Osservazioni a margine di un analogia morfologica: consortium, communio, comunione legale tra coniugi di Armando Bosso 1. Alle origini della comunione: il consortium ercto non cito. Nel 1988, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 311, si esprimeva nei seguenti termini: ( ) la comunione legale dei beni tra i coniugi, a differenza di quella ordinaria, è una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente per oggetto i beni di essa e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei. Pur essendo insieme ovvio e doveroso distinguere istituti tanto diversi quanto lontani nel tempo, è innegabile che il richiamo (in ordine alla disciplina della comunione legale) di un concetto, quale quello della solidarietà nel dominio, evochi il consortium ercto non cito, istituto che caratterizzò l esperienza giuridica romana arcaica e che ci consente di intraprendere un viaggio alla scoperta delle origini della comunione e - più in generale - del fenomeno della contitolarità di situazioni giuridiche. Un primo riferimento al consortium ercto non cito si trova in un celebre passo di Aulo Gellio (Noctes Atticae 1.9.12). È indubbio, però, che il ritrovamento del nuovo Gaio, negli anni trenta del Novecento, abbia dischiuso nuovi orizzonti alla letteratura romanistica. Vicenda dal sapore romanzesco quella del ritrovamento del Gaio di Antinoe, che si connette con la straordinaria scoperta, del testo delle Insitutiones di Gaio, nel 1816, da parte di Barthold Georg Niebuhr. Lo studioso, nel visitare la Biblioteca Capitolare di Verona, leggendo un codice pergamenaceo contenente le epistole di S. Girolamo, constatò che la scrittura più recente celava in realtà un testo più antico. Si trattava di un testo risalente al V secolo d.c: il manuale dell antico giurista romano, come subito comprese il grande Savigny, al quale Niebuhr prontamente diede notizia della scoperta. Ben presto ci si rese conto che dal palinsesto veronese mancavano alcune fondamentali pagine dell opera. Lacune che furono (parzialmente) colmate anni dopo, allorquando la dottoressa Norsa (papirologa fiorentina di fama), consegnò a Vincenzo Arangio- Ruiz (professore napoletano di diritto romano, che allora insegnava anche in Egitto) alcuni fogli pergamenacei da lei acquistati da un antiquario del Cairo. La scoperta fu dirompente: nel 1933 Arangio-Ruiz pubblicò una prima edizione critica ai frammenti del nuovo Gaio. Il giurista ci informa, in particolare, che l esperienza giuridica romana più antica conosceva due tipi di consortium: il consortium inter suos heredes, (il quale si costituiva automaticamente alla
morte del pater familias sin dall età predecemvirale, al fine di conservare integro il patrimonio domestico) e il consortium ad exemplum fratrum suorum (che si istituiva attraverso una certa legis actio, che Arangio Ruiz individuò nella in iure cessio). Nel paragrafo delle Institutiones successivo a quello relativo alla societas, Gaio (Gai 3.154a) parla di una legitima simul et naturalis societas ( ) quae appellabatur ercto non cito. La parola legitima probabilmente lascerebbe intendere che l istituto sia stato regolato dalle XII Tavole. Quanto all espressione simul et naturalis, essa vorrebbe indicare la rispondenza ad esigenze di natura, ed inoltre l esserne i sui heredes partecipi senza bisogno di porre in essere un atto solenne. Nell introdurre tale istituto quale aliud genus societatis proprium civium Romanorum, Gaio (Gai 3.154b), sottolineava come in hac societate fratrum ( ) illud proprium erat: in ordine alle cose che vi erano comprese, i singoli consorti avevano una legittimazione solidale, per cui ciascuno avrebbe potuto disporne come se fosse stato l unico titolare. Evidente, pertanto, la distanza che intercorre tra consortium e communio, in virtù anzitutto della rilevanza nella comunione del concetto di quota, intesa come frazione ideale rappresentativa dell intero patrimonio ; criterio, quello di pars pro indiviso, introdotto da Quinto Mucio Scevola e Servio Sulpicio Rufo: D. 50.16.25.1 (Paul. 21 ad ed.). Quintus Mucius ait partis appellatione rem pro indiviso significari: nam quod pro diviso nostrum sit, id non partem, sed totum esse. Servius non ineleganter partis appellatione utrumque significari. Di qui il principio, sintetizzato in D. 13.6.5.15 (Ulp. 28 ad. ed.): in solidum dominium vel possessionem esse non posse. La quota nella communio rispondeva allo scopo precipuo di circoscrivere il diritto di ogni comunista in vista di una futura divisione. Essa dunque non era l oggetto del diritto in sé, ma costituiva la misura della partecipazione ad un diritto comune. Può affermarsi allora come sottolineato da autorevole dottrina (Sanfilippo) che nella comunione «ciascun condomino aveva non già una proprietà limitata ad una parte della cosa comune, né una parte della proprietà sull intera cosa; piuttosto aveva l intero diritto di proprietà sull intera cosa, ma poiché egual diritto avevano gli altri condomini, i diversi diritti di proprietà (uguali e concorrenti) si limitavano a vicenda». Il consortium rappresentò, invece, una comunione dinamica, non limitata ai beni che ne erano originariamente l oggetto. Ulpiano in D. 17.2.52 (Ulp.31 ad ed.) ricordava a tal proposito come a
