbani periferici) sono crocevia territoriali che sostengono, nutrono e generano reti di imprese a dimensione locale e globale (reti allungate) spesso originate o governate da medie imprese eccellenti. Il Nord Italia può caratterizzarsi per la sua potenzialità innovativa per due motivi di seguito illustrati. 1. Le risorse organizzative e le conoscenze manageriali per operare su reti di impresa estese sono relativamente limitate in gran parte dell Europa per la minore diffusione delle PMI. Queste risorse sono probabilmente più abbondanti nel Nord Italia. Il quesito di questa parte della ricerca può essere così formulato: come tali risorse organizzative e conoscenze manageriali, professionali e culturali possono essere individuate, reperite e potenziate su un territorio esteso e altamente qualificato quale quello del Nord, anche se altamente differenziato produttivamente, socialmente, amministrativamente? Quali sinergie sono realizzabili nel Nord su uno straordinario patrimonio di agenzie di servizi avanzati, quali ad esempio le scuole, le università, i centri di ricerca, le società di servizi di consulenza organizzativa e di ICT, i centri artistici, le strutture di fruizione culturale, i servizi per il benessere?

13 2. Nuove forme di impresa a rete connesse con sistemi territoriali richiedono forme di politiche industriali di nuova concezione e in particolare un sostegno all innovazione a sistemi di imprese che operano in un uno specifico sistema di sistemi quale la ricerca assume sia il Nord. I modi di generare servizi sono certamente componenti del sistema Nord. Come sostenere lo sviluppo di sistemi di ICT per mettere in rete le imprese, come creare consorzi e strutture comuni, come rendere disponibili risorse finanziarie, come assicurare infrastrutture tecnologiche? Il nuovo contesto competitivo delle imprese italiane Per le imprese italiane la competizione internazionale avviene sostanzialmente su due livelli: assicurarsi una quota dei mercati e delle risorse (share the pie) e ampliare i mercati e le risorse (grow the pie). Le imprese italiane sono impegnate su entrambi i fronti. L impresa, di fronte ai propri competitori principali, ha un vasto repertorio di altri tipi di azioni strategiche: abbassare i costi (area critica quando si compete con Cina, India, Sudafrica); passare da strategie di solo costo a strategie di diversificazione (Ansoff); allungare la catena del valore (Porter): ad esempio prodotto + servizio; passare dall impresa accentrata all impresa transazionale che sceglie continuamente il make or buy (Williamson): outsourcing e offshoring; passare da strategie di mass production centrate su prodotti o servizi commodificati a strategie centrate sul cliente (Siebold); perseguire strategie di dominanza (Hax) ossia offrire soluzioni proprietarie rispetto a bisogni primari di grande valore che sono indifferenti al prezzo (ospedali di eccellenza, università di fama, outsourcing di processi ad alto rischio, turismo di élite in località pregiate, etc.); oppure strategie di lock-in, ossia rendere il prodotto o servizio non copiabile e non gestibile dai concorrenti (come Microsoft, Intel). La competizione globale impone alle grandi e medie imprese italiane di operare all interno di schemi più complessi della pura concorrenza internazionale. Infatti, esse si muovono in contesti dinamici come: 1. convergenza e sovrapposizione dei settori industriali; 2. leadership nelle piattaforme industriali; 3. innovazione senza confini; 4. co-opetition, ossia collaborazione con i competitori. 1. Operare nella convergenza e nella sovrapposizione dei settori industriali è un esercizio che l impresa italiana deve fare per competere. Essa ha davanti difficili domande: chi ha la titolarità del cliente quando vari soggetti partecipano ad un settore sottoposto a convergenza, per esempio nelle TLC o nei media? chi risponde davvero a nuovi bisogni dei clienti e le loro nuove abitudini di consumo, come nelle filiere della moda, dell arredo, dell entertainment, della telefonia mobile? come si fa integrazione fra industrie di design, di produzione di arredo, di logistica, immobiliari, di finanza, di pubblicità per assumere grandi dimensioni (come Ikea)? come affrontare competitor inaspettati, specialmente da industry tradizionalmente non in competizione (videoconferenza o aereo)? 2. Operare per la leadership delle piattaforme industriali. Una piattaforma è un costituita da componenti indipendenti, in cui ciascuno è oggetto di innovazione. Nessuna azienda da sola possiede le capacità per innovare l intero sistema, e cambia nel tempo la leadership della piattaforma. Il platform leader stimola e influenza l innovazione della piattaforma, bilanciando competizione e collaborazione. Esempi noti sono le macchine utensili nei primi del 900, il settore del legno-arredo, i personal computer (il caso di IBM, Intel, Microsoft e Cisco che si sono contese per decenni la leadership della piattaforma informatica).

