I contadini a scuola. La scuola rurale in Italia dall età giolittiana alla caduta del fascismo



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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA Dipartimento di Scienze della formazione, dei Beni culturali e del Turismo CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN Theory, technology and history of education CICLO XXV I contadini a scuola. La scuola rurale in Italia dall età giolittiana alla caduta del fascismo TUTOR Chiar.ma Prof.ssa Anna Ascenzi DOTTORANDO Dott. Luca Montecchi COORDINATORE Chiar.mo Prof. Roberto Sani ANNO 2012-2013 2

Indice Introduzione 5 Ringraziamenti 10 Elenco dei fondi e delle abbreviazioni 11 Parte prima Scuola e campagne nell Italia tra Otto e Novecento Capitolo primo Le origini della scuola rurale (1859-1898) 1. I primi provvedimenti previsti dalla Legge Casati 14 2. «La redenzione delle plebi agricole». L azione svolta dalle associazioni private per l istruzione popolare e rurale nell Italia post-unitaria 17 3. Tra avocazione allo Stato e rinnovamento della didattica: la scuola rurale nell età del positivismo 21 Capitolo secondo «Educhiamo il popolo!»: il dibattito politico e pedagogico sulla scuola rurale dalla crisi di fine secolo all età giolittiana (1898-1921) 1. «Torniamo ai campi!»: il ministro Baccelli e il rilancio dell istruzione popolare e agraria 25 2. I filantropi entrano in azione: la stagione del riformismo liberale 34 3. Lo Stato e le riforme dell istruzione rurale in età giolittiana 35 4. Il dibattito sulla scuola rurale nel primo dopoguerra 38 5. Una scuola per i contadini: le vicende dell Ente contro l analfabetismo degli adulti 46 6. Il ministro Corbino e l Opera contro l analfabetismo 51 Capitolo terzo La scuola rurale in camicia nera. L istruzione nelle campagne durante il fascismo (1922-1943) 1. Gentile e il Comitato contro l analfabetismo 60 2. Il fascismo all assalto della scuola rurale: da Fedele a Ercole 65 3. «Libro, moschetto e vanga»: la scuola rurale passa all Opera Balilla 81 4. La scuola rurale nello Stato corporativo: l istruzione nelle campagne durante il ministero Bottai 97 3

Parte seconda «Dalle stalle alle stelle»: come la scuola rurale diventa un mito pedagogico Capitolo primo Tra realtà e mito: una premessa 1. Lombardo Radice e la riscoperta della scuola rurale 105 Capitolo secondo Alla ricerca della «scuola serena»: Giuseppe Lombardo Radice e la cultura pedagogica italiana del primo novecento di fronte al mito della scuola della Montesca 1. Premessa 108 2. L incontro di Lombardo Radice con la Montesca 110 3. La Montesca ed i programmi del 1923 119 4. Polemiche e plausi al modello educativo della Montesca 120 5. Marcucci, Bettini, Predome, Padellaro: favorevoli e contrari al «Calendario della Montesca» 126 Capitolo terzo Il «maestro dei maestri italiani delle scuole rurali»: Felice Socciarelli e la scuola di Mezzaselva 1. Premessa 133 2. L incontro con Lombardo Radice e la scoperta dell idealismo pedagogico 134 3. Socciarelli negli anni Venti: un maestro ammirato e osteggiato 139 4. Il tentativo di creare un apposita didattica per le scuole rurali 148 5. L apertura al realismo pedagogico degli anni Trenta 152 6. «Ritornare a Lombardo Radice». L auspicio di Socciarelli per rifondare la scuola dell Italia democratica 155 7. Conclusioni 157 Capitolo quarto «Un esperienza di istruzione rurale integrale»: David Levi Morenos e le Colonie dei Giovani Lavoratori 1. La Grande Guerra, i bambini profughi, gli orfani e le 159 colonie agricole: aspetti per una storia dell educazione 112 2. David Levi Morenos: naturalista ed educatore 161 3. Le scuole per gli orfani dei marinai della laguna veneziana 163 4. I profughi, gli orfani e la guerra: nascono le tre Colonie 165 5. «La scuola integrale unitaria» 170 6. L interesse pedagogico suscitato dalle Colonie 174 Capitolo quinto 4

Una scuola tra mito e realtà: spontaneismo, metodo didattico e propaganda pedagogica a San Gersolè 1. Premessa 178 2. Alle origini di San Gersolè 179 3. Il mito della spontaneità: plausi e polemiche 187 4. San Gersolè: la costruzione del mito pedagogico 191 5. Una maestra «scomoda»: il fascismo e Maria Maltoni 201 Conclusioni 210 5

Introduzione Era il 1952 quando Roberto Mazzetti pubblicava il «Manifesto per la scuola rurale», un programma di intervento con cui il pedagogista bolognese avrebbe voluto apportare i necessari miglioramenti alla scuola elementare allora diffusa nelle campagne italiane 1. Al di là del contenuto di tale manifesto e delle singole proposte in esso contenute, quel documento non può che balzare all attenzione degli storici a dimostrazione di quanto, nell Italia che prendeva la via della modernizzazione e dell industrializzazione e in cui a maggior ragione la «scuola rurale» nemmeno esisteva più a livello giuridico da qualche anno, fosse tutt altro che archiviato il problema di come fornire un adeguata istruzione elementare ai bambini delle famiglie che vivevano in piccoli o talvolta piccolissimi centri abitati, lontani dalle città e dai servizi che queste offrivano, in uno stato di subalternità assai rilevante. Se dunque nel 1952 la dizione di «scuola rurale» poteva suonare obsoleta e richiamare il passato, di certo era attuale la questione di come rispondere agli accresciuti bisogni educativi delle popolazioni di campagna in un Italia che viaggiava a due marce, attraversata da profonde differenze che separavano il mondo rurale da quello urbano, riproducendo a sua volta all interno di essi ulteriori contraddizioni di ordine sociale. Certo, alcuni miglioramenti si erano registrati rispetto ad un decennio prima: scuole elementari erano state aperte anche nelle frazioni e nelle borgate di campagna, di collina e di montagna; il corso elementare aveva visto diffondersi pressoché ovunque la quinta classe, che fino ad un decennio prima era un privilegio per pochi. Tuttavia la portata del cambiamento era stata assai limitata e non tale da giustificare un vero ottimismo. Rimaneva aperto innanzitutto quello che era stato da sempre il problema intrinseco alle scuole rurali, vale a dire quello di riunire bambini di diverse classi in un unica aula e con un unico insegnante, pregiudicando in tal modo la qualità della didattica. Al problema delle «pluriclassi», come da allora cominciarono ad essere chiamate, si aggiungeva un altro di natura sociale e politica che si trascinava dal passato. Si trattava del cosiddetto «pregiudizio anticontadino» che, come ha raccontato nelle sue memorie Raffaele Rossi, maestro comunista nelle scuole della campagna perugina e dell Appennino umbro negli anni dell immediato dopoguerra, era così diffuso tra i maestri ed i direttori didattici da far apparire loro quel mondo come un alterità da guardare con distacco, diffidenza e talvolta ostilità: un sentimento che si manifestava in vario modo e che spesso era causa del facile ricorso alle bocciature dei ragazzini «difficili», il più delle volte figli di braccianti e contadini costretti a lavorare dopo le ore di scuola o con gravi problemi di natura familiare; o che creava situazioni discriminatorie come quella vissuta nel 1947 da Rossi nella scuola pluriclasse di Ramazzano, un borgo nella campagna di Perugia, frequentata da figli di mezzadri, di qualche bracciante e di alcuni medi possidenti, quando si accorse che situato vicino alla cattedra c era un piccolo banco a un solo posto che era riservato alla figlia della contessa del paese, proprietaria di molti poderi e di un tabacchificio 2. Erano questi i sintomi di un clima sociale difficile dovuto all asprezza nei rapporti tra proprietari e mezzadri che caratterizzò l immediato dopoguerra, in continuità con il passato che troppo semplicisticamente si pensava sepolto con la caduta del fascismo e che invece 1 R. Mazzetti, Manifesto per la scuola rurale: guida per far meglio, Firenze, Marzocco, 1952. 2 R. Rossi, Volevamo scalare il cielo. Il Novecento dai luoghi della memoria, Perugia, Era Nuova, 1999, pp. 105-106. 6

