Fred R. Volkmar e James C. McPartland. Edizione italiana a cura di Giacomo Vivanti



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Fred R. Volkmar e James C. McPartland La diagnosi di autismo da Kanner al DSM-5 Edizione italiana a cura di Giacomo Vivanti

indice Presentazione all edizione italiana (G. Vivanti e E. Salomone) 7 Problemi diagnostici e classificatori 21 Dalla relazione di Kanner al DSM-III 29 La relazione di Kanner 29 Da Kanner al DSM-III 32 Dal DSM-III al DSM-IV 35 I disturbi generalizzati dello sviluppo non autistici nel DSM-IV 39 Gli approcci diagnostici dimensionali 45 Verso il DSM-5 49 I criteri del DSM-5 51 Gli studi di valutazione dei criteri del DSM-5 54 Questioni irrisolte 59 Bibliografia 63

Presentazione all edizione italiana Di cosa parliamo quando parliamo di autismo? Se Leo Kanner fosse ancora vivo, rimarrebbe di certo colpito dalla crescita esponenziale, avvenuta nell ultimo decennio, della ricerca dedicata al «disturbo autistico», concetto da lui introdotto nel 1943 per definire dei suoi giovani pazienti «venuti al mondo privi della capacità innata di formare contatti affettivi» (Kanner, 1943, p. 43). Probabilmente, tuttavia, si sorprenderebbe di come questa crescita nella quantità e nella qualità della ricerca non si sia ancora tradotta in una conoscenza precisa della natura di questo disturbo e nell individuazione di un trattamento risolutivo. In questo scritto, formulato in occasione della pubblicazione del DSM-5 e presentato per la prima volta ai lettori italiani, Fred R. Volkmar e James C. McPartland mettono a fuoco un fattore determinante nell evoluzione delle nostre conoscenze sul tema, quello della classificazione, ovvero la domanda di base: «Di cosa parliamo quando parliamo di autismo?». La storia dei tentativi di rispondere a questa domanda, tracciata magistralmente dagli autori (protagonisti diretti in molti aspetti di tale storia), non ha un percorso lineare, di progres-

La diagnosi di autismo da Kanner al DSM-5 8 sivo affinamento di conoscenze e consenso di concetti; è invece una storia di cambiamenti di prospettiva, tentativi in direzioni diverse, passi avanti e passi indietro. Basti pensare a come, nonostante la ricerca negli ultimi due decenni si sia spostata con decisione dall enunciazione di «teorie plausibili» all analisi di dati empirici, i nuovi criteri proposti dal DSM-5 (American Psychiatric Association, 2013) continuino a riflettere in buona parte le descrizioni diagnostiche indicate da Leo Kanner settanta anni prima. Volkmar e McPartland pongono in luce i successi e gli insuccessi che hanno marcato il percorso da Kanner al DSM-5, mettendo in evidenza come ogni cambiamento nei criteri diagnostici abbia implicazioni molto concrete per le persone affette, per le loro famiglie, per l organizzazione di servizi, per la tutela dei diritti, per il lavoro clinico, per la ricerca, e per la percezione culturale dell autismo. Con asciutto rigore scientifico, la pubblicazione del DSM-5 viene presentata da Volkmar e McPartland in questa rassegna come un ulteriore, non necessariamente ultimo, passaggio nel processo di conoscenza sull autismo. Ma quali sono le cause di tale percorso accidentato? Si tratta di un altra delle «anomalie» dell autismo? Le ragioni sottostanti le difficoltà a raggiungere un consenso sulla definizione di autismo sono molteplici alcune rispecchiano caratteristiche specifiche dell autismo, ma altre riflettono fattori generali relativi all uso di classificazioni diagnostiche. I sistemi diagnostici, per essere efficienti, devono essere validi. In altri termini, il tipo di sintomi e il peso assegnato loro devono riflettere il concetto clinico della sindrome o disturbo in questione così come rappresentato, indipendentemente, da psicologi e psichiatri, utilizzando altri strumenti diagnostici o il proprio giudizio clinico. Le classificazioni diagnostiche devono anche essere affidabili ed essere usate nello stesso modo da clinici e ricercatori in diversi Paesi e diversi contesti: clinici che valutano lo stesso caso, indipendentemente da chi siano e da dove svolgano tale valutazione,

