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SUMMARY SEMINARIO 16 MARZO 2010 di Martina Bayslach e Nathalie Clauter 16 Marzo 2010 Palazzo Salviati - CASD Ministero della Difesa - ore 16.00 SICUREZZA E COOPERAZIONE ALLA PACE NELLA POLITICA ESTERA DELL UNIONE EUROPEA: LA PREVENZIONE DEI CONFLITTI Saluto: Amm. Marcantonio Trevisani - Presidente del CASD Prof. Massimo Caneva - Presidente AESI Interventi : Gen. Vincenzo Camporini - Capo di Stato Maggiore Difesa Italiana - Comitato Scientifico AESI Amb. Remo Paolini - Comitato Scientifico AESI Prof. Stefano Silvestri - Presidente dello IAI Introduce: Gen, Antonio Catena - Comitato Scientifico AESI Modera: Dott.ssa Maria Giulia Palocci - Direzione AESI Le novità della nuova Unione Europea del Trattato di Lisbona in materia di sicurezza e cooperazione alla pace, e più in generale nel campo della politica estera comune, sono cruciali per noi che ci siamo sentiti e ci sentiamo impegnati senza riserve nella storica impresa della costruzione europea. Il terzo degli incontri previsti nell ambito del ciclo dei seminari AESI, gentilmente ospitato dal Centro Alti Studi per la Difesa (CASD) a Palazzo Salviati, ha dato drammaticamente il senso delle responsabilità dell Europa, delle prove e delle sfide cui è esposto il ruolo dell Europa nel mondo d oggi, un mondo percorso da cambiamenti, a volte radicali, nei suoi equilibri, caratterizzato costantemente da nuove e vecchie crisi internazionali.

Il Gen. Catena, introducendo l argomento, sulla base delle conclusioni emerse nel corso del forum preparatorio al seminario, evidenzia come il livello d integrazione nell ambito del secondo pilastro della vecchia immagine del tempio europeo, sia ancora piuttosto lontano da quello che De Gasperi aveva proposto di raggiungere già negli anni Cinquanta: in Europa si vuole realmente una politica estera e di sicurezza comune? Le posizioni isolate adottate dagli stati membri dell UE a questo riguardo rappresentano la volontà di lasciare il processo decisionale ad un livello pre unione, sostanzialmente intergovernativo, se non esclusivamente nazionale? Il rischio che si corre, secondo il professor J. Rosenberg, Direttore del Centro di Business Study of Middle East della Ruttger University nel New Jersey (USA), intervenuto al forum, è che le relazioni internazionali vengano gestite esclusivamente dalla Nato, e dunque dagli Stati Uniti. Al vecchio continente non rimarrebbe, quindi, che un ruolo marginale da giocare. Il problema, come sempre, è la volontà politica dei governi nazionali. Le riflessioni del Capo di Stato Maggiore della Difesa Italiana, Generale V. Camporini, sono volutamente provocatorie ed hanno l intento di fornire una presa di coscienza della situazione reale in tema PESC/PESD. In relazione alla paventata idea di una forza militare comune, il Generale afferma che ormai da anni, e cioè già a partire dalla fine della guerra fredda, le forze militari europee sono interoperabili tra loro. Non si è, a partire dal quel momento storico, rilevata alcuna difficoltà tecnica nell interoperabilità delle forze militari, e nel momento in cui si volesse passare ad una gestione comune europea dei reparti militari nazionali, questo sarebbe tecnicamente nel breve tempo possibile nonché economicamente auspicabile. E allora quali sono gli ostacoli? Le politiche nazionali. Il problema è evidentemente politico. Ogni stato membro agisce secondo la propria volontà, e in base ai propri interessi geo-politici ed economici. L Unione europea dispone di uno staff permanente perfettamente in grado di agire, ma che è costretto a rimanere inutilizzato. Si pensi al Trattato di Lisbona, è davvero il miglior compromesso possibile? I nuovi poteri che il Trattato attribuisce alle nuove figure in materia di politica estera, se sapientemente coordinati, offrono comunque ampie potenzialità di rafforzamento della proiezione internazionale dell Unione Europea. Se è vero che la forza dell Europa deve essere nelle istituzioni, e non nelle persone, tuttavia, l Unione Europea non è uno stato accentrato, per cui molto dipenderà dalla personalità delle figure che verranno chiamate a ricoprire le nuove cariche. Ed in questo caso, la montagna sembrerebbe aver partorito il topolino. Se si guarda alle recenti nomine istituzionali in ambito PESC, i due nomi della baronessa britannica Catherine Ashton, come Alto Rappresentante per gli

