OSSERVATORIO SULLA GIURISPRUDENZA CIVILE AGGIORNATO al 30 settembre 2014 A cura di GIOVANNA NALIS



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OSSERVATORIO SULLA GIURISPRUDENZA CIVILE AGGIORNATO al 30 settembre 2014 A cura di GIOVANNA NALIS 1. Corte di Cassazione, seconda sezione, ordinanza n. 13526 del 13 giugno 2014, sul criterio di riparto di spese stabilito dall art. 1126 c.c. La seconda sezione ha rimesso al Primo Presidente per l eventuale assegnazione alle Sezioni Unite una questione attinente danni cagionati a terzi dal terrazzo di un edificio condominiale di uso esclusivo. Si chiede se debba applicarsi il criterio di riparto di spese previsto dall art. 1126 c.c. 1 oppure il criterio d imputazione per responsabilità extracontrattuale. Si prospetta, infatti, un ripensamento dell orientamento maggioritario sin ora prevalente. In seguito a danni causati da infiltrazioni di acqua provenienti da un edificio condominiale, i giudici di merito avevano condannato in solido il proprietario del terrazzo e il condominio, ritenendo che il terrazzo di proprietà esclusiva svolgesse anche funzione di copertura del fabbricato. Essi applicavano l art. 1126 c.c. e addossavano, dunque, le spese a carico del proprietario nella misura di 1/3 e dei condomini in quella di 2/3. La decisione è apparsa coerente con i principi già espressi dalle Sezioni Unite. Si fa riferimento in particolare ad una decisione del 1997 (S.U. 3672/2007) secondo la quale l art. 1126 c.c. è applicabile non solo alle riparazioni dei lastrici solari di uso esclusivo, ma anche al risarcimento dei danni arrecati all appartamento sottostante. Prima del citato arresto giurisprudenziale, la Suprema Corte aveva già affermato che in caso di danni a terzi, cagionati dall omessa esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria su lastrico solare in edificio condominiale ed a carico del condominio, i singoli condomini sono tenuti, nei rapporti interni tra loro, a concorrere al risarcimento dei danni secondo i criteri di cui all art. 1126 c.c. In dottrina si invocava invece l art. 2051 c.c. e si affermava che sarebbe stato opportuno distinguere l ipotesi di lastrico solare in uso esclusivo e lastrico solare (o terrazza a livello) in proprietà esclusiva di un solo condomino. Al di là della descritta distinzione, rilevante in caso di 1 L art. 1126 c.c. - lastrici solari di uso esclusivo - prevede testualmente che Quando l uso dei lastrici solari o di una parte di essi non è comune a tutti i condomini, quelli che ne hanno l uso esclusivo sono tenuti a contribuire per un terzo nella spesa delle riparazioni o ricostruzioni del lastrico; gli altri due terzi sono a carico di tutti i condomini dell edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno. 1

applicabilità dell art. 2051 c.c., si riteneva inspiegabile l applicazione delle regole sancite nell art. 1126 c.c., poiché esso si riferisce a ipotesi di riparazione e ricostruzione del lastrico solare e non a quelle relative a danni di cui il condominio deve rispondere in caso di infiltrazioni derivanti da omessa manutenzione. La sentenza delle Sezioni Unite, attraverso una complessa ricostruzione giuridica, esclude in via di principio l applicabilità dell art. 2051 c.c. e afferma invece che derivi responsabilità direttamente dalla titolarità del diritto reale e dalle obbligazioni ad esso relative di conservare le parti comuni. Dagli artt. 1123 e 1126 c.c. discenderebbero, infatti, obbligazioni poste dalla legge a carico ed in favore dei condomini dell edificio, da qualificare come obbligazioni propter rem, di cui i partecipanti al condominio sono ad un tempo soggetti attivi e passivi e aventi ad oggetto la prestazione delle spese per la conservazione dei beni esistenti nell edificio, siano essi comuni o esclusivi. Le obbligazioni reali di conservazione riguarderebbero tutti i rapporti reali inerenti. L inadempimento delle obbligazioni propter rem di tutelare il lastrico solare è dunque governato dall art. 1218 c.c. e dai rispettivi criteri di imputazione e ripartizione, e le condizioni materiali di dissesto e degrado del lastrico che tecnicamente si esprimono con il concetto di difetto di manutenzione derivano dalle obbligazioni propter rem. Invece le Sezioni Unite lasciano, con espresso obiter dictum, residuo spazio applicativo a un concorso di responsabilità extracontrattuale, ex art. 