In queste settimane, a cavallo



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Garioni_Rischio_cambio.qxd 08/10/2007 11.29 Pagina 74 Credito CREDITO alle imprese ALLE Rischio di cambio ed esportazioni: come gestire il "caro euro" Come regolarsi con una concorrenza internazionale sempre più agguerrita e con l'euro che continua a rivalutarsi sul dollaro? Spunti, riflessioni e consigli per gestire in chiave strutturata e dinamica il rischio di cambio e per difendere i prezzi all'export di Giampietro Garioni, docente del Master in Commercio internazionale ed economia e tecnica degli scambi internaz., Università di Padova In queste settimane, a cavallo fra estate e autunno, torna a ripetersi una preoccupazione comune a tutti gli esportatori dell Eurozona: come stare al passo con una concorrenza internazionale sempre più agguerrita quando la propria valuta nazionale (l euro) continua a rivalutarsi? Come gestire il rischio di cambio senza pesanti contraccolpi sul bilancio aziendale? A che cambio convertire il proprio listino prezzi per le vendite estere denominate in dollari o altre valute diverse? Preoccupazioni che costituiscono (e hanno sempre costituito, negli ultimi 40 anni almeno) il pane quotidiano di tutte le aziende che esportano (e sono la maggioranza delle imprese italiane) e dei loro consulenti, ma che non lasciano indifferenti neanche i nostri importatori. In questo intervento cercheremo di rispondere a queste domande, senza pretesa di dare consigli sul futuro del mercato dei cambi, che lasciamo ai guru della finanza, sperando che ci azzecchino. In impresa (secondo la nostra personale esperienza) è difficile puntare su un cavallo unico (ad esempio, l apprezzamento del cambio euro/dollaro) quando sappiamo che nel mercato internazionale, e soprattutto nel mercato dei cambi, le variabili sono infinite e in ogni momento alcuni trend, che ci sembravano certi ieri, domani vengono completamente ribaltati. Cominciamo innanzitutto con il valutare l entità del problema, affrontando alcuni luoghi comuni che in gran parte sono da sfatare. Ma il caro euro è davvero un mostro per gli esportatori? In tutti i manuali di economia internazionale si parla di una correlazione inversa fra l andamento del tasso di cambio fra due valute e quello delle esportazioni Per correlazione si intende una relazione statistica tra due variabili casuali tale per cui a ciascun valore della prima variabile corrisponda con una certa regolarità un valore, o andamento, della seconda: nel nostro caso, all apprezzamento del cambio Eur/Usd in genere dovrebbe conseguire una minore competitività delle esportazioni dell area euro e, viceversa, una maggiore competitività di quelle dell area dollaro. L economia non è certo una legge fisica, quindi le teorie spesso devono essere ponderate con altre variabili, altrimenti rischiano di essere scarsamente descrittive della realtà. O per lo meno, certamente alcune teorie, che in passato sembravano automaticamente verificate, devono essere verificate con un occhio più critico, specialmente se riguardano i mercati internazionali, che cambiano in maniera continua e imprevedibile. In passato la correlazione descritta si è spesso verificata: ricordiamo ad esempio la crisi della lira degli anni 1992-1993, che costò cara al paese in termini di inflazione e di alti tassi d interesse, ma permise un notevole recupero della nostra bilancia commerciale, grazie appunto al rilancio delle esportazioni. Si possono trarre le stesse conclusioni nell economia e nel commercio internazionale di oggi? Sembrerebbe proprio di no. Altrimenti non ci si potrebbe spiegare come: la Germania (con una valuta forte) rimanga il primo esportatore mondiale; gli Stati Uniti (con una valuta

