LA PAROLA AI POVERI Solo ascoltando quello che hanno da dire è possibile uscire dall assistenzialismo e trovare risposte innovative di Paola Springhetti Cominciamo da tre Fino a quando i poveri non potranno dire la loro anche sulle politiche e sui servizi che li riguardano non si uscirà mai da un regime assistenzialistico. Ne sono convinte molte realtà del Terzo settore, che da tempo sostengono la richiesta di coinvolgerli. Ne è convinta l Unione Europea, che nel Mac (il Metodo Aperto di Coordinamento sull inclusione sociale e la protezione sociale) chiede appunto di mettere al centro delle politiche di inclusione e integrazione i soggetti deboli, trasformandoli da destinatari a protagonisti. Ne sono meno convinti i politici e gli Amministratori italiani, che sembrano relegare questa idea nell iperuranio delle cose irrealizzabili. Non ne è per niente convinta l opinione pubblica, ormai arroccata su posizioni difensive che non lasciano spazio al confronto con chi ha interessi diversi. Eppure ci sono esperienze che incoraggiano a lavorare in questa direzione. Se ne è parlato nel gennaio scorso a Bologna, durante il cantiere di lavoro sulla Partecipazione delle persone in povertà, organizzato da Eurobic Toscana Sud, Iress e Regione Emilia Romagna all interno del progetto Europa Spa, Strumenti di partecipazione attiva nell Europa del XXI secolo. A Ferrara, ad esempio, si è lavorato a un Patto per Ferrara, cui hanno partecipato associazioni (in rappresentanza dei soggetti deboli), servizi sociali e imprese. Il patto prevede l accoglienza della persona in difficoltà da parte delle associazioni, la presa in carico da parte del servizio sociale e una fase di conquista dell autonomia con l accompagnamento al lavoro, con la collaborazione delle imprese. In Toscana, nel 2007 è stata approvata la legge 69, che all art 1 recita: «la partecipazione alla elaborazione e alla formazione delle politiche re- 22
gionali e locali è un diritto: la presente legge promuove forme e strumenti di partecipazione democratica che rendano effettivo questo diritto». Grazie a questa legge sono stati finanziati una cinquantina di progetti per coinvolgere la cittadinanza sulle tematiche calde del territorio: dalla scolarizzazione dei bambini rom, all integrazione dei bambini figli di coppie straniere, a problemi ambientali. In Francia è attiva un associazione dal nome indicativo: Parole du Citoyen. Ha lo scopo di dare voce alle persone in povertà e lavora costruendo tavoli, dibattiti, momenti di confronto tra le persone sul campo, gli operatori sociali, gli amministratori e i politici. Obiettivo: riuscire a fare in modo che i poveri possano prendere la parola anche a livello europeo. Insomma, si può fare qualcosa, anzi molto. Anche se gli ostacoli non sono pochi. Il primo è definire chi sono i poveri a cui dare voce. Negli ultimi anni già prima della crisi del 2009 il profilo della povertà è cambiato: hanno preso forma nuove categorie a rischio, o in condizione di particolare vulnerabilità che spesso sono difficili da identificare perché poco visibili. Identificare i bisogni e individuare soluzioni per i nuovi poveri non è facile. Anche nel caso delle povertà tradizionali, però, c è un problema di definizione e riconoscimento dei diritti. Quali sono, ad esempio, quelli degli homeless? Se non si riconoscono gli altri diritti, è difficile dare spazio a quello di parola. Fondamentale è anche il problema della rappresentanza. Chi rappresenta i poveri? Le associazioni sono in grado di farlo? Se la risposta è sì, sono poi in grado di porsi come interlocutori degli operatori dei servizi pubblici e di chi decide le politiche? Anche l idea di politica che oggi sembra prevalere non lascia molti spazi ad un metodo di lavoro basato sulla partecipazione che, in quanto tale, richiede tempi, luoghi e risorse. Prevale infatti una concezione efficientista della politica, per cui il valore di una gestione si misura sul numero di decisioni (reali o apparenti) prese, e non sulla loro reale efficacia nel risolvere i problemi. La partecipazione dal basso di tutti i cittadini, poveri compresi ha invece procedure complesse, ma può avere come sbocco l identificazione di risposte reali a problemi reali. E dunque efficaci. E da parte dei servizi, i percorsi di partecipazione sono resi più diffi- Gli ostacoli da superare 23
cili, o impossibili, dalla frammentazione delle competenze, dalla rigidità con cui sono spesso organizzati, dalla carenza di risorse, oltre che dalla mancanza di fiducia. Anche se non mancano operatori consapevoli del fatto che l estraneità tra chi programma interventi e servizi e chi ne fruisce è deleteria ed è causa di assistenzialismo, va probabilmente fatto un lavoro di formazione in questo senso. Partecipazione: un idea da ricostruire Collegato a questo c è un duplice problema culturale. Da una parte l idea che i poveri non hanno le competenze e sono troppo coinvolti dai propri problemi per avere qualcosa da dire in ordine a scelte che coinvolgono tutti. Dall altra la crisi della partecipazione come diritto/dovere, come valore fondante in una società democratica. Sono infatti lontani gli anni settanta, in cui si andavano scoprendo le potenzialità della partecipazione, e si conducevano le grandi battaglie sociali partendo dal basso, dalle rivendicazioni ma anche dalle proposte di tutti i soggetti coinvolti. Le battaglie che hanno portato alla chiusura dei manicomi, all inserimento nella scuola dei disabili, alla presenza dei genitori nella scuola, alla tutela della salute dei luoghi di lavoro hanno portato a risultati perché c era il contributo congiunto delle organizzazioni della società civile, dei soggetti coinvolti, degli opinion leader, dei partiti e dei politici. Oggi da una partecipazione costruttiva si è passati a una partecipazione legata al controllo. Basti vedere quanti comitati nascono contro (contro la presenza di gruppi sociali non graditi, la costruzione di un opera pubblica e così via) ottenendo spesso molta più visibilità di chi magari da tempo lavora per. È chiaro che l espressione dare la parola ai poveri può farsi azione se sia i decisori pubblici che gli abitanti del territorio concordano nel creare le condizioni, maturando e mostrando quella capacità di dialogo che oggi appare seppellita sotto la cultura della delega. Difficilmente agli abitanti di un quartiere di periferia interessa sapere che cosa pensano i Rom dei campi in cui sono costretti a vivere. E difficilmente sono disposti ad ammettere che anche loro hanno dei diritti e che possono dire quello che vorrebbero. Tornare a coinvolgere con spirito costruttivo attorno ai problemi, sarebbe però un modo non solo per trovare soluzioni condivise, ma anche per costruire dialogo e fiducia, cioè quel capitale sociale senza il quale non c è sviluppo. Non c è dubbio, infatti, che nonostante tutto questo ci sono esperienze che indicano la possibilità di raggiungere l obiettivo della par- 24
Case Bastogi: un quartiere difficile in cui sono nate molte esperienze di partecipazione tecipazione dei poveri. Ci sono piani di zona con aperture interessanti in questo senso; gruppi tematici da cui nascono sperimentazioni innovative, consulte che riescono a far valere il punto di vista del volontariato; carte dei servizi che offrono una buona base di partenza. Vale la pena lavorarci sopra, perché rendere i poveri protagonisti della propria inclusione significa da una parte riconoscere che la partecipazione è un diritto, dall altra aprire la strada a politiche più efficaci e a servizi più rispondenti alle effettive esigenze delle persone. 25