"Commenti" «Democrazia sindacale:la legge è inutile» - di M.Tiraboschi

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"Commenti" «Democrazia sindacale:la legge è inutile» - di M.Tiraboschi commenti venerd15 novembre 2002 RAPPRESENTANZA..LE RAGIONI DI UN DISSENSO DI MICHELE TIRABOSCHI «Democrazia sindacale:la legge inutile» Caro Direttore, leggo su il Riformista di gioved7 un editoriale dedicato alla questione delle regole sulla rappresentanza nel nostro sistema di relazioni industriali. Di questo editoriale non condivido non solo lanalisi, ma anche la principale conclusione, e cioche gli accordi separati e lo stato attuale dei rapporti tra le grandi confederazioni sindacali impongano di affidare alla legge il compito di misurare con regole certe il grado di rappresentativit del sindacato. Come giurista sarei portato a sviluppare alcune argomentazioni tecniche, per spiegare le ragioni del mio dissenso. Ma non questa la sede. Da studioso delle relazioni industriali vorrei invece ricordare che un riformista come Marco Biagi ciouno degli estensori di quel Libro Bianco che, si legge nelleditoriale, affrontil tema con miopia ci aveva da tempo ammoniti, sulla scorta di una meticolosa analisi della esperienza di altri Paesi, che «richiamarsi al numero dei voti ottenuti nelle elezioni per affermare la propria rappresentativit una soluzione che ha sempre dato risultati non convincenti () e che non farebbe altro che esasperare le divisioni giprofonde fra le nostre organizzazioni sindacali, destabilizzando ancor di pi il sistema di relazioni industriali nel suo complesso» (M. Biagi, Votare sui contratti esaspera le divisioni, Il Sole-24 Ore del 23 novembre 2001). Accordi separati producono certamente profonde lacerazioni. La storia del nostro Paese dimostra tuttavia che si sono potute gestire e superare situazioni assai pi gravi e dirompenti, senza mettere mano a una legge che, nel misurare la forza del sindacato, lo espone inevitabilmente a possibili ingerenze o forme di controllo da parte dello Stato. Lo stesso articolo 39 richiamato spesso a sproposito, nellattuale dibattito sulla rappresentanza non ha avuto attuazione anche perché incentrato su un modello storico di sindacalismo unitario messo in crisi nei mesi immediatamente successivi alla entrata in vigore della Costituzione. Eppure, nemmeno dopo la rottura del fronte sindacale

unitario, con la costituzione prima della Cisl e poi della Uil, il sindacato ha ritenuto di dover appellarsi al legislatore per risolvere conflitti di legittimazione interni alla dialettica sindacale e che solo in essa possono trovare adeguata soluzione. E stato lo stesso sindacato che, con lungimiranza, ha visto nella non attuazione dellarticolo 39 una opportunit per rafforzare il proprio peso nella societ Lopzione dellastensionismo legislativo stata poi confermata dal legislatore, che si sino a oggi opportunamente limitato a recepire gli esiti della libera dialettica sindacale, senza privilegiare aprioristicamente un determinato modello di mediazione e rappresentanza degli interessi dei lavoratori. Ciha consentito di valorizzare appieno il ruolo del sindacato, lasciando che fossero i rapporti di forza tra le parti - e non una determinazione eteronoma dello Stato - a stabilire le linee di sviluppo del sistema di relazioni industriali, vuoi nella forma conflittuale, vuoi nella forma collaborativa e partecipativa. La questione di democrazia, sollevata a mio avviso impropriamente nelleditoriale, tutta qui. E il fondamentale principio di libert di azione sindacale che rende non solo superflua, ma anche dannosa, per una societ complessa come la nostra che aspira ad essere aperta e pluralista, una legge di disciplina eteronoma della rappresentanza sindacale. Solo un sindacato debole o collaterale a un partito politico di governo pusentire il bisogno di meccanismi legislativi volti a sostenerlo con lestensione anche ai non iscritti della efficacia dei contratti collettivi che stipula. Non certo un caso che un sindacato capace di ottenere sul campo il riconoscimento della controparte ha sempre visto con giustificato orgoglio la non attuazione dellarticolo 39, laddove la richiesta di una legge che ne certifichi la forza, oltre a legittimare un possibile intervento del giudice nelle dinamiche delle relazioni industriali, una ammissione della incapacitdi conseguire i propri obiettivi e di misurare, nel libero confronto con le controparti, la propria rappresentativit E non sarallora certo una legge dello Stato a poter risolvere la disputa, propria della attuale dialettica intersindacale, sul ruolo e le funzioni del sindacato in una societdemocratica e pluralista. Soprattutto nei momenti di crisi e lacerazione del confronto politicosindacale, cidi cui non si sente affatto bisogno la prospettiva di una societchiusa, in cui qualcuno, magari con lausilio di una misurazione formalistica della propria rappresentativit dia ad intendere di possedere lunica Verit Chi davvero crede in un progetto democratico e pluralista, ci insegnava Karl Popper, non puinvece che aderire a una concezione aperta della societ una societ che vive e si alimenta anche di conflitti e che nasce dalla libertproprio perché in essa nessuno pupermettersi di assolutizzare, tanto meno con lintervento di una legge o del giudice, le proprie visioni del mondo.