Garioni_Rischio_cambio.qxd 08/10/2007 11.29 Pagina 75 CREDITO ALLE IMPRESE 75 debole) abbiano registrato, negli ultimi anni, un deficit della bilancia dei pagamenti che fa impallidire quello degli anni Settanta, che costrinse l allora Presidente Nixon a sospendere la convertibilità del dollaro in oro, e pose fine agli accordi di Bretton Woods; la stessa Italia, pur in un anno, come il 2006, di euro in forte apprezzamento sul dollaro, abbia utilizzato l export per sopperire a una domanda interna stagnante, e costruire una seppur timida, ripresa dell economia. Il Rapporto Ice L Italia nell economia internazionale 2006-2007, un importante documento che ogni anno fotografa e commenta la situazione della nostra economia negli scambi commerciali con l estero, evidenzia che nel 2006 (e nella prima metà del 2007) la ripresa delle esportazioni di merci (9% in valore e 2,2% in quantità), è stata molto evidente rispetto agli ultimi anni, anche se inferiore a quella della domanda estera. Infatti, malgrado l apprezzamento dell euro, da qualche anno i valori unitari delle esportazioni italiane crescono più rapidamente anche rispetto ai prezzi alla produzione dei manufatti destinati al mercato interno (nei settori trainanti del made in Italy e della meccanica, anche il 4% in più rispetto ai prezzi domestici). In realtà, quindi, dobbiamo trovare altre ragioni che spieghino questi fenomeni, e ci suggeriscano delle indicazioni per aiutare le nostre imprese a convivere con una valuta troppo forte. Una prima motivazione è la selezione delle imprese esportatrici avvenuta negli anni recenti: le imprese più deboli, ossia quelle con minor valore aggiunto, inferiore capacità di innovazione di prodotto/sistema e scarsa capacità di definizione della propria collocazione sui mercati esteri sono state gradualmente emarginate dal mercato, a favore di concorrenti, spesso di paesi emergenti, imbattibili soprattutto dal punto di vista dei prezzi. Una seconda caratteristica è stata la riqualificazione della specializzazione caratteristica del nostro export, che ha portato molte delle nostre aziende, soprattutto nella fascia di media dimensione, a collocarsi in segmenti di mercato nei quali esse sono capaci di far valere la propria immagine e la propria forza contrattuale al di là della convenienza di prezzo: fenomeno che si è verificato soprattutto nel settore della meccanica e dei macchinari industriali, ma anche in quelli più tradizionali del made in Italy (sistema casa, sistema modaabbigliamento, agroalimentare). Queste imprese esportatrici sono riuscite ad impostare strategie tese a difendersi dalla concorrenza dei paesi emergenti riqualificando la propria produzione verso segmenti di mercato a più alto valore unitario ed eventualmente spostando all estero sia le produzioni di qualità inferiore sia quelle per le quali la presenza diretta sul mercato e la capacità di customer care diventano strumenti fondamentali di successo. Non bisogna inoltre trascurare altri fattori per i quali il caro euro è stato un vantaggio per la nostra bilancia commerciale: ad esempio, diminuendo il costo della bolletta energetica (i prezzi di petrolio e gas sono generalmente espressi in dollari), che rimane comunque da sola la causa del nostro deficit nei conti con l estero; diminuendo il costo di importazioni di prodotti e semilavorati dall estero. Infine, la notevole attrazione che l euro ha avuto, nei confronti di paesi come quelli del Mediterraneo, del Medio Oriente e dell Europa orientale, ha permesso a molte nostre imprese di fatturare in euro molta parte delle esportazioni, riducendo quindi i flussi di tesoreria soggetti a rischi di cambio. Quanto detto finora indica che non sempre, o comunque non i tutti i casi, una valuta apprezzata come l euro è stata un danno per la nostra economia. Questo però non ci deve distogliere né dalla giusta richiesta di un maggior intervento degli strumenti pubblici a sostegno delle esportazioni delle nostre imprese, né dal tema alla nostra attenzione in questa sede: come