giudizio di Papiniano rientrassero nel patrimonio consortile tanto i beni presenti quanto gli acquisti futuri dei consortes: ( ) si inter fratres voluntarium consortium initium fuerit, et stipendia ceteraque salaria in commune redigi ( ). 2. Il ruolo del consenso: ius prohibendi. L analisi storica del consortium ercto non cito, quale forma di comunione solidale ancor prima che dinamica, tutt oggi al centro di un acceso dibattito in letteratura ( soprattutto per ciò che concerne la magna quaestio relativa all originaria separabilità o inseparabilità dello stesso), richiama alla mente dello studioso di diritto per il tramite della pronuncia della Corte Costituzionale sopra richiamata l istituto della comunione legale tra coniugi, disciplinato ai sensi del Codice civile, che regola i rapporti patrimoniali fra i coniugi in mancanza di una diversa convenzione (com è stabilito con la legge n. 151 del 1975). Evidente come qualsiasi tentativo di tracciare un parallelismo seppur in un ottica diacronica tra i due istituti sarebbe del tutto fuorviante. Al contempo non può sfuggire l analogia morfologica: come lo studio del consortium fornisce l occasione per riflettere circa il ruolo del consenso dei sodali nella disciplina degli atti di disposizione giuridica. L idea stessa di dominio in solidum postula il riconoscimento in capo a ciascun consors di un potere di disposizione integrale rispetto al patrimonio comune. Dalle Institutiones di Gaio la letteratura romanistica ha ricavato l idea secondo cui ogni frater, nell antico consortium ercto non cito, poteva utilizzare e persino disporre dell intero patrimonio. Nel lontano 1910 Carlo Fadda, confrontando diritto privato patrimoniale e diritto costituzionale romano, individuava una vera e propria analogia tra il dominio dei consortes e la titolarità collegiale dell imperium dei magistrati romani, in particolar modo dei consoli. Né il dominium dei consortes né l imperium dei magistrati era infatti frazionabile: ogni magistrato poteva agire nella plenitudine della podestà e con piena efficacia, come se non esistessero altri investiti. La sola opposizione di un collega impediva che l atto del singolo potesse esplicarsi e completarsi. Pertanto, come nel campo del diritto pubblico ciascun magistrato era legittimato a porre in essere gli atti di esercizio della magistratura, così nel campo del diritto privato qualunque socio, nell esercitare il condominio, poteva porre in essere atti di disposizione sulla cosa (materialmente considerata) se gli altri non si fossero opposti. Evidente come gli studi di Fadda abbiano profondamente influenzato la letteratura successiva, che - anche dopo la pubblicazione del Gaio di Antinoe - ha continuato a ritenere che i consortes potessero
esercitare l uno nei confronti dell altro uno ius prohibendi, del quale servirsi eventualmente al fine di impedire il compimento di quell atto i cui effetti si sarebbero prodotti sull intera comunità. Fonti classiche attestano la configurabilità di uno ius prohibendi nella communio: D. 10.3.28 (Pap. 7 quaest.). Sabinus ait in re communi neminem dominorum iuri facere quicquam, invito altero, posse. Unde manifestum est prohibendi ius esse. Vero è infatti che i comunisti disponevano di un potere da esercitare in qualsiasi momento con la massima indipendenza. Tuttavia: potior est causa prohibentis. Invero, proprio il fatto che a ciascun comunista spettasse uno ius prohibendi confermerebbe come i comunisti restavano pur sempre proprietari della res communis. Dubbi sono stati sollevati in ordine alla corretta interpretazione dell espressione invito altero. Il parallelismo tracciato da Fadda tra comunione e collegialità magistratuale, indusse quest ultimo a ritenere che ogni socio potesse agire in quanto non fosse stato ostacolato dagli altri. Ogni condomino dunque avrebbe potuto impedire qualunque atto dispositivo degli altri, così come il magistrato collegiale poteva essere inibito dall intercessio del collega (contraria l opinione del Perozzi, secondo cui nel condominio il consensus omnium si sarebbe posto quale indefettibile presupposto di legittimità dell atto). Bonfante sottolineava come solo il regolamento della comproprietà nel diritto classico fosse dominato «dal vero principio dello ius prohibendi, quale diritto di veto rispetto all iniziativa altrui. Mentre con Giustiniano acquisì connotati differenti: l opera era illegittima se compiuta senza il consenso altrui». Il suggestivo raffronto tracciato da Fadda, non può, tuttavia, condurre a dimenticare come l opera dello stesso autore risalga al 1910; mentre la pubblicazione del Gaio di Antinoe risale al 1933. Trapiantare sic et simpliciter nel regime