era più presente che mai a dimostrazione di «come nella scuola fosse forte la resistenza al rinnovamento democratico» 3. Tali considerazioni hanno costituito una sorta di filo conduttore lungo il quale è stata imbastita la ricerca che in queste pagine viene presentata al lettore. Ricostruire la storia delle scuole rurali nell Italia tra Otto e Novecento, infatti, non significa solo contribuire allo studio di un segmento della storia dell educazione e delle istituzioni scolastiche, ma anche leggere le trasformazioni di ordine sociale, politico ed economico che hanno investito le campagne italiane negli ultimi cento anni attraverso un osservatorio particolare e fortunato quale è stata la scuola rurale. Una sorta di «Cenerentola» dell istruzione elementare, per usare il linguaggio delle riviste magistrali del tempo che più volte si fecero interpreti di battaglie in favore del miglioramento delle condizioni in cui si trovavano le scuole di campagna, le più dimenticate dallo Stato e dai Comuni, le meno ricercate dai maestri per i bassi stipendi e per la solitudine dei luoghi in cui sorgevano. Destinatarie di poche attenzioni quando erano in vita, esse lo sono state di meno quando hanno cessato la loro funzione da parte della storiografia che ha preferito concentrare maggiormente il suo sguardo, a partire dagli anni Cinquanta, sul tema della «istruzione popolare», categoria omnicomprensiva sotto la quale è confluita indistintamente la scuola per i ceti popolari della campagna e della città. Emblematico da questo punto di vista è stato il libro di Dina Bertoni Jovine apparso nel 1953 con il titolo Storia della scuola popolare in Italia che, oltre a costituire un punto di riferimento per gli studi di storia dell educazione dei decenni successivi, ha decretato le fortune della categoria storiografica dell istruzione popolare, categoria destinata ad essere ripresa da un numero considerevole di altri studiosi ma di cui spesso non ne è stata sottolineata in modo opportuno la complessità implicita 4. 3 Ivi, p. 104. 4 D. Bertoni Jovine, Storia della scuola popolare in Italia, Torino, Einaudi, 1953. Si citano, a titolo di esempio, i seguenti lavori: G. Cives, Cento anni di vita scolastica in Italia: ispezioni e inchieste da Gino Capponi a Giuseppe Lombardo-Radice, Roma, Armando, 1960; Id., Cento anni di vita scolastica in Italia: ispezioni e inchieste dall idealismo a oggi negli scritti di G. Lombardo Radice, G. Isnardi, G. Giovanazzi, F. Bettini, A. Marcucci, L. Volpicelli, L. Borghi, A. Visalberghi, Roma, Armando, 1967; R. Fantini, L istruzione popolare a Bologna fino al 1860, Bologna, Zanichelli, 1971; T. Tomasi, Scuola e società nel socialismo riformista (1891-1926): Battaglie per l istruzione popolare e dibattito sulla questione femminile, Firenze, Sansoni, 1982; A. Semeraro, L istruzione popolare in Terra d Otranto nelle relazioni degli ispettori centrali e periferici e degli amministratori locali, Galatina, Congedo, 1983; E. Catarsi, L educazione del popolo: momenti e figure dell'istruzione popolare nell Italia liberale, Bergamo, Juvenilia, 1985; S. Pivato, Movimento operaio e istruzione popolare nella Romagna d'inizio novecento, Rimini, Maggioli, 1985; S. Pivato, Movimento operaio e istruzione popolare nell'italia liberale, Milano, Franco Angeli, 1986; E. De Fort, La scuola elementare dall Unità alla caduta del fascismo, Bologna, Il Mulino, 1996; M. Cattaneo, L. Pazzaglia (a cura di), Maestri, istruzione popolare e società in «Scuola Italiana Moderna» (1893-1993), Brescia, La Scuola, 1997; M.C. Morandini, Scuola e nazione: maestri e istruzione popolare nella costruzione dello Stato unitario (1848-1861), Milano, V&P, 2003; P. Causarano, Combinare l'istruzione coll educazione: municipio, istituzioni civile ed educazione popolare a Firenze dopo l Unità (1859-1878), Milano, Unicopli, 2005; F. Pruneri, Oltre l'alfabeto: l istruzione popolare dall unità d Italia all età giolittiana: il caso di Brescia, Milano, V&P, 2006; G. Chiosso, Carità educatrice e istruzione in Piemonte: aristocratici, filantropi e preti di fronte all educazione del popolo nel primo 800, Torino, SEI, 2007; G. Inzerillo, V. Bonazza, La scuola con le grucce. L istruzione elementare nel Basso ferrarese in età liberale, Roma, Carocci, 2007. Per un bilancio storiografico sul tema dell istruzione popolare si rinvia alla sintesi di R. Sani, Scuola e istruzione elementare in Italia dall Unità al primo dopoguerra: itinerari storiografici e di ricerca, in R. 7