14 3. Innovazione senza confini. Le aziende di maggior successo hanno imparato ad innovare con le ricerche e le scoperte di altri, e soprattutto dai clienti. Questo hanno fatto la Boeing, la 3M, questo è avvenuto nei distretti industriali italiani e questo sta avvenendo nelle biotecnologie dove il successo di una singola impresa dipende dal successo degli altri. Il modello tradizionale di innovazione (alti investimenti in laboratori di R&S interni) ancora in auge nella farmaceutica e nell oil and gas, sembra diventare minoritario. 4. Co-opetition, un modello in cui una rete di soggetti coopera e compete per creare il massimo valore. Internet e le comunicazioni mobili hanno consentito la condivisione di informazioni e l integrazione dei processi su scala planetaria e le varie imprese cooperano e competono al tempo stesso (ad esempio nei servizi biomedicali). I competitori hanno bisogno di cooperare fra loro sulle materie ad alto investimento e sugli standard (ad esempio nella telefonia mobile). Hanno bisogno, inoltre, di un ecosistema favorevole comune (ad esempio la Silicon Valley). Rinnovare le categorie per interpretare, progettare e gestire le imprese: reti di imprese e impresa rete Per affrontare il nuovo contesto competitivo le imprese italiane di successo non si sono limitate a esportare e ad avvalersi di subforniture per la produzione, ossia non sono rimaste imprese transazionali che secondo Williamson facevano più buy che make. Le imprese italiane grandi, di medie e piccole dimensioni in grado di reggere al citato contesto competitivo sono andate oltre l impresa transazionale e si sono configurate come imprese rete e reti di impresa governate (Butera, 2001), ossia forme organizzative di nuova concezione e di ordini di grandezza più complesse delle precedenti. Butera (1989) aveva individuato le reti di impresa naturali: ossia quel sistema di riconoscibili e multiple connessioni e strutture entro cui operano nodi ad alto livello di autoregolazione capaci di cooperare tra loro in vista di fini comuni o di risultati condivisi. Egli aveva chiamato imprese rete governate quelle in cui soggetti imprenditoriali individuali o collettivi, privati o pubblici provvedono in maniera intenzionale a progettare, gestire, mantenere nel suo complesso un sistema di organizzazioni. Esse talvolta sono guidate da una grande o media impresa. Pichierri (1999) più tardi definì l organizzazione a rete come un modello stabile di transazioni cooperative tra attori individuali o collettivi che costituisce un nuovo attore collettivo. Tali reti di imprese e imprese rete sono costituite da diverse imprese autonome che cooperano e spesso competono fra loro, che sono disperse nello spazio, che coprono varie aree della catena del valore, ma che sono regolate da processi unitari (governance, marketing and branding, tecnologia, logistica, R&S). Spesso operano su scala estesa e talvolta mondiale. Le reti organizzative sono forme di organizzazione basate su un nuovo paradigma. Sono un insieme specificato e interconnesso di strutture tecnologiche, burocratiche, economiche, sociali e culturali che sviluppano processi comuni e che si possono sviluppare e progettare intenzionalmente. Sono le nuove forme dell impresa a cui destinare politiche industriali nazionali e regionali, iniziative di supporto istituzionale, azioni associative, etc. Gli elementi costitutivi della rete organizzativa sono: a. i processi (interfunzionali, interaziendali e interistituzionali) che attraversano imprese e unità organizzative diverse; b. la valorizzazione che avviene attraverso una doppia catena del valore: il valore economico e il valore sociale; c. i nodi vitali, capaci cioè di sopravvivere e prosperare autonomamente: nodi produttivi (imprese, unità organizzative, ruoli professionali) e nodi istituzionali (enti pubblici, comuni, scuole, gruppi sociali) che operano nella stesso campo organizzativo (Powell e Di Maggio)

