La filiera ovicaprina soffre in maniera ancora più marcata di altre della mancanza di integrazione.



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alla presentazione di prodotti diversificati che possano risultare graditi anche ad un pubblico giovane o dal gusto non molto educato. Ciononostante lo sforzo maggiore va fatto affinché venga quanto più possibile ridotto il divario tecnologico e culturale che continua a dividere i pastori dagli altri allevatori. La filiera ovicaprina soffre in maniera ancora più marcata di altre della mancanza di integrazione. Sarà opportuno, quindi, favorire tutte quelle forme di organizzazione tra le componenti della filiera e che potranno favorire tutte le espressioni di integrazione utili agli operatori: dalla definizione del prezzo del latte, alla diversificazione del prodotto, alla organizzazione di campagne comunicazionali, alla tracciabilità del prodotto e all identificazione dell origine. Nell ambito della politica di diversificazione produttiva rientrano anche le possibili utilizzazioni alternative del latte caprino. Attualmente, infatti, il latte caprino è utilizzato prevalentemente per la produzione di formaggi misti, perdendo le caratteristiche di forte personalità detenute dai formaggi di latte di capra. L importo massimo del pagamento supplementare è fissato a 15 /capo. Il comparto avi-cunicolo Allevamento avicolo La produzione mondiale di carni avicole, nell ambito del generale incremento della produzione di carni registrata nell ultimo trentennio (1961-2002) (dati FAO), ha fatto segnare gli incrementi maggiori (+379% nel 2002 rispetto al 1970), rispetto ad altri comparti (+162% carne suina e +50,5% carne bovina), ciò anche in ragione dei suoi bassi costi di produzione. Nel 2002 la carne avicola prodotta è stata di 72 milioni di tonnellate. La produzione è concentrata per oltre il 65% negli USA, in Cina, nell UE- 15 ed in Brasile (H.W. Windhorst, Will European Polultry Meat Producers be Competitive in Future 46 Assemblea Generale A.V.E.C., Gleneagles, 2003). 50

A livello mondiale, la filiera avicola, (sul modello realizzato negli Stati Uniti negli anni 30) prevede una struttura fortemente integrata, per realizzare elevate economie di scala nella fase successiva alla produzione (trasformazione/distribuzione) L integrazione verticale diretta o basata su contratti con gli allevatori, è realizzata sia a monte dell industria (mangimistica) che a valle (macellazione/ trasformazione). Attualmente, tale modello oltre agli USA, al Brasile si sta diffondendo anche in altri paesi (Cina, Tailandia), (Ofival, Situation et perspective des productions avicoles sur le plan mondial et européen, 2003). Scambi commerciali Le carni avicole rappresentano una tra le più importanti voci di scambio nei commerci internazionali delle carni; l 80% del volume delle esportazioni è realizzato da USA, Brasile, UE 15. Gli Stati Uniti presentano una domanda prevalentemente di parti bianche (petto, cosce), ed esportano fusi, ali, interiora, ecc,. in Cina in cui esiste una domanda di tali prodotti, la Cina a sua volta è esportatrice di cosce e tagli trasformati verso il mercato giapponese. Altri paesi come il Brasile la Tailandia cosiddetti emergenti sono forti esportatori di III e IV lavorazioni (crudi, panati,) ad alto valore aggiunto, in conseguenza della crescita della filiera di produzione, dei minori costo di produzione, di politiche di svalutazione della moneta nazionale a stimolo delle esportazioni (il Real si è deprezzato rispetto all Euro di 2,75 volte dal valore del 1998 rispetto alla quotazione media dei primi otto mesi del 2003). L Unione europea ha perduto rilevanti quote di mercato nell ultimo ventennio (-23%) per pezzi congelati e polli interi congelati (H.W. Windhorst, Will European Poultry Meat Producers be Competitive in Future 46 Assemblea Generale A.V.E.C., Gleneagles, 2003). 51

La perdita di posizione dell export comunitario non è solo imputabile ad un più elevato costo di produzione conseguente a vincoli comunitari di carattere sanitario, ambientale, ecc., ma anche alla maggiore liberalizzazione degli scambi commerciali introdotta dagli accordi GATT del 1995. Tuttavia negli ultimi anni si è osservata una debole ripresa dell export comunitario attribuibile alla maggiore rispondenza del prodotto UE agli standard di salubrità imposti da numerosi paesi importatori, Per quanto riguarda le importazioni, il 23% dell import mondiale è appannaggio della Russia, seguita da Giappone, Cina ed Hong Kong, e Medio Oriente, con quote intorno all 11-12%. Tab. 33 - Produzione, volumi scambiati e consumi mondiali di carne avicola (000 ton) Media 1997-99 Media 2000-02 TAV%annuo %02*/01 Produzione 62.067 69.300 3,6 +2,9 Esportazioni 5.287 6.419 4,4-1,5 Importazioni 5.288 6.419 4,4-1,5 Consumi 62.067 69.633 3,6 +2,9 Elaborazione su dati Ofival Tab. 34 - Principali produttori mondiali di carne avicola (000 ton) e quota % principali paesi produttori Media 1998-99 Media 2000-02 TAV% annuo %02*/01 USA 24,9 24,6 3,4 3,1 Cina 17,3 17,7 4,1 1,9 UE 13,9 13,0 0,7-0,1 Brasile 8,7 10,1 10,6 11,1 M.Oriente(a) 5,7 5,5 2,1-0,1 Messico 2,7 3,0 7,8 4 Eu dell'est 2,7 2,8 5,2 7 Giappone 1,9 1,7-0,4 1,4 Russia 1,0 1,2 9,2 11 Tailandia 1,4 1,6 8,8 7,3 Africa sud 1,3 1,4 5,9 1,8 TOT. 63.100 (000ton) 69.300 (000ton) Tot. princ. P. 51.547 (000ton) 57.167 (000ton) (a) incluso il nord Africa Elaborazione su dati Ofival; FAO; Commissione Europea Il consumo complessivo mondiale di carni avicole è passato da 41 milioni di tonnellate del 1990 a 73,9 milioni nel 2002 (+73%). Il 65% dell attuale domanda mondiale di pollame si concentra in quattro aree (Tab. 33): Stati Uniti, paese principale paese consumatore, che rappresenta oltre il 24% della 52