2051 c.c., per fatto illecito diverso (lesione di un diritto soggettivo dei condomini estraneo a rapporti di condominio, ad esempio diritto all integrità fisica o alla salute del proprietario del piano sottostante). L intervento delle Sezioni Unite non ha tuttavia sopito le opinioni contrarie. Secondo un diverso orientamento, prediletto dalla seconda sezione anche alla luce di alcuni interventi dottrinali e di quanto stabilito nella Relazione al Re sull art. 1126 c.c. e i sui richiami all art. 563 abrogato, in siffatti casi è invece corretta l applicazione dell art. 2051 c.c. Così, alcune sentenze della Suprema Corte (cfr. Cass. 7727/07; 6376/06; 642/03; 15131/01) hanno invocato l art. 2051 c.c. nell ipotesi di cattiva manutenzione di cose in uso esclusivo al condominio, seguendo il principio che addebita il danno ascrivibile ai singoli o al condominio all eventuale comportamento lesivo di chi lo ha cagionato. La Cassazione, nel privilegiare tale orientamento, ritiene particolarmente rilevante la convinzione che gli obblighi di contribuzione fissati negli artt. 1123, 1125 e 1126 c.c. riguardino il diritto dei proprietari e l utilità che essi traggono dai beni, non l allocazione del danno subito dai terzi, che di regola prescinde dalla condotta dell utilizzatore. Esso, infatti, risale alla mancata solerzia del condominio nell apprestare ricostruzioni e riparazioni tempestivamente, prima cioè che si produca il pregiudizio per l appartamento sottostante. L omissione di azione condominiale può esservi, come 2

nella specie è stato denunciato, anche se il condomino che vanta l uso esclusivo del lastrico o la proprietà della terrazza (vi è costante equiparazione, non esente da perplessità, di dottrina e giurisprudenza, ma non è in questo caso sollevata questione) sia esente da specifiche colpe 2. Né il criterio di regolazione di cui all art. 1218 c.c. corregge, di norma, l imputazione degli addebiti. Inoltre il risarcimento prescinde da ogni considerazione sull utilità che il danneggiante trae dal pregiudizio arrecato, criterio contrario a quello contenuto nell art.1126 c.c. e fondato sull utilità del danneggiante. L ordinanza, rimettendo gli atti al Primo Presidente, asserisce che il fatto costitutivo dell illecito risale alla condotta omissiva o commissiva dei condomini, che fonda una responsabilità aquiliana, la quale deve essere scrutinata secondo le rispettive colpe dei condomini e, in caso di responsabilità condominiale, secondo i criteri millesimali, senza utilizzare la normativa coniata ad altro fine. 2. Corte di Cassazione, terza sezione, sentenza n. 18183 del 25 agosto 2014, chi paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore o dal giratario per l incasso risponde del pagamento. La decisione in oggetto verte sull applicazione dell art. 43 R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736 (c. d. legge sugli assegni). La Corte ha ripetutamente affermato che la suddetta norma disciplina l adempimento dell assegno non trasferibile, derogando sia alla disciplina generale del pagamento dei titoli di credito a legittimazione variabile, sia alla disciplina di diritto comune dettata dall art. 1189 c.c., secondo il quale il debitore che esegue il pagamento a chi appare legittimato a riceverlo, in base a circostanze univoche, è liberato se prova di essere stato in buona fede. La banca che paga una persona diversa dal legittimato non è invece liberata dalla propria obbligazione, finché non ripeta il pagamento al prenditore esattamente individuato o al banchiere giratario per l incasso. Ciò prescinde dalla sussistenza dell elemento della colpa nell errore sull identificazione di chi abbia presentato il titolo, poiché la responsabilità della banca che paghi al giratario senza osservare la clausola di non trasferibilità deriva dalla violazione dell obbligazione ex lege, posta a suo carico dal citato art. 43 (cfr. Cass. civ., 25 agosto 2006, n. 18543; Cass. civ. 13 maggio 2005, n. 1.0118; Cass. civ., 12 marzo 2003, n. 3654). 2 Nel caso in questione si denunciava che il Condominio era stato tempestivamente avvertito delle infiltrazioni e aveva ritardato gli interventi a causa del mancato raggiungimento della maggioranza per deliberare gli interventi necessari, nonostante il voto favorevole della proprietaria del terrazzo. 3