Se si prescinde dallo studio di Giacomo Cives sull Ente nazionale di cultura apparso nel lontano 1967 5, solo nell ultimo decennio si è assistito al fiorire di un inedito interesse verso il tema dell istruzione rurale che ha prodotto ricerche su taluni personaggi o singole esperienze aventi per oggetto l educazione dei giovani contadini. Si può, ad esempio, citare la monografia di Giovanna Alatri dedicata alla figura di Alessandro Marcucci, animatore delle scuole rurali dell Agro romano insieme ad altri intellettuali come Sibilla Aleramo e Giovanni Cena: un lavoro che ha attinto ad una ricca documentazione archivistica che ha offerto interessanti spunti in relazione alla comprensione del fenomeno dell istruzione rurale durante il regime fascista 6. Nella stessa direzione si è mossa anche la ricerca di Maria Maddalena Rossi dedicata all opera del Gruppo d azione per le scuole del popolo, l associazione milanese sorta per fornire assistenza morale e materiale agli insegnanti della scuole più disagiate e successivamente delegata dallo Stato a gestire le scuole rurali uniche della Lombardia; anche in questa circostanza, l autrice ha potuto ricostruire l operato del sodalizio ricorrendo a fonti archivistiche inedite, che hanno permesso di comprendere meglio alcuni passaggi della storia della scuola rurale in Italia, soprattutto in riferimento al periodo fascista 7. Recentemente la storia di un altra associazione benemerita dell istruzione popolare in generale e di quella rurale in particolare, l Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d Italia, è stata ripercorsa da Brunella Serpe e da Francesco Mattei in distinti lavori che ne hanno ripercorso le vicende storiche e studiato l aspetto didattico 8. Si segnala, infine, un altro lavoro che ha fatto luce su un fenomeno che presentava dei punti comuni con quello trattato in questo studio, ma non sempre coincidenti: si tratta della ricerca di Elisa Gori sulle scuole a sgravio, vale a dire su quelle scuole che tramite la sottoscrizione di una convenzione venivano affidate ad enti o corporazioni dai Comuni prima e dallo Stato poi, facendo in modo che questi ultimi fossero sgravati dall onere di provvedere all obbligo scolastico 9. Istituto giuridico previsto dalla metà dell Ottocento, lo sgravio non va confuso con la delega alle associazioni culturali che dal 1921 gestirono nelle campagne italiane le scuole rurali per conto dello Stato. Le scuole a sgravio, infatti, costituirono una forma residuale di insegnamento elementare (il loro numero non superò le poche centinaia 10 ), diffuso in prevalenza nelle città e non nelle campagne e animato in modo particolare da personale insegnante religioso. Riconosciute dallo Stato secondo tale denominazione fino al 1935, le scuole a sgravio variarono da allora il nome in «scuole parificate». Sani, A. Tedde (a cura di), Maestri e istruzione popolare in Italia tra Otto e Novecento: interpretazioni, prospettive di ricerca, esperienze in Sardegna, Milano, V&P, 2003, pp. 3-17. 5 G. Cives, L attività dell Ente di Cultura, in Ernesto Codignola in 50 anni di battaglie educative, Firenze, La Nuova Italia, 1967. 6 G. Alatri, Una vita per educare, tra arte e socialità. Alessandro Marcucci (1876-1968), Milano, Unicopli, 2006. 7 M.M. Rossi, Il Gruppo d azione per le scuole del popolo di Milano (1914-1941), Brescia, La Scuola, 2004. 8 B. Serpe, La Calabria e l opera dell Animi. Per una storia dell educazione nel Mezzogiorno, Cosenza, Jonia editrice, 2004; F. Mattei, Animi: il contributo dell Associazione Nazionale per gli interessi del Mezzogiorno d Italia alla storia dell educazione (1910-45), Roma, Anicia, 2012. 9 E. Gori, L istruzione in appalto. La scuola elementare a sgravio dall Unità al fascismo, Milano, Franco Angeli, 2007. 10 Nel 1929-30 le scuole a sgravio presenti in Italia erano 812, di cui 89 maschili, 550 femminili e 173 miste. Il dato è tratto da G. Chiaromonte, Le scuole a sgravio e i dati statistici del 1929-30, «Annali dell istruzione elementare», n. 2, marzo-aprile 1932, p. 24. 8

Pur tuttavia, se si prescinde da tali ricerche concentrate su singoli aspetti del problema, molte questioni sono rimaste inevase dalla storiografia dell educazione. Ci riferiamo alla ricostruzione del dibattito su quale tipo di istruzione conferire ai giovani contadini e, dunque, sull idea di scuola rurale, la cui definizione è soggetta a mutare nel passaggio dall Unità all età liberale fino al fascismo. Strettamente legato a ciò si pone il problema della formazione del maestro rurale, che a periodi intermittenti è visto come una figura non assimilabile al maestro di città e per questo bisognoso di essere adeguatamente preparato con strumenti appositi come i numerosi corsi per l istruzione agraria tenuti ai maestri elementari a partire dalla fine dell Ottocento o addirittura con scuole speciali, come viene ipotizzato nei primi decenni del Novecento. Altri aspetti che meritano di essere meglio indagati sono l attività svolta dagli enti culturali che nei primi anni Venti vennero delegati dallo Stato a gestire le scuole rurali e l opera svolta da taluni proprietari terrieri e filantropi che autonomamente fondarono scuole nei primi anni del Novecento soccombendo alle gravi lacune dello Stato e talvolta creando delle esperienze modello destinate ad imporsi all attenzione del mondo scientifico ed accademico per le innovazioni di tipo pedagogiche apportate. Ma ciò che è mancato, in particolare, è uno studio complessivo ed organico del tema dell istruzione rurale, che ne seguisse lo sviluppo nel lungo periodo e in tutto il territorio nazionale e che tenesse in debita considerazione l influenza esercitata su di esso dal clima politico, economico, culturale e pedagogico. A questa lacuna si è cercato di dare una risposta con il presente studio, per la cui realizzazione si è tenuto in debito conto la bibliografia prodotta negli ultimi anni e una mole considerevole di documenti conservati in svariati archivi pubblici e privati, di persone e di istituzioni culturali. La seconda parte della ricerca è dedicata, invece, all illustrazione di quattro esperienze di istruzione rurale che, in virtù degli originali metodi didattici seguiti, si distinsero nel quadro della pedagogia italiana della prima metà del secolo, tanto da assumere i contorni di vere e proprie scuole modello o di miti pedagogici. In particolare dopo un capitolo introduttivo, singoli capitoli sono dedicati alla scuola della Montesca fondata dai baroni Franchetti, alle Colonie dei Giovani Lavoratori create da David Levi Morenos, alla scuola di Mezzaselva del maestro Felice Socciarelli e alla scuola di San Gersolè della maestra Maria Maltoni: tutte scuole rurali che riuscirono ad attirare l attenzione di importanti pedagogisti italiani e stranieri facendo parlare di sé per i metodi attivistici che vi si insegnavano e che lo scrivente ha già avuto modo in parte di studiare e descrivere 11. Nel concludere queste brevi considerazioni ci appare opportuno precisare bene l oggetto di questa ricerca, definendo con chiarezza cosa si deve intendere per istruzione rurale, al fine di non confonderla, come talvolta si fa, con l istruzione agraria. Allo scopo di chiarire questo punto e di sciogliere l equivoco, è opportuno precisare che l istruzione agraria è l insieme di saperi e di istituzioni culturali aventi per oggetto la formazione dal punto di vista professionale dei contadini, 11 Tre capitoli della parte seconda di questo lavoro sono stati già pubblicati a cura di chi scrive nella rivista «History of Education & Children s Literature» e vengono qui riproposti senza particolari modifiche: Alle origini della «scuola serena». Giuseppe Lombardo Radice e la cultura pedagogica italiana del primo Novecento di fronte al mito della scuola della Montesca, «History of Education & Children s Literature», IV, 2 (2009), pp. 307-337; Una scuola tra mito e realtà. Spontaneismo, metodo didattico e propaganda pedagogica nella scuola di San Gersolè, «History of Education & Children s Literature», VI, 1 (2011), pp. 343-381; «Un esperienza di istruzione rurale integrale». David Levi Morenos e le Colonie dei Giovani Lavoratori, «History of Education & Children s Literature», VI, 2 (2011), pp. 115-139. 9

