Piacenza 13 maggio 2016 LA RESPONSABILITÀ CIVILE DEL MEDICO

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Piacenza 13 maggio 2016 LA RESPONSABILITÀ CIVILE DEL MEDICO di ANTONIO ALBANESE Parlando di responsabilità civile del professionista la prima questione che si pone nasce dalla considerazione che il nostro ordinamento conosce due diverse forme di responsabilità, disciplinate in due distinte norme del codice civile: l art. 1218 e l art. 2043. A quale delle due specie appartiene la responsabilità del professionista? L'elemento comune a entrambe le forme di responsabilità è il risarcimento del danno. Al di là di tali aspetti comuni ci sono però delle differenze sostanziali: Responsabilità c.d. contrattuale: l obbligo di risarcire il danno segue l'inadempimento di un precedente obbligo. Prima che il danno si verifichi, un soggetto debitore è già obbligato nei confronti di un altro soggetto creditore: il danno derivante dalla violazione di questo obbligo determina il sorgere di una responsabilità che intercorre tra soggetti già legati da un rapporto giuridico obbligatorio. Questo rapporto, nella stragrande maggioranza dei casi, è un rapporto che nasce da un contratto, ma non necessariamente: questa è l'ipotesi più frequente dal punto di vista quantitativo (si tratta di una sineddoche, ovvero si indica una parte, per indicare un fenomeno più ampio). In realtà ai sensi dell art. 1218 c.c. per la responsabilità del debitore non è necessaria l esistenza di un contratto, è sufficiente la preesistenza di un obbligo, che potrebbe

avere anche una fonte diversa dal contratto. Responsabilità c.d. extracontrattuale: nasce al di fuori di uno specifico rapporto obbligatorio, preesistente al danno. Il danno non si verifica in conseguenza dell inadempimento di un obbligo già esistente; ma esso stesso fa sorgere ex novo un obbligo che prima non c'era. Ad esempio, Tizio pedalando in bicicletta investe un pedone, con il quale potrebbe non avere alcun rapporto: dal fatto produttivo del danno nasce l'obbligo di risarcirlo. Si parla anche di responsabilità del passante, che intercorre tra soggetti che non sono legati da un rapporto obbligatorio. L art. 1173 c.c., nel quale sono elencate le fonti delle obbligazioni, cita il fatto illecito, ma non l inadempimento, che non fa sorgere un obbligo nuovo, ma si inscrive in un rapporto che già c è. Questa distinzione tra le due forme di responsabilità risulta chiara e apparentemente non problematica su un piano squisitamente astratto e concettuale. Tuttavia, affianco a ipotesi più nette, esiste anche una zona grigia, nella quale si collocano ipotesi di responsabilità civile del professionista, che non è così semplice ricondurre a una o all'altra disciplina. Per altro verso la distinzione stessa tra le due specie di responsabilità è stata in passato messa in discussione da un autorevole dottrina, secondo cui anche nella responsabilità extracontrattuale il danno è conseguenza della violazione di un obbligo di alterum non laedere. In realtà ciò che caratterizza il rapporto obbligatorio è il fatto che questo intercorre tra due soggetti determinati: già prima del danno si sa chi è obbligato e chi ha diritto 2

alla prestazione, come pure è determinata la prestazione oggetto dell obbligazione. Viceversa il dovere di alterum non laedere non configura un rapporto obbligatorio tra due soggetti determinati: vi è solo un soggetto titolare di un diritto o di un altro interesse, mentre una pluralità indefinita di altri soggetti deve astenersi dal ledere tale diritto. Non esiste un soggetto passivo determinato, che ex ante è tenuto a un determinato comportamento. Solo con la lesione cioè con il danno sorge l obbligo di risarcirlo, prima di quel momento il dovere di alterum non laedere è solo una proiezione del diritto soggettivo. La differenza tra le due specie di responsabilità non è creata dalla legge, ma dipende dalle differenze sostanziali tra le due situazioni: la legge prende atto di questa diversità e stabilisce regole che sono parzialmente diverse. La forma giuridica che l'ordinamento attribuisce alle due responsabilità è una forma che cerca di essere adeguata alla sostanza economica del fenomeno. Nel caso quindi di inadempimento di un obbligazione assunta dal professionista nei confronti del cliente, si configura come una responsabilità contrattuale che sarà assoggettata alla relativa disciplina. Quali sono le DIFFERENZE di disciplina rispetto alla responsabilità extracontrattuale? (I) Una prima differenza tra le due fattispecie di responsabilità civile riguarda l'onere della prova, e in particolare come esso viene ripartito tra danneggiante e danneggiato. L onere della prova trova disciplina nell art. 2697. art. 2697 c.c.: Onere della prova 3

«Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l inefficacia di tali fatti, oppure eccepisce che il diritto si è modificato o estinto, deve provare i fatti su cui l eccezione si fonda». Si applica la regola generale sull onere della prova, ma con significative differenze pratiche che derivano dalla diversità degli elementi costitutivi ed impeditivi nelle due fattispecie. Secondo l art. 1218 c.c. «il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto a risarcire il danno, se non prova che l inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile». Questione: il creditore deve provare l'inadempimento del debitore? oppure il debitore deve dimostrare di aver adempiuto? La Cassazione a sezioni unite, nella sentenza n. 13533 del 2001 afferma che il creditore che agisce per la risoluzione del contratto per inadempimento deve solo allegare l'inadempimento del debitore. Sarà il debitore a dover provare di aver adempiuto esattamente. La Cassazione fa riferimento all art. 1453, co. 1, c.c.: «nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l altro può a sua scelta chiedere l adempimento o la risoluzione del contratto, salva, in ogni caso, il risarcimento del danno». Secondo questa norma il creditore che agisce per la risoluzione del contratto deve assolvere il medesimo onere probatorio del creditore che chiede il risarcimento del danno. La sentenza della Cassazione ritiene in base a un criterio di vicinanza della prova che il 4

debitore abbia l onere di provare l esatto adempimento della prestazione, in quanto fatto che rientra nella propria sfera di controllo. Alla medesima conclusione giunge anche un autorevole dottrina, muovendo dall'idea che l inadempimento non sia fatto costitutivo della responsabilità, essendo questa connaturata al rapporto obbligatorio fin dall'origine. In questa logica l'obbligo di prestazione e di risarcimento del danno sono manifestazioni del medesimo vinculum iuris di tal che grava sul debitore l onere di provare l'adempimento, come fatto estintivo dell'obbligazione (tesi elaborata da LUIGI MENGONI nella voce «Responsabilità contrattuale» dell'enciclopedia del diritto). Una volta provato il rapporto, sarà il creditore a dimostrare che il suddetto rapporto non c'è più perché il vincolo obbligatorio si è estinto per adempimento o per altra causa. In applicazione di questi principi le sezioni unite della Cassazione nella sentenza n. 577 del 2008 si sono pronunciate sull onere della prova nei giudizi relativi alla responsabilità sanitaria, affermando che il paziente che si pretenda danneggiato dall'inadempimento della prestazione di cura ha l'onere di provare il fatto costitutivo del rapporto obbligatorio (legge o contratto) e l insorgenza o l aggravamento della patologia, allegando un inadempimento efficiente alla causazione del danno. Il creditore deve inoltre provare il danno. Grava invece sul debitore l onere di provare che tale inadempimento non vi è stato. Questo onere della prova grava sul professionista anche nel caso di prestazioni che implicano la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà ai sensi dell art. 2236 c.c. Questa norma infatti prevede soltanto un esonero di responsabilità in caso di colpa lieve, senza soffermarsi sulla prova dell inadempimento. 5

Del resto. in caso di interventi particolarmente difficili è ancora più evidente che il medico, proprio in ragione della sua professionalità, sia la parte nella condizione più favorevole per provare l osservanza delle regole tecniche dell arte medica e che pertanto in base al criterio di vicinanza della prova il relativo onere debba gravare su di lui. Per quanto riguarda invece il nesso di causalità, la Cassazione fino al 2008 poneva a carico del danneggiato l onere di provare la derivazione causale dell evento dannoso dall azione o omissione del debitore. Le sezioni unite nel 2008 modificano tale orientamento, affermando che grava sul debitore l onere di provare, in alternativa alla mancanza dell inadempimento dedotto dal danneggiato, che tale inadempimento non è stato eziologicamente rilevante. In luogo dell esatto adempimento, il debitore può comunque provare che l obbligazione si è estinta in quanto la prestazione è diventata impossibile per causa a lui non imputabile, ad esempio il medico non ha potuto effettuare l intervento chirurgico a regola d arte per l insorgenza di una complicanza a lui non imputabile, cioè non imputabile a sua colpa. Secondo l art. 1218 c.c. ciò che deve essere non imputabile al debitore è la causa dell impossibilità, non l inadempimento. Presupposto per l esclusione della responsabilità è che la prestazione sia divenuta impossibile: fin tanto che l adempimento è possibile c è inadempimento e c è responsabilità, non rileva chiedersi se l inadempimento è imputabile oppure no. Nella responsabilità contrattuale quindi la colpa non ha rilevanza diretta: non deve essere provata dal creditore, il quale deve provare tutt al più l'inadempimento. Né il debitore può sottrarsi alla responsabilità semplicemente provando la sua 6