Nel caso esaminato la Corte di merito ha ritenuto la colpa grave della società Poste Italiane sulla base di una serie di specifiche circostanze. Essa si era limitata a chiedere un documento di identificazione del richiedente il pagamento, senza indagare sul fatto che questi fosse realmente l amministratore del condominio, come risultava dal titolo, e senza considerare che il libretto postale era intestato in proprio al soggetto richiedente e non quale amministratore del condominio. Ad avviso della Cassazione la Corte di Appello ha dunque correttamente dato rilievo all omissione di controllo di alcune rilevanti circostanze, considerando la diligenza qualificata richiesta a chi svolge l attività bancaria. 3. Corte di Cassazione, seconda sezione, sentenza n. 18452 del 29 agosto 2014, precisazioni sulla c.d. compensazione impropria. La compensazione è uno dei modi estintivi dell obbligazione diversi dall adempimento, in particolare rientra tra quelli satisfattivi. Essa consiste nell elisione di due reciproche obbligazioni, fino al limite della loro concorrenza. Il codice civile (artt. 1241-1252) prevede che la compensazione possa essere legale, giudiziale, volontaria a seconda che essa derivi dalla legge, da un provvedimento del giudice o dalla volontà delle parti. La giurisprudenza tradizionalmente ritiene che uno dei presupposti per l operatività della compensazione sia l autonomia dei rapporti cui debiti e crediti si riferiscono, i quali non devono essere legati da vincoli di sinallagmaticità. La Corte rammenta che le regole dettate dagli artt.1242 ss. del codice civile si riferiscono alla compensazione in senso proprio o tecnico, mentre non si applicano alla c.d. compensazione impropria, relativa ad ipotesi in cui i debiti reciproci sono originati da un unico rapporto, poiché in tal caso crediti e debiti sono considerati voci attive e passive dello stesso. In riferimento al caso in esame la Corte ribadisce dunque che nell ambito della compensazione c.d. impropria, caratterizzata dal fatto che i rispettivi diritti scaturiscono dal medesimo rapporto contrattuale da cui è sorto il relativo debito, la valutazione delle reciproche pretese comporta semplicemente l accertamento del dare e avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza. Tale accertamento, pur potendo dare luogo ad un risultato analogo a quello della compensazione propria, ove invece i contrapposti crediti e debiti delle parti scaturiscono da autonomi rapporti giuridici e le reciproche obbligazioni non risultano legate da nesso di sinallagmaticità, non per questo è soggetto alla relativa disciplina tipica, sia processuale (sostanziantesi nel divieto di applicazione d ufficio da parte del giudice ex art. 1242 c.c., comma 2) che sostanziale (concernente essenzialmente l arresto della prescrizione ex art. 1242 c.c., comma 2 e la incompensabilità del credito ex art. 1246, cod. civ.). 4

Si ritiene, dunque, che la Corte di merito abbia correttamente applicato i principi esposti, ravvisando compensazione impropria in un ipotesi nella quale le rispettive pretese trovavano fondamento in un unica relazione negoziale, ancorché complessa. 4. Corte di Cassazione, sesta sezione, sentenza n. 18541 del 2 settembre 2014, donazione indiretta. La donazione indiretta è considerata un ipotesi di negozio indiretto: si tratta di un atto diverso dalla donazione e che produce effetti propri della stessa, anche se essi non sono tipici dell atto in questione. Un esempio di donazione indiretta è l acquisto di un immobile a favore del figlio utilizzando denaro dei genitori. Nella sentenza in esame la Cassazione si sofferma sulla distinzione fra donazione diretta di denaro e donazione indiretta di immobile decretando, riguardo a quest ultima, che la corte d Appello non ha fornito adeguata motivazione sugli elementi necessari per configurarla. La Corte territoriale ha ritenuto provata, in base ad una presunzione basata su elementi oggettivi e concordanti, la provenienza della somma di denaro impiegata nell acquisto dell immobile, ma non ha fornito alcuna motivazione sul fatto che il denaro in oggetto sia stato elargito dai genitori all unico scopo di rendere possibile l acquisto. Rammenta la seconda sezione che secondo quanto statuito dalla Cassazione con sentenza n. 3642 del 24 febbraio 2004, per integrare la fattispecie di donazione indiretta è necessario che la dazione della somma di denaro sia effettuata quale mezzo per l unico e specifico