domanda, Cina (18%), Unione Europea (13%), Brasile (10%), Medio Oriente, Africa del Nord. Altre aree rilevanti sono rappresentate da Russia, Messico, Paesi dell Europa Orientale e Giappone. La domanda mondiale pro capite di carne di pollame, si attesta nel 2002 sugli 11,9 kg per abitante. Gli USA mostrano un consumo pro capite/anno di kg 50,9, seguono Brasile, Messico, Russia, In altri paesi, le potenzialità di espansione dei consumi pro capite sono ancora elevate, E questo il caso della Cina e dei paesi dell Europa dell Est, in relazione alla crescita del reddito. Nei paesi PECO oltre il 60% dei consumi si concentrano in Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca. La produzione comunitaria A livello comunitario la produzione di carni avicole (oltre il 70%, rappresentata da carne di pollo) si attesta sui 9 milioni di tonnellate, terza produzione mondiale. Il comparto è regolato da una Organizzazione Comune di Mercato (Reg. 2777/75 e sue modificazioni) che non prevede misure di sostegno interno, ma definisce norme sulle modalità di commercializzazione dei prodotti avicoli. Il comparto è contraddistinto: perdita di competitività sul mercato internazionale, per uno svantaggio di costo, dei mangimi, del lavoro, del denaro, per emergenze sanitarie (ad es. casi di influenza aviare in Italia ed nei paesi Bassi); struttura eccedentaria, surplus medio annuo di oltre 320 mila tonnellate (2000-03) anche se dovrebbe ridursi gradualmente, nel medio periodo, soprattutto grazie all espansione dei consumi nei nuovi stati membri a ritmi superiori rispetto agli incrementi della loro produzione. Oltre il 50% della produzione comunitaria è concentrata in tre paesi (Francia, 24%, Gran Bretagna, 17%, ed Italia, 12%), seguono Spagna, Germania (circa l 11% ciascuno) ed Olanda (7,5%) Francia ed Italia hanno però perso quote di produzione nel corso dell ultimo decennio, mentre Gran Bretagna ed Germania hanno guadagnato. Nei cinque paesi leader la produzione presenta generalmente una struttura fortemente integrata, prevalentemente ad opera dell industria a valle della produzione. L UE-15 nel periodo 2000-02 ha esportato 1,1 milioni di tonnellate (circa il 13% della produzione, +4,3% all anno rispetto al 1997), ed ha importato 734 mila tonnellate, +19% all anno rispetto al 1997. 53

L industria avicola comunitaria sta sviluppando i segmenti a maggiore valore aggiunto (prodotti III e IV gamma). Regno Unito e Germania si stanno specializzando nella produzione di trasformati ed elaborati, di prodotto fresco, segmento tradizionalmente di forza dell Italia, mentre i paesi dell Europa meridionale (Francia, Spagna) stanno spostandosi verso il prodotto certificato (OFIVAL, Le marchè des produits carnes set avicoles en 2002, 2002). Consumi in Europa L Unione Europea si colloca al quarto posto per i consumi pro capite/anno (22,3 kg nel triennio 2000-02), tra i paesi maggiori consumatori si annoverano Irlanda, Portogallo e Regno Unito. La domanda comunitaria è caratterizzata da un crescente richiesta di praticità con servizi aggiunti (sezionati, disossati, elaborati e trasformati pronti per la cottura o precotti; differenziazione del prodotto sul piano qualitativo (prodotto fresco nell Europa del nord e introduzione di marchi di qualità in quella del Sud).richiesta di prodotto biologico (prevalentemente in Francia e nel Regno Unito), diffusione di prodotto a marchio DOP e/o IGP (Francia e Spagna) e, soprattutto, una più larga e crescente diffusione di marchi di produttori o della distribuzione basati su disciplinari di produzione che certificano la tracciabilità del prodotto, l origine geografica, il rispetto di requisiti in materia di benessere animale e tutela ambientale, e, soprattutto la salubrità del prodotto (8% della produzione francese, 90% di quella inglese, in diffusione in Germania, Paesi Bassi, Austria e Danimarca). Il crescente interesse per tale tipo di certificazione è anche in conseguenza del crescente timore sulla salubrità delle carni ingenerato da problemi di carattere sanitario che hanno colpito il comparto delle carni. Come noto, il pollo rappresenta la parte preponderante dei consumi di carni di pollame in tutto il mondo: nell UE la sua quota è superiore al 70%. 54

UOVA Evoluzione della produzione La produzione comunitaria di uova si è attestata nel 2002 su circa 5,65 milioni di tonnellate (consumo e cova). Nel triennio 2000-02 la produzione di uova da consumo si concentra prevalentemente in Francia, Germania ed Italia, con quote comprese tra il 18 ed il 16% circa, mentre Regno Unito, Spagna ed Olanda detengono una quota intorno all 11-12%. Va peraltro osservato come Germania ed Olanda abbiano perso, sia pure marginalmente quote di produzione a favore di Spagna e, soprattutto, Italia. La produzione comunitaria sta, peraltro, subendo un processo di diversificazione lungo due direttrici (Commissione Europea, Report from the Commission to the Council with regard to developments in consumption washing and making of eggs, COM (2003) 479 final, 2003): a) la trasformazione in ovoprodotti; b) la differenziazione dei sistemi di produzione (biologico, sistemi alternativi alle gabbie: tradizionali all aperto, parchetti all aperto), per rispondere alla domanda del mercato di salubrità, rispetto del benessere animale, prodotti biologici. In Italia si contavano nel 2000 circa 905 mila capi allevati in sistemi alternativi. L incidenza dei sistemi alternativi, è tra il 20 ed il 30% dei capi complessivi, in Olanda, Gran Bretagna, Irlanda, Danimarca, Svezia ed Austria ed in misura minore in Francia e Germania. I sistemi alternativi, peraltro, in genere si accompagnano a sistemi di marchi e certificazioni che permettono una valorizzazione del prodotto presso i consumatori facendo leva sul maggiore livello di benessere animale. Al riguardo, stime al 2002 riportate della Commissione Europea, evidenziano come i maggiori costi di produzione dei sistemi alternativi, che si aggirano mediamente su 1-2 euro per 100 kg di uova, sono più che ampiamente coperti in termini di differenziali di prezzo che i consumatori riconoscono al prodotto ottenuto con tale sistema (Tab. 1.25). Analoghe considerazioni peraltro possono essere fatte per le uova ottenute con sistemi di produzione di tipo biologico. La produzione comunitaria assicura l autosufficienza al mercato interno nel suo complesso, dato che il grado di autoapprovvigionamento si attesta mediamente intorno a 102 nell ultimo decennio. Gli scambi con i paesi terzi ed il commercio intra-comunitario L UE-15 si configura infatti come il primo esportatore mondiale sia di uova intere, seguita da Stati Uniti, Malesia e Cina, che di ovoderivati. Tra i paesi emergenti Malesia ed India, in grado di competere con l UE sul versante dei costi. I paesi 55