dei tecnici e dei proprietari terrieri ai quali fornire un corredo di nozioni teoriche e pratiche con lo scopo di «sostenere lo sviluppo dell agricoltura come parte del più ampio processo di trasformazione economica del Paese» 12. L istruzione rurale, invece, è una forma di istruzione primaria e rientra, dunque, a pieno diritto nel campo della scuola elementare; in linea generale essa è finalizzata, cioè, all alfabetizzazione e alla prima socializzazione dei figli delle popolazioni rurali. Il modo e la misura in cui si dovesse conseguire questo obiettivo è stato poi oggetto di varie interpretazioni, in funzione della stagione politica e culturale. Si può, infine, aggiungere che l istruzione agraria si è storicamente articolata in numerose forme ed è stata indirizzata a destinatari di diverso livello culturale e di differente età: le scuole tecniche agrarie, ad esempio, rientravano nel cosiddetto insegnamento medio ed i suoi studenti provenivano in gran parte dalle famiglie della piccola borghesia; gli istituti superiori di agraria e le facoltà di Agraria facevano parte dell insegnamento superiore e universitario ed avevano come frequentanti giovani delle famiglie dell alta borghesia e raramente della nobiltà. Bisogna altresì rilevare che rientrano a pieno titolo nel campo dell istruzione agraria altre forme di insegnamento che nulla avevano a che fare con la scuola intesa nel senso classico del termine: ci riferiamo, ad esempio, alle Cattedre Ambulanti di Agricoltura, sorte nella seconda metà dell Ottocento per iniziativa di privati e di enti locali, che organizzavano lezioni per i coloni nelle proprie sedi o corsi itineranti nei comuni rurali, rivolti a giovani e adulti; ai corsi di agraria organizzati dai Consorzi provinciali per l istruzione tecnica, organismi istituti con legge nel 1929, allo scopo di promuovere lo sviluppo ed il perfezionamento dell istruzione tecnica; agli Ispettorati provinciali dell agricoltura, istituiti con legge nel 1935 in sostituzione delle Cattedre ambulanti al fine di provvedere all istruzione tecnica, all assistenza agli agricoltori, alla sperimentazione di nuove tecniche di produzione agricola e, più in generale, a tutte quelle iniziative atte a promuovere e ad incoraggiare il progresso della zootecnia e delle industrie agrarie. Fatta questa debita premessa e sottolineate le differenze tra i due tipi di insegnamenti, si deve riconoscere come nell arco dell ultimo ventennio l istruzione agraria sia stata oggetto di una seria rivalutazione da parte degli storici, in particolare degli storici dell economia e dell agricoltura, che ne hanno ricostruito le istituzioni, le forme di insegnamento e le figure di coloro che si adoperarono per la sua promozione. Testimonianza di ciò è stata la pubblicazione di una serie di pregevoli lavori nei quali i loro autori hanno cercato di individuare le relazioni tra la diffusione del sapere agronomico ed i processi di sviluppo economico. Altrettanta attenzione al mondo delle campagne non è stato invece riservato dagli storici dell educazione ed è per tale ragione che il presente studio ha l ambizione di colmare il divario rispetto a quanto fatto dagli storici dell economia, affrontando in modo organico e complessivo il tema dell istruzione rurale nell Italia tra Otto e Novecento, con una particolare curvatura sul periodo compreso tra l età giolittiana e quella fascista. 12 R. Pazzagli, Il sapere dell agricoltura: istruzione, cultura, economia nell Italia dell Ottocento, Milano, Franco Angeli, 2008, p. 9. 10

Ringraziamenti Al termine del Dottorato di Ricerca in «Theory, technology and history of Education», svolto nel triennio 2010-2012 presso l Università degli Studi di Macerata, desidero ringraziare quanti mi hanno accompagnato nel mio percorso di studi, fornendo consigli e indicazioni che si sono rivelati preziosi. Un sincero ringraziamento va, in primo luogo, ai professori Roberto Sani e Anna Ascenzi che mi hanno seguito aiutandomi, con i loro suggerimenti, a definire l impostazione di fondo del lavoro. Ho un particolare debito di riconoscenza nei confronti del professor Juri Meda, infaticabile dispensatore di consigli, il cui confronto ed i cui stimoli mi hanno accompagnato in questo percorso di crescita professionale ed umana. Ringrazio anche gli altri ricercatori di Storia dell Educazione dell Ateneo maceratese Marta Brunelli, Dorena Caroli ed Elisabetta Patrizi per il clima positivo e costruttivo che ho trovato lavorando al loro fianco. Sono inoltre grato al personale di Biblioteche ed Archivi, pubblici e privati, presso i quali ho svolto i miei studi. In particolare ringrazio la dott.ssa Barbara Salotti, responsabile dell Archivio della Scuola di San Gersolè e dell Archivio di Maria Maltoni, conservati presso la Biblioteca Comunale di Impruneta (Firenze); il dott. Mirco Bianchi, collaboratore dell Istituto Storico della Resistenza in Toscana (Firenze); il dott. Paolo Straffi, responsabile della Biblioteca della Fondazione «Romolo Murri» di Gualdo (Macerata); la dott.ssa Claudia Pierangeli e la dott.ssa Lara Rotili, rispettivamente responsabile e bibliotecaria della Biblioteca della Facoltà di Scienze della Formazione dell Università degli Studi di Macerata; la dott.ssa Diana Rueesch conservatrice dell Archivio Prezzolini conservato presso la Biblioteca Cantonale di Lugano; la dott. Francesca Gagliardo per l archivio «Giuseppe Lombardo Radice» conservato presso il Museo Storico della Didattica dell Università degli Studi di Roma Tre; la dott.ssa Pamela Giorgi per l archivio «Giuseppe Lombardo Radice» conservato presso l Archivio Storico dell Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell Autonomia Scolastica-ex Indire di Firenze; la dott.ssa Cecilia Castellani, responsabile del fondo archivistico della Fondazione «Giovanni Gentile per gli studi filosofici»; il dott. Carlo Urbani responsabile dei fondi archivistici dell Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti di Venezia; il personale delle Biblioteca «Giustino Fortunato» di Roma; il personale della Biblioteca del Senato della Repubblica «Giovanni Spadolini»; il personale della Biblioteca della Camera dei Deputati; il personale della Biblioteca Comunale «Augusta» di Perugia; il personale dell Archivio unico di deposito della Regione dell Umbria di Solomeo di Corciano (Perugia); il signor Gianfelice Gabrielli di Roma per aver messo a disposizione le carte del nonno, Felice Socciarelli. Dedico, infine, questo lavoro alla mia famiglia e a Valentina che nel corso di questi anni non mi hanno fatto mai mancare il loro affetto e il loro sostegno. 11