regolarsi, e difendere i prezzi all export, con un euro che minaccia di diventare sempre più forte? L euro/dollaro negli ultimi anni Limitandoci al solo rapporto Eur/Usd (che del resto rappresenta quasi il 70% del rischio di cambio delle nostre imprese), dalla lettura dei grafici esposti nella tavola, emergono almeno 4 fasi nell andamento di questo cambio: una prima fase, di indebolimento dell euro, dall iniziale rapporto di 1,19 del 1999 fino ad arrivare al minimo storico di 0,85 euro per dollaro nei primi mesi del 2002 (questa fase è antecedente rispetto al periodo riportato nel grafico); la seconda fase è di segno completamente opposto e vede l euro man mano rafforzarsi fino al massimo di 1,36. Questa inversione di tendenza è durata fino a tutto il 2004; una terza fase, nuovamente di deprezzamento dell euro, fino

Garioni_Rischio_cambio.qxd 08/10/2007 11.29 Pagina 76 76 CREDITO ALLE IMPRESE Cambio Eur/Usd a 1 e 5 anni (fino al settembre 2007) Eur/Usd a 5 anni Eur/Usd a 1 anno ad un minimo sotto quota 1,17, è durata per quasi tutto il 2005; la quarta fase, iniziata verso la fine del 2005 e ancora in atto a fine settembre 2007, vede un nuovo apprezzamento dell euro, fino ad un massimo storico che ha superato il livello di 1,40. Questa fase è ancora più evidente nel grafico a 1 anno (fino al 21 settembre 2007). Le prime due fasi sono state più violente ma la terza e quarta fase sono più ravvicinate nel tempo, e ciò fa pensare ad un aumento della volatilità di cambio nel breve termine. Inoltre, all interno delle singole fasi descritte sono molto frequenti i rintracciamenti, le inversioni di tendenza di breve e brevissimo periodo, cosicché in un periodo di

Garioni_Rischio_cambio.qxd 08/10/2007 11.29 Pagina 77 CREDITO ALLE IMPRESE 77 trend positivo per un operatore (ad esempio, un apprezzamento del dollaro sull euro per un esportatore che ha contratti di vendita denominati in dollari), questi si può trovare a dover negoziare contratti in cambi proprio nelle giornate meno adatte (nel nostro esempio, quando l euro si apprezza in modo brusco). Nessuno può, in buona fede, dire se e fino a quando continuerà l attuale trend di apprezzamento dell euro sul dollaro, e nessuno può dire a che livelli arriverà il cambio Eur/Usd nel 2008 abbiamo visto in passato troppi analisti restare attaccati a previsioni che i mercati valutari hanno puntualmente smentito. Indubbiamente un euro a 1,50 e oltre sul dollaro, se non una sciagura, costituirebbe almeno un pesante onere sui bilanci di molte imprese esportatrici. Senza contare che proprio in questi ultimi mesi dell anno molte di queste società sono alle prese con i tradizionali ma indispensabili rituali della predisposizione del budget e della fissazione del listino prezzi per il prossimo anno. Quale politica di gestione del rischio di cambio? In molti casi, per definire l atteggiamento dell azienda nei confronti del rischio di cambio, si comincia dalla fine: quale strumento di copertura scegliere per minimizzare tale rischio. Ma molto prima di determinare come coprire il rischio di cambio, l azienda deve porsi altre domande fondamentali: cosa considerare a rischio, quanto di questo rischio vada coperto, e quando è il momento di scegliere le coperture necessarie. Solo a questo punto è importante come effettuare le coperture, cioè quali strumenti adottare. Il tema della gestione del rischio di cambio è molto complesso, e per affrontarlo a dovere occorrerebbe uno spazio ben maggiore di quello che abbiamo a disposizione in un articolo. Si possono però indicare alcuni principi fondamentali su questo tema, cui questa gestione dovrebbe ispirarsi, e che sintetizziamo in 4 punti: definire una politica di gestione aziendale del rischio di cambio; adottare un sistema efficiente di rilevazione dei flussi in valuta nella tesoreria aziendale; prestare attenzione all assorbimento di linee di