principali importatori sono Messico, Canada, Sud-Est asiatico e medio Oriente. L export comunitario è rivolto a sette aree: I paesi principali esportatori sul mercato comunitario sono, nell ordine Olanda (40%), Belgio, Francia e Germania, mentre i paesi principali importatori sono Germania (39%), Francia, Belgio e Regno Unito. L Italia ha un peso sul commercio intracomunitario del 3,5% circa. Il comparto nazionale Secondo il 5 Censimento 2000 dell Agricoltura italiana il comparto avicolo si presenta diviso in due realtà: piccole unità di allevamento che destinano le produzioni prevalentemente all autoconsumo o a mercati locali; grandi allevamenti industriali. Gli allevamenti avicoli censiti sono 521.000, ripartiti soprattutto tra aziende di galline ovaiole e di polli da carne. Alla data del censimento il patrimonio nazionale è stato di oltre 171 milioni di capi. La maggiore concentrazione territoriale si ha nell Italia del Nord (Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte), tale fenomeno della concentrazione territoriale degli allevamenti avicoli permette di realizzare economie di costo organizzative e di trasporto, ma crea tuttavia elementi di criticità e di rischio, in termini di gestione ambientale e di contenimento delle emergenze sanitarie. Tab. 35 - Avicoli - numero di capi e aziende al 2000 in Italia per regione Regione Capi Aziende Piemonte 13.967.156 27.431 Valle d'aosta 14.515 1.489 Lombardia 27.285.623 19.980 Trentino A. A. 1.362.251 11.260 Bolzano 250.863 8.562 Trento 1.111.388 2.700 Veneto 47.983.231 71.586 Friuli Venezia Giulia 8.638.393 11.827 Liguria 279.177 9.888 Emilia Romagna 29.088.217 41.480 Toscana 3.484.039 42.057 Umbria 8.170.282 22.701 Marche 7.691.275 36.408 Lazio 3.322.691 58.907 Abruzzo 3.601.858 33.338 Molise 4.034.421 13.008 Campania 5.765.546 60.964 Puglia 1.981.935 3.841 56

Basilicata 496.363 16.175 Calabria 1.412.464 27.885 Sicilia 1.678.455 6.771 Sardegna 1.139.323 4.897 ITALIA 171.399.215 521.895 Oltre il 50% dei capi cosiddetti avicoli in complesso ( polli da carne, galline ovaiole, tacchini, faraone, oche, altri avicoli), si alleva in Veneto, in Emilia Romagna, Lombardia e in Piemonte. Il fenomeno della concentrazione degli allevamenti in areali ristretti si può apprezzare meglio esaminando i dati censuari su scala regionale e provinciale. Fatto cento il totale regionale: Piemonte il 41% in provincia di Cuneo, seguita da Asti (23%) e da Torino (21,6%); Lombardia, il 39,7% a Brescia, il 21% a Mantova, il 15,4% a Bergamo ed il 13% circa a Cremona; Veneto, il 42,8% a Verona, seguita da Vicenza (18,1%), Padova (16,2%) e Treviso (14,7%); Emilia-Romagna, il 62,1% dei capi è appannaggio di Forlì-Cesena, seguita da Ravenna (11,6%). Polli da carne: il 53,4% del patrimonio nazionale censito (96,7 milioni di capi) si concentra nell Italia nord-orientale, segnatamente in Veneto (29%) ed in Emilia Romagna (15,9%), seguita, anche in questo caso dall area nord-occidentale (22,5%) ed in particolare, da Lombardia (12,9%) e da Piemonte (9,5%). La distribuzione su scala provinciale, in queste regioni, segue andamenti analoghi a quelli riportati per gli avicoli in complesso. Ovaiole: anche i circa 44,8 milioni di galline ovaiole censite presentano una spiccata concentrazione sul territorio, quasi simile a quella osservata per i broiler. Il 40% dei capi si concentra infatti in Italia nord-orientale ed in particolare in Emilia Romagna (19,2%) ed in veneto(18,2%). In questo caso la regione leader è la Lombardia, con il 22,4% dei capi, mentre il Piemonte detiene una quota prossima al 7%. In Piemonte, Cuneo e Torino concentrano oltre il 55% del patrimonio regionale; Brescia il 42% di quello lombardo, seguita da Mantova (23%); Verona e Vicenza detengono oltre il 65% del patrimonio veneto, mentre Forlì-Cesena (51%) e Ravenna sono leader in Emilia- Romagna. Tacchini: i quasi 13 milioni di tacchini presenti sul territorio nazionale presentano la massima concentrazione territoriale tra gli avicoli. Il 66,5% dei capi si trova infatti nell Italia nord orientale, ed in particolare in Veneto (49,8%) ed in Emilia Romagna 57