Presentazione all edizione italiana dovrebbero assegnargli la stessa etichetta diagnostica. L assegnazione delle sottocategorie diagnostiche deve poter essere replicabile su molti casi, devono cioè essere sufficientemente ampie da rappresentare le caratteristiche di soggetti non necessariamente identici nella presentazione dei sintomi; inoltre, idealmente un soggetto dovrebbe poter rispondere ai criteri di una sola sottocategoria (le subcategorie devono essere cioè mutualmente esclusive). Queste considerazioni sono di fatto ineliminabili e si applicano a tutti i disturbi psichiatrici. Nel caso dell autismo (ma anche di altre condizioni), ciò si è tradotto nella tensione costante tra coloro che vorrebbero semplificare le classificazioni dei disturbi psichiatrici (aggregando le sottocategorie) e coloro che perseguono invece l obiettivo di individuare precise sottocategorie cliniche. Una posizione alternativa (anch essa tuttavia non priva di limitazioni) è quella di utilizzare sistemi dimensionali, dove la presenza e l intensità dei sintomi sono concettualizzate su un continuum che va dalla gravità alla normalità. Vi sono però altri fattori specifici che hanno reso ulteriormente complesso il processo scientifico di generazione della definizione diagnostica di autismo. Tra essi, la complessità ed eterogeneità della presentazione sintomatologica; la presenza di confini sfumati tra autismo e altri disturbi dello sviluppo, e in molti casi tra autismo e sviluppo tipico; il modo in cui l autismo influenza lo sviluppo; la conseguente variabilità nella presentazione clinica nell arco della vita. A titolo di esempio, nonostante i deficit di interazione sociale siano una caratteristica sintomatica specifica che accompagna le persone con autismo durante l intero corso di vita, è necessaria grande attenzione clinica per differenziare la scarsa responsività agli stimoli sociali di un bambino con autismo dalle difficoltà sociali secondarie a deficit sensoriali o ritardo generalizzato dello sviluppo di un altro soggetto, così come per riconoscere il filo rosso che accomuna un bimbo di 24 mesi che non risponde al gioco del cucù a un adolescente che ignora l interlocutore 9

Problemi diagnostici e classificatori I sistemi di classificazione rispondono a diverse esigenze, compresa quella di migliorare la comunicazione nel lavoro clinico, nella ricerca e nell organizzazione dei servizi. Quando vengono utilizzati in modo coerente, i sistemi di classificazione possono favorire il progresso della conoscenza, consentendo a ricercatori che si trovano in luoghi diversi di comunicare efficacemente tra loro ciò che hanno scoperto riguardo a gruppi di persone che condividono le stesse caratteristiche. Per quando riguarda il trattamento, specialmente negli Stati Uniti, l uso di una specifica etichetta diagnostica può conferire alla persona il diritto di ricevere determinati servizi, come, ad esempio, un educazione speciale. I sistemi di classificazione diagnostica tuttavia comportano una serie di problematiche specifiche, connesse alla coerenza della loro applicazione indipendentemente dal genere, dalla cultura, dall età, dal livello evolutivo o funzionale della persona valutata e da altri fattori. Un altra questione complessa riguarda l applicazione onnicomprensiva dei sistemi di classificazione ufficiale, ovvero se siano da utilizzare soltanto nella ricerca, soltanto nel lavoro clinico o in entrambi. Se si aspira a creare un sistema onnicomprensivo, sorgono delle difficoltà particolari dovute al fatto che non tutti i casi sono riconducibili a categorie pro-

