INTRODUZIONE La schizofrenia è probabilmente la più oscura e tragica malattia che la psichiatria debba affrontare, per le sue dibattute caratteristiche cliniche, ma soprattutto per il fatto che colpisce soggetti giovani-adulti che di solito vivono molti anni dopo l esordio della malattia e quindi continuano a patirne gli effetti a vari livelli: familiare, sociale e lavorativo. E sicuramente uno dei modi possibili di essere uomini, compatibile con la vita, anche se richiede, in chi ne è affetto, l incredibile forza di reinventare continuamente il reale per continuare ad esistere in un mondo in cui tali persone percepiscono e soffrono per l impossibilità di comprendere ed essere compresi. Se capissimo la schizofrenia, capiremmo molto di più anche su come siamo fatti noi uomini normali, così come l interpretazione freudiana dei sogni ci ha insegnato tanto di più su come sono gli uomini da svegli: lo studio della schizofrenia può così avere significato antropologico generale (Balestrieri et al., 1996). La schizofrenia ed i disturbi ad essa correlati sono stati identificati in quasi tutte le culture e descritti in ogni tempo. Pazzia e follia erano i termini generici più usati, fin dai tempi antichi, per definire un ampio spettro di malattie psicotiche. La malattia mentale, intesa come psicosi, ha sempre oscillato fra due poli: un polo fisico, che oggi potremmo definire scientifico e un polo metafisico, 3
quello della follia, intesa come qualcosa che deriva dal maligno o come alterazione della psiche, intesa come parte del corpo. Racconti letterari dove è presente la follia li ritroviamo già nell Iliade, quando Omero parla di Bellerofonte (V canto), nell Oresteia di Eschilo, come poi anche, nel Re Lear con i rimuginamenti di Poor Tom (Shakespeare) e in molti altri scritti. E dagli esordi della psichiatria che la ricerca sulla schizofrenia prosegue in modo intenso, anche se da subito si è presentato il problema di fornire una definizione univoca di tale patologia; ciò perché, con il termine schizofrenia, non sempre si è indicato un singolo disturbo ed i criteri diagnostici sono di conseguenza arbitrari ed inclini ad essere modificati nel tempo. Le prime descrizioni della malattia, come è oggi conosciuta, vengono infatti effettuate per la prima volta nel 1809 quasi contemporaneamente da Pinel alla Salpetrière e da Haslam al Bethlem Hospital di Londra. Entrambi descrissero alcuni quadri clinici caratterizzati da un netto cambiamento della personalità ad insorgenza post-puberale, dalla comparsa di profonde alterazioni dell affettività e del pensiero e da un progressivo deterioramento comportamentale. Il termine demenza fu usato per la prima volta da Pinel stesso per descrivere questa sindrome ed è stato successivamente ripreso da Morel nel 1860 come demenza precoce, per descrivere il caso di un ragazzo di 14 anni con le caratteristiche sintomatologiche descritte di Pinel e Haslam (Pancheri P., 1995). Alcuni anni dopo, nel 1871, Hecker introduceva il termine ebefrenia, per 4
indicare una condizione analoga e nel 1874, Kahlbaum descriveva il quadro della catatonia, un tipo di psicosi caratterizzata da disturbi psicomotori di tipo acinetico o ipercinetico che possono presentarsi separatamente, dando luogo a 2 tipi di forme catatoniche: quella stuporosa e quella eccitata. Quindi, benché altri prima di lui abbiano considerato l argomento, è ad Emil Kraepelin (1856-1926) che di solito viene attribuita la prima visione unitaria delle sindromi psicopatologiche di tipo schizofrenico; il suo merito è stato quello di aver dato un ordine e una coerenza interna a queste osservazioni cliniche, identificandone l elemento comune e unificante alla luce degli elementi di stato, ma soprattutto, di decorso. Egli osservò che, tra i gravi malati psichici che trattava, prima a Dorpat e in