15 d. i legami deboli e forti che connettono tali nodi (scambi economici, procedure, informazioni, comunicazioni, relazioni sociali, rapporti di potere, etc.); e. le strutture multiple fra loro coerenti e adatte alle strategie e alle sfide (gerarchia, mercato, sistema informativo, sistema telematico, sistema di knowledge management, strutture sociali, strutture politiche, etc.); f. le proprietà operative peculiari, come i nuovi sistemi decisionali, di regolazione dei conflitti, di rafforzamento dell appartenenza alla rete, etc. Il più importante dei sistemi operativi è il sistema di governo (governance system). La rete organizzativa dotata dei menzionati requisiti è in grado di affrontare il nuovo contesto competitivo perché è capace di: sviluppare organizzazioni flessibili riducendo i costi (concentrarsi sulla core competence); creare valore economico attraverso sinergie di rete, generare visibilità istituzionale, rafforzare il rapporto fra impresa e territori; esternalizzare i costi e non gli asset (marchio, brevetti, know-how, clientela, lavoratori della conoscenza, etc.); organizzare sia all interno dell impresa che in qualche misura anche nelle imprese altrui; avvalersi delle eccellenze e delle strategie di altri componenti della rete, ampliando l impatto sul mercato; valorizzare le risorse umane in tutta la rete ; potenziare l associazione fra l impresa e gli stakeholder: fedeltà dei clienti, affidabilità dei fornitori, lealtà dei partner, senso di appartenenza di collaboratori interni ed esterni, fiducia dei collaboratori istituzionali. Queste configurazioni di imprese caratterizzano una parte del sistema produttivo del Nord Italia: questa italian way of doing industry va ancora tutta esplorata e raccontata. Territori come crocevia locale di reti di impresa allungate: il caso della Brianza L organizzazione a rete influenza la configurazione della struttura socio-economica dei territori. I distretti tradizionali avevano una base essenzialmente territoriale dove attività economiche omogenee e interconnesse erano favorite da un atmosfera imprenditoriale (Becattini, 2000). La letteratura individua ora diverse nuove forme di distretti, ossia di imprese e territori in rete, come i cluster (Porter, 1998). A differenza del distretto, il cluster ha un nucleo molto denso sul territorio ma si ramifica in reti esterne al territorio per distribuire fra vari soggetti esterni fasi dei processi di progettazione dei prodotti/servizi, della produzione, del marketing e delle vendite, della logistica distributiva e soprattutto nella configurazione di business model nuovi, che aumenta il valore generato. Altre forme sono state individuate negli augmented districts (De Michelis, 2001), nelle reti aperte (Corò, Micelli, 2006), nelle citate filiere strutturate in catene del valore allungate (Gereffi e Bair, 2002), nei distretti tecnologici (Bossi, Bricco, Scellato, 2006). Nelle reti di impresa si conferma l importanza della prossimità geografica ma si afferma anche una crescente importanza della prossimità strategica : la capacità cioè di operare interventi sinergici tra territori e settori differenti ma complementari per produrre beni per la collettività e per aumentare la geographical reach (Beauregard, 1995). Tutte queste forme sono accomunate dalla presenza di un nucleo territorialmente localizzato e da risorse e servizi offerti sia da reti originate sul territorio che si estendono oltre di esso ( reti di imprese allungate ) che da reti di imprese e organizzazioni originate altrove, ma che hanno localizzazioni sul territorio ( imprese rete multinazionali ). In ogni caso si realizzano effetti di reciproco apprendimento fra le imprese rete del territorio aperte all internazionalizzazione e le imprese multinazionali localizzate sul territorio.

