Caratteristiche farmacologiche e razionale di impiego dei fattori di crescita mielopoietici



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Periodico della Società Italiana di Farmacologia - fondata nel 1939 - ANNO VIII n. 32 Dicembre 2012 Riconosciuto con D.M. del MURST del 02/01/1996 - Iscritta Prefettura di Milano n. 467 pag. 722 vol. 2 ISSN 2039-9561 Caratteristiche farmacologiche e razionale di impiego dei fattori di crescita mielopoietici Marzia Maria Del Re, Anna Elisabetta Brunetti*, Nicola Silvestris*, Romano Danesi UOC Farmacologia Clinica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Pisa *UOC Oncologia Medica e Sperimentale, IRCCS Oncologico Giovanni Paolo II, Bari Introduzione Le tossicità indotte dalla chemioterapia possono influenzare negativamente l esito del trattamento e, tra queste, la neutropenia riveste un ruolo di particolare importanza, in quanto può manifestarsi con febbre e richiedere l ospedalizzazione del paziente mettendone a rischio la vita. Il tasso di mortalità associato a neutropenia febbrile varia dal 2 al 21% ed il rischio di morte aumenta in funzione di vari fattori, tra cui lo stato generale del paziente, il tipo di tumore, la presenza di comorbilità e le infezioni sopraggiunte. Inoltre, la comparsa di tossicità midollare costringe il clinico a ridurre la dose del trattamento chemioterapico o ad interromperlo compromettendo l efficacia della terapia antitumorale. I dati della letteratura scientifica sono concordi nel dimostrare che una riduzione dell intensità di dose, a causa di interruzione o riduzione del trattamento, può compromettere la sopravvivenza dei pazienti che ricevono trattamenti di tipo curativo o adiuvante (1, 2, 3). Il fattore di crescita dei granulociti (G-CSF) stimola la proliferazione e la sopravvivenza dei neutrofili e dei loro precursori, riducendo l incidenza, la durata e la gravità degli eventi neutropenici in molti tipi di regimi chemioterapici. In particolare, è stato esaminato il ruolo della profilassi primaria con G-CSF sullo sviluppo di neutropenia febbrile e sulle sue complicanze in 17 studi clinici randomizzati con 3493 pazienti arruolati ed ha dimostrato che il decesso in seguito ad infezioni è stato osservato nel 2,8% dei controlli e nell 1,5% dei pazienti trattati con G-CSF. Inoltre il decesso precoce per altre cause durante il trattamento è stato osservato nel 5,7% dei pazienti di controllo e nel 3,4% di quelli trattati con G- CSF (4). Ad oggi le linee-guida per l uso del G-CSF per la profilassi della neutropenia febbrile sono state elaborate dell ASCO (American Society of Clinical Oncology), dall EORTC (European Organisation for Research and Treatment of Cancer) e dall NCCN (National Comprehensive Cancer Network), ma la reale pratica clinica sembra variare molto dal corretto utilizzo dei fattori di crescita, sia per quanto riguarda il tempo di inizio e la durata del trattamento, che per la quantità di fattore di crescita somministrata (5, 6, 7). L utilizzo del G-CSF è stato esaminato in pazienti affetti da tumore del polmone e del colon in trattamento chemioterapico e gli autori hanno riportano che la maggior parte dell uso di G-CSF non era finalizzato alla profilassi primaria o secondaria, come da linee-guida, ma veniva somministrato all occorrenza in risposta alla neutropenia febbrile e lo scopo della chemioterapia (palliativa vs curativa) non sembrava influenzare la decisione dell uso di G-CSF (8, 9, 10, 11). Considerando il ruolo fisiologico del G-CSF nella granulopoiesi e nei relativi modelli biologici della cinetica cellulare del midollo osseo dopo chemioterapia, in questo articolo verranno analizzati i dati farmacologici relativi all applica- Quaderni della SIF (2012) vol. 32-59