seguito a Heidelberg e a Monaco di Baviera, alcuni avevano iniziato a manifestare sintomi quali delirio e ritiro relazionale ad un età relativamente precoce e che questi soggetti avevano avuto un decorso progressivamente peggiorativo. Kraepelin, allora, lavorava in stretta collaborazione con Alzheimer che, come lui, studiava pazienti con grave compromissione e deterioramento cognitivo, ma con esordio in età tardiva. Questi soggetti vengono ora diagnosticati come affetti da demenza di Alzheimer. I pazienti studiati da Kraepelin sviluppavano la loro demenza in un età precoce e pertanto decise di distinguerli da quelli ad esordio tardivo definendoli affetti da Dementia Praecox (Kraepelin, 1896) e ne parlò ad una conferenza alla Clinica Psichiatrica di Heidelberg, tenuta il 27 novembre 1898 dal titolo Sulla diagnosi e la prognosi della Dementia Praecox ; i 5
principi conduttori di questo lavoro vennero poi sistematizzati nella quarta edizione del Trattato di Psichiatria (Kraepelin, 1899). Nel relativo capitolo del Trattato, la Dementia Praecox viene definita come un unico quadro clinico ad esordio precoce ed esito con grave deterioramento delle funzioni cognitive, comprendente tre forme: 1. l EBEFRENIA di Hecker; 2. la CATATONIA di Kahlbaum; 3. la DEMENTIA PARANOIDES, isolata dallo stesso Kraepelin. I sintomi caratteristici includono le allucinazioni, le esperienze di influenzamento, i disturbi dell attenzione, della comprensione e del flusso del pensiero, l appiattimento affettivo e i sintomi catatonici. L eziologia è endogena, ovvero il disturbo origina da cause interiori. La Dementia Praecox, sulla base di queste osservazioni, differisce nettamente da un altra sindrome che Kraepelin definì psicosi maniaco-depressiva, in cui fasi di melanconia e eccitamento si alternano a periodi liberi da sintomi e nella quale non si riscontra il deterioramento progressivo delle funzioni cognitive (Kraepelin, 1899). Kraepelin indica quindi come caratteristiche della malattia fossero: il deterioramento mentale (Dementia), l esordio precoce (Praecox), senza considerare la storia di vita del paziente, la sua personalità premorbosa e la sua esperienza di malattia. 6
Con Eugen Bleuler (1857-1939), psichiatra tedesco che pubblica nel 1911 il libro Dementia Praecox oder die Gruppe der Schizophrenien, si ha un viraggio d attenzione sulla sintomatologia di stato a scapito dell evolutività, un approccio più psicologico alla patologia, come evidenziato dal nuovo nome che dà al disturbo, definendolo appunto schizofrenia,riferito all alterazione dei nessi associativi (Spaltung), in contrasto con Dementia, riferito all instaurarsi di un deterioramento cognitivo terminale. Bleuler era convinto che i sintomi trasversali fossero caratteristiche utili per la definizione della schizofrenia, più importanti del decorso e dell esito. Egli ha sottolineato che l alterazione fondamentale e unificante della schizofrenia fosse la compromissione cognitiva, che ha concettualizzato come scissione o allentamento del tessuto dei pensieri (Spaltung); riteneva che il disturbo del pensiero ne fosse il sintomo essenziale e patognomonico e ha definito la malattia in base a questo sintomo: schizofrenia o scissione delle funzioni psichiche (Bleuler E., 1911). Bleuler ha descritto una serie di sintomi fondamentali per la diagnosi di schizofrenia, detti didatticamente delle quattro A che sono: 1. APPIATTIMENTO AFFETTIVO (marcata riduzione dell espressività emotiva), 2. ALLENTAMENTO DEI NESSI ASSOCIATIVI (disorganizzazione dei processi del pensiero), 3. AMBIVALENZA (indecisione concettuale), 4. AUTISMO (profondo grado di incapacità a relazionarsi con gli altri). 7