commenti venerd15 novembre 2002 RAPPRESENTANZA..LE RAGIONI DI UN DISSENSO DI MICHELE TIRABOSCHI «Democrazia sindacale:la legge inutile» Caro Direttore, leggo su il Riformista di gioved7 un editoriale dedicato alla questione delle regole sulla rappresentanza nel nostro sistema di relazioni industriali. Di questo editoriale non condivido non solo lanalisi, ma anche la principale conclusione, e cioche gli accordi separati e lo stato attuale dei rapporti tra le grandi confederazioni sindacali impongano di affidare alla legge il compito di misurare con regole certe il grado di rappresentativit del sindacato. Come giurista sarei portato a sviluppare alcune argomentazioni tecniche, per spiegare le ragioni del mio dissenso. Ma non questa la sede. Da studioso delle relazioni industriali vorrei invece ricordare che un riformista come Marco Biagi ciouno degli estensori di quel Libro Bianco che, si legge nelleditoriale, affrontil tema con miopia ci aveva da tempo ammoniti, sulla scorta di una meticolosa analisi della esperienza di altri Paesi, che «richiamarsi al numero dei voti ottenuti nelle elezioni per affermare la propria rappresentativit una soluzione che ha sempre dato risultati non convincenti () e che non farebbe altro che esasperare le divisioni giprofonde fra le nostre organizzazioni sindacali, destabilizzando ancor di pi il sistema di relazioni industriali nel suo complesso» (M. Biagi, Votare sui contratti esaspera le divisioni, Il Sole-24 Ore del 23 novembre 2001). Accordi separati producono certamente profonde lacerazioni. La storia del nostro Paese dimostra tuttavia che si sono potute gestire e superare situazioni assai pi gravi e dirompenti, senza mettere mano a una legge che, nel misurare la forza del sindacato, lo espone inevitabilmente a possibili ingerenze o forme di controllo da parte dello Stato. Lo stesso articolo 39 richiamato spesso a sproposito, nellattuale dibattito sulla rappresentanza non ha avuto attuazione anche perché incentrato su un modello storico di sindacalismo unitario messo in crisi nei mesi immediatamente successivi alla entrata in vigore della Costituzione. Eppure, nemmeno dopo la rottura del fronte sindacale unitario, con la costituzione prima della Cisl e poi della Uil, il sindacato ha ritenuto di dover appellarsi al legislatore per risolvere conflitti di legittimazione interni alla dialettica sindacale e che solo in essa possono trovare adeguata soluzione. E stato lo stesso sindacato che, con lungimiranza, ha visto nella non

attuazione dellarticolo 39 una opportunit per rafforzare il proprio peso nella societ Lopzione dellastensionismo legislativo stata poi confermata dal legislatore, che si sino a oggi opportunamente limitato a recepire gli esiti della libera dialettica sindacale, senza privilegiare aprioristicamente un determinato modello di mediazione e rappresentanza degli interessi dei lavoratori. Ciha consentito di valorizzare appieno il ruolo del sindacato, lasciando che fossero i rapporti di forza tra le parti - e non una determinazione eteronoma dello Stato - a stabilire le linee di sviluppo del sistema di relazioni industriali, vuoi nella forma conflittuale, vuoi nella forma collaborativa e partecipativa. La questione di democrazia, sollevata a mio avviso impropriamente nelleditoriale, tutta qui. E il fondamentale principio di libert di azione sindacale che rende non solo superflua, ma anche dannosa, per una societ complessa come la nostra che aspira ad essere aperta e pluralista, una legge di disciplina eteronoma della rappresentanza sindacale. Solo un sindacato debole o collaterale a un partito politico di governo pusentire il bisogno di meccanismi legislativi volti a sostenerlo con lestensione anche ai non iscritti della efficacia dei contratti collettivi che stipula. Non certo un caso che un sindacato capace di ottenere sul campo il riconoscimento della controparte ha sempre visto con giustificato orgoglio la non attuazione dellarticolo 39, laddove la richiesta di una legge che ne certifichi la forza, oltre a legittimare un possibile intervento del giudice nelle dinamiche delle relazioni