Dalla relazione di Kanner al DSM-III La relazione di Kanner È probabile che i resoconti sui cosiddetti «bambini selvaggi» siano le prime descrizioni di bambini con autismo (Candland, 1995; Wolff, 2004). Sebbene la disabilità intellettiva fosse conosciuta già nell antichità (Harris, 2006), l interesse per essa, e per lo sviluppo infantile in generale, ha cominciato ad aumentare con l Illuminismo e con il dibattito sul ruolo della natura e della cultura nello sviluppo infantile (Hunt, 1961). A metà dell Ottocento, l interesse per i problemi psichiatrici infantili aumentò, e si riconobbero delle continuità con le forme di malattia mentale riscontrate negli adulti (Maudsley, 1867), mentre si fece poco per riconoscere l importanza dei fattori evolutivi nell espressione delle sindromi. Con la fine dell Ottocento si ebbe un epoca di particolare fermento nella tassonomia psichiatrica, con il riconoscimento della dementia præcox (oggi denominata «schizofrenia»; Bleuler, 1911) e della malattia maniaco-depressiva (il disturbo bipolare; Kraepelin, 1921). Questi concetti vennero presto estesi ai bambini (ad esempio, dementia præcossima; de Sanctis, 1906). La tendenza iniziale a identificare i disturbi psichiatrici gravi dell infanzia con la schizofrenia degli adulti, divenne in seguito un ostacolo

Capitolo 4 Gli approcci diagnostici dimensionali Sebbene gli strumenti e gli assessment dimensionali non siano il primo oggetto di interesse di questo lavoro, bisognerebbe notare che sono importanti e che, specialmente nel DSM-5, hanno avuto un ruolo di rilievo nello sviluppo dei criteri categoriali. Dalla pubblicazione della prima check-list diagnostica di Rimland (1968) sono stati sviluppati molti di questi strumenti, certuni destinati allo screening e altri alla diagnosi (Lord, 2013; Stone e Ibanez, 2013). Alcuni di essi sono rivolti ai bambini in età prescolare, altri a persone più grandi o cognitivamente più capaci. Alcuni si basano sui resoconti verbali dei genitori o degli insegnanti, altri sull osservazione diretta. La maggior parte si focalizza sull autismo ma qualcuno si concentra sul disturbo di Asperger (Campbell, 2005). In certi casi gli strumenti sono stati specificamente sviluppati per valutare la gamma più ampia di problemi rilevanti per il fenotipo autistico allargato (Constantino et al., 2003; Constantino e Todd, 2003). Per gli strumenti psicometricamente più consistenti, occorrono un training corposo e delle prove di attendibilità. Naturalmente ci sono anche altri approcci dimensionali molto importanti per l assessment delle persone con disturbo dello spettro autistico, come, ad esempio, l uso di test per misurare l intelligenza, il funzionamento esecutivo e le abilità adattive. È importante

Capitolo 6 Questioni irrisolte Al momento della stesura di questa rassegna, la regola d eccezione del DSM-IV non è ancora stata oggetto di ricerche e non è stata discussa approfonditamente sui mezzi di comunicazione più diffusi. A giudicare dalle prime impressioni, essa risolverà molti dubbi ancora aperti e solleverà alcune questioni interessanti per l implementazione e il progresso dei criteri del DSM-5. Prequalificando le persone con una diagnosi secondo il DSM-IV, questa clausola mette temporaneamente a tacere le preoccupazioni per le variazioni nella prevalenza del disturbo dello spettro autistico provocate dal cambiamento dei criteri diagnostici. Tuttavia questo approccio crea di fatto due sistemi diagnostici concomitanti. Così l attuale popolazione di persone con disturbo dello spettro autistico continuerà a soddisfare i criteri per l accesso e il diritto a ricevere i servizi clinici, medici e educativi in essere. I nuovi casi devono soddisfare i criteri del DSM-5 e quindi dovranno sottostare a regole di accesso ai servizi potenzialmente diverse. Molti enti di tutela si sono anche chiesti se la pubblicazione dei criteri del DSM-5 possa condurre ad aggiornamenti diagnostici obbligatori; la regola d eccezione è intesa a prevenire questo. Gli eventuali cambiamenti attribuibili al nuovo set di sintomi emergerebbero in maniera più