Elenco dei fondi e delle abbreviazioni AANIMI Archivio «Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d Italia» (Roma) AMM Archivio «Maria Maltoni» ACS Archivio Centrale dello Stato (Roma) AEC Archivio «Ernesto Codignola» (Firenze) AFG Archivio Fondazione «Giovanni Gentile» (Roma) AFS Archivio «Felice Socciarelli» (Roma) AGLRF Archivio «Giuseppe Lombardo Radice» di Firenze (presso l Archivio Storico dell Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell Autonomia Scolastica-ex Indire) AGLRR Archivio «Giuseppe Lombardo Radice» di Roma (presso il «Museo Storico della Didattica» dell Università degli Studi di Roma Tre) AIJJR Archivio dell Istituto Jean-Jacques Rousseau (presso l Università di Ginevra) AOPRMFF Archivio «Opera Pia Regina Margherita - Fondazione Franchetti» ARU Archivio unico di deposito della Regione Umbria (Solomeo di Corciano) ASCL Archivio Storico del Comune di Lari ASF Archivio di Stato di Firenze ASU Archivio «Società Umanitaria» (Milano) ASUB Archivio Storico dell Università di Bologna (Bologna) BCI Biblioteca Comunale di Impruneta DBI Dizionario Biografico degli Italiani FIAG Fondazione Istituto «Antonio Gramsci» (Roma) ISRT Istituto Storico della Resistenza in Toscana (Firenze) IVSLA Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti (Venezia) SPD Segreteria particolare del Duce b. busta c. carta fasc. fascicolo n. numero p. pagina sez. sezione s.l. senza luogo s.n. senza nome s.fasc. sotto fascicolo 12

vol. D.L. D.M. volume Decreto Legge Decreto Ministeriale 13

Parte prima Scuola e campagne nell Italia tra Otto e Novecento 14

Capitolo primo Le origini della scuola rurale (1861-1898) 1. I primi provvedimenti previsti dalla Legge Casati (1859) Alla vigilia dell Unità d Italia la dizione di «scuola rurale» era una entità pressoché sconosciuta ai più e rara a trovarsi perfino nel vocabolario di coloro che si occupavano di questioni scolastiche e pedagogiche. Lo spoglio della pubblicistica del tempo segnala, ad esempio, un raro caso in cui questa espressione viene utilizzata, per di più in riferimento a realtà educative sorte in altre zone dell Europa: nel 1836, infatti, la «Guida dell educatore», la rivista diretta da Raffaello Lambruschini, descrivendo le scuole modello di Hofwyl, presso Berna, si soffermava sulla «scuola rurale» per «poveri fanciulli», descrivendone brevemente le caratteristiche 13. D altro canto, essendo relegati nel livello più basso della scala sociale, i contadini ed i mezzadri che popolavano le campagne italiane, non destavano certo le preoccupazioni educative nei ceti dirigenti degli Stati pre-unitari in cui era allora divisa la penisola. Scuola e contadini erano due universi lontanissimi. Qualche scuola tutt al più poteva essere aperta in taluni paese a vocazione agricola se il Comune era sufficientemente benestante da disporre delle risorse economiche per pagare il maestro, il più delle volte il prete giacché l assegno messo a disposizione era così basso che non avrebbe garantito la sussistenza di nessuno altro, al di fuori di un religioso, ma quasi sempre a frequentarla non erano i figli dei contadini, ma i figli di quelle famiglie che formavano la piccola borghesia rurale (piccoli proprietari terrieri, farmacisti, medici, artigiani). Indicativo da questo punto di vista fu il Rapporto della Commissione permanente incaricata di compilare una statistica della pubblica istruzione degli Stati italiani, letto da Pasquale Stanislao Mancini, futuro ministro della pubblica istruzione nel primo governo Rattazzi, in occasione dell ottavo Congresso scientifico d Italia, celebrato a Genova nel 1846. Se da un lato questo documento era l espressione della presa di coscienza da parte del ceto dirigente e intellettuale italiano dell ineludibilità del problema dell istruzione popolare, questione di primaria importanza ai fini del progresso dei singoli Stati ma visto anche in chiava unitaria in funzione del progetto risorgimentale, dall altro lato esso non faceva nessun cenno al tema dell istruzione dei contadini, né alla scuola rurale 14. L attenzione era, infatti, rivolta alle scuole di metodo, alle scuole tecniche, alle scuole femminili, al mutuo insegnamento, al rapporto tra scuole pubbliche e scuole private. Bisognerà attendere la Legge Casati, vale a dire il D.L. 13 novembre 1859, n. 3725, per vedere la dizione «scuola rurale» fissarsi nel linguaggio giuridico, oltreché in quello scolastico e pedagogico, inizialmente nel Regno di Sardegna e poi nel resto delle provincie italiane annesse alla monarchia sabauda. La nuova legge, infatti, distingueva la scuola elementare tra «urbana» e «rurale» e ciascuna di queste categorie in tre classi in base al numero della popolazione residente, 13 E. Meyer, Frammenti d un viaggio pedagogico. N 1. Giacomo Wehrli, «La guida dell educatore», I, 1836, pp. 337-358. 14 Rapporto della Commissione permanente incaricata di compilare una statistica della istruzione popolare degli Stati italiani all VIII Congresso scientifico d Italia in Genova: relatore Pasquale Stanislao Mancini, Genova, 1846. 15

a cui corrispondevano salari diversificati da assegnare ai maestri. Erano rurali di prima, seconda e terza classe quelle istituite in località con popolazione che rispettivamente eccedeva i 3.000, 2.000 e 500 abitanti. Erano urbane di prima, seconda e terza classe quelle istituite in località la cui popolazione era superiore a 40.000, 15.000 e 4.000 abitanti 15. L istruzione elementare era di due gradi (grado inferiore e superiore, entrambi di durata biennale) ma solo quello inferiore era obbligatorio in ogni Comune e anche in ogni borgata o frazione aventi almeno 50 bambini atti a frequentarlo. Il secondo grado era obbligatorio solo nei Comuni con oltre 4.000 abitanti. Pur tuttavia nel giro di poco tempo apparve chiaro che la definizione di «scuola rurale» era ambigua e soggetta a diverse interpretazioni, essendo il frutto di una volontà omologante che non teneva conto delle differenze topografiche, geografiche, sociali ed economiche che connotavano l Italia. A porre all attenzione degli addetti ai lavori questo problema fu nei primi anni Settanta del secolo Vincenzo Garelli, noto cultore di studi filosofici e pedagogici nonché professore di metodo in alcune scuole del Piemonte e poi Provveditore a Genova e Torino. Non a caso l incipit di un suo libello dedicato a tale questione era una frase ad effetto «Che cosa è una scuola di campagna?» che bene esprimeva l ambiguità della definizione di scuola rurale 16. Lo studioso piemontese prendeva le mosse dalla costatazione della sua inutilità a causa del modo in cui era stata fino ad allora intesa e della sua inadeguatezza a risolvere in modo serio il problema del miglioramento delle condizioni materiali e morali del popolo. Osservava il Garelli, infatti, che tale qualifica, lungi dall essere applicata in considerazione del tipo di scolaresca che avrebbe dovuto accogliere (i figli dei contadini), era affibbiata semplicemente in funzione al numero di abitanti del Comune in cui essa sorgeva, trascurando, quindi, fattori di grande importanza, come l indole, le abitudini e i bisogni del popolo che la doveva frequentare. Conseguenza di ciò era la creazione di una scuola aliena dal contesto socio-economico in cui si trovava, che talvolta si fregiava del titolo di «rurale» pur trovandosi in località che avevano a che fare poco con la campagna. Scriveva a questo proposito lo studioso piemontese: Le nostre leggi ci danno della Scuole rurale un idea così incompleta, che non possono non nascerne perniciosissimi errori pratici. E per fermo quale è la definizione ufficiale delle Scuole rurali? Quelle, rispondono le nostre leggi, che sono stabilite ne comuni ne quali la popolazione è inferiore ai tre mila abitanti, niun conto fatto dell indole, della vita, delle abitudini, de bisogni, delle occupazioni del popolo che le deve frequentare. Di cotal guisa le scuole di Camogli sono identiche a quelle di Varese Ligure, e quelle di Savona sono come quelle di Sassari; le une di Porto Maurizio non si differenziano da quelle di Albenga, e così va dicendo; epperò gli stessi programmi, presso a poco gli stessi libri, i medesimi orari ed eguali gli ordinamenti disciplinari 17. Dopo aver messo in luce tale ambiguità, Garelli indicava quella che doveva essere, a suo giudizio, la vera scuola rurale: quella «fatta pei figliuoli degli agricoltori, i quali secondo tutte le probabilità eserciteranno, fatti adulti, l industria agricola, cioè lavoreranno i campi». Procedeva, quindi, all esposizione del principio di «differenziazione», secondo il quale era necessario prevedere almeno tre tipi differenti di scuola rurale, tanti quanti erano gli ambienti nei quali sarebbero sorte: un modello di scuola per le regioni alpine, uno per l Italia settentrionale ed un 15 Cfr. G. Inzerillo, Storia della politica scolastica in Italia. Da Casati a Gentile, Roma, Riuniti, 1974, p. 83. 16 V. Garelli, La scuola di campagna: proposta di un nuovo ordinamento che assicuri d aver buoni maestri ed una istruzione utile al progresso de campagnuoli: fatta da un disertore del contado il quale desidera di farvi ritorno, Torino, Collegio degli Artigianelli, 1873, p. 5. 17 Ivi, p. 6. 16