zione delle linee guida in clinica per l ottimizzazione della profilassi della neutropenia febbrile con G-CSF in pazienti adulti affetti da tumori solidi. Fisiologia della granulopoiesi La granulopiesi è un processo fisiologico che avviene nel midollo osseo a partire da cellule staminali emopoietiche (HSCs) che producono giornalmente circa 120x10 9 granulociti. Le HSCs sono generalmente quiescenti e solo una frazione di queste entra nel ciclo cellulare per generare i progenitori e diventare cellule attive. La differenziazione completa da HSCs a granulociti è un processo multi-stadio che impiega nel midollo umano circa 7 10 giorni e attraversa vari stadi di maturazione, durante i quali le cellule acquisiscono specifici aspetti morfologici e vanno incontro alla progressiva perdita del potenziale di proliferazione. La differenziazione è guidata da fattori di crescita definiti citochine ad azione precoce (early acting, es. il fattore di crescita dei granulociti-macrofagi GM-CSF) e ad azione tardiva (late acting, es. il fattore di crescita dei granulociti G-CSF). Il segnale delle citochine early-acting promuove la differenziazione delle HSCs nei progenitori comuni linfoidi o mieloidi. I progenitori comuni mieloidi possono differenziarsi in progenitori dei megacariociti-eritrociti o dei granulociti-monociti, dai quali le citochine late-acting infine inducono la differenziazione in neutrofili, monociti, basofili ed eosinofili. Il primo precursore granulocitario identificabile è il mieloblasto, una cellula scarsamente granulata con un nucleo molto prominente; le cellule generate dai mieloblasti, cioè i promielociti e i mielociti, sono cellule che si dividono e costituiscono, insieme ai mieloblasti, il pool mitotico (Fig. 1). Il pool post-mitotico o maturativo è invece costituito da metamielociti e da neutrofili immaturi mentre il pool periferico (Fig. 1) è costituito da neutrofili maturi la cui vita è inferiore a 12-24 ore (8). Nella famiglia dei fattori di crescita granulocitari, il G-CSF è l induttore predominante della differenziazione dei granulociti (12). Il G-CSF è una proteina secreta da cellule infiammatorie, reticoloendoteliali, fibroblasti e cellule Fig. 1 Rappresentazione schematica del modello di granulopoiesi umana con indicazione della sensibilità alla chemioterapia citotossica e al G-CSF in rapporto alla densità di G-CSFR. dello stroma del midollo osseo. Il G-CSF ha molteplici funzioni; infatti, promuove la proliferazione delle HSCs in sinergia con le interleuchine IL-3, IL-1, IL-6 ed i fattori di crescita delle cellule staminali, nonché la differenziazione delle cellule mielopoietiche nel midollo osseo. Inoltre favorisce l attivazione dei neutrofili, aumentando la chemiotassi dei neutrofili maturi, l adesione, l attività fagocitaria, la produzione di superossido e la citotossicità cellulare anticorpo-mediata. Il G-CSF è anche un elemento essenziale per le granulopoiesi di emergenza, in risposta ad infezioni batteriche ed in aggiunta alle normali funzioni dei neutrofili (12). Per l uso ottimale del G-CSF sono state esaminate molte variabili cliniche, compreso il tipo di trattamento somministrato (13). Tuttavia, i modelli preclinici sono quelli che hanno offerto le migliori possibilità di lettura dei fenomeni biologici collegati alla fisiopatologia della granulopoiesi. L importanza del G-CSF nella granulopoiesi è stata dimostrata in studi condotti su modelli sperimentali murini; nei modelli animali in cui il recettore del G- CSF (G-CSFR) era geneticamente deleto, gli animali risultavano affetti da neutropenia grave (12). Il G-CSFR deriva dalla superfamiglia di tipo 1 del recettore delle citochine; a seguito del legame del G-CSF al suo recettore avviene la dimerizzazione di due catene di G- CSFR al quale segue una rapida fosforilazione dei residui di tirosina del dominio intracellulare del recettore con conseguente attivazione dei segnali cellulari JAK/STAT, PI3K/PKB/Akt e MAPK, coinvolti nella trasduzione del segnale di proliferazione e differenziazione (8, 12, 15). Il G-CSFR è espresso dai progenitori mieloidi fino alle cellule mature ed i suoi livelli di espressione aumentano con i livelli di maturazione granulocitaria, raggiungendo il numero massimo nei neutrofili periferici (Fig. 1) (14). Da questa evidenza ne conse- 60 - Quaderni della SIF (2012) vol. 32