16 Le reti di imprese e professioni Le reti allungate non connettono solo imprese fra loro, ma imprese e professionisti. Le reti di imprese della conoscenza includono oltre alle imprese di produzione di beni e servizi anche università, gruppi universitari, studi professionali, comunità professionali, comunità di pratiche, singoli professionisti. È il caso delle reti di imprese basate sulla ricerca sui materiali, sulle biotecnologie, sull ICT, sul design, etc. Queste reti hanno connessioni spesso non visibili ma robuste di natura economica e giuridica (diverse forme di contratti), tecno-organizzativa (controllo di qualità, outsourcing, consorzi, etc.), tecnico-applicativa (definizione di specifiche). Esse implicano relazioni formali e informali. Le reti centrate sulle medie imprese eccellenti In questi anni le medie imprese eccellenti hanno svolto in modo crescente un ruolo di regìa e attivazione di reti internazionali di imprese che cooperano e competono e che si distribuiscono porzioni di catena del valore crescenti. Esse vengono descritte come medie imprese di successo diventate o in via di diventare grandi, sostanzialmente deterritorializzate che operano in un mondo piatto (Slovacchia, Romania, Cina, Vietnam, etc.). I casi celebrati di Brembo, Luxottica, Technogym, Armani, Geox sembrano appartenere più al mondo globale che al territorio. La loro nascita e la loro crescita è dipesa certamente dalle qualità degli imprenditori che le hanno create e guidate ma esse si sono sviluppate sulla base del modello della rete organizzativo, che abbiamo prima brevemente tratteggiato. In realtà il loro orientamento alla strategic reach non esclude che esse abbiano fruito sul territorio di beni collettivi per la competitività che premiano la geographical reach. La loro straordinaria espansione ha trovato un primo passo sul territorio di origine, poi sul territorio del Nord (designer e pubblicità a Milano, tecnologie a Torino, consulenza a Milano, informatica in tutto il Nord, finanza in tutto il Nord, università eccellenti in Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli, Emilia Romagna, governance sui territori d origine, etc.) per allungarsi infine su scala planetaria: in altre parole, il Nord Italia ha offerto alla crescita di queste imprese-rete le infrastrutture materiali e immateriali, il marketing territoriale, la cultura. L'IRSO-Istituto di Ricerca Intervento sui Sistemi Organizzativi aveva svolto nel 1994 una ricerca per approfondire le caratteristiche e i tratti distintivi delle medie imprese, con particolare riferimento a Milano e provincia. Scopo della ricerca era quello di contribuire a individuare le caratteristiche distintive delle medie imprese di successo, la natura e la durabilità di tale successo, i fattori interni che lo hanno favorito e quelli che potrebbero assicurarne la riproducibilità, il potenziale ruolo di "locomotiva" o guida dello sviluppo locale, il ruolo in una economia globalizzata. La domanda finale e più importante era: quante sono, quante potrebbero diventare, quali azioni di promozione e supporto possono essere offerte per il loro successo e la loro diffusione? La definizione di media impresa che adottammo individuava le imprese con addetti compresi tra 100 e 500. Le medie imprese così definite erano già allora un fenomeno rilevante: in Italia 7.000 imprese occupavano circa 1,3 milioni di persone e generavano un volume di fatturato di circa 25 miliardi di euro. Non tutte andavano bene: da un lato vi erano alcune imprese medie che combattevano per la sopravvivenza e che non riuscivano a crescere, operando contro competitori più grandi che producevano a costi più bassi e con strutture distributive più efficienti; dall'altro vi era l impresa media che operava con successo entro la propria soglia critica per competere. Una impresa da 300 dipendenti in sintesi può essere una impresa nana che non riesce a crescere o al contrario una impresa vitale che ha raggiunto la sua dimensione critica ottima. Chiamammo le seconde medie imprese performanti (o di successo): erano quelle che avevano