industriali, una ammissione della incapacitdi conseguire i propri obiettivi e di misurare, nel libero confronto con le controparti, la propria rappresentativit E non sarallora certo una legge dello Stato a poter risolvere la disputa, propria della attuale dialettica intersindacale, sul ruolo e le funzioni del sindacato in una societdemocratica e pluralista. Soprattutto nei momenti di crisi e lacerazione del confronto politicosindacale, cidi cui non si sente affatto bisogno la prospettiva di una societchiusa, in cui qualcuno, magari con lausilio di una misurazione formalistica della propria rappresentativit dia ad intendere di possedere lunica Verit Chi davvero crede in un progetto democratico e pluralista, ci insegnava Karl Popper, non puinvece che aderire a una concezione aperta della societ una societ che vive e si alimenta anche di conflitti e che nasce dalla libertproprio perché in essa nessuno pupermettersi di assolutizzare, tanto meno con lintervento di una legge o del giudice, le proprie visioni del mondo. commenti venerd15 novembre 2002

RAPPRESENTANZA..LE RAGIONI DI UN DISSENSO DI MICHELE TIRABOSCHI «Democrazia sindacale:la legge inutile» Caro Direttore, leggo su il Riformista di gioved7 un editoriale dedicato alla questione delle regole sulla rappresentanza nel nostro sistema di relazioni industriali. Di questo editoriale non condivido non solo lanalisi, ma anche la principale conclusione, e cioche gli accordi separati e lo stato attuale dei rapporti tra le grandi confederazioni sindacali impongano di affidare alla legge il compito di misurare con regole certe il grado di rappresentativit del sindacato. Come giurista sarei portato a sviluppare alcune argomentazioni tecniche, per spiegare le ragioni del mio dissenso. Ma non questa la sede. Da studioso delle relazioni industriali vorrei invece ricordare che un riformista come Marco Biagi ciouno degli estensori di quel Libro Bianco che, si legge nelleditoriale, affrontil tema con miopia ci aveva da tempo ammoniti, sulla scorta di una meticolosa analisi della esperienza di altri Paesi, che «richiamarsi al numero dei voti ottenuti nelle elezioni per affermare la propria rappresentativit una soluzione che ha sempre dato risultati non convincenti () e che non farebbe altro che esasperare le divisioni giprofonde fra le nostre organizzazioni sindacali, destabilizzando ancor di pi il sistema di relazioni industriali nel suo complesso» (M. Biagi, Votare sui contratti esaspera le divisioni, Il Sole-24 Ore del 23 novembre 2001). Accordi separati producono certamente profonde lacerazioni. La storia del nostro Paese dimostra tuttavia che si sono potute gestire e superare situazioni assai pi gravi e dirompenti, senza mettere mano a una legge che, nel misurare la forza del sindacato, lo espone inevitabilmente a possibili ingerenze o forme di controllo da parte dello Stato. Lo stesso articolo 39 richiamato spesso a sproposito, nellattuale dibattito sulla rappresentanza non ha avuto attuazione anche perché incentrato su un modello storico di sindacalismo unitario messo in crisi nei mesi immediatamente successivi alla entrata in vigore della Costituzione. Eppure, nemmeno dopo la rottura del fronte sindacale unitario, con la costituzione prima della Cisl e poi della Uil, il sindacato ha ritenuto di dover appellarsi al legislatore per risolvere conflitti di legittimazione interni alla dialettica sindacale e che solo in essa possono trovare adeguata soluzione. E stato lo stesso sindacato che, con lungimiranza, ha visto nella non attuazione dellarticolo 39 una opportunit per rafforzare il proprio peso nella societ Lopzione dellastensionismo legislativo stata poi confermata dal legislatore, che si sino a oggi opportunamente limitato a recepire gli esiti della libera dialettica sindacale, senza privilegiare aprioristicamente un determinato modello di mediazione e rappresentanza degli interessi dei lavoratori. Ciha