gue che la sensibilità delle cellule all azione del G-CSF è massima nelle cellule periferiche e del pool post-mitotico e minima nelle cellule del pool mitotico; l opposto si osserva per quanto concerne la sensibilità agli effetti tossici della chemioterapia (Fig. 1). Tutte le mutazioni riportate nel gene del G-CSFR e/o nei suoi effettori potrebbero giocare un ruolo nella risposta al G-CSF, determinando le variazioni interindividuali nell attività del farmaco (16) che possono altresì dipendere dalla variabilità farmacocinetica e/o farmacodinamica, dall età, dalla funzionalità d organo e dalle interazioni con terapie concomitanti. Definizione del rischio di neutropenia: dai modelli clinici ai fattori molecolari Le linee guida American Society of Clinical Oncology (ASCO), NCCN (National Comprehensive Cancer Network) ed EORTC (European Organization for Research and Treatment of Cancer) risultano concordi nel riconoscere l importanza della valutazione dei fattori di rischio correlati al paziente, quali la presenza di malattia in stadio avanzato o la malattia non controllata, uno scarso performance status, l età superiore ai 65 anni, precedenti episodi di neutropenia febbrile, precedenti trattamenti chemioterapici, gravi comorbidità o ancora la presenza di leucopenia basale o il coinvolgimento del midollo osseo nel processo neoplastico per l uso dei fattori di crescita mieloidi filgrastim, lenograstim o peg-filgrastim (5, 6, 7). In particolare, il ruolo dell età come possibile cofattore di suscettibilità a complicanze legate alla neutropenia è stato ampiamente esaminato in diversi studi che hanno dimostrato che il fattore età, da solo, non è un indicatore affidabile del rischio di complicanze da trattamento; tuttavia questa tipologia di pazienti necessita di una valutazione geriatrica globale (11). Diversi studi clinici, disegnati per ottenere una stima dell incidenza della neutropenia sulla base dei suddetti fattori di rischio, sono stati realizzati allo scopo di identificare i pazienti a maggior probabilità di mielosoppressione, quelli che subivano una riduzione dell intensità di dose e/o che presentavano neutropenia febbrile durante la chemioterapia per tumore della mammella, linfoma non Hodgkin (LNH) e vari tipi di neoplasie (17). Lyman e collaboratori hanno valutato la probabilità di un episodio di neutropenia febbrile sulla base del numero di fattori di rischio e hanno pertanto dimostrato che il rischio di neutropenia febbrile era inferiore nei pazienti che presentavano meno di tre fattori di rischio, mentre risultava maggiore durante il primo ciclo di chemioterapia (18). Successivamente, gli stessi autori hanno sviluppato e validato un modello prospettico di analisi del rischio clinico di neutropenia febbrile in pazienti con neoplasie solide o linfomi (19). I risultati di questo studio hanno confermato che, dopo opportune modifiche per tipo di tumore ed età, i fattori di rischio indipendenti più rilevanti nell ambito di un analisi multicentrica comprendevano una precedente chemioterapia, l alterazione della funzionalità epatica e renale e bassi valori iniziali di conteggio dei leucociti/granulociti. Al fine di identificare potenziali biomarcatori predittivi di risposta al G-CSF, sono stati condotti studi genetici e funzionali sui fattori di crescita. Martìn-Antonio P. hanno analizzato le caratteristiche genetiche associate alla mobilizzazione delle cellule CD34+ in 112 soggetti sani trattati con G-CSF (filgrastim, 10 mg/kg per 5 giorni), riscontrando che le varianti genetiche di VCAM1 e CD44 erano associate con il numero di cellule CD34+ mobilizzate nel sangue periferico dopo somministrazione di G-CSF (20). Gli autori hanno concluso che la variabilità genetica delle molecole coinvolte nella migrazione e nell homing delle cellule CD34+ influenza il grado di mobilitazione di queste cellule, sottolineando la complessità delle variabili che devono essere prese in considerazione nella scelta di un