credito comportato dalla gestione del rischio di cambio; gestire il rischio in modo dinamico e non statico. Spesso si pensa che il compito di definire una politica di gestione aziendale di un particolare rischio spetti solo alle grandi imprese, alle prese con volumi e importi rilevanti, e con un gran numero di addetti: è un errore, anzi un grave errore. In realtà, come spesso avviene in molti casi nella vita di un azienda, non fare scelte equivale a fare una scelta negativa, quella di affidarsi al caso, e dover correre poi ai ripari in situazioni di difficoltà. Per fissare le linee guida e i contenuti di una policy aziendale in materia di rischio di cambio occorre stabilire come vengono affrontate all interno dell azienda quattro materie di seguito evidenziate. Definizione degli obiettivi. Devono essere definiti: l area di rischio gestito: in genere è opportuno affrontare il rischio operativo o di transazione, ossia quello che deriva dal totale di flussi di cassa, sia quelli derivanti da operazioni già entrate in bilancio (fatture emesse o ricevute, finanziamenti, conti in valuta etc.) sia dai flussi previsti in entrata o in uscita (ordini in mano, acquisti da effettuare, budget). Non è il solo rischio di cambio di un azienda fortemente internazionalizzata, ma ne comprende la grande maggioranza; l arco temporale affrontato (ad esempio, nel rischio operativo, il successivo anno a partire da ogni scadenza di valutazione); la percentuale di copertura prevista per ciascuna tipologia di rischio (ad esempio, nel rischio operativo, almeno l 80% per i flussi certi, almeno il 40% per i flussi stimati); la tipologia degli strumenti impiegati per le coperture (ad esempio, esclusione di strutture con opzioni in cambi ad elevato rischio, o previsione che la vendita di opzioni non sia superiore, per importo e durata, all acquisto di altri strumenti analoghi); il coinvolgimento delle altre funzioni dell azienda (ad esempio contabilità, produzione, commerciale, acquisti ecc.) nel raggiungimento degli obiettivi. Responsabilità decisionali. Devono essere definiti: i componenti del Comitato di rischio che decidono i suddetti obiettivi e le loro eventuali variazioni, oltre ad esercitare il controllo sulla effettiva politica di gestione; l autonomia decisionale del direttore finanziario e del tesoriere (entro quale limite di importo essi possono operare in autonomia, fermi restando i predetti limiti di durata, percentuale di copertura); a chi spetti il potere decisionale in caso di superamento di tali limiti

Garioni_Rischio_cambio.qxd 08/10/2007 11.29 Pagina 78 78 CREDITO ALLE IMPRESE (ad esempio: direttore generale, amministratore delegato, consiglio di amministrazione). Misurazione del rischio e limiti operativi. Devono essere definiti: i parametri per la valutazione del grado di rischio e la performance della tesoreria (ad esempio confronto fra cambi di budget, cambi spot alla data di valutazione, effettivi cambi di copertura, potenziali utili o perdite derivanti dalla politica di copertura, scenari del tipo what if in caso di variazioni negli andamenti dei cambi); i limiti oltre i quali si debbano modificare percentuali e strumenti di copertura (ad esempio: operazioni stop loss per limitare le perdite, aumento della copertura in caso di previsione di movimenti avversi nei cambi); il budget a disposizione del tesoriere per l acquisto di currency options; le linee di credito utilizzabili dal tesoriere per operazioni di gestione del rischio in cambi (valore assoluto, ad esempio non oltre 2 milioni di linee di credito, o valore relativo, ad esempio non oltre il 20% del totale linee di credito utilizzate dall impresa); i limiti di rischio per le contropartite bancarie (ad esempio esclusione di alcune contropartite, o limiti assoluti o relativi per le contrattazioni di strumenti di cambio con una determinata contropartita). Controllo