ESERCITAZIONI di LABORATORIO CHIMICO



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1 ESERCITAZIONI di LABORATORIO CHIMICO 67 esercitazioni commentate

2 Introduzione La motivazione di questo lavoro è stata di poter disporre di uno strumento agile per le attività di esercitazioni dimostrative laboratorio chimico; per questo, ho ritenuto di dover raccogliere un numero sufficiente di schede di lavoro concernenti esperienze dimostrative, eseguite. cioè dal docente, tale da coprire tutto il programma didattico. Le esperienze proposte coprono, infatti, molti degli argomenti di chimica generale, di chimica-fisica, di chimica inorganica e di chimica organica, sono di semplice esecuzione, non richiedono particolare abilità o strumentazioni complicate e sono, in ultimo, prive di elementi di particolare pericolosità. Le schede non sono state rilegate né numerate sequenzialmente in modo da poterle disporre a piacere, a seconda del programma didattico scelto e sono, per la quasi totalità, indipendenti l'una dall'altra. In ogni scheda sono riportati i materiali occorrenti, un breve richiamo teorico quando ritenuto necessario, e le procedure di esecuzione. Vediamo nei particolari l'impianto del lavoro: sono elencati reagenti, materiali e strumenti necessari all'esperienza. I reagenti utilizzati sono del tipo per analisi ( p.a. ), anche se è possibile utilizzarne anche di meno puri. La quantità di essi è, quando necessario, stechiometricamente corretta. Gli strumenti sono di normale dotazione dei laboratori chimici e fisici e possono, ovviamente, essere sostituiti da equivalenti. Richiami teorici: quando lo ho ritenuto necessario ho inserito alcuni richiami teorici riguardo la materia trattata; questi non vogliono certo sostituirsi ai libri di testo, ma sono da considerarsi solo brevi note introduttive. Esecuzione delle esperienze: le procedure sono indicate passo a passo, eventuali " trucchi " atti ad una migliore riuscita dell'esperimento sono descritti chiaramente, così come eventuali problemi di sicurezza. Per quanto riguarda quest'ultima si rimanda alle normative esistenti e alle consuetudini di laboratorio. Le esperienze proposte sono tra quelle che mostrano significative modificazioni visive dei reagenti con formazione di evidenti prodotti di reazione (es. sviluppo di gas, precipitazione, etc.) o con modifiche cromatiche, variazioni stato fisico o di ph. Grafici e tabelle: quando necessario, a compendio di alcune schede, sono state riportate tabelle illustrative o riepilogative o grafici riportanti i risultati di esperienze-tipo. Tali grafici sono stati tutti effettuati al computer utilizzando dei fogli elettronici. Questo lavoro arriva alla quarta revisione, migliorata sotto il profilo grafico, rivista in molte parti e con l'aggiunta di nuove esperienze. In attesa di una più completa revisione ed aggiornamento con nueve esperienze, ho ritenuto utile tradurre il lavoro in HTML al fine di poterlo pubblicare nel Web. Questo straordinario medium ha fatto sì che migliaia di interessati hanno potuto consultare ed utilizzare queste pagine. Tutte le esperienze sono state ulteriormente testate durante gli anni scolastici 1994/1995 e seguenti nel corso di chimica del biennio geometri dell'istituto tecnico statale commerciale e per geometri In memoria dei morti per la patria di Chiavari, oltre che da Colleghi in altre scuole. Ritengo, tuttavia, che questo lavoro abbia ancora lacune e sarò grato a coloro che vorranno segnalarmele: provvederò alle necessarie correzioni nelle prossime stesure.. Soddisfazione per questo lavoro mi è giunta dai discenti che hanno apprezzato, con il loro interesse, la possibilità di verificare sperimentalmente molte delle cose apprese nel corso teorico.

1 Sommario - Le misure fisiche - Gli stati di aggregazione della materia ed i passaggi di stato - La materia: metodi di separazione delle fasi - Studio della fusione e della solidificazione di una sostanza - Determinazione della massa molecolare di un gas in base alla velocità di diffusione - I miscugli ed i composti - Verifica sperimentale della legge di Lavoisier - L'esperienza di Crookes - La spettroscopia - I saggi alla fiamma - La nomenclatura chimica: gli elementi - La nomenclatura chimica: i composti - Misura della pressione atmosferica: il barometro di Torricelli - La legge isoterma dei gas ( legge di Boyle ) - La legge isobara dei gas ( legge di Gay-Lussac ) - La legge isocora dei gas ( legge di Charles ) - Classificazione di alcuni minerali secondo i sette sistemi cristallini - Il legame chimico - Legame ionico e covalente negli alogenuri d'argento - Le soluzioni titolate - Determinazione dell'entalpia in una reazione - Studio della velocità di reazione - Modifiche dell'equilibrio chimico - Verifica dell'equilibrio chimico in una reazione - L'idrolisi salina - La titolazione acido-base - Determinazione della curva di titolazione nella reazione NaOH + HCl - Titolazione di una soluzione di aceto - Determinazione dell'acidità nel succo di limone - Le reazioni chimiche - Le reazioni di complessazione - Reazioni di ossidoriduzione in becker - Le reazioni di ossidoriduzione - Ossidazione e riduzione dell'oro - Il processo alluminotermico - La pila di Daniell - La pila di Leclanchè - L'accumulatore al piombo - L'elettrolisi dell'acqua - L'elettrolisi di una soluzione di ioduro di potassio - L'elettrolisi di un sale fuso - La galvanostegia - La conducibilità elettrica - Influenza della concentrazione di alcuni ioni nella conducibilità di soluzioni - Preparazione dell'ossigeno - Preparazione dell'idrogeno da alluminio in ambiente acido e basico - Preparazione dell'ammoniaca - Preparazione dell'acido cloridrico - Preparazione dell'acido nitrico - Preparazione del carbonato di potassio dalla cenere di legno - Preparazione dell'anidride solforosa e dell'acido solforoso - Preparazione dell'anidride solforica - Preparazione del cloro - Preparazione dell'idrossido di sodio per " caustificazione del carbonato " - Saggi alla perla - Gli alcani - Gli alcheni - Gli alchini - Gli idrocarburi aromatici - Gli alcooli - Gli acidi carbossilici - Le aldeidi ed i chetoni - Gli esteri - Determinazione dell'acidità dell'olio di oliva - I carboidrati - Le proteine