mancanza di colpa, in quanto deve invece provare l'impossibilità oggettiva della prestazione. Sicuramente è una disciplina che favorisce il creditore, rispetto alla disciplina prevista dall art. 2043 c.c. secondo cui il danneggiato deve provare non solo 1. il danno e 2. il nesso di causalità, ma anche 3. il dolo o la colpa del danneggiante. Il danneggiate potrà invece provare l esistenza di una causa di giustificazione che elimina l antigiuridicità del fatto produttivo del danno, ad esempio stato di necessità (art. 2045 c.c.), legittima difesa (art. 2044 c.c.) o le altre scriminanti previste dal codice penale. La ripartizione dell onere probatorio nel caso di responsabilità extracontrattuale è più favorevole al danneggiante, diversamente da quanto abbiamo visto nella responsabilità contrattuale. Ciò deriva dalla differenza sostanziale tra le due fattispecie: il debitore fin dall'origine ha assunto un obbligo nei confronti del creditore e l unico modo per sottrarsi alla responsabilità è dimostrare di aver adempiuto o che la prestazione è diventata impossibile per causa a lui non imputabile. Nella responsabilità extracontrattuale si tratta di far sorgere un obbligo ex novo e a tal fine occorrono alcuni presupposti, che devono essere provati dal danneggiato. (II) Diverso è nei due casi il ruolo della colpa: mentre nell'art. 2043 c.c. la colpa o il dolo sono criteri soggettivi d imputazione della responsabilità e quindi elementi costitutivi della fattispecie, nell'art. 1218 il dolo e colpa non sono espressamente menzionati. 7

La colpa nell art. 1218 c.c. attiene alla causa che ha reso impossibile la prestazione e ha rilevanza indiretta: impedisce al debitore di avvalersi di questa impossibilità per liberarsi dalla responsabilità. Non rileva direttamente né la colpa come elemento costitutivo né l assenza di colpa come elemento impeditivo della responsabilità. La colpa rileva solo nel caso di impossibilità della prestazione per stabilire se la causa di questa sia imputabile al debitore oppure no. La colpa può avere rilevanza diretta in altre norme ai fini della quantificazione del danno risarcibile (art. 1225 c.c.) o dell eventuale limitazione di responsabilità (art. 2236 c.c.), ma non entra nella costruzione della fattispecie di responsabilità c.d. contrattuale. (III) Altra differenza tra le due forme di responsabilità civile riguarda il danno: l'art. 2043 c.c. parla di danno ingiusto, mentre l art. 1218 menziona il danno senza l ulteriore connotazione dell ingiustizia. Nella responsabilità extracontrattuale quindi non ogni danno dà luogo a risarcimento, ma soltanto quello che sia connotato in termini d ingiustizia. L ingiustizia è ciò che rende giuridicamente rilevante il danno e meritevole di tutela risarcitoria la posizione del danneggiato. Ci sono diverse teorie sul modo di intendere questo requisito che corrispondono rispettivamente una concezione tipica e atipica dell illecito civile. La questione non assume rilevanza con riguardo alla responsabilità medica, rispetto alla quale è fuori discussione l ingiustizia del danno che si sostanzia nella lesione della salute, ma rispetto alla responsabilità di altri professionisti, il cui inadempimento può cagionare danni di tipo puramente economico (ad es. consulente finanziario). 8

(IV) Altra differenza riguarda il termine di prescrizione dell'azione di risarcimento. (V) Altra differenza di disciplina riguarda i danni risarcibili. Una disciplina codicistica organica del risarcimento del danno è prevista solo tra le norme in materia d inadempimento dagli artt. 1223 ss. c.c. Una disciplina analoga manca nella responsabilità extracontrattuale, per la quale l art. 2056, co. 1, c.c. opera un parziale rinvio alle norme previste per la responsabilità contrattuale: «il risarcimento dovuto al danneggiato si deve determinare secondo le disposizioni degli artt. 1223, 1226 e 1227». Non viene menzionato l art. 1225 c.c., secondo cui nel caso di colpa il risarcimento è limitato ai danni prevedibili al momento in cui è sorta l obbligazione. Questo limite non opera nella responsabilità aquiliana. Natura della responsabilità del medico dipendente Quella che abbiamo finora esaminato è la responsabilità contrattuale del professionista nei confronti di un cliente, con il quale egli sia obbligato attraverso un contratto d opera professionale. Vi sono però casi importanti in cui il professionista è chiamato a rispondere di danni cagionati nell esercizio della sua attività professionale a un soggetto nei confronti del quale egli non è legato da alcun vincolo contrattuale. Da questo punto di vista, un caso importante proprio per il riconoscimento che ha ottenuto da parte della Cassazione è quello che riguarda la responsabilità del medico dipendente di una struttura ospedaliera, che cagiona danno a un paziente, affidato alle 9