Accanto a questi ha indicato come sintomi accessori : le allucinazioni e i deliri (che erano stati una parte dominante nel concetto di Dementia Praecox), le variazioni dell umore, le alterazioni dello stato di coscienza e le manifestazioni catatoniche. I sintomi produttivi come i deliri e le allucinazioni sono stati considerati da Bleuler di secondaria importanza per la diagnosi di schizofrenia, perché si possono manifestare anche in altre malattie, come la malattia maniaco-depressiva. Quindi per definire la schizofrenia ha dato importanza a quelli che oggi sono definiti come sintomi negativi. Per Bleuler la schizofrenia non è una malattia unitaria, ma esiste il Gruppo delle Schizofrenie che include numerosi disturbi che condividono alcuni aspetti clinici, ma differiscono per quanto riguarda l eziologia e la patogenesi. In particolare egli inserisce fra i sottogruppi la SCHIZOFRENIA SIMPLEX, in cui mancano molte caratteristiche principali della patologia. Riassumendo, Eugen Bleuler ha, rispetto a Kraepelin, ampliato i limiti nosografici della schizofrenia, ha posto l attenzione più sulle caratteristiche al momento dell osservazione che su quelle longitudinali, ha messo in discussione la concezione kraepeliana che la schizofrenia dovesse essere inguaribile, sottolineando nei suoi scritti il fatto che alcuni pazienti fossero andati incontro ad una remissione dei sintomi, ed altri avessero avuto un decorso cronico, ma senza deterioramento cognitivo. 8
I criteri di classificazione sindromica indicati da Kraepelin e Bleuler si sono mantenuti praticamente invariati attraverso tutte le scuole psichiatriche che hanno affrontato il problema della nosografia. Mentre Bleuler esponeva le sue teorie negli Stati Uniti, in Europa Kurt Schneider (1887-1967), clinico psicopatologo della scuola di Heidelberg, insisteva in maniera analoga sull importanza dei sintomi in un ottica trasversale e non solo longitudinale, ma rifiutava la distinzione fra sintomi fondamentali e sintomi accessori, tendente a ingenerare, secondo lui, confusione. Egli ha classificato i sintomi in: SINTOMI DI PRIMO RANGO e SINTOMI DI SECONDO RANGO. I sintomi di primo rango sono 11 esperienze anomale e sono patognomonici della schizofrenia, a meno che non siano legati in alcun modo ad una causa organica, ed includono: i pensieri sperimentati come espressi a voce alta o come eco, la fuga dei pensieri, l inserimento dei pensieri e la trasmissione dei pensieri, l ascoltare voci che commentano i pensieri o le azioni dei pazienti e voci che conversano con l individuo in terza persona, sentimenti e atti volizionali vissuti come se fossero sotto il controllo di qualche forza esterna o di mediazione, esperienze somatiche passive e percezione delirante. La presenza di un singolo sintomo di primo rango era sufficiente per fare diagnosi di schizofrenia, sempre che la sua presenza potesse essere stata stabilita con certezza. 9
I sintomi di secondo rango sono invece esperienze anomale del paziente che possono completare la diagnosi, ma non caratteristiche della schizofrenia, perché riscontrabili anche in altre malattie. Essi includono i disturbi psicosensoriali, le intuizioni deliranti, la perplessità, i disturbi depressivi od euforici dell umore, l ottusità affettiva (Schneider K., 1955). I sintomi di primo rango costituiscono il primo tentativo di diagnosi operativa e sono destinati ad esercitare notevole influenza sull elaborazione degli ICD (International Classification Deseases) e sui DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) dell American Psychiatric Association (APA). Dalle diverse definizioni della schizofrenia date dalle tante scuole di pensiero che hanno affrontato questa patologia, è emerso il problema di creare un linguaggio comune in psichiatria, per evitare che coloro che formulavano la diagnosi, fossero in disaccordo sui parametri, abbassando così l affidabilità diagnostica. Dagli anni 70 sono quindi nati una serie di sistemi diagnostici basati sul presupposto che le diagnosi formulate in base al riscontro di segni e sintomi specifici e prestabiliti avessero maggiore probabilità di essere coerenti nel tempo e tra le persone; esempi sono i criteri di St. Louis (Feighner et al., 1972), il New Haven Schizophrenia Index (Astrachan et al., 1972), il Sistema Flessibile (Carpenter et al., 1973), i Criteri Diagnostici di Ricerca (Spitzer et al., 1975), ed i criteri di Taylor e Abrams (Taylor e Abrams, 1978). Poiché ognuno di tali sistemi definiva come schizofrenici pazienti 10