2 Le misure fisiche Riga millimetrata - Calibro a nonio - Calibro di Palmer - Bilancia analitica - Bilancia tecnica - Pesiera -Burette da 50 ml - Palloni tarati - Cilindri graduati - Sferetta in acciaio Ø 0.5 cm circa - Cilindretti di zinco o di altro metallo - Sale da cucina. Richiami teorici: 1 - Le misure: Misurare una grandezza significa attribuire ad essa un valore numerico. Le misurazioni sono di due tipi: 1.1 - Misurazioni dirette: Quelle nelle quali si confronta la grandezza di un oggetto con una appropriata unità di misura. Sono di questo tipo, ad esempio, le misure di lunghezza effettuate con un metro e le misure di massa effettuate su una bilancia tecnica a due piatti e bracci eguali, utilizzando delle masse campioni. La precisione dipende dalla rappresentatività del campione e dall'accuratezza delle esecuzioni. 1.2 - Misurazioni indirette: Quelle nelle quali la misura di una grandezza si ricava da misure di altre grandezze. E' di questo tipo, ad esempio, la misura della densità che si ricava dal rapporto tra la misura della massa e la misura del volume ( d = m / V ). 2 - Gli strumenti: Le misurazioni possono essere effettuate utilizzando due tipi di strumenti: gli strumenti tarati e gli strumenti graduati. 2.1 - Strumenti tarati: Sono, per lo più, vasi in vetro per misure di capacità dei liquidi ; riportano una o due tacche rappresentanti i limiti di riempimento del liquido per avere ad una data temperatura, di solito 20 C, una quantità precisa dello stesso, pari a quella riportata sullo strumento stesso. A causa della dilatazione del vetro questi strumenti, come tutti gli altri dello stesso materiale ( vedere oltre ) garantiscono precisione elevata solo alla temperatura indicata. Sono strumenti tarati le pipette e i palloni tarati. 2.2 - Strumenti graduati: Vasi, per lo più in vetro o materiale plastico, a forma regolare riportanti una scala graduata suddivisa in sottomultipli dell'unità di misura. Questa scala permette letture intermedie molto precise. Si utilizzano per le misure dei volumi dei liquidi pipette, cilindri o bicchieri graduati, nei quali sono riportati come unità di misura il cm 3 ( o il ml ) ed i suoi sottomultipli ( o multipli ). Anche il termometro, utilizzato per misurare la temperatura di un corpo, o le aste graduate ed i metri per le misure di lunghezza sono strumenti graduati. 3 - Gli errori: Effettuando misurazioni fisiche è praticamente impossibile non commettere errori. Questi debbono essere considerati da chi esegue la misura. Gli errori sono di due tipi: 3.1 - Errori accidentali: Errori variabili, attribuibili all'esecutore, quali le errate letture di uno strumento. Si tratta di errori eliminabili con una maggiore attenzione. 3.2 - Errori sistematici: Errori non eliminabili anche dal più attento esecutore, in quanto sono dovuti alla imprecisione delle scale degli strumenti o al modo di usarli. Questi errori devono essere, tuttavia, considerati e valutati. Per questo è necessario ripetere più volte la misura, annotando i valori trovati e considerando come misura attendibile la media dei valori trovati.

Si debba, ad esempio, trovare la massa ( m ) di un campione utilizzando una bilancia tecnica a due piatti e masse campione. Si effettuano n pesate trovando n valori chiamati m 1, m 2, m 3,..., m n. Si ha: m = m 1 m 2 m 3... m n n Per errore assoluto ( e a ) si indica la semi differenza tra il valore massimo ( M ) ed il valore minimo ( m ) ottenuti: M n ea 2 Per errore relativo si intende il rapporto percentuale esistente tra l'errore assoluto e la grandezza misurata. Nel caso di misurazioni indirette bisogna tener conto degli errori di ogni singola misurazione. 3 4 - L'approssimazione: Nei calcoli delle misure è necessario avere un corretto criterio di approssimazione specie se si utilizza una calcolatrice. Tale criterio può essere, ad esempio, quello che impone la riduzione del numero delle cifre a quelle dette " cifre significative ". Ad esempio, dovendo misurare la densità di un corpo avente m = 6.6 g. e v = 0.9 cm 3 si ottiene un valore di 7.3333333. E' evidente che il quoziente non può essere più preciso di dividendo e divisore, per cui è sufficiente indicare la prima cifra decimale con le regole di approssimazione. Il risultato sarà pertanto =7.3 e sarà detto " a 2 cifre significative ". Con il Sistema Internazionale ( S.I. ) sono stati introdotti dei prefissi corrispondenti a multipli e sottomultipli, applicabili a tutte le unità di misura. Per ogni più precisa trattazione si rimanda ad un qualsiasi testo di fisica. Parte prima: le misure di lunghezza: La lunghezza è una grandezza fisica fondamentale del Sistema Internazionale ( S.I. ), la cui unità di misura è il metro ( m ). E' una proprietà estensiva della materia, dipendente, cioè, dalla quantità di quest'ultima e, correntemente, è intesa come la dimensione orizzontale più estesa di un corpo. Si procede alla misura della lunghezza di alcuni oggetti d'uso comune, utilizzando prima la riga millimetrata ed annotando i risultati; con tale metodo l'accuratezza delle misure è di circa ± 1 mm. Disponendo di calibri è possibile effettuare letture più accurate di oggetti piccoli. Il calibro a nonio o ventesimale è costituito da un'asta graduata con un'estremità piegata a becco e da un corsoio, recante anch'esso un becco. Il corsoio può essere bloccato nella sua corsa da un sistema a pressione. L'asta presenta una scala millimetrata lunga, di solito 20 cm; il corsoio porta un nonio ventesimale, ovvero con 20 divisioni per un totale di 19 mm. L'oggetto da misurare si pone tra i due becchi che vengono stretti senza sforzo; la dimensione si legge sulla scala millimetrata dell'asta, in corrispondenza del riferimento posto sulla parte superiore del corsoio. Se la divisione dell'asta non corrisponde perfettamente al riferimento, si osserva sul nonio quale divisione ventesimale sia perfettamente collimata con una divisione dell'asta e tale valore, in ventesimi di mm, si aggiunge alla misura principale. Supponiamo, ad esempio, di voler misurare il diametro di una sferetta di acciaio e di leggere sull'asta una dimensione di 22 mm; tale valore non è, però, perfettamente coincidente con il riferimento. Sul nonio si osserva perfetta coincidenza tra la quarta divisione ed uno dei valori segnati sull'asta: per questo si aggiungono ai 22 mm 4/20 di mm ( ovvero 0.2 mm ). La dimensione esatta dell'oggetto è, quindi di 22.2 mm. Il micrometro di Palmer ( detto anche palmer ) può effettuare misure di lunghezza con precisione del centesimo di millimetro. Lo strumento è formato da una parte fissa a forma di U, detta arco e da una mobile cilindrica con una filettatura che si avvita all'arco. La parte mobile presenta una vite micrometrica ed un tamburo graduato ad essa solidale. La vite micrometrica riporta incisa una scala di 50 divisioni; sulla parte mobile è riportata la scala principale di riferimento con suddivisioni di 0.5 mm ed una linea detta " linea di fede ".