consentito di valorizzare appieno il ruolo del sindacato, lasciando che fossero i rapporti di forza tra le parti - e non una determinazione eteronoma dello Stato - a stabilire le linee di sviluppo del sistema di relazioni industriali, vuoi nella forma conflittuale, vuoi nella forma collaborativa e partecipativa. La questione di democrazia, sollevata a mio avviso impropriamente nelleditoriale, tutta qui. E il fondamentale principio di libert di azione sindacale che rende non solo superflua, ma anche dannosa, per una societ complessa come la nostra che aspira ad essere aperta e pluralista, una legge di disciplina eteronoma della rappresentanza sindacale. Solo un sindacato debole o collaterale a un partito politico di governo pusentire il bisogno di meccanismi legislativi volti a sostenerlo con lestensione anche ai non iscritti della efficacia dei contratti collettivi che stipula. Non certo un caso che un sindacato capace di ottenere sul campo il riconoscimento della controparte ha sempre visto con giustificato orgoglio la non attuazione dellarticolo 39, laddove la richiesta di una legge che ne certifichi la forza, oltre a legittimare un possibile intervento del giudice nelle dinamiche delle relazioni industriali, una ammissione della incapacitdi conseguire i propri obiettivi e di misurare, nel libero confronto con le controparti, la propria rappresentativit E non sarallora certo una legge dello Stato a poter risolvere la disputa, propria della attuale dialettica intersindacale, sul ruolo e le funzioni del sindacato in una societdemocratica e pluralista. Soprattutto nei momenti di crisi e lacerazione del confronto politicosindacale, cidi cui non si sente affatto bisogno la prospettiva di una societchiusa, in cui qualcuno, magari con lausilio di una misurazione formalistica della propria rappresentativit dia ad intendere di possedere lunica Verit Chi davvero crede in un progetto democratico e pluralista, ci insegnava Karl Popper, non puinvece che aderire a una concezione aperta della societ una societ che vive e si alimenta anche di conflitti e che nasce dalla libertproprio perché in essa nessuno pupermettersi di assolutizzare, tanto meno con lintervento di una legge o del giudice, le proprie visioni del mondo. commenti venerd15 novembre 2002 RAPPRESENTANZA..LE RAGIONI DI UN DISSENSO DI MICHELE TIRABOSCHI «Democrazia sindacale:la legge inutile» Caro Direttore, leggo su il Riformista di gioved7 un editoriale dedicato alla questione delle regole sulla rappresentanza nel nostro sistema di relazioni industriali. Di questo editoriale non condivido non

solo lanalisi, ma anche la principale conclusione, e cioche gli accordi separati e lo stato attuale dei rapporti tra le grandi confederazioni sindacali impongano di affidare alla legge il compito di misurare con regole certe il grado di rappresentativit del sindacato. Come giurista sarei portato a sviluppare alcune argomentazioni tecniche, per spiegare le ragioni del mio dissenso. Ma non questa la sede. Da studioso delle relazioni industriali vorrei invece ricordare che un riformista come Marco Biagi ciouno degli estensori di quel Libro Bianco che, si legge nelleditoriale, affrontil tema con miopia ci aveva da tempo ammoniti, sulla scorta di una meticolosa analisi della esperienza di altri Paesi, che «richiamarsi al numero dei voti ottenuti nelle elezioni per affermare la propria rappresentativit una soluzione che ha sempre dato risultati non convincenti () e che non farebbe altro che esasperare le divisioni giprofonde fra le nostre organizzazioni sindacali, destabilizzando ancor di pi il sistema di relazioni industriali nel suo complesso» (M. Biagi, Votare sui contratti esaspera le divisioni, Il Sole-24 Ore del 23 novembre 2001). Accordi separati producono certamente profonde lacerazioni. La storia del nostro Paese dimostra tuttavia che si sono potute gestire e superare situazioni assai pi gravi e dirompenti, senza mettere mano a una legge che, nel misurare la forza del sindacato, lo espone inevitabilmente a possibili ingerenze o forme di controllo da parte dello Stato. Lo stesso articolo 39 richiamato spesso a sproposito, nellattuale dibattito sulla rappresentanza non ha avuto attuazione anche perché incentrato su un modello storico di sindacalismo unitario messo in crisi nei mesi