altro per quella meridionale. Non doveva essere trascurato, infine, l elemento rappresentato dal maestro rurale: possibilmente questi doveva essere nato e cresciuto in campagna, avervi risieduto in modo stabile ed essere agricoltore lui stesso, in modo da costituire un esempio sul piano morale per i giovani contadini. A questo proposito veniva proposta la creazione di «scuole normali agrarie», la cui natura teorico-pratica era la migliore garanzia per la formazione dei futuri maestri rurali, definiti «istitutori buoni, modesti e laboriosi». Le indicazioni di Garelli vengono qui riportate perché indicative di come iniziavano a levarsi, a distanza di un quindicennio dal suo varo, isolate voci critiche nei confronti della Legge Casati in materia di istruzione per i contadini, volte a chiedere una scuola che fosse realmente aderente alla vita dei fanciulli di campagna 18. Tale auspicio riguardava i più disparati aspetti: dall ordinamento ai programmi didattici, dai libri al materiale scolastico in uso. Si tratta, in altre parole, di un documento che attesta come si stesse lentamente organizzando un movimento di opinione all interno del mondo pedagogico, che si sarebbe esteso anche ai ceti produttivi agrari più illuminati, favorevole alla diffusione della scuola nelle campagne e alla sua connotazione in senso agrario e che alla fine del secolo riuscirà ad imporsi come dimostrerà il successo riscosso dallo slogan fatto proprio e rilanciato dal Ministro della Pubblica Istruzione, Guido Baccelli: «Ritorniamo alla terra!». Si trattò, in verità, di un percorso non lineare, costellato da numerosi ostacoli, da tentativi di accelerazione e, di contro, da frettolosi passi indietro. Motivazioni pedagogiche si intrecciarono a quelle di ordine sociale ed economico e, non ultime, a quelle politiche nel dibattito che poneva al centro della discussione la volontà di non alienare l interesse dei ceti rurali dalla scuola primaria, creando un percorso formativo rispettoso della vita dei giovani contadini e che tenesse conto delle reali esigenze del mondo del lavoro. Di certo questo sentimento non dominò nei primi anni post-unitari. Il modesto corso elementare inferiore creato dalla Legge Casati, infatti, stentò esso stesso a diffondersi nei Comuni rurali e montani e laddove venne istituito non forniva certo un alfabetizzazione sufficiente. Più che creare una scuola rurale orientata in senso agrario si cercò nei primi decenni successivi all Unità di potenziare l istruzione primaria nelle campagne con la creazione di scuole festive per i fanciulli e di scuole per gli adulti. Sebbene queste fossero previste già dalla legge del 1859, tuttavia non offrirono nella maggioranza dei casi un vero rimedio al problema dell analfabetismo diffuso in ambito rurale. A rendere meno incisiva la loro opera fu la stessa legge Casati che nel prevedere la loro esistenza, stabiliva al contempo che il personale insegnante doveva lavorare in forma gratuita e che esso era dispensato dalla verifica dell idoneità professionale 19. La penuria di maestri e di risorse economiche furono due delle principali cause di tale legislazione che venne confermata nelle sue linee generali dal regolamento del 15 settembre 1860: esso dava la facoltà ai Comuni, ai privati e alle private associazioni di aprire scuole elementari per adulti e corsi speciali per artigiani alla sola condizione che «ne rendessero consapevole l ispettore del circondario». Né era richiesto un titolo di studio per insegnare in queste scuole: l art. 164 stabiliva che «gl insegnanti di queste scuole sono dispensati dal produrre titoli d idoneità». Tuttavia vigeva il principio della vigilanza sulle loro attività da parte delle 18 In assenza di uno studio organico e approfondito sugli Asili rurali si rinvia a L. Pazzaglia, Asili, Chiesa e mondo cattolico nell Italia dell 800, in Sani, Pazzaglia (a cura di), Scuola e società, cit., p 82; G. Calò, Ottavio Gigli e i suoi corrispondenti toscani, in Pedagogia del Risorgimento, Firenze, Sansoni, 1965, pp. 616-630. 19 Ministero della Pubblica Istruzione, L istruzione elementare nell anno scolastico 1897-98. Relazione a S.E. il Ministro, Roma, Tip. Ludovico Cecchini, 1900, p. CCXLVII. 17