molto differenti tra loro, è stato creato un nuovo sistema di criteri diagnostici per definire i disturbi psichiatrici, il DSM-III (American Psychiatric Association, 1980), con lo scopo di migliorare l affidabilità diagnostica e quindi facilitare la comunicazione clinica e la ricerca. Tale sistema è stato soggetto a revisioni (nel 1987 con la creazione del DSM-III- R), per arrivare all attuale DSM-IV (American Psychiatric Association, 1994) la cui parte concernente i disturbi psicotici è stata ridefinita da un gruppo di lavoro coordinato da N. Andreasen, J. Kane, S. Keith, K. Kendler e T. McGlashan. Il DSM-IV definisce la schizofrenia mediante sei criteri fondamentali che, in pratica, riprendono i criteri originali di Kraepelin sulle caratteristiche sindromiche del disturbo e definiscono, attraverso criteri di inclusione ed esclusione, i supposti confini diagnostici della schizofrenia. Di questi, il criterio A valuta i sintomi, sia positivi che negativi (con evidenti riferimenti ai sintomi descritti da Kraepelin, da Bleuler e da Schneider), presenti nella fase attiva; il criterio B considera la riduzione della capacità di funzionamento sociale e lavorativo di tali pazienti; il criterio C stabilisce i limiti temporali arbitrari (presenza di segni continuativi del disturbo per almeno sei mesi, con almeno un mese di sintomi che soddisfino il criterio A), necessari per differenziare la patologia da forme clinicamente simili ma più benigne (il Disturbo Psicotico Breve e il Disturbo Schizofreniforme); il criterio D è un criterio di esclusione dei Disturbi Schizoaffettivo e dell Umore. Anche in questi ultimi due criteri si riconosce l influsso dominante di Kraepelin per quanto riguarda sia la durata, sia la dicotomia 11
classica fra Dementia Praecox e psicosi maniaco-depressiva. Il criterio E esclude dalla diagnosi gli effetti psichici dovuti all uso di sostanze oggetto di abuso o farmaci o alla presenza di una condizione medica generale; il criterio F definisce i rapporti con eventuali pregressi Disturbi Pervasivi dello Sviluppo, sottolineando l indipendenza sindromica della schizofrenia. Il DSM-IV, prevede inoltre quattro sottotipi all interno della schizofrenia (già presenti nel DSM-III-R), basati principalmente sul quadro clinico: la SCHIZOFRENIA PARANOIDE, la SCHIZOFRENIA DISORGANIZZATA, la SCHIZOFRENIA CATATONICA, la SCHIZOFRENIA INDIFFERENZIATA. Contemporaneamente Crow (1980) e Andreasen (1982) hanno proposto uno schema di classificazione in sottotipi, basato sulla presenza o assenza di sintomi positivi e negativi. Crow ha ipotizzato due tipi di schizofrenia: tipo I caratterizzato da sintomi positivi, assenza di disfunzione intellettiva, struttura cerebrale normale e buona risposta ai neurolettici; tipo II con prevalenti sintomi negativi, deterioramento intellettivo, anomalie strutturali alla TC e scarsa risposta ai neurolettici. Andreasen ha definito tre tipi di pazienti schizofrenici con un unica fisiopatologia: pazienti con Schizofrenia con sintomi positivi, con sintomi negativi e con sintomi misti, cioè con sintomi sia positivi che negativi. Anche se tali sistemi non sono rientrati nel DSM-IV, la distinzione clinica di queste diverse tipologie di pazienti è importante per comprendere l eterogeneità della schizofrenia. 12