immediatamente successivi alla entrata in vigore della Costituzione. Eppure, nemmeno dopo la rottura del fronte sindacale unitario, con la costituzione prima della Cisl e poi della Uil, il sindacato ha ritenuto di dover appellarsi al legislatore per risolvere conflitti di legittimazione interni alla dialettica sindacale e che solo in essa possono trovare adeguata soluzione. E stato lo stesso sindacato che, con lungimiranza, ha visto nella non attuazione dellarticolo 39 una opportunit per rafforzare il proprio peso nella societ Lopzione dellastensionismo legislativo stata poi confermata dal legislatore, che si sino a oggi opportunamente limitato a recepire gli esiti della libera dialettica sindacale, senza privilegiare aprioristicamente un determinato modello di mediazione e rappresentanza degli interessi dei lavoratori. Ciha consentito di valorizzare appieno il ruolo del sindacato, lasciando che fossero i rapporti di forza tra le parti - e non una determinazione eteronoma dello Stato - a stabilire le linee di sviluppo del sistema di relazioni industriali, vuoi nella forma conflittuale, vuoi nella forma collaborativa e partecipativa. La questione di democrazia, sollevata a mio avviso impropriamente nelleditoriale,

tutta qui. E il fondamentale principio di libert di azione sindacale che rende non solo superflua, ma anche dannosa, per una societ complessa come la nostra che aspira ad essere aperta e pluralista, una legge di disciplina eteronoma della rappresentanza sindacale. Solo un sindacato debole o collaterale a un partito politico di governo pusentire il bisogno di meccanismi legislativi volti a sostenerlo con lestensione anche ai non iscritti della efficacia dei contratti collettivi che stipula. Non certo un caso che un sindacato capace di ottenere sul campo il riconoscimento della controparte ha sempre visto con giustificato orgoglio la non attuazione dellarticolo 39, laddove la richiesta di una legge che ne certifichi la forza, oltre a legittimare un possibile intervento del giudice nelle dinamiche delle relazioni industriali, una ammissione della incapacitdi conseguire i propri obiettivi e di misurare, nel libero confronto con le controparti, la propria rappresentativit E non sarallora certo una legge dello Stato a poter risolvere la disputa, propria della attuale dialettica intersindacale, sul ruolo e le funzioni del sindacato in una societdemocratica e pluralista. Soprattutto nei momenti di crisi e lacerazione del confronto politicosindacale, cidi cui non si sente affatto bisogno la prospettiva di una societchiusa, in cui qualcuno, magari con lausilio di una misurazione formalistica della propria rappresentativit dia ad intendere di possedere lunica Verit Chi davvero crede in un progetto democratico e pluralista, ci insegnava Karl Popper, non puinvece che aderire a una concezione aperta della societ una societ che vive e si alimenta anche di conflitti e che nasce dalla libertproprio perché in essa nessuno pupermettersi di assolutizzare, tanto meno con lintervento di una legge o del giudice, le proprie visioni del mondo. commenti venerd15 novembre 2002 RAPPRESENTANZA..LE RAGIONI DI UN DISSENSO DI MICHELE TIRABOSCHI «Democrazia sindacale:la legge inutile» Caro Direttore, leggo su il Riformista di gioved7 un editoriale dedicato alla questione delle regole sulla rappresentanza nel nostro sistema di relazioni industriali. Di questo editoriale non condivido non solo lanalisi, ma anche la principale conclusione, e cioche gli accordi separati e lo stato attuale dei rapporti tra le grandi confederazioni sindacali impongano di affidare alla legge il compito di misurare con regole certe il grado di rappresentativit del sindacato. Come giurista sarei portato a sviluppare alcune argomentazioni tecniche, per spiegare