Si misura, ad esempio, il diametro della sferetta in acciaio ponendola all'interno dell'arco e la si comprende con la parte mobile, senza schiacciarla, agendo sull'apposita frizione; si rileva la misura in millimetri sulla scala di riferimento, 22 mm; si procede, quindi, alla lettura micrometrica osservando quale divisione della vite micrometrica collima con la linea di fede. Se, ad esempio, il valore è di 24, questo va addizionato al valore di 22, per un totale di 37.24 mm. Parte seconda: Misure di volumi: Il volume è una grandezza fisica derivata ed indica lo spazio occupato da un corpo. E' anch'essa una proprietà estensiva e la sua unità di misura nel S.I. è il metro cubo ( m 3 ). Per i fluidi è possibile utilizzare una unità non S.I., il litro ( L ) che corrisponde ad 1 decimetro cubo ( 1 L = 1 dm 3 ) ed i suoi sottomultipli, il centilitro ( cl, 1 cl = 10 cm 3 ) e, soprattutto, il millilitro ( ml, 1 ml = 1 cm 3 ). Per oggetti rappresentanti dei solidi geometricamente regolari è possibile la misura del volume utilizzando le relative formule, partendo dalla misurazione di uno dei parametri ( es. lato, diametro, etc. ). Per i liquidi si utilizzano recipienti tarati ( cilindri, palloni, pipette, burette, etc. ) tenendo conto delle norme per un corretto rilevamento dei valori ( collimazione, temperatura d'uso, tolleranza ). Per solidi geometricamente irregolari si può procedere all'immersione degli stessi, se la loro costituzione lo permette, in idonei cilindri graduati, nei quali sia stata versata acqua fino ad un livello intermedio, di solito una tacca indicante una decina di ml osservando l'incremento del livello del liquido e sottraendo a questo la quantità iniziale dell'acqua. Si prende un cilindro graduato da 100 ml e lo si riempie di acqua fino alla tacca di 50 ml; si immerge con cura l'oggetto da misurare, una piccola pietra, e si osserva che il livello è salito fino a 75 ml: questo significa che il volume della pietra è di 25 cm 3 ( 75-50 = 25 ; 1 ml di acqua = 1 cm 3!! ). Parte terza: Misure di masse: Giova ricordare i concetti di massa e peso. Per massa si intende la quantità di materia; è per questo da considerarsi una proprietà estensiva della materia. L'unità di misura SI è il kilogrammo ( kg ). La massa è misurata con bilance attraverso il riferimento a masse campioni. Per peso si intende la forza con la quale un corpo è attratto dalla terra; l'unità di misura del sistema SI è il newton ( N ), ovvero la forza che imprime ad un corpo avente la massa di 1kg l'accelerazione di 1m/s 2. La forza peso ha la direzione dell'accelerazione di caduta ( o di gravità g ) ed è diretta verso il centro della terra. Essa è direttamente proporzionale alla massa del corpo e la costante di proporzionalità è l'accelerazione di gravità ( g ) che, in un dato luogo, è la stessa per tutti i corpi. L'espressione della forza peso è, pertanto, F = m g ed il valore dell'accelerazione è g = 9.8 m/s 2. La misura delle masse può essere effettuata con un dinamometro. Gli allungamenti della molla, considerando costante g, risultano proporzionali alle masse. La massa si ottiene, per via analitica, con l'espressione m = F / g. La massatura di un oggetto può essere più semplicemente effettuata utilizzando bilance tecniche a due piatti, ponendolo in un piatto, solitamente il sinistro, e ponendo nell'altro masse campioni fino al raggiungimento dell'equilibrio. La sensibilità di tali misure può arrivare ad 1 mg. Attualmente nella pratica di laboratorio chimico si utilizzano bilance analitiche monopiatto con metodo a sostituzione ed indicatore ottico o digitale. La sensibilità di tali bilance arriva a 0.01 mg. Si procede alla massatura, utilizzando la bilancia tecnica o la bilancia analitica della pietra di cui sopra di cui sopra, si riportano sul quaderno di esercitazione i valori ottenuti nelle due modalità confrontandoli in modo da evidenziare le diverse sensibilità degli strumenti. 4 Parte quarta: Misure di densità: Per densità ( ) si intende il rapporto tra la massa ( m ) ed il volume ( V ) ; si tratta di una proprietà intensiva, non dipendente cioè dalla quantità di materia, ed è caratteristica di ogni sostanza. La misurazione della densità di un corpo solido può essere facilmente effettuata, come già accennato, per via indiretta; si misura il volume per via geometrica o per immersione in un recipiente graduato contenente un liquido e la massa con una adeguata bilancia. Unità di misura della densità nel S.I. è il kg / m 3. 4.1 - Misura della densità di campioni di un metallo:

Si vuole misurare la densità di tre cilindretti di metallo. Si riempie di acqua una buretta da 50 ml fino ad una tacca intermedia ( ad es. 30 ml ) e si immerge, con cautela, il cilindretto di metallo più piccolo; si annota l'incremento del livello del liquido, incremento che, espresso in cm 3 e decimi, corrisponde al volume del cilindretto. Si procede allo stesso modo per gli altri due cilindretti annotando i rispettivi valori. Si asciugano i tre cilindretti e si passa alla loro massatura su bilancia analitica o tecnica, mantenendo l'accuratezza non inferiore al milligrammo. Con i valori rilevati si ricavano le densità dei singoli cilindretti metallici, secondo la formula d = m / V. I valori trovati devono essere quasi identici, nei limiti dell'errore sperimentale, a dimostrazione che si trattava di un unico metallo, lo zinco, e che la densità è una proprietà costante per ogni tipo di materia. 4.2 - Misura della densità di un liquido: La densità dei liquidi può essere misurata con i densimetri o areometri, apparecchi in vetro formati da un galleggiante zavorrato da pallini di piombo, da un asta graduata per la densità e da un termometro. I densimetri si basano sul principio di Archimede, poiché immersi in un liquido ricevono una spinta dal basso all'alto proporzionale al volume della parte immersa e alla densità del liquido, ovvero alla massa del liquido spostato. Questi apparecchi sono tarati per operare a temperature che devono essere rispettate, a meno di non operare le relative correzioni. La scala delle densità può essere espressa in g / cm 3 oppure in altre unità come, ad esempio, i gradi Baumè ( Bè ). La scala Baumè parte dal valore = 0 corrispondente alla densità dell'acqua distillata. Si riempie un cilindro di vetro da 1000 ml fino a 5 cm dal bordo con dell'acqua distillata; si immerge il densimetro e si osserva a che valore della sua scala graduata corrisponde il livello dell'acqua; Si ritira lo strumento e si versano nell'acqua 200 g circa di sale da cucina ( cloruro di sodio ) agitando con una bacchetta fino a completa soluzione. Si immerge il densimetro e si osserva la variazione di densità del liquido. Misure più accurate di densità possono essere effettuate con strumenti specifici molto precisi, ma di uso senza dubbio più complicato. Sono di questo tipo, ad esempio, i picnometri e la bilancia idrostatica di Mohr-Westphal. 5 Bilancia analitica monopiatto Calibro ventesimale Gli stati di aggregazione della materia ed i passaggi di stato