sue cure, in esecuzione di un rapporto di lavoro che il medico ha instaurato non con il paziente, ma con la struttura ospedaliera, pubblica o privata. Si tratta di ricostruire questa responsabilità, perché è pacifica la natura contrattuale della responsabilità della struttura. Il paziente ha diritto a una prestazione da parte della struttura ospedaliera, che è vincolata in base a un contratto atipico di spedalità e che adempie tale obbligazione avvalendosi dei propri dipendenti, medici e altri sanitari. Se il dipendente è inserito nell organizzazione di cui il debitore si serve per adempiere, il suo comportamento assume direttamente rilevanza come adempimento o inadempimento del datore di lavoro. Non si configura un adempimento del terzo ai sensi dell art. 1180 c.c., ma un adempimento del debitore mediante un terzo. Correlativamente in caso di inesatta esecuzione della prestazione medica, la struttura ospedaliera incorre in una responsabilità contrattuale ai sensi dell'art. 1218 c.c. per inadempimento ad essa direttamente imputabile. In questa logica le sezioni unite del 2008 hanno escluso riconosciuto una responsabilità autonoma della struttura ospedaliera, a prescindere dall accertamento di una condotta negligente dei singoli operatori. Questa responsabilità non può essere ricondotta alla regola dell'art. 2049 c.c., che prevede la responsabilità dei padroni e dei committenti per fatto illecito dei domestici e commessi. La norma configura una responsabilità extracontrattuale, il cui presupposto è che tra danneggiato e responsabile civile non ci sia un rapporto obbligatorio. 10

La norma si riferisce al caso in cui il dipendente, nell'adempimento della sua prestazione d opera, cagioni il danno a un terzo, che non è il creditore del datore di lavoro. Il paziente danneggiato dal medico è invece creditore della struttura ospedaliera e quindi non si applica all'art. 2049 c.c., bensì l'art. 1218 c.c., perché il danno è direttamente riconducibile alla prestazione sanitaria non correttamente eseguita dal debitore, che è la struttura ospedaliera, attraverso i propri dipendenti (Cass. s.u., n. 577 del 2008). In alcune sentenze, anche recenti (cfr. Cass. 13.4.2007, n. 8826) è richiamato l art. 1228 c.c. che disciplina la responsabilità del debitore per fatto degli ausiliari. In realtà questa norma si riferisce a ipotesi di danno che prescindono dall inadempimento e si sostanziano nella lesione di interessi del creditore diversi da quello alla prestazione. Ad esempio i dipendenti di cui il debitore si serve per l adempimento vengono a conoscenza di notizie riservate sul creditore e le divulgano a terzi: in questo caso si può configurare un danno anche quando la prestazione sia stata esattamente adempiuta. La responsabilità del datore di lavoro è pertanto riconducibile non alla regola di cui all art. 1218 c.c., ma a quella dell art. 1228 c.c., che infatti non fa riferimento all inadempimento ma al fatto doloso o colposo degli ausiliari. Tale fattispecie pertanto non è adeguata a comprendere la condotta del medico, che ove si svolga all interno di una struttura ospedaliera, rileva, a prescindere dal requisito soggettivo del dolo o della colpa, ove si sia tradotta in una inesatta esecuzione della prestazione professionale. Questo aspetto si lega alla più ampia questione relativa alla natura della responsabilità del medico dipendente nei confronti del paziente affidato alle sue cure. 11