le ragioni del mio dissenso. Ma non questa la sede. Da studioso delle relazioni industriali vorrei invece ricordare che un riformista come Marco Biagi ciouno degli estensori di quel Libro Bianco che, si legge nelleditoriale, affrontil tema con miopia ci aveva da tempo ammoniti, sulla scorta di una meticolosa analisi della esperienza di altri Paesi, che «richiamarsi al numero dei voti ottenuti nelle elezioni per affermare la propria rappresentativit una soluzione che ha sempre dato risultati non convincenti () e che non farebbe altro che esasperare le divisioni giprofonde fra le nostre organizzazioni sindacali, destabilizzando ancor di pi il sistema di relazioni industriali nel suo complesso» (M. Biagi, Votare sui contratti esaspera le divisioni, Il Sole-24 Ore del 23 novembre 2001). Accordi separati producono certamente profonde lacerazioni. La storia del nostro Paese dimostra tuttavia che si sono potute gestire e superare situazioni assai pi gravi e dirompenti, senza mettere mano a una legge che, nel misurare la forza del sindacato, lo espone inevitabilmente a possibili ingerenze o forme di controllo da parte dello Stato. Lo stesso articolo 39 richiamato spesso a sproposito, nellattuale dibattito sulla rappresentanza non ha avuto attuazione anche perché incentrato su un modello storico di sindacalismo unitario messo in crisi nei mesi immediatamente successivi alla entrata in vigore della Costituzione. Eppure, nemmeno dopo la rottura del fronte sindacale unitario, con la costituzione prima della Cisl e poi della Uil, il sindacato ha ritenuto di dover appellarsi al legislatore per risolvere conflitti di legittimazione interni alla dialettica sindacale e che solo in essa possono trovare adeguata soluzione. E stato lo stesso sindacato che, con lungimiranza, ha visto nella non attuazione dellarticolo 39 una opportunit per rafforzare il proprio peso nella societ Lopzione dellastensionismo legislativo stata poi confermata dal legislatore, che si sino a oggi opportunamente limitato a recepire gli esiti della libera dialettica sindacale, senza privilegiare aprioristicamente un determinato modello di mediazione e rappresentanza degli interessi dei lavoratori. Ciha consentito di valorizzare appieno il ruolo del sindacato, lasciando che fossero i rapporti di forza tra le parti - e non una determinazione eteronoma dello Stato - a stabilire le linee di sviluppo del sistema di relazioni industriali, vuoi nella forma conflittuale, vuoi nella forma collaborativa e partecipativa. La questione di democrazia, sollevata a mio avviso impropriamente nelleditoriale, tutta qui. E il fondamentale principio di libert di azione sindacale che rende non solo superflua, ma anche dannosa, per una societ complessa come la nostra che aspira ad essere aperta e pluralista, una legge di disciplina eteronoma della rappresentanza sindacale. Solo un sindacato debole o collaterale a un partito politico di governo pusentire il bisogno di meccanismi legislativi volti a sostenerlo

con lestensione anche ai non iscritti della efficacia dei contratti collettivi che stipula. Non certo un caso che un sindacato capace di ottenere sul campo il riconoscimento della controparte ha sempre visto con giustificato orgoglio la non attuazione dellarticolo 39, laddove la richiesta di una legge che ne certifichi la forza, oltre a legittimare un possibile intervento del giudice nelle dinamiche delle relazioni industriali, una ammissione della incapacitdi conseguire i propri obiettivi e di misurare, nel libero confronto con le controparti, la propria rappresentativit E non sarallora certo una legge dello Stato a poter risolvere la disputa, propria della attuale dialettica intersindacale, sul ruolo e le funzioni del sindacato in una societdemocratica e pluralista. Soprattutto nei momenti di crisi e lacerazione del confronto politicosindacale, cidi cui non si sente affatto bisogno la prospettiva di una societchiusa, in cui qualcuno, magari con lausilio di una misurazione formalistica della propria rappresentativit dia ad intendere di possedere lunica Verit Chi davvero crede in un progetto democratico e pluralista, ci insegnava Karl Popper, non puinvece che aderire a una concezione aperta della societ una societ che vive e si alimenta anche di conflitti e che nasce dalla libertproprio perché in essa nessuno pupermettersi di assolutizzare, tanto meno con lintervento di una legge o del giudice, le proprie visioni del mondo.