fine dell acquisto dell'immobile, dovendo sussistere incontrovertibilmente un collegamento teleologico tra elargizione del denaro e acquisto dell immobile. In particolare, nel caso di soggetto che abbia erogato il denaro per l acquisto di un immobile in capo ad uno dei figli si deve distinguere l ipotesi della donazione diretta del denaro, impiegato successivamente dal figlio in un acquisto immobiliare, in cui, ovviamente, oggetto della donazione rimane il denaro stesso, da quella in cui il donante fornisce il denaro quale mezzo per l acquisto dell immobile, che costituisce il fine della donazione. In tale caso il collegamento tra l elargizione del denaro paterno e l acquisto del bene immobile da parte del figlio porta a concludere che si è in presenza di una donazione (indiretta) dello stesso immobile e non del denaro impiegato per il suo acquisto (Cass. n. 11327 del 1997). La Cassazione precisa che nel caso di specie la motivazione sarebbe stata ancor più necessaria poiché la donazione della somma di denaro, ove riferibile ai genitori, era avvenuta prima e a prescindere dalla finalizzazione dell acquisto dell immobile. 5

5. Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza n. 19665 del 18 settembre 2014, contribuzione previdenziale, licenziamento illegittimo e art. 18 dello Statuto del lavoratori. La sentenza si segnala, in relazione a questioni previdenziali, per una ricostruzione storica delle differenti formulazioni succedutesi nel tempo dell art. 18 dello Statuto del lavoratori. In particolare le Sezioni Unite danno soluzione al quesito se, in conseguenza di una sentenza dichiarativa dell illegittimità di un licenziamento, con ordine di reintegra del lavoratore, il datore di lavoro sia tenuto nei confronti dell'inps, con riferimento al periodo che è intercorso fra il licenziamento e l effettiva reintegra del lavoratore, a pagare le sanzioni civili connesse all omissione contributiva, ai sensi della legge n. 388 del 2000, articolo 116. In primo luogo si rammenta che la citata legge del 2000 prevede una sanzione civile per la fattispecie di omissione contributiva (art. 116, comma 8 l. a), una sanzione civile aggravata per la fattispecie di evasione contributiva (art. 116, comma 8, l. b) e dispone anche un procedimento di ravvedimento operoso. Una disciplina in parte sovrapponibile era già prevista dalla l. n. 662 del 1996. La disciplina ordinaria fa riferimento a rapporti di lavoro in corso, mentre una ipotesi particolare riguarda la cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento e l eventuale successiva reintegrazione ai sensi dell art. 18 dello Statuto del lavoratori. Nel periodo dal licenziamento all ordine di reintegrazione non vi sono le prescritte denunce periodiche dei contributi dovuti per il lavoratore licenziato, perché quest ultimo non è indicato tra i lavoratori occupati dal datore di lavoro e quindi si fuoriesce dalla fattispecie generale dell articolo 116, comma 8. Ed è a questa fattispecie speciale che si riferisce la disciplina specifica che si rinviene nell articolo 18 della l. n. 300 del 1970. Indi si ricostruiscono le diverse formulazioni e interpretazioni del citato art. 18. In una prima fase le conseguenze dell ordine di reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato consistevano nell obbligo di risarcimento del danno dal licenziamento all ordine di reintegrazione e nell obbligo di corrispondere l ordinaria retribuzione per il periodo successivo all ordine stesso. Non era previsto anche l obbligo per il datore di lavoro di ripristinare la posizione previdenziale del lavoratore illegittimamente licenziamento con il pagamento dei contributi che sarebbero risultati dovuti ove il licenziamento non fosse intervenuto, cosicché il silenzio del legislatore avrebbe potuto essere letto come insussistenza di tale obbligo di reintegrazione (anche) della posizione previdenziale. In seguito la sentenza n. 7 del 14 gennaio 1986 della Corte Costituzionale, pur dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale proposta nei sensi di cui in motivazione, ha 6

