O5. Diaframmi In qualunque sistema ottico esistono limitazioni al fascio di raggi accettati dal sistema, che implicano conseguenze per la luminositaç del sistema e per il campo visibile. Le limitazioni possono provenire dai bordi stessi delle lenti, oppure da diaframmi inseriti appositamente nel sistema. Vogliamo ora esaminare gli aspetti principali di questo argomento. Pupille d'entrata e d'uscita Consideriamo in primo luogo un diaframma posto davanti al sistema ottico. Il diaframma limita l'accettazione dei fasci di raggi, entra cioeç meno luce. Nel caso piuç semplice, come mostrato in ægura æg. O5í1, tale diaframma saraç detto pupilla d'entrata èp.e.è: il suo diametro p e caratterizza la luminositaç del sistema. Daremo tra poco una deænizione piuç generale di p.e. A r (s.o.c.) 1 (s.o.c.) 2 Fig. O5-1 Fig. O5-2 Ma vediamo invece che cosa succede se il diaframma che limita la dimensione del fascio che attraversa il sistema eç in una posizione generica dentro il sistema. Evidentemente se r eç il raggio del diaframma èæg. O5í2è, sono ammessi solo i raggi che arrivano sul piano del diaframma con coordinata y tale che jyj ér. Poicheç le equazioni dei raggi sono lineari, basteraç conoscere quali raggi passano per çaç 0 èy = rè per aver individuato tutti i raggi ç çche passano ç ç per il diaframma: se eç un raggio passante per A 0, allora k = con jkj é 1 saraç y y ky p p kp un raggio che passa per il diaframma. Trascuriamo per ora la parte del sistema ottico che segue il diaframma èsistema 2è: il punto A 0 avraç rispetto alla prima parte del sistema èsistema 1è un coniugato A: esso eç tale che tutti e soli i raggi entranti che passano per A, escono passando per A 0. Dunque si puoç sostituire il diaframma reale posto dentro il sistema con un diaframma ættizio èimmagine anterioreè posto davanti al sistema; esso avraç l'eæetto di limitare nello stesso modo l'ampiezza del fascio entrante. In questo caso eç questo diaframma ættizio che prende il nome di pupilla d'entrata. Si noti che la p.e. puoç essere virtuale: cioç accade se essa si trova dopo la prima superæcie del sistema, per cui sono i prolungamenti dei raggi, e non i O5í1
raggi stessi, che vengono intercettati o ammessi dalla p.e. E ç questo il caso di una lente con un diaframma posto subito dietro èæg. O5í3è o anche di un obiettivo fotograæco, che ha il diaframma tra le lenti. Piuç in generale, se un sistema presenta diversi diaframmi èconsiderando tra questi anche le montature delle lentiè, se ne possono costruire allo stesso modo le rispettive immagini anteriori. E ç allora chiaro che il diametro del fascio assiale ammesso nel sistema resta æssato dall'immagine di diametro minore; questa viene deænita pupilla d'entrata. diaframma p.e. (virt.) F F Fig. O5-3 Volendo misurare la pupilla d'entrata, anche quando questa eç virtuale, occorre solo guardare dalla parte da cui arriva la luce: poicheç ogni diaframma ëættizio" eç proprio l'immagine èreale o virtualeè di un diaframma vero, basta misurare quello che si vede. Cosç in un obiettivo fotograæco, per misurare l'apertura dell'obiettivo èad es. a scopo di veriæca dei valori segnatiè basta misurare il diaframma come lo si vede. In genere la massima apertura daç una p.e. pari alla montatura della prima lente. Da quanto si eç visto, nel caso di un unico diaframma, segue anche che la p.e. determina la delimitazione di qualunque fascio di raggi, anche obliquo: in tutti i casi il fascio ammesso eç un cilindro che ha per direttrice il bordo della p.e. èæg. O5í4è. p.e. Come si eç deænita la p.e. èche in un telescopio generalmente coincide con la montatura dell'obiettivoè, allo stesso modo si deænisce la pupilla d'uscita èp.u.