del consortium un istituto, come quello dello ius prohibendi, mutuato dalla disciplina della communio iuris romani, lascia quantomeno perplessi. Vero è d altronde che il riconoscimento di uno ius prohibendi in capo a ciascun consors avrebbe consentito di attenuare l antieconomicità del regime consortile, fungendo da controlimite rispetto al potere di disporre per l intero spettante a ciascun sodale. Proprio l inconcepibilità di un regime che consentisse a ciascuno di disporre individualmente per l intero, ha indotto alcuni autori in passato a sostenere la tesi secondo cui il potere di disposizione in ordine alle res comprese nel patrimonio consortile, sarebbe spettato ad unico consors particolarmente qualificato. Per intenderci: una sorta di amministratore di fatto, probabilmente il
più capace tra i fratres. Una tesi simile, invero, andrebbe a cozzare con l idea stessa di solidarietà che permeava il regime del consortium. 3. Solidarietà nella comunione legale tra coniugi. La solidarietà assume connotati ben diversi nella disciplina della comunione legale tra coniugi. Qui i coniugi (a differenza di quanto accade nella comunione ordinaria) non sono titolari pro quota dei beni in essa contenuti, risultando in solido proprietari dell intero. Tuttavia la quota assolve pur sempre a due funzioni: indicare il limite entro il quale i beni della comunione legale possono essere escussi dal creditore particolare di uno dei due coniugi; segnare il rapporto proporzionale cui i coniugi devono attenersi in sede di divisione. La comunione legale dei beni tra i coniugi, a differenza di quella ordinaria così la Corte di Cassazione nel 2011 (sentenza n. 2208) è una comunione senza quote, nella quale i coniugi non sono individualmente titolari di un diritto di quota, bensì solidalmente titolari, in quanto tali, di un diritto avente per oggetto i beni della comunione; mentre nei rapporti con i terzi ciascun coniuge non ha diritto di disporre della propria quota, può tuttavia disporre dell intero bene comune, ponendosi il consenso dell altro coniuge come negozio unilaterale autorizzativo diretto alla rimozione di un limite all esercizio del diritto dispositivo sul bene. La comunione legale costituisce pertanto una comunione sui generis, in quanto rappresenta una forma di contitolarità solidale. Ciascun coniuge è individualmente titolare del potere dispositivo. Il consenso dell altro coniuge, richiesto per gli atti di straordinaria amministrazione, non vale per attribuire il potere dispositivo, ma semplicemente per rimuovere un limite al suo esercizio. Il Codice ha previsto la necessità del consenso di entrambi i coniugi per gli atti di disposizione di beni in comunione legale. Qualora il consenso non sia stato prestato, il legislatore opera una distinzione: ai sensi dell art. 184 comma 1 Gli atti compiuti da un coniuge senza il necessario consenso dell'altro coniuge e da questo non convalidati sono annullabili se riguardano beni immobili o beni mobili elencati nell art. 2683. Qualora invece gli atti riguardino beni mobili diversi da quelli indicati nel primo comma il coniuge che li ha compiuti senza il consenso dell'altro è obbligato su istanza di quest'ultimo a ricostruire la comunione nello stato in cui era prima del compimento dell'atto o, qualora ciò non sia possibile, al pagamento dell'equivalente secondo i valori correnti all'epoca della ricostituzione della comunione. Recente giurisprudenza ha evidenziato che il principio della parità dei poteri dei coniugi nella gestione del patrimonio non comporta la necessità del consenso di entrambi per ogni atto di
gestione: ciascun coniuge è infatti autonomo nel compimento degli atti di ordinaria amministrazione che non siano in grado di alterare la consistenza del patrimonio comune. Tuttavia, val bene precisare come il consenso dell altro coniuge richiesto in ordine al compimento degli atti di straordinaria amministrazione, costituisca un limite evidente al regime solidale della comunione tra coniugi. Ecco dunque che la stipulazione di un preliminare di vendita (quale atto di straordinaria amministrazione) senza il consenso dell altro coniuge, pur non determinando come accade nella comunione ordinaria l invalidità assoluta del negozio, ne determini l annullabilità su istanza del coniuge escluso entro il termine di prescrizione annuale di cui all art. 184, comma 2 c.c. È proprio in tale consenso, richiesto quale presupposto di legittimità di ogni atto di straordinaria amministrazione (o, più correttamente, quale atto che rimuove un limite all esercizio di un potere e requisito di regolarità del procedimento di formazione dell atto di disposizione), che è possibile ravvisare un retaggio dello ius prohibendi di romanistica memoria. Torna d attualità infatti la primazia della causa prohibentis, stavolta intesa quale necessità del consenso preventivo dunque e non già intercessio. Corsi e ricorsi di un esperienza giuridica (quella romana) davvero sempiterna.