(14,4%). Di rilievo anche la quota della Lombardia (20,1%). Il 68,6% della produzione regionale si concentra a Verona. Dimensioni allevamenti La presenza di forti economie di scala anche nella fase primaria della filiera fa sì che l allevamento avicolo italiano sia anche molto concentrato in allevamenti di grandi dimensioni, anche se non mancano, strutture diffuse e polverizzate per l autoconsumo o per mercati locali ristretti. Avicoli in complesso la diffusione degli allevamenti avicoli di maggiori dimensioni (oltre 2000 capi), espressi in termini di quota di capi allevati, segue andamenti analoghi a quelli già rilevati nel complesso: massima diffusione in Veneto (31,6% del totale nazionale nella stessa classe di dimensione), in Emilia Romagna (10,4%), in Lombardia (17,3%) ed in Piemonte (8,9%). Va peraltro osservato che, fatto 100 il patrimonio regionale), il quasi tutte le regioni italiane una quota superiore all 80% dei capi è allevata in strutture con una capacità superiore ai 2000 capi, ad eccezione di Basilicata, Calabria, Liguria, Lazio, Toscana, Campania ed Abruzzo. Ciò conferma diffusione su tutto il territorio nazionale di allevamenti mediograndi, anche se, nelle quattro regioni più specializzate sull avicoltura la concentrazione dei capi allevati in strutture di grandi dimensioni è significativamente superiore. Polli da carne: In particolare, alla data del censimento, il 18% del totale nazionale 18 milioni di broiler, risultavano presenti in allevamenti del Veneto, con capacità superiore ai 50.000 capi. Nel Veneto si concentra circa un terzo degli allevamenti di dimensioni medio-grandi e grandi italiani. Seguono Emilia Romagna Lombardia e Piemonte. Galline ovaiole: Il 42% del totale nazionale pari a 19 milioni di capi, si concentrano in allevamenti da oltre 50.000 capi in tre regioni. Lombardia, dell Emilia Romagna, del Veneto. Tacchini: l allevamento di questa specie, denota elevatissima concentrazione spaziale accompagnata da una concentrazione in allevamenti di grandi dimensioni superiore alla media riscontrata per le altre specie avicole, assumendo a riferimento, per le caratteristiche strutturali di questo allevamento, una soglia dimensionale inferiore (1000 capi) per caratterizzare i grandi impianti. Analisi della produzione e ed evoluzione della domanda interna La produzione avicola si compone per oltre il 57% da carne di pollo (-1,5% rispetto al 2001), per il 30% da carne di tacchino (-5,1% rispetto 2001) e per il resto da altre carni avicole, come la faraona e l'oca, che si sono mantenuta stabili. Il settore mostra una 58

sostanziale situazione di autosufficienza con limitati flussi sia in importazione che in esportazione. Le esportazioni, soprattutto polli e tacchini, sono formate per oltre il 60% da animali macellati in parti (disossati, metà o quarti, ali, cosce, colli, petti), e sono indirizzate verso Germania, Grecia e Regno Unito in misura minore in Austria, Francia, Spagna, Olanda. Le importazioni sono ridotte anche a causa delle elevate esigenze del consumatore italiano che preferisce di gran lunga le carni nostrane. I paesi fornitori dell Italia sono sostanzialmente la Francia e l Ungheria. Per le uova l autosufficienza nazionale è prossima ad essere raggiunta anche se l applicazione di alcune norme(benessere galline ovaiole) nei prossimi anni porteranno sicuramente ad una drastica riduzione della produzione di uova a livello non solo nazionale ma anche comunitario. I grandi allevamenti industriali, fortemente integrati verticalmente, costituiscono la filiera avicola (produzione, macellazione/trasformazione) Secondo stime dell UNA è composta da circa 6200 aziende di produzione (43% allevamenti di polli, 12% tacchini, 11% faraone, oche, ecc. 33% allevamenti di galline ovaiole) 173 impianti di trasformazione (macelli); la fase della lavorazione delle carni avicole conta, 497 imprese di prima lavorazione e 20 imprese di seconda lavorazione, 1250 imprese di lavorazione delle uova (centri di imballaggio e laboratori di pastorizzazione). La filiera conta 80.000 addetti, di cui la metà negli allevamenti, 20% nella macellazione e lavorazione delle carni ed il resto nella lavorazione delle uova e nel trasporto. A monte della filiera ci sono circa 1000 imprese mangimistiche in grado di produrre 5,9 milioni di ton di mangime per l avicoltura. Influenza delle emergenze sanitarie sull andamento della produzione e dei consumi La fine delle diverse emergenze sanitarie (BSE, Diossina, Influenza Aviaria), ha di fatto delineato la realtà dei consumi di carni in Italia. In particolare lo spostamento dei consumi dalle carni rosse verso le bianche è stato solo momentaneo; una volta rientrata l emergenza, il riequilibrio del mercato delle carni ha indotto una sovrapproduzione di carni avicole e una conseguente crisi di queste carni. In particolare il consumo di carne bovina si è in parte ridotto ma si è spostato alla ricerca di prodotti di maggiore qualità o, comunque, differenziazione e tipicità.. La carne suina è stata però in grado di conquistare quote di mercato. Per le carni avicole, non vi è stato un aumento dei consumi familiari ma solo uno spostamento di alcune fasce di consumatori le quali 59

sono diventate temporaneamente consumatori di carne bianca per poi ritornare, dopo un certo periodo, alle precedenti abitudini alimentari. La carne avicola non è stata in grado di trattenere i nuovi consumatori che si erano affacciati a tale prodotto. Le industrie avicole stanno reagendo a tale situazione investendo fortemente in politiche di marca legate soprattutto ai prodotti più elaborati. I risultati non sono comunque sempre soddisfacenti. A questo di aggiunge anche la debolezza delle strategie aziendali di controllo della logistica. Le politiche di marca sono infatti mirate principalmente verso i canali della grande distribuzione organizzata (GDO) ma appena il 44% in media degli acquisti di carne avicola avvengono attraverso iper- e supermercati. Il principale canale distributivo è rappresentato invece dai negozi specializzati assieme alla distribuzione tradizionale (macelleria). Più delineate sembrano, invece, essere le tendenze del comparto delle uova. La quota della GDO raggiunge il 47% degli acquisti delle uova con un trend in crescita soprattutto per i super-mercati a scapito dei canali distributivi classificati come "altri". La lunga crisi economica che coinvolge più in generale le famiglie italiane le rende più attente ai consumi per le ristrettezze della capacità di spesa. Tale situazione sembra così premiare un prodotto povero ma completo come il mercato delle uova. Le famiglie che acquistano uova, dopo una leggera flessione nel 2001 (-1%) sono aumentate del 2.4% nel 2002 con una tendenza che si conferma anche nel primo semestre 2003 (+3.5% rispetto allo stesso semestre dell anno precedente). Anche l acquisto medio, dopo una sostanziale stabilità nel 2001 e 2002, sembra aumentare sensibilmente nel primo semestre 2003 (+12%). I prezzi medi si stanno invece stabilizzando dopo continue crescite del 3% annuo negli ultimi due anni. La crisi della BSE aveva sul momento innalzato le richieste di carni alternative, fra cui quelle di pollo, con una immediato innalzamento fittizio dei prezzi che ha indotto molti allevatori ad aumentare le produzioni con un conseguente crollo dei prezzi successivo. Nei primi mesi del 2002 i prezzi per i produttori risultavano essere molto al di sotto dei costi di produzione. Considerato anche che i consumi comunitari di pollame stanno crescendo meno delle produzioni, e visto che le esportazioni verso i paesi terzi saranno sempre meno vantaggiose per l abbattimento delle restituzioni, se non verranno adottate misure di controllo volontario delle produzioni, si potrà incorrere nel rischio delle eccedenze. Nell ultimo periodo si sta anche presentando la possibilità che si verifichi un ulteriore crollo dei prezzi a causa dell importazione in massa di carni da paesi terzi, soprattutto Brasile e Tailandia, per aggirare il dazio all importazione che grava sulle carni non salate. I costi estremamente più bassi di tali prodotti rischiano di creare forti turbative sui mercati comunitari e, sebbene difficilmente possano collocarsi sul mercato italiano, 60