trattamento. Uso del G-CSF per la profilassi primaria e secondaria della neutropenia febbrile Le linee guida disponibili identificano tre categorie di trattamento a rischio di sviluppare la neutropenia febbrile: alto (> 20%), intermedio (10-20%) e basso rischio (<10%) (21). Le linee guida sono coerenti nel consigliare la profilassi primaria con G-CSF quando il rischio di neutropenia febbrile è del 20% o superiore, nessuna profilassi quando la probabilità è del 10%, mentre nella categoria con rischio del 10-20% è necessaria la valutazione individuale. Dopo il primo ciclo di chemioterapia, secondo le linee guida NCCN ed EORTC, la valutazione del rischio deve essere effettuata prima di ogni ciclo successivo. Se si verifica un episodio di neutropenia febbrile o di neutropenia dovuto alla chemioterapia, il paziente verrà considerato ad alto rischio. La profilassi secondaria dovrebbe essere effettuata in quei pazienti che sviluppano una neutropenia febbrile, anche se si tratta di soggetti trattati con regimi chemioterapici che rientrano nella categoria a basso rischio, oppure quando si ritiene importante mantenere l intensità di dose. Tuttavia, la riduzione della dose o un ritardo nella somministrazione dovrebbero essere presi in considerazione nel caso di pazienti che ricevono chemioterapia con intento palliativo o in coloro che presentano tossicità non-ematologiche di grado 3-4. Schema ottimale di somministrazione del G-CSF in rapporto alla fisiopatologia della granulopoiesi Le linee guida internazionali concordano circa l inizio (24-72 ore dopo la somministrazione di un regime chemioterapico mielotossico), il dosaggio e la durata della somministrazione del G-CSF. In particolare, l impiego del G-CSF deve essere Quaderni della SIF (2012) vol. 32-61

62 - Quaderni della SIF (2012) vol. 32 proseguito sino al raggiungimento di un conteggio assoluto dei neutrofili (ANC) di almeno 2-3x10 9 /l, in accordo con le linee guida ASCO. Il pegfilgrastim, ossia la formulazione del filgrastim coniugata con PEG (polietilenglicole), che conferisce una lunga durata d azione, deve essere somministrato in una singola dose 24 h dopo la chemioterapia. Infatti, questa modificazione molecolare del filgrastim limita efficacemente la filtrazione renale e riduce la degradazione metabolica che si verifica a livello epatico. Al contrario delle forme non pegilate del G-CSF, il pegfilgrastim è principalmente catabolizzato dai neutrofili per cui la concentrazione del farmaco è regolata dal conteggio dei neutrofili. La durata della tossicità midollare e della conseguente neutropenia sono influenzate dalle condizioni del paziente e dal regime terapeutico impiegato (13), specialmente per quanto riguarda il dosaggio e il tipo dei singoli farmaci citotossici utilizzati che possono avere effetti divergenti sulla sintesi del DNA e sulla numerosità delle cellule staminali midollari. Le cellule staminali ematopoietiche, il pool mitotico ed i neutrofili circolanti sono regolati da un feedback negativo: all inizio del trattamento chemioterapico si assiste alla deplezione del compartimento mitotico, mentre in misura minore vengono danneggiate le HSCs, ed i compartimenti post-mitotico/differenziativo e periferico (Fig. 2). Per compensare il danno sul pool mitotico una frazione significativa di HCSs entra nel ciclo cellulare, causando in tal modo la diffusione del danno al compartimento delle HSCs e riducendo il pool post-mitotico dei neutrofili: tale fenomeno conduce alla neutropenia (8). Infatti, al nadir del trattamento i compartimenti mitotico e post-mitotico risultano completamente impoveriti di cellule (Fig. 2) ed i livelli di neutrofili iniziano ad aumentare solo quando il farmaco citotossico viene eliminato dall organismo e, a causa della neutropenia stessa, avviene una produzione compensatoria endogena di G-CSF che raggiunge il suo massimo in corrispondenza del nadir (22). I chemioterapici influenzano il tempo e l inizio della neutropenia in modo differente tra loro. Per esempio, la neutropenia