SUL TRATTAMENTO DELLE PSEUDOARTROSIDIAFISARIE DI TIBIA



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SUL TRATTAMENTO DELLE PSEUDOARTROSIDIAFISARIE DI TIBIA DR. A. LO GIUDICE, DR. C. GUARNIERE, DR. P. MALFITANO, DR. S. PANDOLFINO IOMI Messina RIASSUNTO Gli Autori presentano la propria esperienza sul trattamento della pseudoartrosi (PA) di tibia in 23 pazienti, trattati presso l Istituto F. Scalabrino di Messina nel periodo dal 1997 al 2006, e giunti all osservazione dopo essere stati sottoposti a diversi trattamenti sia di sintesi in prima istanza, sia di altri tentativi di risoluzione per quadri di PA già manifesta. L intervento effettuato è stato sempre rivolto alla stabilizzazione del focolaio di PA, nella maggior parte dei casi mediante l utilizzo di chiodo endomidollare bloccato. Nel 70% dei casi è stato aggiunto l impiego di gel autologo con fattori di crescita derivati dalle piastrine, introdotto direttamente nei casi in cui si era resa necessaria l esposizione del focolaio, ovvero per via percutanea per il trattamento dei casi a cielo chiuso. In tutti i pazienti è stata effettuata l osteotomia di perone, salvo in un caso nel quale particolari caratteristiche del focolaio di PA ne controindicavano l attuazione. Durante il decorso post-operatorio si è fatto ricorso al trattamento integrativo con cicli di Magnetoterapia (6-8 h al dì per almeno trenta giorni). I controlli radiografici a distanza (con follow-up medio di 5,5 anni) hanno evidenziato in tutti i pazienti la risoluzione del processo di PA con scomparsa della rima di frattura e la presenza di callo osseo periostale trofico, in piena sintonia con la guarigione clinica e con il ritorno del soggetto alla sua normale attività dinamica. INTRODUZIONE Come è noto, la pseudoartosi (PA) è il risultato di una patologia della evoluzione di una frattura nella quale i processi riparativi si sono completamente arrestati, sia radiologicamente che clinicamente, a differenza del ritardo di consolidazione ove non vengono rispettati i tempi medi di guarigione caratteristici per tipo e sede di lesione, età del paziente, pur essendo presenti dei segni potenzialmente prodromici per la consolidazione 1-2. Appare chiaro che il limite tra PA e ritardo di consolidazione è spesso assai sfumato 2-5-11. Tale patologia, essendo presente, sotto l aspetto epidemiologico, in una percentuale che oscilla tra il 5 ed il 10 % dei trattamenti cruenti delle fratture di tibia 3-4, e di oltre il 30% per i casi di frattura della dialisi tibiale trattati incruentemente 2-3-6-8, riveste un peso sociale notevole per la prolungata inattività, oltre che per i numerosi trattamenti medici, fisioterapici e chirurgici ai quali va incontro il paziente. 135

L evoluzione verso la PA di una frattura di tibia è legata all intervento di fattori locali e generali 1-2 che interferiscono nell iter patogenetico. Tra i primi è opportuno ricordare l instabilità dei frammenti di frattura, la loro diastasi, la presenza di un deficit vascolare in un distretto scheletrico già caratterizzato da una ridotta circolazione nell ambito dell astuccio diafisario, ed ancora l interposizione di parti molli, l eventuale esposizione o comminuzione della frattura, l attuazione di una sintesi instabile, od infine la eventuale mobilizzazione precoce del paziente. I fattori generali più comuni riguardano l età avanzata e le condizioni del soggetto, l uso di farmaci steroidei, anticoagulanti o antinfiammatori, il fumo e l alcool, l eventuale malnutrizione, la presenza di ustioni o una concomitante o preesistente terapia radiante. Negli ultimi trent anni sono state proposte diverse classificazioni da parte di numerosi autori fra le quali ricordiamo quelle di R. e J. Judet nel 1967, di M.E. Muller nel 1979, di R. M. Difeso nel 1984, di C. Ciuccarelli nel 1988, di M. Panella nel 1989, di V. N. Galante nel 1990, mentre il riferimento per noi più appropriato è quella di Weber e Cech 3 del 1976 (tab. I) con la distinzione fondamentale delle PA in infette e non infette. Tra le non infette - quelle di riscontro più comune nella pratica quotidiana - troviamo elencate le ipertrofiche (dette anche vitali), a zampa di elefante o a zampa di cavallo, le oligotrofiche, senza presenza di callo osseo, e le atrofiche (intese come non vitali) tra le quali sono da ricordare le forme distrofiche, necrotiche, atrofiche con diastasi e le francamente atrofiche. Infine è da citare la presenza di PA congenite, la cui trattazione comunque esula dal presente contributo. Sotto il profilo patogenetico, l instaurarsi di un processo di PA è legato Tab. I all intervento negativo dei fattori locali, Classificazione sec. Weber e Cech 1976 generali e biomeccanici che non consentono lo sviluppo delle tensioni necessarie ed indispensabili alla differenziazione degli osteoblasti, ma determinando la differenziazione delle cellule IPERTROFICHE osteoprogenitrici in fibroblasti con la produzione di tessuto fibrocartilagineo, portano, come naturale conclusione, alla mancata consolidazione della frattura 4-11. Gli obiettivi del trattamento delle PA sono un raggiungimento rapido della ATROFICHE consolidazione ed il recupero più celere e completo possibile della funzionalità, riducendo al minimo le deformità, il dolore residuo e le rigidità delle articolazioni vicine 2-4. Storicamente il trattamento delle PA era originariamente di tipo in-cruento, OLIGOTROFICHE caratterizzato da immobilizzazioni gessate e, di conseguenza, da tempi di guarigione estremamente lunghi e con risultati finali incerti 5-9-10. 136