e reporting della gestione. Devono essere definiti: in quale modo e con quali strumenti effettuare il reporting al Comitato di rischio sulla gestione del rischio in cambi (ad esempio: posizione valutaria complessiva dell azienda; eventuale suddivisione per business units o aziende controllate; parametri di misurazione del grado di rischio, ecc.); con quale periodicità debba essere effettuato tale reporting. Consigli per la tesoreria in valuta Stabilire una policy aziendale di questo tipo implica naturalmente che bisogna definire, oltre ai criteri generali sopra accennati, quali sono i documenti contabili o extra contabili dalla cui lettura si possono trarre previsioni sui futuri flussi di valuta, e presso quali fonti in azienda essi vanno ricercati. Ciò significa che è necessaria la massima collaborazione fra tutti i settori interessati dell azienda (amministrazione e finanza, commerciale estero, acquisti, organizzazione). All interno dei flussi (in entrata o uscita) è poi consigliabile distinguere quelli certi (ad esempio, contratti e ordini export in via di fatturazione, pagamenti ripetitivi) e quelli solo stimati (ad esempio, contratti da acquisire e importi a budget). La percentuale di copertura degli importi certi dovrà essere naturalmente più elevata di quella per gli importi stimati. Bisogna inoltre scegliere se si vuole gestire una tesoreria globale o seguire i singoli contratti. La prima scelta è in genere necessaria per tutte le imprese, sia per quelle che vendono prodotti di consumo sia per quelle che vendono macchinari e impianti (per i flussi non derivanti da singoli contratti di elevato valore unitario). Per questo ultimo tipo di contratti, che spesso richiedono lunghi tempi di esecuzione e sono tipici delle medie e grandi imprese nel settore della meccanica, dell impiantistica e dei lavori civili, è consigliabile invece la copertura dei flussi derivanti dallo svolgimento del contratto, in modo da non mettere in pericolo i loro margini operativo e netto. Gestire in modo efficiente la tesoreria vuol dire inoltre individuare un ristretto numero di banche come intermediare dei movimenti valutari con l estero. È vero che la scelta delle banche con cui operare nei rapporti con l estero dipende da molti fattori (presenza locale, competenza nelle operazioni mercantili e finanziarie, disponibilità a finanziamenti e operazioni in cambi), ma una tesoreria in valuta con troppe banche è dispersiva, costosa e più difficile da seguire. Risulta infine indispensabile per le tante imprese che sono allo stesso tempo esportatrici e importatrici e hanno quindi introiti ed esborsi in valute estere, poter effettuare tutte le possibili operazioni di netting, cioè di compensazione fra entrate e uscite alla stessa data nella stessa divisa: il netting riduce notevolmente la necessità di coperture del rischio di cambio. In un periodo come l attuale, alla vigilia della introduzione dei criteri di Basilea 2 e quindi, per molte banche, del varo definitivo dei sistemi di rating, occorre per le imprese prestare la massima attenzione all assorbimento di linee di credito comportato dalla gestione del rischio di cambio. Alcuni strumenti, come ad esempio i derivati complessi (strategie che raggruppano diverse vendite di opzioni in cambi) e in genere le coperture con scadenza a oltre un anno, richiedono linee di credito molto onerose. Quindi occorre limitare il più possibile il ricorso a tali strumenti, e comunque,