Iodio bisublimato - Sodio - Alcool etilico - Ghiaccio - Pompa per vuoto ad acqua - Beuta da vuoto - Tubo in gomma da vuoto - Vetreria. 6 Richiami teorici: Ogni elemento chimico può esistere allo stato gassoso, allo stato liquido e in quello solido. Il passaggio da uno all'altro di questi stati è detto passaggio di stato. La maggior parte degli elementi, in condizioni ambientali, si trova allo stato solido. Fanno eccezione mercurio e bromo che sono allo stato liquido e neon, elio, argon, kripton, xenon, radon, idrogeno, azoto, ossigeno, fluoro, cloro che sono allo stato gassoso. Variando la temperatura oppure la pressione ( o entrambe ), ogni elemento può mutare il suo stato fondamentale. Aumentando la temperatura e diminuendo la pressione si ottiene, di regola, un passaggio solido liquido gassoso. Ovviamente il percorso inverso lo si ottiene diminuendo la temperatura ed aumentando la pressione. Stato solido: le particelle costituenti la materia sono strettamente unite una all'altra in modo più o meno geometricamente ordinato. Dette particelle sono dotate di energia propria ed oscillano intorno al proprio punto di applicazione; da questo non possono, però, muoversi in quanto sono circondate da altre particelle. Stato liquido: le particelle hanno una energia cinetica maggiore di quella dello stato solido, possono muoversi disordinatamente ed urtarsi tra loro. Minori rispetto allo stato solido sono le forze coesive, tanto che nell'interfaccia un certo numero di particelle, può sottrarsi del tutto all'attrazione delle altre, passando allo stato gassoso. I liquidi, infatti, esistono sempre in presenza del loro gas. Stato gassoso: le particelle si muovono in maniera caotica e le forze di coesione sono del tutto trascurabili. Esiste un quarto stato di aggregazione, il plasma, che si ha portando un gas a temperature superiori a 5000 C. In tale situazione uno o più elettroni esterni si staccano formando uno ione; il plasma è, quindi, formato da cationi e da elettroni in equilibrio tra loro. Le stelle sono, ad esempio, allo stato di plasma così come lo è la materia presente nei " tubi al neon ". Parte prima: fusione del ghiaccio: Si pone in un becker un cubetto di ghiaccio e si osserva il passaggio ad acqua liquida che avviene a temperatura ambiente ( fusione ). Si sottopone poi il becker a moderato riscaldamento coprendolo con un vetro da orologio; si nota la vaporizzazione dell'acqua. Il vapore d'acqua subito condensa sul fondo del vetro da orologio a causa della temperatura più bassa di questo trasformandosi, nuovamente in acqua allo stato liquido. La solidificazione a ghiaccio implica una ulteriore sottrazione di calore che può essere effettuata solo in un freezer. Parte seconda: sublimazione dello iodio: In un becker perfettamente asciutto si pongono alcuni cristalli di iodio, si copre con un vetro da orologio su cui è posto, come refrigerante, un cubetto di ghiaccio; si sottopone il becker a moderato riscaldamento sul bunsen e si osserva uno svolgimento di vapori rossastri, senza la formazione di liquido ( sublimazione ). Sul fondo del vetro da orologio, a causa della sua temperatura più bassa, si può osservare, dopo pochi secondi, il riformarsi di cristalli grigiastri di iodio, senza passaggio all'intermedio liquido ( brinamento ). Lo iodio brinato sul fondo del vetro da orologio può essere eventualmente riconosciuto con trattamento con un solvente apolare, ad esempio tetracloruro di carbonio che lo scioglierà facilmente con il tipico colore rosso-viola. Parte terza: fusione del sodio: In una provetta si pone un pezzettino di sodio, circa 2-3 grammi, avendo cura di asciugarlo perfettamente dal petrolio della conserva. Si porta la provetta al bunsen fino a completa fusione del metallo, fusione che avviene a circa 98 C. La vaporizzazione del metallo è molto più difficile da ottenere in quanto richiede un riscaldamento a circa 890 C. Parte quarta: influenza della pressione sulla temperatura di ebollizione: Modificando la pressione in cui si opera cambia il punto di ebollizione di un liquido.

Nel caso dell'alcool etilico a pressione ambiente, circa 760 mm di Hg, la temperatura di ebollizione, ovvero di passaggio allo stato gassoso, è di circa 78 C; se si abbassa drasticamente la pressione, utilizzando una beuta da vuoto collegata ad una pompa ad acqua, è possibile causare il passaggio allo stato gassoso col solo calore della mano posta sul fondo della beuta. Si versano nella beuta da vuoto 100 ml circa di alcool etilico commerciale, la si tappa e la si collega tramite un tubo da vuoto alla pompa ad acqua. La pompa deve essere collegata ad un rubinetto di portata adeguata. Facendo defluire l'acqua la pompa inizia a creare una depressione all'interno della beuta; quando la pressione diviene almeno 1/10 di quella ambientale, il solo calore della mano posta sul fondo della beuta risulta sufficiente a portare l'alcool etilico all'ebollizione. 7 Tav. 1 - I passaggi di stato Sublimazione Solido Liquido Gassoso Fusione Evaporazione Solidificazione Condensazion e Brinamento Temperatura ed energia crescenti

1 La materia: metodi di separazione delle fasi Iodio bisublimato - Solfato di rame pentaidrato - Idrossido di bario sol. 0.1 M - Bicromato di potassio - Acido solforico diluito - Tetracloruro di carbonio - Pallone codato - Refrigerante - Termometro con scala 0-200 C - Imbuto separatore - Filtri - Tubi in gomma rossa - Bunsen - Vetreria e sostegni. Richiami teorici: La materia è tutto ciò che possiede una massa ( quantità di materia ). un volume ( spazio occupato ) ed una energia ( resistenza al cambiamento dello stato di quiete o di moto ). Particolari porzioni di materia uniforme, che sia possibile isolare dall'ambiente circostante sono detti sistemi; dal punto di vista tecnico i sistemi possono essere definiti materiali. Una porzione del sistema che sia possibile limitare e che mantenga in ogni suo punto identiche proprietà fisiche è della fase. Dal punto di vista fisico un sistema costituito da una sola fase è detto sistema omogeneo; se costituito da due o più fasi è definito sistema eterogeneo. Le fasi possono essere, allo stesso tempo, chimicamente uguali e fisicamente diverse, come nel caso del miscuglio acqua-ghiaccio; al contrario un sistema può essere fisicamente omogeneo e chimicamente eterogeneo ( es. le soluzioni ). Porzioni di materia che abbiano composizione chimica costante sono dette sostanze pure; sono sostanze pure gli elementi chimici ed i composti. Mescolanze di sostanze pure diverse formano i miscugli ( miscele ); le sostanze formanti i miscugli possono trovarsi nello stesso stato di aggregazione o in stati di aggregazione diversi. Si distinguono miscugli eterogenei e miscugli omogenei. I miscugli eterogenei presentano i componenti distinguibili in due o più fasi, in rapporti massali altamente variabili e che mantengono le caratteristiche originarie. I miscugli eterogenei formati da solidi e da liquidi sono detti sospensioni ( es. latte, acqua-fango ); quelli costituiti da liquidi non miscibili si chiamano emulsioni ( es. acqua-olio, acqua-benzina ). I miscugli omogenei, comunemente detti soluzioni, hanno i componenti non più distinguibili, in quanto mescolati anche su scala atomica, che pur mantengono inalterate molte delle proprietà originarie. La separazione dei componenti è molto più semplice nel caso dei miscugli eterogenei, per i quali sono sufficienti metodi semplici quali la decantazione, la filtrazione o la centrifugazione basati sulla diversa dimensione, stato fisico e densità dei componenti. Nel caso dei miscugli omogenei è necessario utilizzare metodiche più impegnative quali l'evaporazione del solvente, la distillazione, entrambe basate sulla differente volatilità dei componenti, l'estrazione con solvente, basata sulla maggiore affinità di quest'ultimo con un componente della miscela, o la cromatografia, basata sulla differente velocità con cui un solvente trasporta, per azione capillare attraverso un strato di materiale inerte, i vari componenti della miscela. Parte prima: cristallizzazione di un sale: In un becker da 250 ml si versano 100 ml circa di acqua distillata; in essa si mettono 60 g di solfato di rame pentaidrato commerciale, CuSO 4 5H 2 O, ridotto in minuti cristalli in un mortaio. Si agita con una bacchetta di vetro per favorire la solubilizzazione e si pone il becker su un treppiede con reticella ceramica sotto il quale si accende un bunsen. Si riscalda blandamente fino a circa 60 C con continua agitazione e fino a totale solubilizzazione del sale; si continua, quindi, il riscaldamento, a temperatura non superiore ad 80 C, fino a riduzione del volume ad 1/3. Si toglie il becker dal fuoco e lo si ripone in luogo tranquillo; dopo circa 15 minuti di raffreddamento si nota il depositarsi di cristalli azzurri sul fondo. Si toglie, quindi, con cautela la soluzione eccedente e si lascia essiccare per 24 ore. Dopo l'essiccazione si potrà osservare la perfetta struttura dei cristalli.