è: essa eç quel diaframma ættizio tale che tutti e soli i raggi accettati dal sistema sono quelli che Fig. O5-4 èdopo aver attraversato il sistemaè passano per tale diaframma. La p.u. eç dunque l'immagine posteriore del diaframma reale, cioeç quella fornita dalla seconda parte del sistema ècostruzione simmetrica rispetto alla p.e.è. Pupilla d'entrata e pupilla d'uscita sono quindi coniugate rispetto all'intero sistema, nel senso che tutti i raggi che entrano passando per il bordo della p.e., escono passando passando per il bordo della p.u. Nel caso di un sistema telescopico, come sappiamo, tra i diametri delle due pupille vale la relazione: O5í2 p e p u = jg a j ingrandimento èangolareè:
Vignettatura e diaframma di campo Torniamo ora a considerare un sistema ottico con diversi diaframmi, tra cui le montature delle varie lenti: ci domandiamo qual eç il diaframma dominante, in particolare per fasci di raggi non assiali. Chiaramente cioç dipende in primo luogo da dove eç posta la sorgente; ma anche per sorgenti all'inænito ècom'eç il nostro casoè la limitazione del fascio dipende dalla sua vergenza. Nella æg. O5í5 siano A, B, C i diaframmi ættizi èimmagini anterioriè di tre diaframmi reali. Per raggi paralleli all'asse ottico quello che conta eç, come si eç detto, il diaframma piuç piccolo èb in ægura che rappresemta la p.e. del sistemaè; ma per i raggi suæcientemente inclinati B non conta piuç nulla e divengono determinanti i diaframmi A e C. Esiste anzi una vergenza limite oltre la quale la luce non passa piuç. Inoltre se facciamo una sezione dei vari fasci, parallelamente ai piani dei diaframmi, vediamo che l'area della sezione del fascio ammesso si restringe gradatamente, æno a scomparire nel caso limite. Cioç signiæca che mentre l'obiettivo èo il sistema in generaleè eç molto luminoso al centro del campo, ai bordi si nota una sfumatura della luminositaç æno a zero. A B p.e. C fascio vignettato fascio assiale ammesso direzione limite Fig. O5-5 Tale eæetto eç detto vignettatura. Esso eç assai scomodo, specialmente per osservazioni fotograæche, dato che al centro, ove l'obiettivo eç piuç luminoso, si vedranno stelle æno a una certa magnitudine, mentre stelle della stessa magnitudine non saranno visibili ai bordi. C'eç peroç un modo per eliminare la vignettatura, ed eç quello di porre in una certa posizione un altro diaframma che dia luogo ad una vignettatura brusca, tale cioeç che accetti tutti i raggi æno ad una certa vergenza, e che non ne accetti piuç oltre quella. L'eæetto voluto si puoç ottenere ponendo un diaframma nel secondo piano focale, o in un piano coniugato a questo all'interno del sistema. Tale diaframma, proprio percheç limita nettamente il campo, eç detto diaframma di campo. Le immagini anteriore e posteriore del diaframma di campo si dicono ænestra d'entrata e d'uscita rispettivamente. In un sistema che deve formare immagini di oggetti all'inænito, anche la f.e. eç all'inænito. O5í3