Attualmente il trattamento si avvale di numerosi metodi di immobilizzazione dei frammenti di PA sintesi periostali, fissatori esterni, sintesi endomidollari 6-7-8-10 tutte rivolte ad effettuare una sintesi efficiente del focolaio, associata ad una accurata rimozione del tessuto patologico, una efficace cruentazione delle superfici scheletriche iuxtalesionali ed in alcuni casi alla revitalizzazione con innesti osteoperiostei 4-6-13-16-22. Di recente al trattamento chirurgico si associano dei procedimenti, sia intraoperatori che postoperatori, orientati ad accelerare ulteriormente la consolidazione del focolaio di PA. Tra questi è opportuno ricordare, oltre alla già citata applicazione di innesti ossei, l impianto locale di fattori di crescita piastrinici (AGF) 12-13-25-26-27, delle cellule staminali 14-15-16-18-23-24, l utilizzo della eptotermin alfa 28-29-30, il trattamento con le Onde d urto extracorporee (ESWT) 17-19-20-21-22 e con campi magnetici pulsanti (CEMP) 31-32-33-34-35, quest ultimo con esteso prolungamento post-operatorio. MATERIALI E METODI Nel periodo compreso tra il 1997 ed il 2006 presso l Istituto Ortopedico F. Scalabrino di Messina sono stati trattati 23 pazienti, 15 uomini e 8 donne, di età compresa tra i 20 ed i 93 anni (media 51,3). In 20 soggetti è stata effettuata una sintesi endomidollare, in 2 il focolaio di PA è stato stabilizzato con placca e viti ed infine in un caso è stato applicato un Fissatore esterno. In tutti i casi la sintesi effettuata è stata di tipo rigido, in 11 casi sono stati applicati i Fattori di crescita autologhi (AGF) e dopo l intervento si è fatto ricorso sistematicamente ad un ciclo di un mese di trattamento con Campi Elettromagnetici Pulsanti (CEMP) applicati per 6-8 ore al dì. Tab. II 137

La osteotomia di sottrazione del perone è stata sempre effettuata tranne che in un caso in cui la stessa era controindicata per la morfologia della PA. Il follow up è compreso tra i 2 ed i 9 anni (medio 5,5 anni). (TAB II) Nei casi in cui è stato applicato il AGF, l intervento si è svolto in due tempi: 1) preparazione del concentrato piastrinico contenente i fattori di crescita estratti dal sangue del paziente 36 nell immediato pre-operatorio; 2) rimozione dei mezzi di sintesi presenti, accurata toilette del focolaio di PA, sintesi stabile con metodica endomidollare in 20 casi, in due con stabilizzazione con placca a scivolamento a compressione, ed in uno con fissatore esterno (Tab. III): in tutti i casi è stata aggiunta la contemporanea applicazione del gel piastrinico precedentemente preparato. Alcuni casi classici: Tab. III M.E. a. 31 int. 02: Allineamento con F.E. controllo a 6 mesi Follow up 4 anni dopo rimozione del F.E. e sintesi con chiodo endomidollare Fig. 1 P.V. a. 35: P.A. ipertrofica proveniente da altra sede con F.E. int. 02: Rimozione del F.E. e applicazione del chiodo bloccato Follow up 4 anni Fig. 2 138

B.C. a. 20: P.A. ipertrofica sintetizzata in altra sede con protesi e viti int. 03: Osteosintesi con chiodo endomidollare Follow up 3 anni Fig. 3 T.M. a. 70: P.A. ipertrofica trattata con F.E. in altra sede int. 04: Osteosintesi con chiodo endomidollare bloccato Follow up 2 anni Fig. 4 RISULTATI Gli Autori hanno esaminato i risultati ottenuti su un campione di 20 pazienti (3 pazienti sono deceduti nell arco degli anni per cause naturali) considerando sia la valutazione soggettiva del paziente che quella oggettiva ottenuta dall analisi del risultato clinico e radiografico acquisito. (TAB IV) Valutazione soggettiva 139