autorità scolastiche, le quali potevano anche chiuderle seguendo la stessa procedura stabilita dal regolamento per gli istituti privati. Le stesse norme furono confermate quasi integralmente nel Regolamento Generale per l Istruzione Elementare del 9 ottobre 1895 20. Ma già un ventennio prima, la Legge Coppino del 1877 aveva dichiarato l intenzione di combattere l analfabetismo ricorrendo anche all ausilio di scuole serali o festive. In particolare era previsto che i fanciulli, dopo aver compiuto il corso elementare inferiore, dovessero frequentare per un anno le scuole serali nei Comuni dove queste erano in funzione o le scuole festive per le femmine. Erano chiamate anche scuole complementari o di completamento, il cui fine era quello, come affermava l art. 9 del Regolamento del 19 ottobre 1877, di «continuare e di ampliare l insegnamento delle materie prescritte come obbligatorie dall art. 2» della Legge Coppino. Agli insegnanti delle scuole serali e festive il ministero si impegnava ad assicurare dei sussidi in base al numero degli scolari riuniti, delle lezioni impartite e del risultato ottenuto. Nonostante questi intendimenti, le norme del 1877 in tale materia si rivelarono «ben presto insufficienti», né ad un esito positivo portò il nuovo Regolamento Speciale per le scuole serali e festive, varato il 18 novembre 1880, dal momento in cui non fu attuato 21. Si giunse così al 1888 quando veniva approvato, il 16 febbraio di quell anno, il Regolamento unico per l istruzione elementare. Esso dedicava un intero capo (il V, dall art. 64 al 70) alle scuole serali e festive di completamento, di cui si dettavano norme in ordine alla durata, al finanziamento, all ammissione degli alunni. In particolare si stabiliva che la scuola serale aveva una durata non inferiore a sei mesi, la festiva non inferiore a dieci mesi. Era fornita la possibilità di trasformarle in scuole diurne di otto mesi qualora si fosse fatta lezione due giorni alla settimana per non meno di due ore e mezza al giorno. Per essere ammessi gli alunni dovevano presentare il certificato di proscioglimento dall obbligo della scuola diurna. Particolarmente importante era l art. 70 secondo il quale le scuole di completamento dovevano essere «col concorso del Governo» istituite e mantenute nei Comuni che, essendo privi del corso elementare superiore, «dichiarassero di provvedere a spese proprie agli oggetti di manutenzione delle scuole stesse ed assegnassero anche, dal canto loro, un qualche compenso agli insegnanti delle medesime» 22. Nonostante ciò, allo scadere del secolo le reali condizioni delle scuole serali e festive per i giovani, così come per gli adulti, erano assai critiche, al punto che esse non erano riuscite ad imporsi sul piano scolastico, facendo valere la propria importanza, come ammettevano candidamente nelle loro relazioni le stesse autorità ministeriali 23. 2. «La redenzione delle plebi agricole». L azione svolta dalle associazioni private per l istruzione popolare e rurale nell Italia post-unitaria A distanza di pochi anni dall Unità una crescente sensibilità verso il tema della diffusione dell istruzione popolare andò diffondendosi presso alcune personalità della classe dirigente italiana di idee liberali e di matrice laica. Testimonianza di questa nuova temperie culturale fu l esplodere di un fenomeno nuovo per l Italia post-unitaria che si concretizzò nella nascita di numerose iniziative volte all alfabetizzazione dei ceti popolari e all elevazione morale e culturale di 20 Ivi, p. CCXLVIII. 21 Ivi, p. CCXLIX. 22 Ivi, p. CCXLIX. 23 Ivi, p. CCL. 18

artigiani, operai e contadini di cui furono protagoniste associazioni e sodalizi fondati da privati cittadini. A costoro, infatti, il miglioramento delle condizioni morali e culturali delle popolazioni rurali che vegetavano in condizioni di estrema arretratezza sembrava una questione ineludibile per i destini della Nuova Italia almeno per tre ragioni: in primo luogo perché la «redenzione delle plebi agricole» era un atto di filantropia imposto alle coscienze degli uomini; in seconda istanza per ragioni più prosaiche volte a evitare sconvolgimenti sociali e perturbamenti dello status quo provocati da plebi contadine cresciute nell ignoranza ma sempre più esposte alla nascente propaganda socialista; infine, perché la presenza di una così vasta manodopera non qualificata minava lo sviluppo economico del paese ed i processi di industrializzazione. Espressione di tali sentimenti fu, ad esempio, la Società Promotrice delle Biblioteche Popolari, sorta nel 1867 a Milano, e promossa da Giuseppe Sacchi, Luigi Cremona, Carlo Baravalle, Amato Amati ed Enrico Fano. Grazie all azione di un Comitato nato a Firenze due anni dopo con lo scopo di favorire la diffusione delle biblioteche popolari e la stampa di un «Annuario», alla metà degli anni Ottanta ormai le biblioteche erano circa un migliaio. Oltre al prestito dei libri, tali sodalizi, che erano animati dai principali esponenti delle classi dirigenti cittadine che si ispiravano alla filantropia, affiancarono altre attività come conferenze su disparati argomenti. All interno della stessa cornice si deve inserire la nascita della Società di educazione ed istruzione popolare fondata a Pisa nel 1866, ma che a differenze dalla Società delle Biblioteche popolari, presentava un più marcato interesse verso le questioni scolastiche. Essa traeva origine dalla libera iniziativa di un sodalizio di cittadini convinti che uno dei principali problemi del tempo fosse «l educazione e il miglioramento delle plebi», questione di grande attualità che richiamava l attenzione «di tutti i pubblicisti, di tutti gli uomini di stato, di tutti i filantropi» che non si accontentavano dei risultati conseguiti dalle leggi. Non è difficile intravedere dietro queste parole l opera di coloro che sostenevano il principio della libertà d insegnamento ed erano stati critici contro l estensione dell ordinamento casatiano alle nuove province del Regno, circostanza che aveva visto proprio la Toscana in prima fila contro l omologazione del proprio sistema scolastico a quello subalpino. Il tema della valorizzazione dell iniziativa privata è, infatti, ben sviluppato nel programma con cui la Società si presentava: È comune andazzo fra noi il chiedere e lo aspettar tutto dal governo, dimenticando che ogni istituzione non può produrre buone e lodevoli effetti se non occupandosi dei fini, pei quali essa è stata creata, dimenticando che la sorgente della iniziativa non può né dee cercarsi altrove che negli individui: è comune andazzo il parlare della civiltà, della mitezza, del raro buon senso del nostro popolo, il dirlo capace di tutti i diritti e dell esercizio di tutte le libertà; è comune andazzo il credere che con una legge, coll attuazione di un sistema, col cambiare di una forma di governo debbansi altresì cambiare ad un tratto le condizioni nostre e che dalla servitù e dall abbrutimento dobbiamo come per incanto sollevarci alla libertà ed alla civiltà 24. Scopo dichiarato dell associazione pisana, di cui divenne presidente Carlo Minati, professore di medicina all ateneo cittadino, era quello di favorire la creazione di scuole elementari, asili infantili, scuole serali e domenicali. Un altra istituzione che sorse nello stesso periodo e con i medesimi obiettivi era il Comitato ligure per l educazione del popolo, istituito nel gennaio 1867 a Genova ed eretto in ente 24 Programma e statuto della Società di educazione ed istruzione popolare in Pisa, Pisa, tip. Pieraccini, 1866, p. 3. 19