In alternativa, o a complemento, è possibile coltivare nella soluzione soprasatura preparata un germe cristallino; all'uopo si lega un cristallo regolare di circa 1.5 cm di dimensioni con un filo sottile e lo si sospende ad una bacchetta di vetro, posta trasversalmente alla bocca del becker, in modo che sia immerso nella soluzione senza toccare né fondo né pareti. In poche ore il germe si accrescerà secondo la sua struttura cristallina. Parte seconda: separazione meccanica di un solido da un liquido: La separazione meccanica di un solido da un liquido, ad esempio di un precipitato in acqua, può essere effettuata in vari modi. I più consueti sono la decantazione, la filtrazione e la centrifugazione. In tutte le metodiche si può usare un precipitato preparato, ad es. con la reazione: Ba(OH) 2 + H 2 SO 4 BaSO 4 + 2H 2 O. Si versano in 2 provette ed in una provetta da centrifuga 5 ml circa di idrossido di bario sol. 0.1M ed a ciascuna si aggiungono 5 o 6 gocce di acido solforico diluito; immediatamente si forma il precipitato biancastro di solfato di bario. Decantazione: si pone una delle due provetta in un portaprovette e dopo pochi minuti può osservarsi il deposito per gravità del precipitato sul fondo e lo schiarimento dell'acqua. Il sopranatante può essere rimosso aspirandolo con una pipetta. Filtrazione: si prepara un filtro rotondo piegandolo i quattro e lo si dispone in un imbutino; si bagna la carta facendola aderire perfettamente alle pareti dell'imbuto e si mette quest'ultimo su idoneo sostegno, sotto il quale è posto un beckerino. Si agita la seconda delle provette per rimescolare il precipitato e l'acqua e si versa il tutto nell'imbuto; in pochi minuti la filtrazione ha termine, per cui si rimuove il filtro, lo si apre e lo si pone ad essiccare in stufa o in luogo riparato ed asciutto. Al termine di questa operazione si recupera il precipitato di solfato di bario perfettamente asciutto. E' possibile, eventualmente, effettuare l'operazione utilizzando un filtro a pieghe che ha il vantaggio di una maggior rapidità di filtrazione. Centrifugazione: si prende la provetta da centrifuga, la si agita per mescolare il precipitato alla fase acquosa e la si pone in uno dei fori della centrifuga; nel foro opposto si pone una provetta con acqua per bilanciare il cestello. Si accende l'apparecchio e lo si fa girare per circa 20 secondi; lo si spegne, si attende che il cestello si fermi e si estrae la provetta. Si osserva il precipitato ben depositato sul fondo. 2 Parte terza: estrazione con solvente: In 50 ml di acqua distillata, versati in un becker, si fanno sciogliere pochi cristalli di iodio, fino a formazione di una soluzione debolmente gialla. Si versa la soluzione, trattenendo eventuali cristalli non sciolti, in un imbuto separatore da 250 ml, col rubinetto chiuso, e si aggiungono 30/40 ml di tetracloruro di carbonio. Si tappa l'imbuto, si agita con vigore per alcuni secondi e si pone l'apparecchio su idoneo sostegno. Subito si nota che il tetracloruro di carbonio si colora di viola, mentre l'acqua tende a schiarirsi. Il CCl 4 è, infatti, un solvente selettivo per lo iodio per cui lo sequestra all'acqua. A causa della immiscibilità dei due liquidi e della maggior densità del tetracloruro ( d=1.59 ), le due fasi risulteranno ben distinte, lo strato inferiore il tetracloruro e quello superiore l'acqua. Si lascia riposare per alcuni minuti e si procede, quindi, al gocciolamento del tetracloruro di carbonio attraverso il rubinetto inferiore. L'estrazione dovrebbe essere ripetuta più volte con solvente fresco. Nota operativa: in mancanza di tetracloruro di carbonio si può utilizzare del benzene o, al limite, della benzina, con l'avvertenza che per la loro minore densità le fasi risulteranno invertite. Parte quarta: distillazione: Si monta il sistema di distillazione collegando il pallone codato al refrigerante in modo opportuno. Si fissa il tutto a due supporti con pinze e si pone il pallone sul treppiede del bunsen, avendo cura di interporre una reticella amiantata. Si collega al beccuccio inferiore del refrigerante il tubo di carico dell'acqua ed a quello superiore il tubo di scarico; si connettono detti tubi al sistema idrico del laboratorio facendo scorrere un piccolo flusso d'acqua fredda. Si verifica la stabilità dell'impianto. Si pongono nel pallone, utilizzando un imbuto adeguato, circa 200 ml di acqua nella quale è stata precedentemente sciolta una punta di spatola di bicromato di potassio. Si aggiungono alla soluzione una decina di palline di vetro per favorire il rimescolamento durante l'ebollizione.

3 Dopo questa operazione si tappa il foro del pallone con un tappo in gomma nel quale è stato inserito il termometro, avendo cura di far giungere il bulbo dello stesso all'altezza della codatura. Si pone una beuta all'uscita del refrigerante per raccogliere il distillato e si colloca il bunsen sotto il treppiede, accendendo la fiamma. Dopo alcuni minuti la soluzione giunge al punto di ebollizione; è possibile leggere sul termometro un valore di temperatura di 100 C ( ±1 C ). Il vapor d'acqua inizia a condensarsi sul refrigerante e, quindi a cadere nella beuta, sotto forma di acqua distillata del tutto incolore. La distillazione ha provocato la separazione del soluto K 2 Cr 2 O 7 dal solvente acqua. Continuando nella distillazione si osserva un progressivo inscurimento della soluzione ancora da distillare per l'ovvio aumento di concentrazione del soluto. Portando ad estreme conseguenze l'operazione con la distillazione di tutto il solvente acqua, nel pallone non resteranno che cristalli di bicromato di potassio. Nota operativa: in luogo del bicromato di potassio può essere utilizzato un qualsiasi sale che dia soluzione colorata ( es. sali di rame, sali di ferro II ). Si sconsiglia l'uso del permanganato di potassio in quanto i suoi residui possono incrostare il pallone e sono difficili da eliminare.