Garioni_Rischio_cambio.qxd 08/10/2007 11.29 Pagina 79 CREDITO ALLE IMPRESE 79 Alcune ipotesi di copertura Cambi di riferimento Eur/Usd cambio spot: 1,4000 Cambio a termine a 6 mesi: 1,4070 Cambio a termine a 12 mesi: 1,4100 Acquisto opzione call dollaro a 6 mesi (premio) - strike price 1,40: Acquisto opzione put dollaro a 6 mesi (premio) - strike price 1,40: Profilo azienda Sbilancio budget azienda importatrice: Sbilancio budget azienda esportatrice: 0,0250 0,0250 - Usd 10 milioni + Usd 10 milioni Composizione dei flussi (importi certi/importi stimati): 50% - 50% Propensione al rischio di cambio: medio-bassa come detto prima, porre un limite alle linee di credito utilizzabili dal tesoriere per operazioni di gestione del rischio in cambi (in valore assoluto e/o in valore relativo). Si tenga infatti presente che: data l elevata volatilità dei cambi, strumenti di copertura complessi (ad esempio numerose vendite di opzioni a scadenza lontana) sono maggiormente esposti a rischi di perdite rilevate in Centrale dei Rischi (e quindi conosciute anche da banche diverse da quella con la quale sono state contrattate); le linee di credito disponibili per un azienda presso il sistema bancario non sono illimitate, e quindi bisogna gestirle al meglio; più linee di credito vengono utilizzate, maggiore è il loro costo, e maggiore è il rischio di un peggioramento del rating. Infine, non ci stancheremo mai di dire che le strategie di copertura (particolarmente quelle che comportano opzioni in cambi) devono essere semplici. Quelle troppo complesse sono difficili da seguire, e da modificare, se necessario. Un tesoriere, particolarmente in un azienda non di grandi dimensioni, non riesce, anche per motivi di tempo, a seguire strategie troppo complesse di opzioni. In particolare, il portafoglio di opzioni in essere va seguito costantemente. Il suo potenziale risultato va valutato giorno per giorno, e va studiata la possibilità di adattarlo ad una situazione del mercato dei cambi in continuo mutamento. Non ha senso operare in opzioni in modo statico, ossia comprare e vendere opzioni e lasciarle andare a scadenza senza più curarsene. Anche quando le opzioni acquistate vanno proprio nella direzione gradita (cioè si presume di non esercitarle a scadenza) è meglio venderle, una o due settimane prima della loro expiry date, incassando il time value residuo. Il tesoriere deve porsi una scadenza per riesaminare il proprio portafoglio di coperture (ogni settimana, ogni due settimane, ogni volta che il cambio spot vari di oltre l 1-1,5% rispetto alla data di esame precedente). In sostanza, occorre gestire il rischio in modo dinamico e non statico (questo vale per ogni tipo di rischio, quello di credito, quello finanziario, ma in particolare per quello di cambio, che ha maggiori oscillazioni). Come impostare le coperture Naturalmente, a questo punto, sorge spontanea la domanda delle nostre imprese: va bene, ma come dobbiamo regolarci in pratica per le coperture del rischio in cambi in questo periodo, fine 2007? La risposta deve necessariamente partire da alcune assunzioni. e da alcune basi di partenza. Per limitarci al rapporto Eur/Usd, la base è data dalla generale convinzione che difficilmente nei prossimi mesi l euro si indebolirà contro dollaro (rispetto alla quota attuale vicina a 1,40), e con tutta probabilità si potrà apprezzare ancora: questo con tutti i se e tutti i ma che queste previsioni comportano. Partendo da questo quadro, cerchiamo di fare degli esempi pratici. Le ipotesi di base (molto semplificate) sono quelle riportate nella tavola. Tali ipotesi prendono in considerazione l utilizzo degli strumenti più tradizionali di copertura (cambi a termine, currency option semplici, anticipazioni in valuta all esportazione), senza considerare i derivati più complessi, e quindi valgono per la grande maggioranza di imprese. Naturalmente gli esempi devono essere adattati alla singola impresa (ciclicità dei flussi, diverse propensioni di rischio) e ai movimenti del mercato. In questa situazione gli importatori possono dormire sonni più tranquilli. Fermo restando che un livello di 1,40 è già un livello