possono acquisire quote consistenti nei mercati di altri stati membri, limitando notevolmente le esportazioni dei prodotti italiani verso di essi. Un problema che si troveranno invece ad affrontare i produttori di uova sarà la conseguenza dell applicazione della Direttiva 99/74/CE che definisce gli standard minimi in materia di benessere delle galline ovaiole negli allevamenti. Questa prevede che le nuove aziende zootecniche allevino le galline con metodi diversi dalla batteria (con gabbie dotate di nido, lettiera e posatoio o con sistema senza gabbie) e che le batterie siano completamente eliminate entro il 2012 dagli allevamenti esistenti. Intanto, già a partire dal 2003, ogni gallina ovaiola dovrà avere a disposizione 550 cm 2 invece degli attuali 450. Questo comporterà una riduzione del numero di galline negli allevamenti con conseguente calo della produzione di uova: fino al 20% in meno secondo stime dell UNA. Le ripercussioni saranno il ricorso a notevoli quantità di uova importate ed un aumento dei prezzi delle uova italiane, un possibile calo dell occupazione nella filiera. Conclusioni I problemi che colpiscono il settore avicolo in generale sono di natura diversa rispetto a quelli strutturali tipici di altri comparti. Data l estrema integrazione della filiera, gli allevamenti medio-grandi conservano poco delle caratteristiche delle aziende agricole ad indirizzo zootecnico. Fino a non molto tempo fa, le problematiche venivano affrontate con un approccio spiccatamente industriale ed in qualche modo autonomo rispetto all ambito istituzionale. In seguito all epidemia di influenza aviare nel Nordest a partire dal 1999, questo comparto ha evidenziato i suoi punti di debolezza, non solo rappresentati dalle tematiche igienico sanitarie ed ambientali, ma anche strutturali ed organizzative della filiera (vedi riquadro). Per quanto alle problematiche ambientali occorre ricordare: gestione delle deiezioni (problema delle mosche) gestione degli animali morti in allevamento gestione dei rifiuti sanitari a rischio infettivo controllo delle emissioni in atmosfera con i riflessi della disciplina IPPC utilizzo di manodopera qualificata (attualmente squadre di vaccinazione, di carico,. spesso avventizi e senza alcun controllo dei possibili spostamenti da un allevamento all altro che necessitano adeguati percorsi formativi al fine di specializzare le competenze). depurazione impianti di macellazione misure di diversificazione della specie allevata e riduzione della concentrazione di allevamenti avicoli. norme specifiche in materia urbanistica adeguamento strutturale degli allevamenti (di carattere ambientale). 61

Inoltre, benché la filiera riesca a garantire una buona qualità igienico-sanitaria del prodotto con le dovute eccezioni come nel caso dell influenza aviare l immagine di cui questi allevamenti godono presso una parte dei consumatori, non è di buon livello, talvolta a ragione ma più spesso a causa di una diffusa disinformazione sull argomento. Ne è una prova il fatto che la maggior parte dei consumatori crede che il pollo da carne sia allevato in batteria, sistema usato invece esclusivamente per le galline ovaiole. L immagine che accompagna il prodotto è comunque povera forse anche a causa dei prezzi bassi spuntati da questi prodotti rispetto ad altre carni. Sul fronte delle tracciabilità di filiera e della certificazione dei sistemi di qualità, occorre far presente che in questo comparto a certificazione di prodotto è diffusa da anni. Inoltre recentemente è stato riconosciuto dal Mipaf un regolamento per un sistema volontario di etichettatura delle carni di pollame, che prevede il rispetto di un disciplinare di etichettatura per apporre una etichetta sulla carcassa intera o sul singolo pezzo di carne o su pezzi di carne o sul relativo materiale di imballaggio, per la comunicazione di informazioni appropriate fomite per iscritto ed in modo visibile al consumatore nel punto vendita. Il controllo del rispetto del disciplinare è a cura di un organismo indipendente autorizzato dal Mipaf e designato dall organizzazione. Tale organismo indipendente deve essere riconosciuto rispondente ai criteri stabiliti dalla norma europea EN/45011. Inoltre in base all art. 14 del decreto 29 Luglio 2004 tutte le certificazioni volontarie di prodotto a partire dal 14 aprile 2005, periodo transitorio, dovranno essere autorizzati per riportare obbligatoriamente in etichettata: codice di rintraccabialità; paese di nascita e allevamento; macello; laboratorio di sezinamento informazioni circa l alimentazione o la forma di allevamento. I rapporti contrattualistici nella filiera avicola La filiera avicola ha subìto nel corso degli ultimi anni una profonda evoluzione, in relazione all organizzazione ed al funzionamento del processo produttivo, per potersi adattare ai continui cambiamenti in atto nel mercato globale in termini di qualità dei prodotti, segmentazione e diversificazione dell offerta e riduzione dei cicli di vita dei prodotti. Tale evoluzione ha portato allo sviluppo di rapporti contrattuali tra l impresa di trasformazione e la fase agricola di allevamento che avvengono principalmente con contratti cosiddetti di soccida, e meno frequentemente con semplici contratti di compravendita e con integrazioni verticali che portano alla fusione in un unica impresa i due momenti produttivi. In Italia oltre il 70-80%(fonte: 62