In tempi non recenti una parte della dottrina e della giurisprudenza ritenevano che il medico fosse responsabile, nei confronti del paziente, in via extracontrattuale, proprio perché il medico non ha alcun rapporto contrattuale con il paziente. Entrambi, medico e paziente, hanno un rapporto contrattuale con la struttura ospedaliera, ma tra di loro non c'è un rapporto contrattuale: il medico è tenuto a una prestazione, il paziente ha diritto a una prestazione, entrambi rispetto alla struttura ospedaliera. Per questa ragione si è sostenuto che la responsabilità del medico fosse basata sull art. 2043 c.c. Alla tesi della natura extracontrattuale della responsabilità del medico, si è di fatto contrapposta una tesi dottrinale e giurisprudenziale, che riconosce la responsabilità contrattuale del medico anche nei confronti del paziente. Su quali argomenti si basa questa responsabilità contrattuale del medico? Da un punto di vista generale, la responsabilità extracontrattuale costituisce una forma giuridica non adeguata rispetto alla realtà, perché significa equiparare il medico al passante. Il medico non è un passante, è una persona che entra in specifico rapporto con il paziente, che sulla sua professionalità fa affidamento. Sarebbe incongruo dire che la struttura ospedaliera risponde contrattualmente mentre il medico, che è più vicino al paziente, risponde in via extracontrattuale. Rimane però il fatto che non si può parlare di una prestazione d'opera professionale a favore del paziente: il medico è tenuto alla prestazione nei confronti della struttura, e la esegue curando il paziente. 12

La dottrina ha evidenziato che il medico è bensì responsabile contrattualmente, ma non per l inadempimento di un'obbligazione di prestazione, che non ha mai assunto nei confronti del paziente. Se il medico non si reca in ospedale quel giorno, non è responsabile nei confronti del paziente, è responsabile nei confronti del datore di lavoro, il quale farà eseguire l'intervento da un altro medico. La soluzione che è stata proposta è quella di una responsabilità per la violazione di un obbligo di protezione, senza prestazione. Questi obblighi nascono dalla clausola generale di buona fede, che ai sensi dell art. 1175 c.c., impone al debitore e al creditore di tenere una condotta idonea a prevenire possibili pregiudizi all altra parte, in ragione del maggior rischio al quale questa si trova esposta di subire, nell adempimento dell obbligazione, la lesione di interessi diversi da quello alla prestazione. Proprio con riguardo alla responsabilità del medico dipendente di una struttura ospedaliera sono stati peraltro configurati obblighi di protezione che non sono accessori ad una prestazione, ma da essa prescindono. Il medico infatti ha un rapporto con il paziente, ma non è tenuto a una prestazione nei suoi confronti: ha soltanto un obbligo di protezione. Quando il medico non opera all'interno della struttura ospedaliera, obbligo di protezione e obbligo di prestazione coincidono. Quando, invece, il medico opera all'interno della struttura ospedaliera, prestazione e protezione hanno destinatari diversi: il medico è tenuto alla prestazione nei confronti della struttura ospedaliera, ma ha un obbligo di protezione nei confronti del paziente. 13

E quindi la sua è una responsabilità contrattuale, che deriva non dall'inadempimento della prestazione ma dalla violazione di un obbligo di protezione. Anche quando il medico non abbia stipulato alcun contratto con il soggetto danneggiato, ma abbia cagionato un danno in violazione di obblighi di protezione nascenti dall affidamento nella professionalità del medico, si configura quindi una responsabilità contrattuale soggetta alla disciplina dell art. 1218 c.c. In questo senso la Cassazione nella sentenza n. 589 del 1999 ha riconosciuto la natura contrattuale della responsabilità del medico dipendente, in quanto nascente dalla violazione di un preesistente obbligo nei confronti del paziente, che in mancanza di un contratto, è stato ricavato dal «contatto sociale» tra le parti e dall affidamento che ne deriva circa la professionalità del medico. Questo orientamento è stato costantemente e pacificamente seguito dalla Cassazione e dalla giurisprudenza di merito, fino alla introduzione della c.d. legge Balduzzi (l. 189 del 2012), che inteso porre un argine alla responsabilità dei medici, in considerazione delle conseguenze negative che ne derivano sia in termini di aumento delle spese di assicurazione sia in termini di medicina difensiva. Per far fronte a questi problemi la legge Balduzzi ha stabilito che «l esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l obbligo di cui all art. 2043 del codice civile». La giurisprudenza di merito si è chiesta se questa norma imponesse una modifica del precedente orientamento interpretativo sulla natura contrattuale della responsabilità del medico dipendente della struttura ospedaliera e ha dato risposte differenziate. 14