chiarito che nella fattispecie della reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziamento sussiste anche a carico del datore di lavoro l obbligo di pagare i contributi per il periodo di estromissione del lavoratore dal posto di lavoro. Tuttavia sia nella prospettiva del giudice rimettente, sia in quella di interpretazione adeguatrice fornita dalla Corte costituzionale mancano riferimenti alle sanzioni civili per omissione o evasione contributiva. Solo con ordine di reintegrazione il rapporto previdenziale era ricostituito ex tunc e il datore di lavoro era tenuto alla denuncia periodica dei contributi dovuti per il lavoratore illegittimamente licenziato, a partire dal montante dei contributi pregressi per poi proseguire con la denuncia dei contributi previdenziali maturati successivamente. La legge n. 108 del 1990 ha poi modificato l articolo 18, traducendo in dettato normativo l'interpretazione adeguatrice della Corte costituzionale. Il nuovo articolo 18, comma 4, ha disposto infatti che il giudice, con la sentenza che ordina l ordine di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore a causa del licenziamento inefficace o invalido (id est: nullo o annullabile), ed anche al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell effettiva reintegrazione. Pertanto non vi è piena simmetria tra reintegrazione nel rapporto di lavoro e ripristino del rapporto previdenziale, essendo la prima parametrata su un obbligo risarcitorio di tipo indennitario, che in considerazione dell aliunde perceptum potrebbe esser di importo inferiore alla retribuzione, mentre il secondo si riferisce alla retribuzione ordinaria. Con l ordine di reintegrazione il datore di lavoro è tenuto a ricostituire per il passato la posizione previdenziale del lavoratore. In seguito al licenziamento inefficace, nullo o annullabile, l obbligo di denuncia sorge per effetto dell'ordine di reintegrazione e a partire da tale momento può verificarsi l ordinaria fattispecie dell omissione o dell evasione contributiva. Infine, la legge 92 del 2012, pur ridimensionando l area del regime reintegratorio del lavoratore illegittimamente licenziato, si pone in continuità con il passato in merito al ripristino del rapporto previdenziale illegittimamente interrotto. Nel regime della tutela reale piena l ultimo periodo dell articolo 18, comma 2, prevede che il datore di lavoro è condannato dal giorno del licenziamento sino a quello dell effettiva reintegrazione al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. Parimenti nel regime della tutela reale affievolita di cui all articolo 18, comma 4, il datore di lavoro è condannato al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione; ma tali contributi sono maggiorati degli interessi nella 7

misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe maturata nel rapporto di lavoro risolto dall illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative. In quest ultimo caso i contributi, qualora afferiscano ad altra gestione previdenziale, sono imputati d ufficio alla gestione corrispondente all attività lavorativa svolta dal dipendente licenziato, con addebito dei relativi costi al datore di lavoro. La fattispecie esaminata dalla Cassazione si colloca nella seconda fase descritta, ossia quella precedente alla novella della c.d. Riforma Fornero del 2012. Secondo una parte della giurisprudenza, Cassazione sez. lav. n. 7934 del 2009, l omissione contributiva del datore di lavoro nel periodo compreso tra il licenziamento dichiarato illegittimo e la reintegrazione non rientra in alcuna delle fattispecie di evasione o omissione sanzionate dalla legge del 1996, n. 662, articolo 1, comma 217, applicabile ratione temporis. Né alcuna sanzione può essere applicata per il ritardato versamento, non rilevando a tal fine l efficacia retroattiva della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro. Ad opinione della Corte, infatti, mentre a seguito dell ordine di reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato il rapporto di lavoro fra le parti si deve considerare come mai interrotto de iure, analoga fictio iuris non è prevista per quanto riguarda il rapporto assicurativo. Secondo un altro e contrapposto orientamento, Cassazione sez. lav. n. 402 del 2012, l omissione contributiva del datore di lavoro nel periodo compreso tra il licenziamento dichiarato illegittimo e la reintegrazione disposta ai sensi dell articolo 18 rientra fra le fattispecie di evasione od omissione sanzionate dalla citata legge del 1996. In particolare ricorre l ipotesi di omissione contributiva. Infatti, l effetto tipico della pronuncia del giudice, che accerta l illegittimità del licenziamento inefficace, nullo