morale con decreto del 25 maggio 1876 25. Esso aveva per scopo quello di promuovere e sussidiare oltre che l istituzione di asili, giardini d infanzia, patronati per fanciulli e biblioteche popolari circolanti, anche di scuole elementari e professionali e scuole serali e festive per gli adulti nelle borgate e nei Comuni minori della Liguria. Si deve tuttavia notare che quello che accomunava le esperienze appena descritte era la loro spiccata connotazione urbana: esse, cioè, nascevano per rispondere alle esigenze educative e formative dei ceti popolari cittadini, formati in prevalenza da negozianti, artigiani e operai. Le campagne restavano ancora un mondo lontano ed i contadini gli esclusi dai benefici portati da queste associazioni. Qualcosa sarebbe cambiato con la nascita di un istituzione destinata a incidere maggiormente nelle dinamiche scolastiche italiane e a riaccendere il dibattito su quale forma dovesse assumere l istruzione per i fanciulli delle campagne dopo l introduzione della Legge Casati: ci riferiamo all Associazione nazionale per la fondazione degli asili rurali per l infanzia. Sorta nel 1867, essa aveva tra i suoi fondatori due ex ministri della pubblica istruzione, come Carlo Matteucci e Terenzio Mamiani, intellettuali o uomini politici con interessi pedagogici, come Gino Capponi, Ottavio Gigli e Bettino Ricasoli. Il progetto dell Associazione era così ambizioso perché essa non aveva in animo semplicemente di sussidiare asili da istituire nei paesi e nelle borgate ma perché proponeva una soluzione educativa per i figli dei contadini che era alternativa a quella proposta dall ordinamento casatiano del 1859 26. Il sodalizio chiedeva, infatti, di trasformare le scuole rurali inferiori, diffuse nei paesi con meno di 500 abitanti e quindi nelle campagne, in asili rurali che accogliessero bambini di ambo i sessi da tre o quattro anni fino a otto o nove anni nella convinzione che tali istituzioni educative avrebbero meglio corrisposto alle reali esigenze dei genitori e della prima alfabetizzazione dei fanciulli. L asilo, infatti, avrebbe insegnato «con metodi più sani e sicuri le medesime materie» e avrebbe reso possibile «lo svolgersi ordinato delle forze fisiche e intellettuali del fanciullo» meglio di quanto fatto nelle scuole rurali, dove l insegnamento «non educò (che doveva essere il suo principale scopo), non istruì che poco e male e senza uniformità di metodo e d insegnamento» 27. In particolare lo statuto dell associazione prevedeva si sarebbe potuto aprire asili rurali «nei casali, nei borghi, nelle borgate e nei villaggi» dove era possibile riunire almeno trenta bambini. Era previsto l insegnamento della lettura, della scrittura, dell aritmetica e delle prime nozioni di geografia, storia sacra, storia nazionale, storia naturale e agronomia. Un altro vantaggio offerto da questa soluzione educativa era, secondo i suoi promotori, quello di favorire la frequenza degli alunni, in prevalenza contadini, grazie all abbassamento dell età scolare: se il bambino che entrava nella scuola rurale a sei anni era già in grado di svolgere alcuni lavori nei campi, come la sorveglianza degli animali, e pertanto era soggetto a disertare la scuola, lo stesso non sarebbe potuto accadere per un fanciullo di tre anni. Sul piano giuridico gli asili rurali furono istituiti in base a quanto previsto dall articolo 14 del Regolamento scolastico del 15 settembre 1860 con il quale lo Stato riconosceva la possibilità 25 Cfr. lo D.L. 6 giugno 1901 che approva lo statuto organico dell associazione, pubblicato nella Raccolta Ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d Italia. Parte supplementare, 1901. 26 Sull esperienza degli asili rurali manca ancora oggi uno studio organico ed approfondito. Per il momento si possono trovare alcune informazioni in L. Pazzaglia, Asili, Chiesa e mondo cattolico nell Italia dell 800, in Sani, Pazzaglia (a cura di), Scuola e società, cit., p 82; G. Calò, Ottavio Gigli e i suoi corrispondenti toscani, in Pedagogia del Risorgimento, Sansoni, Firenze, 1965, pp. 616-630; Gli asili rurali per l infanzia, «Rivista contemporanea nazionale italiana», voll. 50-51, 1867, pp. 269-280. 27 O. Gigli, Il progresso dell Associazione Nazionale degli asili rurali per l infanzia nel suo primo quinquennio, Firenze, Stabilimento di G. Pellas, 1873, p. 33. 20

ad associazioni private, a corporazioni ed a privati cittadini di gestire scuole a sgravio «totale o parziale degli obblighi del Comune sempreché fossero mantenute in conformità alla Legge». Questo aspetto è di particolare importanza poiché l operato dell associazione fu circondato subito da una cortina di diffidenza e di ostilità da parte di taluni soggetti maestri che temevano la perdita del posto di lavoro in favore delle colleghe giudicate più adatte nell insegnamento infantile, ispettori scolastici che paventavano critiche nei loro confronti in ordine agli scarsi risultati ottenuti nelle zone di propria competenza, una parte del clero sospettosa verso l azione di un associazione di stampo liberale che voleva prendere il controllo dell educazione dell infanzia che cercarono di mettere in discussione il fondamento legale in base al quale erano stati aperti gli asili rurali e di sottolineare la natura eversiva di quedta soluzione educativa rispetto alla Legge Casati. Tali critiche, riportate all attenzione dell opinione pubblicata da un giornale, indussero il presidente dell associazione, Mamiani, a reagire inviando un memoriale al ministro della pubblica istruzione in cui si mettevano in evidenza i benefici portati dai 300 asili rurali fino ad allora fondati: venire incontro alle famiglie contadine, per le quali la cura dei bambini era un peso che impediva lo svolgimento dei lavori nei campi, ed educare i fanciulli, in modo tale che uscendo dall asilo non avessero avuto più bisogno di altre proseguire gli studi in altre scuole 28. Mamiani si diceva pertanto amareggiato per il fatto che lui e gli altri dirigenti dell associazione erano stati «fraintesi e talvolta dichiarati poco amici» della legge, tanto che polemicamente lasciava balenare l ipotesi del disimpegno da parte del sodalizio se il governo non avesse fornito rassicurazioni adeguate. Al memoriale rispose il 19 novembre 1869 il ministero, il quale negò il bisogno di ottenere chiarimenti dall associazione, «resultando esse chiarissimamente dai soli nomi delle persone delle quali la Direzione era composta». Tuttavia a un mese, il 14 dicembre, lo stesso ministero, per mezzo del suo segretario generale Pasquale Villari, inviava alla direzione dell associazione una nota in cui indicava con precisione i luoghi in cui essa poteva esercitare la sua opera: i Comuni con popolazione inferiore a 500 persone e che in ragione della loro povertà riconosciuta dal consiglio scolastico e dalla Deputazione Provinciale non avessero potuto sostenere le spese delle scuole ai termini di legge, ed i Comuni con popolazione superiore a 500 persone e con scuole elementari già attive secondo la Legge Casati, al cui interno però vi fossero state «parecchie [ ] borgate di popolazione inferiore a 500 abitanti», per le quali esso non era assolutamente in grado di aprire scuole rurali 29. Tali prescrizioni apparvero ai dirigenti dell associazione una vera e propria limitazione e per questo il 18 dicembre 1869 Mamiani scrisse al ministero una puntigliosa lettera in cui rivendicava il diritto di operare secondo l articolo 14 del Regolamento del 1860, nel quale veniva affermato che per determinare la natura e l estensione dell obbligo che i Comuni avevano di provvedere all istruzione elementare, si doveva tener conto delle loro rendite, delle spese obbligatorie, «dell imposta comunitativa» e delle altre condizioni economiche. Una definizione di certo ambigua che non precisava in modo chiaro se tutti i Comuni fossero obbligati ad aprire almeno una scuola elementare nel proprio territorio e che, quindi, si prestava a interpretazioni diverse. Facendo gioco su questa ambiguità, Mamiani confermò l intenzione dell associazione di proseguire sulla sua strada 30. Si stava così profilando uno vero e proprio scontro con il ministero che infatti non tardò a rispondere riaffermando il principio secondo il quale solo allo Stato spettasse il potere di assumere decisioni in materia scolastica. Con una lettera del 20 gennaio 28 Ivi, pp. 49-51. 29 Ivi, pp. 53-54. 30 Ivi, pp. 54-55. 21