Sulla questione si è pronunciata la Cassazione con due sentenze n. 4030 del 2013 e n. 8940 del 2014, ritenendo che l art. 3 della legge Balduzzi non intendeva prendere posizione sulla natura della responsabilità medica, ma semplicemente escludere in tale ambito la rilevanza della colpa lieve. Successivamente alle pronunce della Cassazione ci sono state diverse sentenze di merito che sono pervenute a conclusioni divergenti. A mio avviso, pur essendo evidente la finalità sottesa alla legge Balduzzi di riduzione dei costi assicurativi del SSN, che potrebbe indurre a ritenere preferibile il regime probatorio della responsabilità extracontrattuale, meno favorevole al danneggiato, questa conclusione non può ritenersi compatibile con la lettera della norma e con il sistema della responsabilità civile. Nel momento in cui la legge Balduzzi si limita a far salva l applicazione dell art. 2043 c.c., esige che a tal fine ricorrano i presupposti previsti da tale norma, che però non sussistono nella responsabilità del medico. L art. 2043 c.c. fa infatti riferimento a una fattispecie in cui è il danno fonte di un obbligo che prima non esisteva, mentre il medico già prima del danno è vincolato nei confronti del paziente da un obbligo di protezione che nasce dal contatto sociale e dall affidamento che esso genera. In definitiva la responsabilità del medico è soggetta alla medesima disciplina sia che il medico agisca in esecuzione di un contratto d opera concluso con il paziente sia che operi come dipendente di una più complessa struttura sanitaria e indipendentemente dal grado della colpa. L unitarietà di questa disciplina tuttavia per lungo tempo è stata messa in discussione, sotto un diverso profilo, da un orientamento giurisprudenziale e dottrinale che distingueva tra 15

Obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato Tale distinzione assume rilevanza per individuare la disciplina applicabile. Secondo questa ricostruzione giurisprudenziale, la disciplina della responsabilità contrattuale del professionista non è unitaria, ma diversa, a seconda che l'inadempimento riguardi obbligazione di mezzi o di risultato. Solo alle obbligazioni di risultato si applicherebbe l art. 1218 c.c., mentre alle obbligazioni di mezzi si applicherebbe l'art. 1176 c.c. Sempre secondo questa ricostruzione seguita fino a poco tempo fa, l adempimento delle obbligazioni di mezzi si sostanzia in un comportamento diligente, indipendentemente dal raggiungimento di un risultato utile per il creditore. L'esempio classico che si fa è quello della prestazione del medico, il quale non è obbligato a procurare la guarigione e quindi a garantire un risultato, essendo invece sufficiente che tenga un comportamento diligente. La norma invocata per disciplinare la responsabilità per inadempimento delle obbligazioni di mezzi è l'art. 1176 c.c. art. 1176 c.c. - Diligenza nell'adempimento «Il debitore, nell'adempiere l'obbligazione, deve usare la diligenza del buon padre di famiglia. Nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata». Corrispondentemente la responsabilità non si basa sull inadempimento secondo la regola dell'art. 1218 c.c., bensì sulla mancanza di diligenza, cioè sulla colpa. 16

La responsabilità contrattuale nelle obbligazioni di mezzi sarebbe fondata sulla colpa, come la responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., ma con un diverso regime dell'onere della prova. Nella responsabilità extracontrattuale, il danneggiato ha l'onere di provare la colpa del danneggiante. Invece, nel caso d inadempimento di un obbligazione di mezzi, il debitore professionista ha l'onere di provare d aver adempiuto diligentemente, cioè ha l'onere di provare la mancanza di colpa. Secondo questa ricostruzione avremmo una figura ibrida di responsabilità, che è contrattuale, ma è regolata come se fosse extracontrattuale. La Cassazione a sezioni unite nel 2008 ha abbandonato questa distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, recependo le critiche della dottrina. Tale orientamento è stato tuttavia contraddetto in materia di responsabilità dell avvocato da Cass., 5.8.2013, n. 18612, che però, pur richiamando altri propri precedenti, si è mostrata ignara del diverso indirizzo espresso dalla sentenza delle sezioni unite del 2008. Sembrerebbe una decisione condizionata dall ignoranza della sentenza delle sezioni unite. In realtà l unica regola di responsabilità contrattuale è quella contenuta nell'art. 1218 c.c. L'art. 1176 c.c. non disciplina la responsabilità, ma l'adempimento, che sta logicamente prima della responsabilità. Tanto è vero che il codice colloca in due capi diversi l adempimento (disciplinato 17