o annullabile ed ordina la reintegrazione del lavoratore, sta nella ricostituzione de iure del rapporto stesso. Allo stesso modo per il rapporto previdenziale c è la ricostituzione de iure e conseguentemente l obbligo di pagare i contributi per il periodo pregresso, ricostituendo la posizione previdenziale illegittimamente interrotta. Le Sezioni Unite condividono la ricostruzione operata dalla sentenza della Cassazione del 2012 in termini di fictio iuris, tuttavia ritengono che da ciò consegua che mentre è possibile ravvisare la fattispecie di omissione o evasione contributiva normale in seguito all ordine di reintegrazione, invece per il periodo che va dal licenziamento all ordine di reintegrazione si deve far riferimento alla regola speciale contenuta nell art. 18 dello Statuto del lavoratori. In tal caso l obbligo non si accompagnava alla previsione di sanzioni civili a carico del datore di lavoro. L interpretazione più corretta parrebbe dunque quella prediletta dalla Cassazione nel 2009. 8

Tuttavia, l illegittimità del licenziamento, quale presupposto dell ordine di reintegrazione, si prestava già ad un duplice inquadramento: da una parte vi era l ipotesi dell inefficacia o della nullità del licenziamento (quale ad es. il licenziamento discriminatorio); dall altra il caso del licenziamento annullabile perché intimato in mancanza di giusta causa o di giustificato motivo. Nella prima ipotesi la sentenza del giudice che dichiarava l inefficacia o la nullità del licenziamento aveva natura dichiarativa ed anche il rapporto contributivo doveva considerarsi come mai interrotto. Invece in caso di licenziamento annullabile perché privo di giusta causa o di giustificato motivo la pronuncia del giudice che ripristinava ex tunc anche il rapporto previdenziale aveva natura costitutiva. La suddetta distinzione, già presente nel testo della l. n. 108 del 1990, risulta ora ben esplicitata nella nuova formulazione dell articolo 18 introdotta dalla l. n. 92 del 2012. Essa precisa che se c è un vizio di nullità che affetta il licenziamento, la sentenza che contiene l ordine di reintegrazione è dichiarativa, l obbligo contributivo è riconosciuto ora per allora e quindi c è una vera e propria omissione contributiva con applicazione delle sanzioni civili; se invece c è un vizio di annullabilità che inficia il licenziamento, la sentenza che contiene l ordine di reintegrazione è costitutiva e quindi l obbligo contributivo è ripristinato ex tunc senza che ci sia omissione contributiva con conseguente non debenza delle sanzioni civili. La Corte intravede un continuum normativo nell articolo 18, sia nella formulazione del 1990 che in quella del 2012, che si fonda sulla distinzione tra licenziamento inefficace/nullo e licenziamento annullabile. Ritiene dunque che vada rettificato l arresto della sentenza n. 7934 del 2009 ed enuncia il seguente principio di diritto: In caso di ordine di reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato, emesso dal giudice ai sensi della Legge 20 maggio 1970, n. 300, articolo 18 nel testo precedente la riforma di cui alla Legge 28 giugno 2012, n. 92, nella specie applicabile ratione temporis, il datore di lavoro è tenuto in ogni caso a ricostruire la posizione contributiva del lavoratore, sì che essa non abbia soluzione di continuità, ed, in caso di licenziamento dichiarato inefficace o nullo, è altresì soggetto alle sanzioni civili previste dalla legge 23 dicembre 2000, n. 388, aricolo 116, comma 8, per l ipotesi dell'omissione contributiva. In caso invece di licenziamento privo di giusta causa o di giustificato motivo e di conseguente ricostituzione del rapporto con effetti ex tunc, trova applicazione l ordinaria disciplina della mora debendi in ipotesi di inadempimento delle obbligazioni pecuniarie, ma non anche il regime delle sanzioni civili di cui al cit. articolo 116. Per il periodo successivo all ordine di reintegrazione, in cui il rapporto previdenziale è ricostituito de iure, sussiste l ordinario obbligo di dichiarare all Istituto previdenziale e di corrispondere periodicamente i contributi previdenziali, oltre che 9

inizialmente anche il montante dei contributi arretrati, riferiti al periodo di estromissione del lavoratore dal posto di lavoro e calcolati secondo il criterio suddetto, sì che riprende vigore l ordinaria disciplina dell omissione e dell evasione contributiva. 10