Il cannocchiale astronomico Vediamo ora l'applicazione delle idee introdotte al piuç importante esempio di sistema telescopico: il cannocchiale astronomico o kepleriano. Questo, nella sua forma primitiva, consiste di due lenti sottili, dette rispettivamente obiettivo e oculare, di focali f ob e f oc entrambe positive èlenti convergentiè. Le lenti sono disposte in modo che il secondo fuoco dell'obiettivo coincida col primo fuoco dell'oculare: F 0 ç F ob oc. E ç chiaro che in queste condizioni un fascio parallelo esce dallo strumento ancora parallelo, e si vede dalla æg. O5í6 che i diametri dei fasci entrante e uscente sono in proporzione a f ob e f oc : ne segue G a =, f ob f oc : Il segno meno risulta dal fatto che u e u 0 per uno stesso raggio hanno segni opposti. L'ingrandimento eç dunque negativo, il che vuol dire che una sorgente all'inænito posta sopra l'asse ottico èu é 0è produce in uscita raggi con u 0 é 0, che quindi appaiono provenire da sotto l'asse ottico, come in æg. O5í 7, a sinistra; a destra sono indicati i raggi principali provenienti da due sorgenti A e B: l'immagine èvirtualeè vista attraverso il cannocchiale eç capovolta. Poicheç il cannocchiale astronomico eç fatto per ingrandire, avremo di solito jg a jç1, cioeç f ob ç f oc. A F 1 =F 2 B F 1 =F 2 B Fig. O5-7 A Nel cannocchiale astronomico la p.e. coincide di regola col bordo dell'obiettivo: ne segue che la p.u. eç l'immagine di tale bordo data dell'oculare. Ma l'obiettivo eç a distanza molto maggiore della focale dell'oculare, per cui tale immagine si formeraç molto vicino al secondo fuoco dell'oculare èæg. O5í8è. p.e. Fig. O5-8 Dato che nel piano per F 0 ç F ob oc si forma un'immagine reale delle sorgenti èche sono all'inænitoè, questo eç il piano giusto per introdurre un diaframma di campo. O5í4 p.u.
Per comprendere il giuoco dei diaframmi nel cannocchiale astronomico occorre peroç tener presente un ulteriore elemento: l'occhio dell'osservatore. Infatti questo introduce un nuovo diaframma èla pupillaè, e occorre vedere come le cose variano secondo la sua posizione. In æg. O5í9 la posizione è1è consente all'occhio p.u. di ricevere quanta luce puoç e quindi l'obiettivo eç ben sfruttato èeç anche eccessivoè, ma nella posizione è2è l'occhio riceveraç meno luce di quanto potrebbe; in posizione è3è non riceve aæatto luce proveniente da quella F 2 direzione. Dunque se l'occhio viene posto a una certa distanza dalla p.u. si ha di nuovo l'eæetto di vignettatura e riduzione dell'angolo di campo èniente di strano: Fig. O5-9 tali eæetti intervengono ogni volta che si accoppiano piuç diaframmiè. 1 2 3 Ne segue che l'occhio va posto piuç o meno dove sta la pupilla d'uscita, ovvero circa nel secondo piano focale dell'oculare. Questo fatto limita la possibilitaç di diminuire indeænitamente f oc ènel tentativo diavere maggiore ingrandimentoè: nella pratica raramente si scende sotto 5 mm. Questo eç un caso particolare di un fatto generale: nella progettazione e nell'impiego del cannocchiale astronomico occorre sempre tenere presenti i rapporti tra cannocchiale e occhio. Per esempio: í Se la p.u. eç piuç piccola della pupilla dell'occhio, l'obiettivo eç sfruttato al massimo. Peroç tenendo æsso jg a j si puoç aumentare p e col che aumenta anche p u e aumenta la luminositaç. í Se la p.u. eç piuç grande della pupilla dell'occhio, il fascio uscente eç ulteriormente diaframmato dall'occhio: signiæca che si possono ottenere uguali risultati con un obiettivo di diametro minore. Per fare alcuni esempi numerici teniamo presente che la pupilla dell'occhio ha un diametro massimo di 7 æ 8 mm al buio, ma che alla luce èper osservazioni diurneè si restringe æno a 2 mm. 1è Vogliamo costruire un cannocchiale con ingrandimento jg a j = 100. Allora: per p e = 500 mm si avraç p u = 5mm p e = 800 mm p u = 8mm p e = 1500 mm p u =15mm. Dunque, contrariamente a quello che si potrebbe pensare èpiuç grande eç l'obiettivo, piuç eç luminosoè, vediamo che oltre gli 80 cm di obiettivo eç inutile andare, in quanto l'ulteriore aumento di luminositaç eç bloccato dalle possibilitaç dell'occhio. Cosç il terzo obiettivo sarebbe bene utilizzato solo con jg a j = 200. 2è Consideriamo ora un comune binocolo 7 æ 50 èche signiæca ingrandimento jg a j = 7 con p e = 50 mm, da cui segue p u ' 7mmè. O5í5