dagli artt. 1176 ss. c.c.) e l'inadempimento (disciplinato dagli artt. 1218 ss. c.c.). Perché non ha senso distinguere tra obbligazione di mezzi e di risultato? Innanzitutto tutte le obbligazioni sono obbligazioni di risultato: il debitore deve comunque raggiungere un risultato utile per il creditore. Non avrebbe senso un'obbligazione, tutta racchiusa nella sfera del debitore, che non sia diretta al conseguimento di un risultato utile per il creditore, come si evince dall'art. 1174 c.c.: «la prestazione che forma oggetto dell'obbligazione, deve essere suscettibile di valutazione economica e deve essere diretta a soddisfare un interesse anche non patrimoniale del creditore». Si tratta di individuare qual è questo risultato. Nel caso dell'obbligazione medica, il medico non si limita a un comportamento diligente, ma deve offrire al creditore un risultato: deve visitarlo, deve fare una diagnosi, deve prescrivere una terapia, deve compiere una serie di attività conformi alle regole tecniche della sua professione. Questo è il risultato che il creditore ha diritto di ottenere. Il professionista è bensì obbligato a una condotta, ma questa è strumentale a un risultato. L'interesse finale del paziente è quello della guarigione, però questo risultato sta fuori dal rapporto obbligatorio, nel senso che dipende da una serie di variabili che sono fuori dal controllo del professionista (pensiamo alla condotta del paziente, se egli segue o meno le prescrizioni del medico). Il risultato che il professionista deve garantire è quello che rientra nella sua sfera di controllo, ossia una prestazione conforme alle regole tecniche della sua professione. Questa prestazione non si risolve in un dovere di attenzione, di diligenza 18

soggettivamente inteso, ma implica anche il raggiungimento di risultati valutabili in base a criteri oggettivi. Il professionista deve adempiere e non già semplicemente sforzarsi di adempiere. L impossibilità di ridurre la prestazione professionale a un mero sforzo di diligenza trova inoltre un importante conferma sistematica nell art. 2236 c.c., che, com è noto, limita la responsabilità del professionista ai casi di dolo o colpa grave, se l opera da lui prestata implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà. Questa norma, là dove esclude la responsabilità per colpa professionale non grave, non può intendersi riferita alla mancanza di diligenza. Sarebbe, infatti, assurdo e paradossale se, proprio nelle ipotesi in cui la prestazione presenta una speciale difficoltà, la norma ritenesse non responsabile il professionista che presta un attenzione e una cura inferiore a quella dovuta negli altri casi. L attenuazione di responsabilità finirebbe allora per indurre il debitore a impegnarsi meno nei casi in cui a rigore di logica sarebbe invece necessario il massimo impegno. Questa conclusione aberrante deve essere quindi scartata mediante un interpretazione razionale della norma che ne restringa l applicazione al caso dell errore tecnico, ossia al mancato rispetto delle regole professionali, che sarà rilevante ai fini della responsabilità soltanto se grave. Viceversa, la negligenza sarà trattata come in tutti gli altri casi. Così ad esempio il chirurgo sarà responsabile se si distrae durante un intervento complicato, ma non sarà responsabile se esegue la prestazione in modo non gravemente difforme rispetto a quanto avrebbe dovuto fare secondo una tecnica operatoria nuova e particolarmente difficile. 19

Questa norma, pertanto, correttamente interpretata, conferma da un punto di vista sistematico che l adempimento della prestazione professionale non si esaurisce in uno sforzo di diligenza, ma esige che la prestazione sia oggettivamente conforme alle regole tecniche della professione. Al mancato rispetto di queste fa, infatti, riferimento la limitazione di responsabilità prevista dall art. 2236 c.c., che impropriamente parla di colpa. Il debitore, in tutte le obbligazioni, deve offrire una prestazione conforme alle regole tecniche della sua professione oppure deve provare che questa prestazione è diventata impossibile per causa a lui non imputabile. In modo corrispondente, la responsabilità non si basa sulla colpa, ma sull inadempimento. Infatti, può esserci inadempimento anche se è stata impiegata la diligenza dovuta: il debitore è attento nell eseguire la prestazione, ma quella prestazione non è conforme alle regole dell arte medica. In tal senso la Cassazione ha affermato che il mancato raggiungimento del risultato, in termini di insuccesso dell intervento chirurgico e di persistenza della patologia, non consente di qualificare come esatto adempimento la condotta sia pur diligente del medico specialista, ove questa non si sia tradotta in una prestazione professionale adeguata (Cass., 13.4.2007, n. 8826) Reciprocamente ci può essere un comportamento negligente senza che ciò costituisca un inadempimento: ad esempio il medico è stato disattento e superficiale, ma l intervento è ugualmente riuscito. Consenso informato e responsabilità medica 20