4 Studio della fusione e della solidificazione di una sostanza Tiosolfato di sodio - Termometro 0-100 C, div. 0.1 C - Cronometro - Bunsen - Sostegni - Vetreria. Scopo dell'esperienza è lo studio analitico della fusione e della solidificazione di una sostanza e la graficazione dei risultati ottenuti. Si utilizza il tiosolfato di sodio ( Na 2 S 2 O 3 5H 2 O ) per il suo basso punto di fusione, 47.5 C. Parte prima: fusione: Si riempe a metà un provettone con il tiosolfato di sodio e nel sale si immerge completamente il bulbo del termometro; si fissa il termometro con un sostegno, in modo che il bulbo non possa toccare le pareti del provettone, si immerge questo in un becker da 800 ml pieno di acqua, sospendendolo con altro idoneo sostegno. Si pone il tutto su un treppiede con reticella amiantata posto sopra un bunsen, si accende questo con fiamma bassa, portando il sale alla temperatura di 40 C. Giunti a questo valore si fa partire il cronometro, si agita costantemente l'acqua con una bacchetta e si rileva la temperatura ad intervalli di 30 secondi, annotandola sul foglio di esercitazione. Arrivati ad una temperatura di 60 C si spegne il bunsen e si procede alla seconda parte dell'esperienza. Parte seconda: solidificazione: Si procede esattamente come nella prima parte, facendo partire il cronometro quando il termometro indica che il tiosolfato fuso ha una temperatura di 60 C, ed effettuando rilevazioni ogni 30 secondi, fino a che la massa del sale non avrà raggiunto una temperatura di circa 30-35 C. Si annotano anche questi valori sul foglio di esercitazione. Parte terza: graficazione dei risultati: Si prendono i risultati dell'esperienza di fusione e si riportano nelle ascisse di un grafico cartesiano i valori del tempo trascorso e nelle ordinate i valori delle temperature raggiunte dal sale. Si osserva che nel grafico la temperatura sale rapidamente, ma presenta una sosta, con appiattimento del grafico, in corrispondenza del valore di 47.5 C ; in questo punto, infatti, pur continuando a somministrare calore, la temperatura resta costante. Infatti coesistono ancora gli stati solido e liquido e l'energia fornita serve a rompere le forze che formano il reticolo cristallino del sale; questa parte del grafico corrisponde alla sosta termica. Non appena tutto il tiosolfato di sodio si è liquefatto, la temperatura riprende a salire e con essa la curva del grafico. Si prendono, infine, i valori dell'esperienza di solidificazione e si trattano in modo eguale; il grafico risultante è esattamemte il contrario del precedente, o, meglio, ne è l'immagine speculare; anche questo grafico presenta, al valore di 47.5 C la sosta termica durante la quale l'energia termica ceduta dal sale fuso serve per riorganizzare il reticolo cristallino. Nota operativa: per una buona riuscita dell'esperienza è necessario che termometro, provettone e becker siano assicurati in modo tale da non venire direttamente a contatto, che il riscaldamento sia lento e costante e che le letture siano tempestive e precise. Al posto del bunsen si può utilizzare una piastra riscaldante elettrica. Determinazione della massa molecolare di un gas in base alla velocità di diffusione

5 Tubo in vetro Ø 10 mm. lungh. 50 cm. ca. - Acido cloridrico sol. 37 % - Idrossido di ammonio sol. 25 % - Cotone - Tappi in gomma - Riga millimetrata - Cronometro. Richiami teorici: Intorno al 1850 Thomas Graham enunciò la seguente legge " Le velocità di diffusione di due gas, ad identiche condizioni di temperatura e pressione, sono inversamente proporzionali alle radici quadrate delle loro densità ": v 1 : v 2 = : ove v 1 = velocità gas n.1, v 2 = velocità gas n.2 1 = densità gas n.1, 2 = densità gas n.2 Dalla legge di Avogadro si deduce, poi, che le densità dei gas sono in rapporti identici a quelli delle masse molecolari relative ( m.m.r. ), per cui si ha: v : v = m.m.r : m.m.r 1 2 2 1 (1) Poichè v = d/t ( d = distanza, t = tempo ), conoscendo le distanze percorse dai gas ed il tempo impiegato si può facilmente ricavare detta velocità di diffusione. Conoscendo, poi, la m.m.r. di uno dei gas impiegati si può ricavare la m.m.r. del secondo. Nel caso in esperimento si vuole determinare la m.m.r. dell'ammoniaca, data come incognita, misurando la sua velocità di diffusione e ponendola in rapporto con quella dell'acido cloridrico data per nota ( m.m.r. HCl = 36.46 ). Si monta in orrizzontale, su idoneo supporto, il tubo di vetro, aperto alle due estremità; si imbevono completamente due batuffoli di ovatta di cotone, uno con acido cloridrico sol. 37 %, l'altro con idrossido di ammonio sol. 25 %. Con l'aiuto di due pinzette si inseriscono contemporaneamente i batuffoli uno per estremità, tappando velocemente; allo stesso tempo un'altra persona fa partire il cronometro. I gas dalle soluzioni diffondono verso il centro del tubo e quando giungono a contatto reagiscono formando un anello biancastro, ben visibile sulla parete, di cloruro di ammonio, secondo la reazione: NH 3 H 2 O + HCl NH 4 Cl + H 2 O ; a questo punto si ferma il cronometro, si annota il tempo in secondi trascorso e si misurano le distanze in centimetri tra l'anello e le due estremità del tubo. Siano, ad esempio, trascorsi 180 secondi per la formazione dell'anello, la distanza percorsa dall'acido cloridrico sia di 19.1 cm e quella percorsa dall'ammoniaca sia di 27.5 cm. Ricaviamo le velocità ( v = d/t ): v HCl = 0.106 cm/s v NH3 = 0.155 cm/s. Applichiamo la (1): 0.106 : 0.155 = x : 36.46 ovvero, estraendo le radici : 0.106 : 0.155 = x : 6.03 x = 4.123, da cui : x 2 = 16.99 m.m.r. di NH 3 Nei limiti dell'errore sperimentale il valore rilevato può considerarsi corretto, la m.m.r. dell'ammoniaca è infatti = 17.03. I miscugli ed i composti

6 Zolfo in polvere - Ferro limatura - Acido cloridrico sol. 1:3 - Solfuro di carbonio - Calamita - Mortaio - Vetreria. Richiami teorici: Per miscuglio si intende un insieme di sostanze che mantengono inalterate le loro caratteristiche originarie e che sono separabili con mezzi fisici semplici. Per composto si intende una sostanza con caratteristiche proprie che differiscono da quelle delle sostanze che lo hanno originato. Le sostanze originarie, elementi, sono sempre in rapporto costante. E' possibile ricavare gli elementi da un composto solo utilizzando dei sistemi chimico-fisici complessi ( es. elettrolisi ). Parte prima: analisi dei comportamenti chimico-fisici dei reagenti: Si dispone su un vetro da orologio una piccola quantità di limatura di ferro. Su un secondo vetro da orologio se ne dispone una di polvere di zolfo. Si osservano i diversi colori delle sostanze. Avvicinando una calamita alle due sostanze si osserva che il ferro risente del campo magnetico essendo attratto dalla calamita. Diversamente lo zolfo non è attratto e, quindi, non risente della vicinanza di un campo magnetico. Si recupera il ferro che aderisce alla calamita ponendolo in una provetta. In una seconda provetta si mette una piccola spatolata di polvere di zolfo. Si aggiungono ad entrambe 2 ml circa di acido cloridrico sol. 1:3. Si osserva che il ferro si consuma rapidamente con formazione di una soluzione di colore grigiastro, e sviluppo imponente di gas, secondo la reazione: Fe + 2HCl FeCl 2 + H 2 Nella seconda provetta si nota, invece, che lo zolfo non si è sciolto e che una parte galleggia alla superficie: non è avvenuta, infatti, alcuna reazione. In altre due provette si pongono un paio di ml di solfuro di carbonio; si pone una punta di spatola di polvere di ferro in una delle due provette e nella seconda una simile quantità di zolfo ; si osserva che il ferro non dà alcuna reazione con il solfuro di carbonio, mentre lo zolfo rapidamente si solubilizza, dando una soluzione debolmente gialla. Parte seconda : formazione del miscuglio ed analisi del suo comportamento: Si pesano 5.6 g. di limatura di ferro e 3.2 g. di polvere di zolfo; si pongono i due elementi in un piccolo mortaio o in un crogiolo mescolando e pestando la massa, fino ad ottenere una polvere uniforme di colore grigio chiaro; si suddivide il tutto in tre parti. Si osserva il colore assunto dal miscuglio comparandolo a quello degli elementi. Si prende la prima ponendola su un vetro da orologio avvicinando ad essa una calamita. Si osserva la separazione della polvere di ferro che aderisce alla calamita risentendo del campo magnetico; nel vetro resta solo la polvere di zolfo. Si prende la seconda parte di polvere e la si pone in una provetta aggiungendo 2 ml circa di acido cloridrico sol. 1:3. Si nota che il ferro reagisce colorando la soluzione di giallo-bruno, mentre lo zolfo resta inalterato, tendendo a disporsi alla superficie. La reazione che avviene può essere così descritta: (Fe + S) + 2HCl FeCl 2 + H 2 + S