affari esteri e la politica di sicurezza, e del primo ministro belga Herman Van Rompuy, come nuovo presidente stabile del Consiglio Europeo, non sono di grandissimo rilievo. L art. 27 del Trattato di Lisbona istituisce il Servizio di Azione Esterna dell Unione Europea, sottolinea il prof. Silvestri, Presidente dell Istituto Affari Internazionali (IAI): un Ministero degli Esteri europeo, con un vero e proprio servizio diplomatico, con ambasciate e delegazioni sparse nel mondo. Ma il paradosso, a questo punto, sembrerebbe essere l istituzione di un corpo diplomatico che rappresenti, promuova, porti avanti una politica estera che effettivamente non esiste. Il problema è la mancanza di un indirizzo preciso dato agli strumenti di politica estera, di sicurezza e di difesa in mano al Consiglio europeo. Se non si chiarisce la dimensione che si vuole dare all Unione, se non si traduce il documento strategico europeo in termini di azioni concrete, se non si definiscono le competenze e le modalità di partecipazione degli Stati membri alle missioni, l Unione europea è destinata a regredire, diventando una sorta di Alleanza Atlantica del vecchio continente: un organizzazione integrata dal punto di vista operativo ma senza nessuna connessione politica. Certo «l ambizione dell Unione europea è maggiore; purtroppo però, ogni volta che si vogliono compiere passi più decisivi, alcuni Stati membri esitano a dare maggiore potere agli organi comunitari». Quanto detto corrisponde ad un analisi onesta e realistica della realtà istituzionale europea, ma è pur vero che, come affermava uno dei padri europei, Robert Schumann, l Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto. Ed il Trattato di Lisbona, si colloca proprio in un ottica della politica dei piccoli passi, costituendo un mattone, per quanto forse leggero, dell intera costruzione europea, per mutuare l espressione che Carlo Sforza amava utilizzare parlando della nascente integrazione europea. E su questa linea si colloca il chiaro e brillante contributo dell Amb. Paolini, che analizza la questione alla luce dei concetti di sicurezza e pace contenuti nel Trattato stesso. Considerando i trattati di pace stipulati al termine della prima e della seconda guerra mondiale, si evince che i concetti di sicurezza e di difesa possono essere associati a quello di pace. Secondo l articolo 7 bis del Trattato di Lisbona l'unione sviluppa con i paesi limitrofi relazioni privilegiate al fine di creare uno spazio di prosperità e buon vicinato fondato sui valori dell'unione e caratterizzato da relazioni strette e pacifiche basate sulla cooperazione. [in tal senso] l'unione può concludere accordi specifici con i paesi interessati. Detti accordi possono comportare diritti e obblighi reciproci, e la possibilità di condurre azioni in comune. La loro attuazione è oggetto di una concertazione periodica. Pertanto, relativamente alla politica di vicinato, il testo del Trattato

fa riferimento alla cooperazione non in quanto fine a se stessa bensì come elemento fondante di quella che il nuovo Trattato vorrebbe fosse la politica estera dell Unione. La realtà è però ben diversa. L Alto Rappresentante non è un Ministro degli esteri come lo si intende dal punto di vista nazionale, non ha autonomia né prestigio, limitandosi ad assolvere due soli compiti: la gestione degli oltre 6.000 funzionari che andranno a costituire il SEAE e l applicazione delle decisioni del Consiglio europeo, vale a dire degli Stati membri che decidono all unanimità. Inoltre «la pace, quando non è più peace-keeping ma diventa peace-enforcement, è fatta con l uso delle armi», e ciò è giustificato dal Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. Proseguendo nella lettura del Trattato di Lisbona, l Amb. Paolini si sofferma sull articolo 28.A, comma 6, secondo cui gli Stati membri che rispondono a criteri più elevati in termini di capacità militari e che hanno sottoscritto impegni più vincolanti in materia ai fini delle missioni più impegnative instaurano una cooperazione strutturata permanente nell'ambito dell'unione. Tale articolo mette in luce quello che sembra essere il percorso obbligato, e forse il più fruttuoso, che l Unione dovrà seguire: l Europa a due velocità. Gli Stati membri più virtuosi, con le capacità adeguate in termini umani e militari, potranno collaborare tra loro in appoggio ad un governo terzo, alla popolazione civile o in difesa della democrazia. Per quel che concerne poi la clausola di mutua assistenza, è da notare il riferimento alla sicurezza atlantica, come si evince dall articolo 28.A al comma 7: Qualora uno Stato membro subisca un'aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Ciò non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri. Gli impegni e la cooperazione in questo settore rimangono conformi agli impegni assunti nell'ambito dell'organizzazione del trattato del Nord-Atlantico che resta, per gli Stati che ne sono membri, il fondamento della loro difesa collettiva e l'istanza di attuazione della stessa. In relazione alle relazioni transatlantiche, poi, se l Europa è inimmaginabile senza la solidarietà atlantica, spetta al Presidente degli Stati Uniti cogliere la reciprocità di tale rapporto, laddove anche la sicurezza atlantica è inimmaginabile se privata del suo pilastro europeo. Tuttavia, questa consapevolezza sembra non essere ancora parte della politica estera statunitense. Alla luce di quanto detto, appare chiaro che l Europa non parla al mondo delle relazioni internazionali con una voce sola, almeno allo stato attuale, e sottolinea il Gen. Camporini, non c è alcuna possibilità che questo accada, secondo gli equilibri politici attuali. Ma ciò non deve scoraggiare anzi, la consapevolezza di questo deve essere la base per un miglioramento della situazione che possa portare a raggiungere una reale politica estera comune europea.