Garioni_Rischio_cambio.qxd 08/10/2007 11.29 Pagina 80 80 CREDITO ALLE IMPRESE abbastanza basso per acquistare dollari (per 1 milione di Usd ci vogliono solo Eur 714.286), e impensabile fino a pochi mesi fa, le linee guida per la gestione del rischio relativo agli sbilanci fra i flussi in dollari nel prossimo anno possono essere le seguenti: diminuire la percentuale complessiva di copertura (ad esempio al 50%). In caso si verifichi un ulteriore indebolimento del dollaro, la percentuale rimanente potrà essere coperta con operazioni che assicurino un cambio più favorevole (area 1,45-1,50); utilizzare, per la copertura del 50% dello sbilancio di tesoreria (Usd 5 milioni di uscite previste, scaglionate nel 2008), maggiormente l acquisto di opzioni call Usd/put Eur che non i cambi a termine: ad esempio, l acquisto di call per Usd 3 milioni a un prezzo di esercizio di 1,40 e l acquisto a termine di Usd 2 milioni darebbe alla parte di tesoreria coperta un cambio medio di 1,38-1,39. Questo cambio potrebbe ulteriormente migliorare se a scadenza le opzioni non venissero esercitate. In effetti, paradossalmente, l operatore che utilizza le currency options per la copertura del rischio di cambio ha tutta la convenienza che l opzione non venga mai esercitata a scadenza: l opzione serve solo come copertura nella situazione peggiore, ossia quella in cui il movimento del cambio vada nel senso opposto a quello utile all operatore. Nel nostro caso ad esempio, con un cambio a scadenza dell opzione di 1,45 l importatore non esercita l opzione (e quindi ha pagato un premio per niente), ma paga i dollari 5 centesimi in meno rispetto alle previsioni iniziali; stabilire alcuni stop-loss in caso di inversione di tendenza (apprezzamento del dollaro sull euro), aumentando la percentuale di copertura a tranches, per esempio in caso di discesa dell Eur/Usd a quota 1,35-1,32-1,30 e così via. Viceversa, le notti degli esportatori saranno più agitate. I rischi di ulteriori indebolimenti del dollaro sono accentuati, e l avverarsi di tale ipotesi si tradurrebbe in sempre minore ricavi, in termini di euro. Da queste considerazioni deriva la necessità di un impostare una politica di coperture più prudente, ad esempio: aumentare la percentuale complessiva di copertura (ad esempio al 70%). In caso si verifichi un rafforzamento del dollaro, la percentuale rimanente potrà essere coperta con operazioni che assicurino un cambio più favorevole (area 1,35-1,30); utilizzare, per tali coperture, un mix degli strumenti previsti, e cioè anticipazioni in valuta, vendite a termine di dollari e acquisto di opzioni put Usd/call Eur. Questa politica dovrebbe assicurare un cambio medio di copertura nell area 1,41-1,42 (che potrebbe essere utilizzato come cambio di budget e per la predisposizione del listino prezzi). Il cambio potrebbe migliorare sia manovrando la percentuale di rischio non coperta, come sopra detto, sia non utilizzando le opzioni a scadenza; stabilire alcuni stop-loss in caso di rapida accentuazione della tendenza (deprezzamento del dollaro sull euro), aumentando la percentuale di copertura a tranches, per esempio in caso di salita dell Eur/Usd a quota 1,45-1,48-1,50 e così via. Conclusioni La difficoltà di prevedere se e fino a quando continuerà l'attuale fase di euro forte non deve spaventare le nostre imprese che operano con l'estero, e in particolare gli esportatori, che hanno dimostrato di saper convivere con una valuta fortemente apprezzata sul dollaro. Una sapiente politica di coperture, dinamica, attiva, tesa sì a cogliere le opportunità di mercato, ma soprattutto a salvaguardare il business aziendale, può riuscire a frenare i pericoli che un mercato valutario in continua fibrillazione pone alle nostre imprese. Il resto lo deve fare il legislatore, scegliendo gli strumenti di sostegno che, nell'ambito degli accordi internazionali e di un panorama dell'economia pubblica italiana che soffre di una ormai endemica ristrettezza di fondi, riescano a indirizzare e sostenere gli sforzi dei nostri esportatori.