UNA) dei rapporti contrattuali tra l industria di trasformazione carni e gli allevatori è regolato da contratti di soccida Soccida Nel caso più diffuso della stipula di contratti attraverso la soccida, le imprese di trasformazione delle carni forniscono agli allevatori input produttivi - pulcini, mangimi, farmaci, assistenza tecnica, ecc.- e questi ultimi provvedono a fornire la struttura di allevamento (generalmente di proprietà dell allevatore) e all accrescimento dei capi da utilizzare nel processo produttivo della stessa impresa di trasformazione. Quindi, nel contratto di soccida, il soccidante (impresa di trasformazione) e il soccidario (allevatore) si accordano per l allevamento e lo sfruttamento di una certa quantità di capi e per l esercizio delle attività connesse al fine di ripartire l accrescimento del pollame e gli altri prodotti e utili che ne derivano. Normalmente l impresa di trasformazione riconosce agli allevatori, al momento del ritiro del prodotto, il pagamento di un prezzo. Il prezzo riconosciuto è uguale al costo per lo sfruttamento degli impianti più un compenso attribuito all allevatore a titolo di remunerazione dell imprenditore, calcolato sulla base di precisi indicatori da parte dell impresa dominante. In generale, le quote di riparto sono stabilite in percentuale sulla produzione conseguita, al netto dello scarto, tenendo conto dell' incidenza dei rispettivi apporti sul costo di produzione e variano col variare dell' indice di conversione del mangime in carne. La quota dell'allevatore può essere acquistata dal conferente in forma forfettaria. La durata di solito è annuale ovvero per 4-5 cicli che durano all'incirca 60 giorni ciascuno. Questo è quanto è avvenuto particolarmente negli ultimi 2-3 anni. Contratti di fornitura, contratti di integrazione Le imprese di trasformazione, al fine di fornire agli allevatori i fattori produttivi, realizzano con le imprese a monte della filiera mangimifici, fornitori di pulcini, ecc. dei contratti di fornitura, oppure dei contratti di integrazione attraverso la costituzione di una holding in cui l impresa di trasformazione ne risulta la capofila. Il processo di internazionalizzazione da parte dell impresa di trasformazione quasi sempre coinvolge il mangimificio, che si presenta come una grande impresa importatrice di materie prime. Una fase normalmente esternalizzata, invece, è quella della scelta dei pulcini destinati alla riproduzione (grand-parents). Queste imprese sono ubicate prevalentemente all estero (Olanda, Germania) e realizzano con le imprese avicole, specializzate nella moltiplicazione dei pulcini parents e nell incubazione delle uova, dei contratti di fornitura di durata annuale. La fase di moltiplicazione e incubazione delle uova (essendo una fase particolarmente delicata, con elevati costi di transazione) può essere integrata nella holding capitanata dall impresa di trasformazione oppure, con più frequenza, gestita attraverso dei contratti di soccida, più raramente, invece, con contratti di libero mercato. La 63

moltiplicazione dei parents e l incubazione delle uova è una fase direttamente o indirettamente collegata a quella dell allevamento. Dalle evidenze emerge come la filiera del settore avicolo sia estremamente integrata e gli operatori agricoli coinvolti mostrano un elevato grado di dipendenza rispetto alle grandi imprese della trasformazione. In particolare, gli operatori agricoli spesso di piccole dimensioni- si rapportano con un mercato di sbocco fortemente concentrato e gestito da poche aziende di grandi dimensioni. Questa situazione comporta debolezza nella fase contrattuale da parte degli operatori agricoli e una quotazione a ribasso del prezzo dei propri prodotti. Dall altra parte però, il piccolo allevatore è protetto dalle continue variazioni di mercato grazie a costi divenuti così costanti e prezzo di riferimento certo. In tale scenario si rende necessario riconsiderare il sistema di organizzazione della filiera avicola in maniera tale da garantire agli operatori agricoli remunerazioni più adeguate ed una maggiore trasparenza dei prezzi di riferimento. Organismo Interprofessionale Al fine di superare il tradizionale sistema contrattuale, si potrebbero altresì creare i presupposti per la realizzazioni di accordi tra i produttori agricoli, l industria di trasformazione, le imprese commerciali. Tali accordi, assumendo un carattere interprofessionale, hanno lo scopo di perseguire l interesse generale tutelando al tempo stesso l interesse del singolo. (es. settore ortofrutticolo con il Reg. 2200/96). Per tali fini, un opportunità alla riorganizzazione della filiera avicola sono rappresentate dalla predisposizione, da parte del Ministero delle politiche agricole e forestali, di contratti di filiera (art.66, comma 2, legge 27 dicembre n. 289 legge finanziaria 2003). Tali contratti di filiera hanno come obiettivo quello di favorire l'integrazione di filiera del sistema agricolo ed agroalimentare ed il rafforzamento dei distretti agroalimentari nelle aree sottoutilizzate. Il comparto cunicolo L Italia è il primo produttore a livello comunitario e mondiale di conigli; nella formazione della P.L.V. zootecnica la coniglicoltura rappresenta il 4 comparto ( 9% ). Il comparto produce 230.000 ton. di carne, pari a 100.000.000 di capi/anno ed un valore di circa 500 milioni di Euro (fonte: Avitalia - Settore Conigli). 64

Oltre all Italia (43,5% della produzione europea) i maggiori produttori europei sono la Francia (25%), la Spagna (16%) e la Germania (5%). Le informazioni riguardanti questo comparto, non sono comunque esaustive in quanto non sono mai state svolte indagini precise sul rapporto fra allevamenti industriali ed allevamenti rurali (produzione per autoconsumo o mercati locali), sulla loro dimensione, sulla gestione soprattutto in funzione delle problematiche sanitarie, sui rapporti di mercato.. Inoltre, similmente a quanto accade per il comparto avicolo, i dati economico-statistici relativi alla filiera cunicola sono scarsi a causa della natura industriale dei grandi allevamenti, svincolata dalle problematiche agro-zootecniche comuni agli altri settori. Dal 1990 al 2000 il numero di aziende cunicole e' diminuito di oltre il 45%. Questa diminuzione e' stato tuttavia meno sensibile in termini quantitativi di produzione in quanto la chiusura ha riguardato allevamenti di dimensioni famigliari ed alcuni di questi si sono evoluti da un indirizzo per autoconsumo a struttura di produzione intensiva. Tab. 36 - Cunicoli - numero di capi e aziende al 2000 in Italia per regione Aziende Capi N.medio capi 2000 1990 Var % 2000 1990 Var % 2000 2000/1990 2000/1990 Piemonte 15.539 50.248-69,1 1.022.907 1.525.000-32,9 66 Valle d'aosta 619 1.220-49,3 7.383 16.025-53,9 12 Lombardia 9.899 31.682-68,8 611.427 824.663-25,9 62 Trentino A.A. 2.740 5.330-48,6 114.526 157.107-27,1 42 Bolzano 1.502 1.748-14,1 27.753 32.478-14,5 18 Trento 1.238 3.582-65,4 86.773 124.629-30,4 70 Veneto 20.343 37.940-46,4 3.205.785 3.520.615-8,9 158 Friuli V.G. 4.386 12.982-66,2 719.412 539.255 33,5 164 Liguria 5.891 15.148-61,1 87.499 255.537-65,8 15 Emilia R. 18.153 36.868-50,8 945.388 1.210.989-21,9 52 Toscana 24.893 44.135-43,6 544.876 1.464.581-62,8 22 Umbria 11.706 16.155-27,5 193.293 283.411-31,8 17 Marche 25.748 40.242 36,0 984.638 1.718.934-42,7 38 Lazio 23.868 35.975-33,7 517.113 1.450.795-64,4 22 Abruzzo 12.543 20.736-39,5 478.842 547.395-12,5 38 Molise 4.380 6.101-28,2 82.448 151.704-45,7 19 Campania 20.417 27.376-25,4 656.294 504.629 30,1 32 Puglia 1.670 5.537-69,8 171.153 206.773-17,2 102 Basilicata 5.439 7.200-24,5 104.649 129.837-19,4 19 Calabria 6.193 8.468-26,9 136.856 167.089-18,1 22 Sicilia 1.588 2.473-35,8 100.929 96.781 4,3 64 Sardegna 837 1.781-53,0 202.126 122.874 64,5 241 Totale 216.842 407.597-46,8% 10.887.544 14.893.771-26,9% 50 Fonte Istat 5 Censimento Agricoltura 65