Valutazione oggettiva Tab. IV RISULTATI CLINICI Durante il periodo post-operatorio nessun paziente ha avuto episodi febbrili, manifestazioni flogistiche o settiche locali, o sintomi attribuibili all applicazione dei AGF. La cicatrizzazione delle ferite è avvenuta secondo gli standard di letteratura a seconda della sede e del tipo di lesione. I controlli clinici e radiografici effettuati periodicamente hanno consentito di personalizzare la concessione del carico. Nessun paziente ha mostrato delle anomalie a carico dei parametri emato-chimici studiati. Un paziente ha lamentato dolenzia in sede di formazione del callo osseo senza peraltro segni locali di flogosi. RISULTATI RADIOGRAFICI In occasione dei vari controlli radiografici effettuati negli anni successivi all intervento chirurgico, si è notata la completa ricostruzione della normale struttura scheletrica ed il rifacimento della anatomia loco-regionale con completa corticalizzazione del focolaio di PA. DISCUSSIONE Il processo di guarigione delle fratture si innesca in conseguenza di tre risposte distinte dei tessuti al trauma 9-10-11-28-31 che possono presentarsi in modo più o meno predominante: Reazione midollare: le cellule endoteliali assumono un fenotipo osteoblastico in 24 ore. Il midollo osseo contribuisce direttamente alla formazione di osso durante le primissime fasi della guarigione delle frattura. Reazione corticale e interframmentaria: quando la riduzione della frattura è anatomica e stabile. L osso fratturato si unisce direttamente a quello dell altro lato. Reazione periostale: le cellule mesenchimali indifferenziate e le cellule osteoprogenitrici attuano una ricapitolazione della ossificazione intramembranosa embriologica e della formazione encondrale di osso. In ogni caso, qualunque sia la reazione predominante, i processi di riparazione prendono sempre inizio dalla formazione dell ematoma: questo è fonte di molecole che innescano l infiammazione in cui le piastrine producono e secernono i fattori di crescita (growth factors)quali TGF-beta, IGF-1, IGF-2, PDGF, EGF 12-13-14-16-18. Tali fattori di crescita stimolano la proliferazione e la differenziazione di numerose popolazioni cellulari tra cui gli osteo- 140

blasti e le cellule endoteliali fondamentali per l innesco dei processo osteoriparativi 11-14-24. Numerosi Autori 6-7-8 hanno sottolineato, nel corso degli anni, l efficacia dell inchiodamento endomidollare bloccato nelle sintesi dei ritardi di consolidazioni e nelle pseudoartrosi della dialisi tibiale. Tale metodica, se eseguita con chiodi endomidollari bloccati di elevato diametro, consente una sintesi molto stabile e per nulla invasiva nei riguardi dei tessuti molli circostanti la pseudoartrosi. I chiodi midollari di elevato diametro necessitano però di un alesaggio aggressivo del canale midollare ed i reali rischi correlati sono ancora fonte di discussione 10-37. Riteniamo che l alesaggio del canale midollare, se eseguito in modo correttamente progressivo ed a bassa velocità, non incide negativamente sul decorso post-operatorio (perdita ematica, incidenza di tromboembolia polmonare) ma anzi può essere ulteriore fonte di stimolazione biologica dei processi riparativi mediante l effetto bone grafting ed il sanguinamento endomidollare. Di elevato valore sulla evoluzione della lesione si è rivelato l impianto in loco del gel piastrinico, elemento che a nostro giudizio supporta la significativa positività dei risultati. CONCLUSIONI Dall analisi dei casi trattati e sulla base dei risultati ottenuti, della valutazione oggettiva e della valutazione clinica soggettiva data dai pazienti riteniamo che l inchiodamento endomidollare, associato all applicazione dei fattori di crescita autologhi nel focolaio di pseudoartrosi (gel piastrinico), ed all uso, nel post-operatorio, dei Campi Elettromagnetici Pulsanti, è una metodica valida sia per la rapida risoluzione clinica e radiologica che si osserva, che per la riduzione dei tempi di inabilità del paziente. BIBLIOGRAFIA 1. Maniscalco P. (2004) Le fratture diafisarie dell arto inferiore. Spriger-Verlag. Italia. Milano 2. Marsh D. (1998) Concepts of fraeture union, delayed union and non-union. Clin Orthop 355 (suppl. 22-30) 3. Weber B., Cech O. : Pseudoarthosis. Han Huber. Bern,1976 4. Rosen H. Fracture healing and pseudoarthrosis. In: Taveras J. Med. Radiology: Diagnosis-Imaging- intervention. Vol 5 JB Lippincott. Philadelphia, 1986 5. Browner B., Juppiter J., Levine A., Trafton P. Traumatologia dell apparato muscoloscheletrico. Verduci editore, 1992 Roma, pp. 530-531. 6. Muller C., Melff T., Rahn B.A. et al : Influence of the compression force on the intramedullary pressure development in reaming of the femoral medullarycavity. Injury 24:36-39,1993. 7. Brav E.A., The use of intramedullary nailing for non-union of the femur. Clin Orthop. 60: 69-75,1968. 8. Buhren V., Intramedullary compression nailing of long tubular bones. Unfallchirurg 103: 708-720,2000. 141

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