Mobbing e tutela delle condizioni di lavoro

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Circolare n. 9/09 del 28.settembre.2009* Mobbing e tutela delle condizioni di lavoro Mobbing nei luoghi di lavoro Nozione. Con l espressione mobbing si intende la sequenza di atti o comportamenti posti in essere dal datore di lavoro, dal superiore gerarchico o dai colleghi, finalizzati e/o idonei, per le modalità di attuazione, a realizzare una forma di persecuzione psicologica nei confronti del lavoratore. Elementi costitutivi. Sotto il profilo oggettivo, integra mobbing sia il compimento di atti e comportamenti che violano specifici obblighi contrattuali e/o norme attinenti alla tutela del lavoratore (ad es. il demansionamento e lo svuotamento di mansioni, il trasferimento illegittimo, il licenziamento ingiurioso, l eccessivo carico di lavoro, etc.); sia il compimento di atti e comportamenti non vietati in sè, ma illegittimi ove inseriti in un più ampio contesto di vessazioni (ad es. l isolamento in locali separati o angusti, le visite fiscali ripetute nel tempo in maniera eccessiva, la privazione ingiustificata di benefici, di incarichi o strumenti di lavoro, il diniego di permessi o di ferie, etc). Deve trattarsi, in particolare, di comportamenti ripetuti e posti in essere con una certa frequenza. *I testi delle Circolari dello Studio si trovano nel sito www.casellascudier.it

Sotto il profilo soggettivo, per aversi mobbing è necessaria l intenzionalità, ovvero la volontà di porre in essere determinati comportamenti, al fine di ledere la personalità, la dignità e la professionalità del lavoratore. Tutela e onere della prova. In assenza di una specifica disciplina in materia, per costante dottrina e giurisprudenza, il fondamento della responsabilità da mobbing va individuato nell articolo 2087 c.c., in forza del quale l imprenditore è tenuto a salvaguardare l integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori. In particolare, la responsabilità del datore di lavoro ha natura contrattuale: graverà quindi sul lavoratore l onere di provare il fatto costituente inadempimento dell obbligo di sicurezza, nonchè il nesso di causalità materiale ed il danno subito; sul datore di lavoro l onere di provare di aver adottato tutte le misure idonee a prevenire l evento dannoso. Danni risarcibili. Il danno da mobbing comprende sia il danno patrimoniale (ad es. il danno da demansionamento o dequalificazione professionale o perdita di professionalità pregressa, il danno emergente consistente nelle spese mediche sostenute, il danno da lucro cessante, ove il mobbing incida sul livello di produttività del lavoratore, etc.); sia il danno non patrimoniale (ad es. il danno biologico, il danno morale, il danno alla professionalità e da perdita di chances, il danno esistenziale, etc.). Recenti pronunce in materia di mobbing

In materia di mobbing si è recentemente pronunciata la Corte di Cassazione, evidenziando quale rilevanza assuma l atteggiamento del dipendente ai fini della configurabilità del mobbing; precisando quali condotte e/o atteggiamenti rientrino nel fenomeno del mobbing; ed individuando i presupposti per l accoglimento di un azione del lavoratore tesa ad ottenere la tutela risarcitoria. Rilevanza dell atteggiamento del dipendente. Con sentenza del 21 aprile 2009, n. 9477, la Suprema Corte, Sezione Lavoro, ha precisato che non è configurabile mobbing e non può essere riconosciuto il risarcimento dei danni se i conflitti in ufficio sono una conseguenza del pessimo carattere del dipendente. Nella fattispecie un infermiera aveva presentato una richiesta di risarcimento danni contro la struttura sanitaria presso cui lavorava, sostenendo di essere stata vittima per sei anni di continue vessazioni sul posto di lavoro da parte di colleghi e superiori fino ad essere trasferita in un altro reparto e demnasionata. La Corte di Cassazione, pur riconoscendo l esistenza di conflitti ricorrenti sul posto di lavoro, ha escluso che gli atti ed i comportamenti posti in essere integrassero mobbing, osservando che il clima di scontro che capi e colleghi instaurano nei confronti di un lavoratore che ha difficoltà caratteriali e soffre di disagi esistenziali non è idoneo ad integrare gli episodi di vessazione tipici del mobbing.

Rimproveri davanti ai colleghi. Con sentenza del 20 marzo 2009, n. 6907, la Suprema Corte, Sezione Lavoro, ha ritenuto che i continui e ripetuti rimproveri al lavoratore costituiscano una forma di mobbing e legittimino il lavoratore a richiedere il risarcimento dei danni. Nella fattispecie, il dirigente di un azienda aveva vessato per mesi una dipendente, con una serie di sanzioni disciplinari culminate nel licenziamento. La dipendente licenziata aveva fatto causa all azienda per mobbing, per i continui rimproveri e per il clima vessatorio cui era stata sottoposta per mesi. La Corte di Cassazione ha ritenuto illegittimo il licenziamento e fondata la richiesta risarcitoria avanzata dalla lavoratrice, in considerazione del fatto che i rimproveri orali da parte dei superiori venivano effettuati adottando toni pesanti ed in modo tale da poter essere uditi anche dagli altri colleghi. Le regole per ottenere il risarcimento del danno. Con sentenza del 17 febbraio 2009, n. 3785, la Suprema Corte, Sezione Lavoro, ha stilato un vademecum delle regole per ottenere il risarcimento del danno in caso di mobbing in ufficio, evidenziando in particolare: per mobbing si intende una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati

comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione e persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio psicofisico e del complesso della sua personalità; ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro assumono rilievo i seguenti elementi: 1. una pluralità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, posti in essere intenzionalmente in modo sistematico e durevole contro il dipendente, con volontà vessatoria; 2. l evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; 3. il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico e il pregiudizio dell integrità psico-fisica del lavoratore; 4. la prova dell elemento soggettivo e cioè dell intento persecutorio. non è sufficiente a configurare mobbing l esistenza di contrasti tra dirigente e lavoratore, posto che gli stessi non sono di per sè tali da provare la sussistenza di un intento vessatorio.