che deriva dagli agenti alchilanti e dalle antracicline si sviluppa dopo 1-3 settimane a causa del loro effetto precoce sulle cellule progenitrici; al contrario, la neutropenia si manifesta immediatamente dopo il trattamento chemioterapico quando si impiegano farmaci come l idrossiurea, la ciclofosfamide, la doxorubicina e l etoposide. Il G-CSF ricombinante comporta un tempo di transizione più breve nel passaggio da cellula staminale adulta a neutrofilo maturo, portando all immissione in circolo di un numero maggiore di neutrofili circolanti funzionali (23). Poichè è accertato che gli effetti del G-CSF sul midollo osseo sono legati alla popolazione di cellule che compongono il pool mitotico e post-mitotico, è possibile pensare che la somministrazione del fattore di crescita risulti efficace se effettuata poco dopo la chemioterapia ed al contrario inadeguata quando eseguita al nadir, cioè quando le cellule midollari sono fortemente ridotte (8) (Fig. 2). In sintesi, si può ragionevolmente affermare che la tempistica ottimale di somministrazione del G- CSF dovrebbe avvenire: 1. dopo la clearance del chemioterapico, poiché l effetto proliferativo del G-CSF può aumentare il numero di cellule midollari chemiosensibili; 2. quando il numero di cellule del pool mitotico midollare è ancora rilevante; 3. per un numero di giorni sufficiente a stimolare la proliferazione delle cellule del pool mitotico che, a causa della loro scarsa sensibilità al G-CSF per bassa densità del G-CSFR, richiedono una stimolazione prolungata per espandersi efficacemente e ripopolare il pool post-mitotico e periferico (Fig. 2). Infatti, la somministrazione di singole dosi G-CSF intorno al nadir provoca una dismissione di cellule del pool post-mitotico e un transitorio incremento dei granulociti maturi in circolo; in assenza di una stimolazione efficace delle cellule del pool mitotico, il pool post-mitotico viene esaurito e l effetto di incremento dei neutrofili circolanti si esaurisce rapidamente (Fig. 2). 4. Se vi è un intervallo di diversi giorni tra la fine dell effetto biologico del G-CSF e la chemioterapia (bisogna evitare l effetto priming che si verifica quando il G-CSF viene somministrato poco prima della chemioterapia in quanto ciò rende il pool mitotico altamente sensibile ai farmaci citotossici). Differenze di formulazione tra G-CSF Negli ultimi anni sono stati condotti diversi studi di confronto su filgrastim, lenograstim e pegfilgrastim in termini di efficacia, sicurezza e/o rapporto costoefficacia. Una meta-analisi di Lyman e collaboratori ha osservato simili profili terapeutici circa la prevenzione della neutropenia febbrile per entrambe le formulazioni non pegilate di G-CSF (filgrastim e lenograstim) (24). Un numero crescente di dati suggerisce che il pegfilgrastim è più efficace del filgrastim. In pazienti con carcinoma mammario trattate con epirubicina e docetaxel (una combinazione che comporta un rischio neutropenia febbrile del 38% senza G-CSF) è stata dimostrata una minore incidenza di neutropenia febbrile in coloro che ricevevano pegfilgrastim in confronto alle pazienti trattate con filgrastim (iniziato il giorno 2 e proseguito sino al raggiungimento di una conta di neutrofili superiore 10x10 9 /l o per un totale di 14 giorni) (25, 26). In uno dei due studi la differenza risultava significativa (p<0,029 vs filgrastim) (25). Lo studio GEPARTRIO ha confrontato l efficacia della profilassi primaria con pegfilgrastim associato o meno a ciprofloxacina rispetto a filgrastim o lenograstim o ciprofloxacina in monoterapia in