Dalla prospettiva dell obbligazione di risultato può essere correttamente inteso il significato della regola del consenso informato. Il trattamento medico-sanitario trova infatti legittimazione, oltre che nella necessaria cura della salute, nel consenso del paziente. Il consenso informato assolve la funzione di tutelare il malato come persona, garantendogli, nei limiti del possibile e del ragionevole, la libertà di autodeterminarsi rispetto a tecniche che invadono la sfera della sua corporeità. Ma la considerazione di questi aspetti non possono snaturare il rapporto tra medico e paziente, che è essenzialmente rivolto alla cura della salute. La necessità del consenso informato non può pertanto mettere in secondo piano l obbligo del medico di valutare lo stato di salute del paziente e di stabilire la terapia più adeguata. In tal senso l abbandono della distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, conferma che il medico è obbligato non già a una semplice attività, da mettere diligentemente a disposizione del paziente, ma al conseguimento di un risultato determinato, che pur quando non coincida con la guarigione dalla malattia, presuppone comunque l esecuzione di una prestazione conforme alle regole tecniche della professione medica, regole tutte orientate alla cura del malato. Ciò che rende lecito l intervento del medico non è soltanto il consenso di quest ultimo, ma anche il risultato che ne deriva e che deve essere utile per colui che ne è il destinatario. Se, d altra parte, il trattamento medico sanitario fosse legittimato esclusivamente dalla volontà del paziente, a prescindere quindi dal suo essere oggettivamente rivolto alla tutela della sua salute, si dovrebbe allora ammettere che - attraverso il consenso 21

questi possa assumere anche il rischio del danno che potrebbe eventualmente derivargli da un intervento medico non correttamente eseguito. Paradossalmente il consenso informato, da oggetto di un obbligo posto nell interesse del paziente, si trasformerebbe in uno strumento di cui il medico potrebbe avvalersi in chiave difensivistica, per esonerarsi da responsabilità. Ma un esito siffatto sarebbe certamente in contrasto con l art. 32 Cost., che al secondo comma non legittima certo interventi medici lesivi della salute, ma anzi esclude che il trattamento sanitario possa essere coattivamente imposto. Da questo punto di vista, è chiaro che il consenso informato è presupposto del trattamento sanitario, ma è altresì chiaro che il medico non può essere obbligato ad assecondare ogni richiesta del paziente con riguardo a come questi vorrebbe essere o apparire e che la mera volontà del soggetto non vale a rendere leciti atti oggettivamente lesivi della sua integrità psico-fisica. Esclusivamente sul medico grava pertanto la responsabilità per la scelta dell intervento e un eventuale errore tecnico al riguardo non può essere comunque imputato al paziente. Funzione del consenso informato è infatti quella di tutelare la libertà di autodeterminazione del malato come persona rispetto a trattamenti che non possono essergli imposti contro la sua volontà. Non sembra invece corretto individuare il bene giuridicamente tutelato nella salute del paziente, che è invece garantita da altri obblighi, che impongono al medico di operare nel rispetto delle regole tecniche della sua professione. Questo tuttavia non esclude che in alcuni casi proprio dalla violazione dell obbligo d informazione possa sorgere una responsabilità del medico per eventuali danni alla salute che ne siano derivati. 22

Il problema si pone nel caso in cui l informazione non sia stata fornita o sia stata fornita in modo inadeguato e il paziente abbia subito un alterazione negativa della salute, senza che peraltro possa imputarsi al medico alcun inadempimento della prestazione. Ciononostante, si ritiene che il paziente abbia diritto al risarcimento del danno se prova che, ove correttamente informato, avrebbe rifiutato l intervento e che questo, pur essendo stato eseguito a regola d arte, abbia avuto esito negativo per il concretizzarsi di rischi inevitabili, che però non erano stati portati a sua conoscenza. In tal caso, infatti, la violazione dell obbligo d informazione non soltanto costituisce lesione del diritto di autodeterminazione del paziente, ma cagiona altresì un pregiudizio alla sua salute proprio nella misura in cui ha assunto un ruolo determinante nella decisione di sottoporsi a un trattamento sanitario, che altrimenti non avrebbe consentito. L informazione che il medico dà al paziente, proprio dal punto di vista della sua efficacia causale sul consenso, gioca peraltro un ruolo diverso a seconda che l intervento del medico sia rivolto alla cura della salute ovvero persegua finalità diverse, quali ad esempio la modifica dell aspetto esteriore. Quanto più il trattamento medico ha carattere necessario, tanto più è probabile che il malato accetti di sottoporvisi, nonostante i rischi che a esso sono inevitabilmente correlati. Nel caso di mancata informazione sarà quindi arduo provare che il paziente, ove fosse stato correttamente informato, non avrebbe accettato un trattamento necessario per la salute o la vita. Viceversa, quando il trattamento ha finalità puramente estetiche l interessato deve poter valutare adeguatamente tutti i rischi che riguardano la sua salute, in quanto bene di 23

rango superiore rispetto al risultato perseguito. E quindi logico presumere che il paziente non avrebbe acconsentito a un trattamento non necessario ove fosse stato informato dei rischi connessi. 24