Infine, si pone la terza aliquota in una provetta contenente 1 o 2 ml di solfuro di carbonio. Si nota che lo zolfo si scioglie completamente, ingiallendo la soluzione, mentre il ferro non dà alcuna reazione, depositandosi sul fondo. Le prove sopra effettuate indicano chiaramente che ci troviamo di fronte ad un miscuglio. 7 Parte terza: formazione del composto ed analisi del suo comportamento: Si prepara un miscuglio come nella fase precedente, avendo l'accortezza di aggiungere un eccesso di zolfo, circa 1 o 2 g ( vedere nota operativa ) e lo si pone in un tubo da saggio asciutto. Si avvicina il tubo alla fiamma di un bunsen, tenendolo con una pinza, e lo si arroventa gradualmente; dopo di ciò si lascia raffreddare il tutto per alcuni istanti e si rompe il vetro recuperando la massa di colore scuro che si è formata. Si osserva l aspetto ed il colore, comparandoli a quelli degli elementi originari. Si raccoglie la stessa nel mortaio, la si riduce in polvere e la si suddivide in tre parti. Si pone la prima parte su un vetro da orologio, avvicinando la calamita; non si nota alcuna influenza del campo magnetico. Si pone la seconda parte in una provetta e la si fa reagire con l'acido cloridrico; si verifica una reazione chimica con produzione di un gas dall'odore di uova marce, l'acido solfidrico ed il progressivo inscurimento della soluzione, secondo la reazione: FeS + 2HCl FeCl 2 + H 2 S Si pone, per ultimo, la restante parte in una provetta contenente 1 o 2 ml di solfuro di carbonio, osservando che nessun fenomeno chimico-fisico ha luogo. Questi fatti indicano chiaramente un comportamento chimico diverso da quello degli elementi di origine e, quindi, l'avvenuta formazione di un composto, il solfuro di ferro II, secondo la reazione: T Fe + S FeS Nota operativa: la formazione del solfuro di ferro, affinché esso abbia le descritte caratteristiche, deve avvenire con un completo arroventamento. Poiché lo zolfo tende a fondere e ad evaporare è necessario operare con eccesso dello stesso. In caso contrario parte del ferro non reagisce conferendo al composto una relativa capacità a risentire del magnetismo. Prestare molta attenzione nell'uso del solfuro di carbonio, evitando di avvicinarlo a fiamme; se possibile operare sotto cappa.

1 Verifica sperimentale della legge di Lavoisier Cloruro di bario - Solfato di sodio Carbonato di calcio in polvere - Acido cloridrico sol. 37 % - Bilancia analitica - Tappi in gomma - Vetreria. Richiami teorici: Nel 1775 Antoine Lavoisier con i suoi esperimenti osservò che " in una reazione chimica che avvenga in un sistema chiuso la massa delle sostanze reagenti è uguale alla massa dei prodotti di reazione ". Quanto enunciato è detta, appunto, legge di Lavoisier o legge della conservazione della massa. Per verificare sperimentalmente quanto sopra sono proposte due semplici reazioni chimiche, una con formazione di un precipitato ed una con sviluppo di un gas; per ottenere risultati confortanti è necessario procedere a massature su bilancia analitica avente accuratezza di almeno 0.01 g. Parte prima: reazione di formazione di un precipitato: Si preparano due provette ben pulite ed asciutte; in una si pone una punta di spatola di cloruro di bario ( BaCl 2 ) e nell'altra altrettanto solfato di sodio ( Na 2 SO 4 ). A ciascuna, con l'aiuto di una pipetta, si aggiungono 5 ml di acqua distillata; si agitano le provette fino a completa solubilizzazione e le si dispongono in un becker da 400 ml perfettamente pulito ed asciutto. Si porta il sistema sul piatto della bilancia e si procede a massatura, con accuratezza di almeno 0.01 g, annotando il valore ottenuto. Si ritira il tutto dalla bilancia e con cura, evitando ogni possibile fuoriuscita di liquidi, si versa il contenuto di una provetta nell'altra; subito si forma un precipitato bianco, secondo la reazione: BaCl 2 + Na 2 SO 4 2NaCl + BaSO 4 ; a questo punto si dispone nuovamente il becker con le due provette sul piatto della bilancia e si procede a nuova massatura. Se si è agito correttamente la massa dei prodotti di reazione risulta, nei limiti dell'errore sperimentale, eguale a quella dei reagenti, in accordo con la legge di Lavoisier. Parte seconda: reazione con sviluppo di un gas in ambiente aperto: In un becker da 250 ml si pone una spatolata di carbonato di calcio in polvere fine; si aggiungono 10 o 20 ml di acque distillata. In una provetta asciutta si pongono 5 o 6 ml di HCl sol. 37% e si sistema la provetta nel becker. Si porta il sistema sul piatto della bilancia e si procede ad accurata massatura, annotando il valore ottenuto. Si ritira, quindi, il becker dalla bilancia con cura si versa al suo interno il contenuto della provetta; l acido a contatto con il CaCO 3 darà la reazione: CaCO 3 + 2HCl CaCl 2 + CO 2 + H 2 O. L'anidride carbonica che si sviluppa si disperderà nell ambiente, per cui, sottoponendo il tutto a nuova massatura, si ottiene un valore minore a quello iniziale. In questo caso la Legge di Lavoisier non è rispettata, trattandosi di reazione con prodotto gassoso in ambiente aperto.

2 Parte terza: reazione con sviluppo di un gas in ambiente chiuso: In una beuta da 400 ml si pone 1 g di carbonato di calcio in polvere; si prende una provetta che possa essere completamente contenuta nella beuta, ad es. una provetta da centrifuga, e si versa in essa acido cloridrico sol. 37 % fino ad un cm dal bordo. Con l'aiuto di una pinzetta si dispone la provetta in piedi all'interno della beuta e si tappa quest'ultima con idoneo tappo in gomma munito di rubinetto di sicurezza; se disponibile si sigilla con un pezzetto di " parafilm " per garantire la totale ermeticità. Si porta il sistema sul piatto della bilancia e si procede ad accurata massatura, annotando il valore ottenuto. Si ritira, quindi, la beuta dalla bilancia e la si inclina in modo da far uscire l'acido dalla provetta ed entrare in contatto con il CaCO 3 ; la reazione che avviene è, ovviamente, quella descritta nella parte seconda. In questo caso, però, l'anidride carbonica che si sviluppa resta nel sistema chiuso, per cui, sottoponendo il tutto a nuova massatura, si ottiene un valore eguale, nei limiti dell'errore sperimentale, a quello iniziale. In questo caso la massa dei reagenti è uguale a quella dei prodotti di reazione. Nota operativa: le reazioni scelte sono indicative e possono essere sostituite da analoghe. Nella parte terza non superare la quantità indicata di carbonato di calcio, ricordando che 1 g nella reazione indicata produce 0.24 L circa di anidride carbonica; superando tali quantità il tappo della beuta può fuoriuscire per la pressione del gas e ciò può risultare pericoloso.