Fig. 2 Sensibilità alla chemioterapia e somministrazione di G-CSF. La neutropenia e la conseguente riduzione dell intensità di dose costituiscono un serio problema nella gestione del paziente oncologico. Ci sono evidenze sia fisiologiche che cliniche che l utilizzo del G-CSF contribuisce a prevenire la neutropenia febbrile e a migliorare la mielotossicità indotta dalla chemioterapia. È importante che il G-CSF venga somministrato secondo le linee-guida internazionali al fine di ottenere il massimo beneficio, come suggerito dai modelli fisiopatologici preclinici che sottolineano la necessità di un utilizzo profilattico del G-CSF, con schemi di somministrazione a dosi multiple sufficientemente prolungati o la mono-somministrazione di peg-filgrastim, adeguati a ripopolare efficacemente i compartimenti cellulari danneggiati dalla chemioterapia. pazienti con carcinoma mammario in trattamento con regimi di chemioterapia contenenti docetaxel, doxorubicina e ciclofosfamide (27). In questo studio il pegfilgrastim con o senza ciprofloxacina era significativamente più efficace rispetto al G-CSF non-pegilato a somministrazione giornaliera nel prevenire neutropenia sia di grado IV che febbrile. Nei pazienti con neoplasie linfoidi trattati con regimi di chemioterapia dose-dense è stato dimostrato un effetto equivalente di pegfilgrastim e filgrastim nel prevenire la neutropenia febbrile (28). Un analisi in 2200 pazienti trattati con una varietà di regimi chemioterapici ha confermato che la profilassi primaria con pegfilgrastim rispetto alla pratica clinica mostra una minore incidenza di neutropenia febbrile (29). Inoltre, una meta-analisi di cinque studi randomizzati, condotti per confrontare pegfilgrastim con filgrastim in termini di prevalenza della neutropenia febbrile, della neutropenia di grado 4 o di dolore osseo, ha concluso che una singola dose di pegfilgrastim fornisce risultati migliori rispetto ad una terapia di 10-14 giorni con filgrastim (30). Vi sono alcune considerazioni da fare, almeno dal punto di vista biologico, per l interpretazione di questi risultati. Il pegfilgrastim, pur non potendo essere valutato con i metodi classici di binding recettoriale, ha un affinità marginalmente inferiore al G-CSFR rispetto al filgrastim, pur mantenendo un elevata selettività grazie alla presenza della componente idrofila del polietilenglicole. Al contrario, il lenograstim ha un affinità recettoriale maggiore al G-CSFR ma questo non è dipendente da modificazioni della catena aminoacidica ma dalla presenza della componente glucidica che crea condizioni di maggiore adesività alle glicoproteine delle membrane cellulari, pur potendosi creare le condizioni di minore specificità recettoriale. In sintesi, l effetto clinico del trattamento con fattori di crescita agonisti del G-CSFR dipende fortemente dalla lunghezza della loro emivita biologica e dalla continuità del trattamento che permette la stimolazione delle cellule progenitrici grazie alle quali si mantiene una adeguata numerosità e vitalità della linea cellulare mielopoietica (8). Conclusioni BIBLIOGRAFIA 1. Daniel D, Crawford J. Myelotoxicity from chemotherapy. Semin Oncol 2006;33:74-85 2. Bonadonna G, et al. Adjuvant cyclophosphamide, methotrexate, and fluorouracil in node-positive breast cancer: the results of 20 years of follow up. N Engl J Med 1995;332:901-6 3. Chirivella I, et al. Optimal delivery anthracycline-based chemotherapy in the adjuvant setting improves outcome of breast cancer patients. Breast Cancer Res Treat 2009;114:479-84 4. Kuderer NM, et al. Impact of primary prophylaxis with granulocyte colony-simulating factor on febrile neutropenia and mortality in adult cancer patients receiving chemotherapy: a systematic review. J Clin Oncol 2007;25:3158-67 5. Smith TJ, et al. 2006 update of recommendations for the use of white blood cell growth factors: an evidencebased practice guideline. J Clin Oncol 2006;24:3187-205 6. Aapro MS, et al. 2010 update of EORTC guidelines for the use of granulocyte-colony stimulating factor to reduce the incidence of chemotherapy-induced febrile neutropenia in adult patients with lymphoproliferative disorders and solid tumours. Eur J Cancer 2011;47:8-32 7. NCCN Clinical Practice Guidelines in Oncology. Myeloid growth factors. Version 1.2011 8. Crea F, et al. Pharmacologic rationale for early G-CSF prophylaxis in cancer Quaderni della SIF (2012) vol. 32-63

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