In Italia la produzione del coniglio da carne mostra differenze significative tra il Nord, il Centro ed il Sud della penisola. Le regioni italiane più rappresentative sono: Veneto, Emilia Romagna, Friuli V. Giulia, Piemonte e Lombardia. Nella cunicoltura l allevamento in purezza di una singola razza non dà risultati soddisfacenti, per cui la produzione riguarda per il 90% l allevamento di ibridi commerciali. Esistono comunque allevamenti specializzati per la produzione di soggetti maschi e femmine destinati alla riproduzione. Le aziende a carattere intensivo che operano nel settore sono circa 8.000 con un impiego di circa 10.000 addetti. Il Nord Italia (Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Friuli) è caratterizzato dalla presenza di grandi allevamenti (400-1.000 fattrici) e di più elevato livello tecnologico applicato. Al Centro ed al Sud si trova un gran numero di medi e piccoli allevamenti e solo alcuni di grandi dimensioni. Per le aziende di dimensioni medio-grandi, la filiera è integrata verticalmente con l industria mangimistica. L allevamento cunicolo è spesso legato all industria avicola ed i grossi impianti sono di proprietà di macellatori di bassa corte o delle aziende del settore avicole stesse. Nei grandi allevamenti è frequente l'alimentazione automatica, la fecondazione artificiale e il ciclo chiuso: nella stessa unità produttiva si mantengono le fattrici e i coniglietti che vengono poi ingrassati. Nell'Italia Centrale sono diffusi medi (Marche - Abruzzo) e grandi (Lazio) allevamenti, mentre in Toscana, e in Umbria sono più frequenti i piccoli allevamenti (< 50 fattrici), anche se il Sud dell'italia si distingue per l'elevato numero di allevamenti medi e piccoli della Campania. I grandi allevamenti (> 500 fattrici) spesso dispongono di un macello aziendale. La regione italiana più importante per la coniglicoltura, è il Veneto dove si concentra il 38% della produzione nazionale in circa 500 allevamenti di grandi dimensioni. Provincia di Verona: vi si allevano circa 100.000 fattrici in un centinaio di allevamenti che producono circa 5.000.000 di capi anno con una PLV di circa 32 miliardi. Provincia di Padova: rispetto alle altre province del Veneto vi è la maggior presenza di allevamenti di grandi dimensioni. Si identificano in una sessantina gli allevamenti professionali, per un totale. comprensivo degli allevamenti di piccole dimensioni, di circa 70.000 fattrici che producono 3.500.000 capi/anno e una PLV attorno ai 20 miliardi. 66

Provincia di Venezia : conta una quarantina di allevamenti, per un totale complessivo di circa 50.000 fattrici, che danno vita ad una commercializzazione di circa 2.500.000 conigli/anno con 15 miliardi di PLV. Provincia di Vicenza: presenza di allevamenti medio-piccoli dei quali solo una cinquantina quelli professionali per circa 30.000 fattrici. La produzione annua è di circa 1.500.000 conigli con una PLV di circa 10 miliardi. Il Piemonte è senz'altro la seconda regione per importanza, sono presenti circa 350 allevamenti professionali di conigli. Molti di questi allevamenti sono localizzati in collina e montagna o nei fondo valle alpini, in particolare nella provincia di Cuneo. La dimensione degli allevamenti è così ripartita: 50-300 fattrici n 200 300-500 fattrici n 120 oltre 500 fattrici n 70 Distribuzione percentuale per provincia: Cuneo 69% Torino 15% Alessandria 7% Asti 4% Vercelli 2,5% Biella 1,5% Novara 1,5% Gli addetti all'allevamento possono essere così ripartiti: 250 addetti a tempo pieno e 250 addetti a tempo parziale. il coniglio è venduto ad peso vivo medio di 2,7-3 Kg. si produce un coniglio pesante che spunta al mercato di Cuneo quotazioni differenziate rispetto al mercato di Verona. Il carico negli allevamenti avviene una volta a settimana. Il numero di capi prodotti annualmente in regione si aggira sui 10.000.000 di capi. La produzione è di 20.000 ton. all'anno. La struttura di macellazione è piuttosto frazionata, con un numero consistente di impianti che trasformano 4-5.000 conigli alla settimana. Emilia Romagna: presenza di allevamenti di grandi dimensioni soprattutto nelle province di Bologna, Modena e Forlì. Molti sono anche gli allevamenti di medie e piccole dimensioni. Forlì, è sede di uno dei mercati più importanti per la quotazione del coniglio vivo ed ha influenza sulle vendite nel centro e sud Italia. La maggior concentrazione di tali allevamenti è localizzata in provincia di Modena e Forli` 67