Questo eç uno strumento buono di notte èp u eç circa uguale alla pupilla dell'occhioè; di giorno invece basta p u ' 2 mm ècome quella dell'occhioè cui corrisponde p e ' 14 mm, per cui l'obiettivo del binocolo eç assai poco sfruttato. 3è Binocolo 12 æ 50 èjg a j = 12, p e ' 50 mm, p u ' 4 mmè. Per quanto si eç visto, questo strumento eç adatto all'uso diurno, ma di notte eç poco conveniente, percheç l'occhio potrebbe ricevere piuç luce. Tutto questo c'insegna che per ogni osservazione occorre lo strumento adatto e che raramente un cannocchiale si puoç dire ottimo sotto tutti gli aspetti. Ache serve lalente di campo di un oculare? La quasi totalitaç degli oculari oggi in uso consistono di due lenti èalmenoè. Questo eç fatto in parte allo scopo di ridurre le aberrazioni, ma c'eç una ragione piuç fondamentale, che ora vedremo. Finora non ci siamo mai chiesti come intervenga il bordo dell'oculare, ma eç chiaro che se esso non eç suæcientemente grande produrraç vignettatura. La domanda eç: quanto grande? Discutiamolo su un esempio. Un tipico cannocchiale 7æ50 potrebbe avere ad es.: f ob = 140 mm, f oc = 20 mm, d ob = 50mm. La p.u. risulteraç p u = 7 mm e disteraç 23 mm dall'oculare. Chiediamoci ora quanto dev'essere grande l'oculare per avere non vignettato un campo èponiamoè æno a 3 æ dall'asse. La costruzione eç mostrata in æg. O5í10 in alto e la risposta eç d oc = 24 mm. Non eç facile costruire una lente di focale 20 mm e diametro 24 mm, senza contare che lavorerebbe molto lontana dall'approssimazione di Gauss, cioeç con aberrazioni proibitive. lente di campo Fig. O5-10 F 1 =F 2 piano focale Se s'interpone, nel piano dell'immagine reale, un'altra lente èlente di campoè ad es. con f =30mmavremo: aè nessun eæetto sull'immagine di oggetti all'inænito èlasciamo a chi legge di capire il percheçè; bè la pupilla d'uscita si avvicina a 9:5 mm dall'oculare, e resta dello stesso diametro. La nuova costruzione èæg. O5í10 in bassoè mostra che per lo stesso campo stavolta basta d oc =14mm: il guadagno eç notevole. Quanto alla lente di campo, il suo diametro non saraç maggiore di 15 mm. O5í6
In termini semplici l'azione della lente di campo si spiega cosç: il fascio di luce proveniente dall'obiettivo, che senza lente di campo andrebbe allontanandosi dall'asse ècostringendo cosç ad un grosso oculare per contenerlo tuttoè viene deæesso verso l'asse dalla lente di campo e percioç puoç essere compreso in un oculare di diametro minore. Nella pratica si daç il nome di oculare al sistema delle due lenti; inoltre spesso la lente di campo non viene messa proprio nel piano dei fuochi, ma prima èoculare negativo, tipo Huygensè o dopo èoculare positivo, tipo Ramsdenè. A parte altre ragioni piuç complesse c'eç per questo una ragione banale: una superæcie ottica nel piano dell'immagine reale raccoglie granuli di polvere, peluzzi, ecc. che vengono visti a fuoco èe ingranditiè disturbando molto l'osservazione. Questo non accade se la superæcie della lente di campo eç ëfuori fuoco." O5í7