Ma perché arrivare ad avere una sola voce europea è così necessario? Se si tralasciano gli aspetti meramente economici e strategici c è una ragione che emerge come primaria. L Europa può e deve rappresentare nell ambito della comunità internazionale un punto di riferimento, cui debbono rivolgersi le aree più a rischio di conflitti per il raggiungimento della pace internazionale. Questa è la sintesi del contributo del professor Caneva, al termine della visione del filmato realizzato in Bosnia, sei anni dopo Dayton, intitolato Prove di pace. Nel video viene mostrato un paese fortemente provato dalla guerra civile ma che tenta di risollevarsi grazie all aiuto fondamentale delle forze multilaterali di pace. È ovvio che il cammino di riconciliazione nazionale non può essere fluido in un area in cui sono presenti migliaia di profughi in patria di tutte le etnie e l opera di re-insediamento può essere avanzata solo grazie alle scorte militari; il filmato mostra però che la solidarietà internazionale di qualsiasi origine (politica, religiosa, culturale ) può fare molto ed è determinante per la convivenza pacifica tra i popoli. Ma bisogna avere coraggio. È necessario agire con azioni concrete, come pure ha sottolineato il Papa Giovanni Paolo II, con il re insediamento del nunzio apostolico nella capitale bosniaca e con la sua visita a Sarajevo nel 1997: Mai più la guerra, mai più l'odio e l'intolleranza!. Degna di nota in questo senso è, come evidenzia il filmato, l opera di collaborazione universitaria portata avanti dall Università di Roma La Sapienza, e dall Università di Sarajevo, sulla base dell operato dell AESI. L AESI grazie alle diverse edizioni della University Summer School in Sarajevo, in linea con il suo primario obiettivo di promuovere i diritti umani nell ambito della politica e della cooperazione internazionale, punta a valorizzare il ruolo delle università nei processi di pace e sviluppo. Finora l università in questo genere di attività ha avuto sempre e solo ruoli di supporto, è necessario invece promuoverne il ruolo nel concreto, riuscendo a far dialogare le università nelle situazioni di crisi: le potenzialità delle università in queste situazioni sono immense. Infatti, studenti e docenti hanno la possibilità di avere contatti diretti con le realtà locali, favorendo in questo modo il dialogo e la collaborazione, che spesso sono ostacolati da problematiche politiche, etniche o religiose. Poter continuare a studiare, avere una struttura universitaria funzionante e riuscire a confrontarsi con colleghi di tutta Europa sono aspetti che fanno sì che i giovani bosniaci possano sperare di avere un futuro di pace. In conclusione, c è da riflettere sulle difficoltà e sui limiti, politici e istituzionali, che hanno impedito e continuano ad impedire all Unione di andare al di là del perseguimento dei singoli interessi nazionali.

In generale può l Unione Europea affrontare il futuro senza darsi una direzione unitaria e degli strumenti validi per esprimere una politica estera e di sicurezza comune? Può l Europa evitare un fatale declino del suo ruolo in un mondo sempre più diverso da quello del passato, senza riuscire ad esprimersi, a crescere, ad agire come entità unitaria, attraverso politiche e istituzioni comuni? La risposta da dare, a nostro avviso, è netta: no, è indispensabile sciogliere quei nodi. Bisogna essere pronti a cercare nuove soluzioni, bisogna avere il coraggio e la capacità di fare scelte giuste per le designazioni dei vertici istituzionali della nuova Unione Europea, nell ottica di acquistare quella credibilità internazionale indispensabile per annullare il rischio di produrre un ruggito del topolino.