(entrambi 24%), segue Ravenna (19%). Sono localizzati principalmente in pianura (62%) e collina (23%). Pur trattandosi di allevamenti professionali solo il 63% è gestito a tempo pieno mentre il restante 34% è a part-time. Si tratta comunque di allevamenti professionali che riguardano un totale di 48,332 fattrici e 393,297 posti ingrasso. Marche: produzione pari a circa 1,8 milioni di capi macellati l'anno e circa 14.000 quintali di carne. l'80% dei produttori ed il 100% dei trasformatori regionali è riunito in cooperativa, la CLAM (Coop.va Lavoratori, Allevatori Marchigiani), raggruppa. Le Marche approvigionano alcune regioni del centro (Toscana, Lazio e Umbria) e la Sicilia. In quanto alla tipologia del venduto, per il 90% si tratta di carne fresca, il restante 10% è congelata. Le priorità a livello regionale attualmente sono l'ammodernamento delle strutture di allevamento che presentano impianti obsoleti. Per quanto riguarda i costi di produzione occorre fare un'ulteriore precisazione: una componente non trascurabile di tali costi, è costituita dal costo dello smaltimento dei sottoprodotti della macellazione. Solo nel comparto cunicolo i costi di smaltimento si sono, nell'arco di pochi anni, decuplicati. Tale problema sussiste in particolare nelle aziende di dimensione media e piccola che non dispongono di propri impianti di smaltimento e devono rivolgersi realtà imprenditoriali operanti a livello nazionale. Abruzzo: 48 allevamenti professionali; negli ultimi 5 anni il 30% degli allevamenti ha cessato la propria attività. La provincia più rappresentativa è L'Aquila; seguono Teramo, Chieti e Pescara. Il numero di fattrici è di circa 30.000, per una produzione stimata di 1.500.000 conigli/anno destinati al macello. Vi sono, però, allevamenti che si dedicano solo all'ingrasso degli svezzati, per un totale di circa 400.000 conigli da macello/anno e, di contro, allevamenti che producono esclusivamente svezzati. I macelli cunicoli presenti in regione sono 2 ed hanno una capacità di circa 10.000 capi macellati/settimana. Ad essi si affiancano 5 macelli aziendali, che lavorano esclusivamente per gli allevamenti cui sono annessi. Gli animali sono pronti per il macello ad un peso superiore ai 2,5 Kg (intorno ai 2,6-2,7 KG), per la produzione di un coniglio cosiddetto pesante, il cui prezzo si allinea con quello di Verona. Il mercato La produzione italiana copre il 98% del fabbisogno nazionale per cui non vi è export di prodotto finito. Minime quantità di carne di coniglio vengono importate essenzialmente dalla Cina e dall Ungheria. Secondo dati ISTAT il consumo pro capite di carne di coniglio e selvaggina è stabile negli ultimi anni e nel 2000 si attestava sui 4,4 kg. 68

Al Nord il coniglio prodotto ha un peso alla macellazione di 2,6-2,8 Kg con punte di 3 Kg in Piemonte, in Centro Italia il peso scende a 2,4-2,5 Kg mentre al Sud si macellano i conigli già attorno ai 2 Kg di peso vivo. Dal punto di vista qualitativo e di immagine delle carni, la cunicoltura non ha subito contraccolpi come altri comparti a causa delle emergenze sanitarie, per cui la produzione ed il mercato mostrano una certa stabilità. Le carni vengono apprezzate per le ottime caratteristiche organolettiche (rapporto proteine/grasso favorevole alle proteine). Le prospettive commerciali non lasciano intravedere ulteriori spazi di espansione interna del mercato a meno di un cambiamento delle abitudini alimentari degli italiani nel consumo di carne. Ancora più difficoltosa appare la collocazione del prodotto su nuovi mercati come quelli del Nord Europa dove per ragioni culturali il coniglio viene visto come animale da compagnia piuttosto che come alimento. Sul fronte del biologico il comparto cunicolo è senz altro quello che mostra meno dinamicità nel settore zootecnico. Problematiche di mercato La produzione è molto frammentata e con difficoltà di rapporti con il mercato. Il prodotto è posizionato sul mercato vivo od in prima lavorazione. Esistono ancora poche strutture attrezzate per la trasformazione e valorizzazione del prodotto. Questo espone il settore ad una forte volatilità di prezzo e, quindi, di programmazione. Si tratta, cioè di una filiera che sta avviando ora i processi di integrazione verticale. A differenza del mercato avicolo, le aziende effettuano solo produzione, senza sviluppo di prodotti della macellazione a più elevato valore aggiunto, (non vi sono prodotti di 3 e 4 gamma, non vi sono iniziative di valorizzazione del prodotto) per cui devono ricorrere all'intermediazione del grossista. Esiste una situazione di dipendenza strutturale del settore cunicolo da altre attività zootecniche. Questo potrebbe rappresentare un limite non solo per l'aspetto di struttura, ma anche per quello sanitario ed organizzativo, i quali potrebbero rappresentare vere e proprie barriere ad un reale sviluppo economico del settore. Il sistema di consegna predominante per tutte le aree è quello che riguarda un solo macello ( 91% dei casi). I tempi di consegna del prodotto sono principalmente settimanali (47%), seguiti da quelli quindicinali (32%), trisettimanali (19%) e a ciclo unico (2%). La percentuale di prodotto scartato mensilmente è mediamente del 5.6%. 69

Conclusioni La domanda, viene totalmente soddisfatta dalle ditte organizzate del Nord Italia. Potrebbe essere tuttavia interessante per gli allevamenti intraprendere la strada dell adozione di un marchio privato per produzioni di qualità che sottostanno a disciplinari sul tipo di alimentazione o allevamento. Data l integrazione di filiera esistente, la realizzazione di una completa tracciabilità delle carni di coniglio non dovrebbe rappresentare un grosso ostacolo. Inoltre intraprendere la strada delle produzioni certificate può rappresentare un salvagente nella prospettiva reale di un progressivo aumento nelle quantità di carni importate anche da paesi extra europei (o paesi comunitari) che vengono vendute a costi inferiori a quelle nazionali. Il costo relativamente alto delle carni di coniglio rispetto alle altre carni è infatti uno dei fattori limitanti il consumo, insieme all assenza di prodotti innovativi sul mercato, come avviene per le carni avicole. Dati i nuovi di stili di vita che accanto alla qualità richiedono una sempre maggior valore aggiunto al prodotto, potrebbe essere economicamente valida la commercializzazione di prodotti elaborati di 3a e 4a generazione, ricalcando il notevole successo ottenuto dagli stessi prodotti ottenuto con le carni avicole. Altre opportunità sono offerte dallo sviluppo dell allevamento biologico per aumentare il valore del prodotto e conquistarsi delle nicchie di mercato, non sembra vi siano altri spazi per collocare le carni. 70