3 L'esperienza di Crookes Tubo di Crookes con croce di Malta - Tubo di Crookes a mulinello - Tubo di Crookes con fenditura e schermo - Rocchetto di Ruhmkorff con alimentatore c.c. - Cavi di collegamento - Magnete. Richiami teorici: Il tubo di Crookes è formato da un tubo di vetro contenente un gas rarefatto (pressione 10-5 atmosfere); alle sue pareti interne sono saldati due elettrodi metallici collegati ad un elevatore di tensione ( 15000 v ). Le esperienze hanno dimostrato che i raggi che partono dal catodo ( polo negativo ) e vanno verso l'anodo ( polo positivo ) detti raggi catodici sono costituiti da: 1)- piccolissime particelle viaggianti in linea retta ( i corpi interposti danno ombra ). 2)- possiedono una certa massa ( sono capaci di muovere un mulinello a pale ). 3)- hanno carica elettrica negativa ( sono attratte dal polo positivo di un campo elettrico ). 4)- non dipendono né dal tipo di metallo costituente il catodo, né dal tipo di gas contenuto nel tubo ( variando questo le particelle esistono, comunque ). Nel 1897 Thompson riuscì a determinare il rapporto carica/massa di dette particelle, che risulta essere = c/m = 1.759 10 8 coulomb/grammi. r Considerando che queste particelle: 1)- possono provenire o dagli atomi costituenti il catodo o dalle molecole del gas contenuto nel tubo; 2)- non dipendono dal particolare tipo di catodo o di gas impiegati; 3)- possiedono tutte lo stesso rapporto carica / massa; si può concludere che esse sono tutte uguali tra loro e sono presenti in tutti gli atomi. A queste particelle è stato dato il nome di elettroni. La carica, determinata in seguito nel 1906 da Millikan, risulta uguale a 1.602 10-19 coulomb. Conoscendo r ed il valore della carica si può ricavare la massa che risulta uguale a 9.11 10-28 grammi. Si monta il rocchetto ad induzione; si collegano le punte dello spinterometro, tramite due cavi, al tubo con croce di Malta, con il polo negativo all'elettrodo posteriore ed il polo positivo all'elettrodo anteriore. Si chiude l'interruttore dell'alimentatore e si osserva il comparire di una luminescenza verdastra con la croce che forma un'ombra sul fondo del tubo. Quanto osservato depone per un andamento rettilineo, dal catodo all'anodo, della radiazione. Si collega, quindi, il tubo con mulinello; si chiude l'interruttore e si osserva che le pale iniziano a ruotare secondo il verso della radiazione. Questo indica, chiaramente, una natura corpuscolare della radiazione le cui particelle, per poter muovere le pale del mulinello, devono essere dotate di una certa massa. Si collega, infine, il tubo con schermo e fenditura; attraverso questa può passare la radiazione catodica che è evidente come un sottile fascio luminoso sullo schermo. Avvicinando ad esso il polo positivo di un magnete si nota una deflessione della radiazione, che viene attirata. Avvicinando il polo negativo si nota anche in questo caso una deflessione ma con repulsione. L'esperienza indica che le particelle della radiazione catodica hanno carica elettrica e che questa è di segno negativo. Tubi catodici di Crookes

4 La spettroscopia Spettroscopio a reticolo - Spettroscopio tascabile a prisma - Spettroscopio di Kirchoff-Bunsen - Tubi di Plucher - Lampade spettrali di alcuni elementi (es. Na, H 2, Hg, He, Ar, CO 2, Ne) - Alimentatore AT per tubi di Plucher (rocchetto ad induzione) - Alimentatore per lampade spettrali - Sostegni portalampada - Cavi. Richiami teorici: Si ritiene necessario una breve trattazione sulla natura della luce: Le onde: Sono perturbazioni che si propagano in modo periodico nello spazio vuoto od occupato da materia. A seconda del vettore di spostamento si distinguono onde longitudinali ed onde trasversali. Le onde periodiche sono caratterizzate dalle seguenti grandezze: Periodo ( T ): più piccolo intervallo di tempo nel quale un'onda compie un'oscillazione completa ( ciclo ). Frequenza ( ): numero di cicli per secondo. L'unità SI è l'hertz ( Hz ) = 1 ciclo/secondo. La sua espressione è = 1/T. Lunghezza d'onda ( ): distanza percorsa da un'onda in un periodo, ovvero la distanza tra due picchi d'onda. La sua espressione è = T. L'unità di misura SI è il metro ( m ) con i suoi sottomultipli. Ampiezza: massimo spostamento che rispetto alla posizione di riposo subisce un punto qualsiasi dell'onda. Onde elettromagnetiche: Onde trasversali che si propagano in un campo elettromagnetico; il campo elettrico ed il campo magnetico sono ortogonali tra di loro e perpendicolari alla direzione di propagazione dell'onda. La luce come fenomeno ondulatorio: La luce è una radiazione elettromagnetica di natura ondulatoria; può essere considerata anche come energia elettromagnetica, trasferita attraverso lo spazio o la materia per mezzo di onde. La velocità della radiazione elettromagnetica è una costante detta velocità della luce, C = 3.00 10 8 m/s, data dal prodotto della lunghezza d'onda per la frequenza: c =, da cui deriva anche = c /. Tutte le radiazioni elettromagnetiche viaggiano nel vuoto a velocità = c. Spettro elettromagnetico: La radiazione elettromagnetica comprende una vasta gamma di frequenze che costituiscono lo spettro elettromagnetico che è costituto da diversi tipi di radiazioni, certe a frequenza molto bassa come le onde radio ( = 10 4 10 11 Hz ) e le microonde ( = 10 8 10 12 Hz ), altre a frequenza molto alta come i raggi X o i raggi gamma ( < 10 17 Hz ). Solo una piccola parte dello spettro, compresa tra 4.3 10 14 e 7 10 14 Hz può essere percepita dall'occhio umano; questa radiazione è detta spettro visibile ed è costituita dalla serie dei colori che, dalla frequenza più bassa, sono il rosso, l' arancio, il giallo, il verde, il blu ed il violetto. L'insieme dei colori forma la luce bianca. Le frequenze prima del rosso, con = 3 10 14 Hz costituiscono l'infrarosso; quelle oltre il violetto, con = 10 10 14 Hz sono dette ultravioletto. Considerata la relazione = c / è facile comprendere che le lunghezze d'onda diminuiscono all'aumentare delle frequenze. Le lunghezze d'onda dello spettro visibile sono: rosso = 700 nm, arancio = 620 nm, giallo = 580 nm, verde = 530 nm, blu = 470 nm, violetto = 420 nm ( 1 nm = 1 10-9 m ). La luce come fenomeno corpuscolare: Max Planck con la meccanica quantistica aggiunge al concetto ondulatorio quello di radiazione elettromagnetica intesa come un flusso di particelle dette fotoni. I fotoni sono dei quanti di energia che viaggiano alla velocità della luce e possiedono una frequenza. L'energia di una radiazione è proporzionale alla frequenza: E = h, ove h è una costante ( costante di Planck ) = 6.63 10-34 Js. Spettri atomici: