Contestualizzare la prima colonizzazione : Contextualising early Colonisation :

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1 Contestualizzare la prima colonizzazione : Archeologia, fonti, cronologia e modelli interpretativi fra l'italia e il Mediterraneo Contextualising early Colonisation : Archaeology, Sources, Chronology and interpretative models between Italy and the Mediterranean Greci e indigeni nel golfo di Taranto: il caso di Satyrion Luigi Caliò, Enzo Lippolis, Chiara Marchetti, Valeria Parisi Satyrion, toponimo antico conservatosi senza soluzione di continuità in quello moderno di Saturo (comune di Leporano, Taranto), rappresenta uno dei principali nodi interpretativi nell ambito della riflessione sulla prima colonizzazione greca in Italia meridionale, non solo per la comprensione delle dinamiche relazionali greco-indigene, ma anche per la definizione di alcune tendenze attive nelle fasi iniziali di strutturazione della polis. La sua menzione in due diverse fonti (Antioco apd. Strabo. 6,3,2; Diod. Sic. 8, 21) relative agli oracoli di fondazione di Taranto ha suscitato un notevole interesse nel dibattito storico-filologico, con un conseguente tentativo di agganciare la tradizione letteraria ai dati materiali. Le indagini archeologiche, condotte nel sito da Felice Gino Lo Porto prevalentemente tra gli anni 50 e 70 del Novecento, hanno lasciato tuttavia alcuni margini di incertezza, soprattutto nella lettura stratigrafica della successione tra la fase japigia e quella greca. Ciò ha fatto sì che la documentazione archeologica potesse essere piegata in favore di interpretazioni tra loro contrapposte (basti confrontare Yntema 2000 e, da ultimo, Guzzo 2011). Con questo contributo si intende, seppure in maniera preliminare, iniziare a ordinare le informazioni archeologiche relative a Satyrion, accresciutesi in modo significativo in seguito alle ricerche condotte nel sito dalla Sapienza Università di Roma a partire dal Le indagini si sono concentrate in due settori, il santuario della sorgente e la cd. acropoli, entrambi già parzialmente esplorati da Lo Porto. 1. L inizio dello scavo presso il santuario della sorgente I dati archeologici riguardanti il santuario della sorgente, limitatamente al primo periodo di occupazione del sito, datato alla seconda metà del VII secolo a.c., sono piuttosto scarsi e di difficile lettura. A fronte della completa mancanza di strutture pertinenti il culto che, secondo Lo Porto, in questa fase iniziale era dedicato alla ninfa Satyria e la cui celebrazione doveva probabilmente avvenire presso le grotte che caratterizzavano il pendio occidentale del costone roccioso (oggi in parte crollate), ci sono invece le attestazioni materiali, rappresentate da diversi frammenti di ceramica del periodo Protocorinzio e Corinzio e di figure votive fittili in stile dedalico (dedalico tardo e sub dedalico). Si tratta di pochi elementi che, tuttavia, se collegati alle attestazioni riscontrabili sulla stessa acropoli di Satyrion, informano di una precoce occupazione dell area a carattere sacro. Dal punto di vista dell assetto generale del luogo, il santuario della sorgente appare organizzato in una serie di strutture databili a partire dalla metà del VI sec. a.c., poste su di un basso terrazzo CeC 2012: Contextualising early Colonisation Pagina 1

2 irregolare fiancheggiato da costoni rocciosi e digradante verso la baia di Porto Saturo. La scelta della felice posizione geografica sembra essere stata determinata anche dall abbondante presenza di acque sorgive, che scaturiscono da un anfratto naturale scorrendo fino al mare in forma di ruscello. I riferimenti cronologici offerti dagli oltre quindicimila reperti ceramici e votivi fittili, rinvenuti nelle undici stipi votive scoperte intorno all oikos A o sacello Lo Porto e raccolti a migliaia attestano un intensa frequentazione del sito a partire appunto dalla seconda metà del VII secolo a.c. fino ai primissimi anni del II secolo a.c., quando il complesso viene abbandonato a seguito dei danneggiamenti subiti durante le vicende annibaliche. Utile per l identificazione del culto è l iscrizione in dialetto dorico locale incisa sull orlo di un anfora attica a figure nere firmata da Exekias (datata al terzo venticinquennio del VI secolo a.c.), che riporta la dedica a una Basilis. Sulla base di una glossa d Esichio, la dea venerata a Saturo con questa epiclesi è senza dubbio da identificarsi con l Afrodite Areia, guerriera e regina dell acropoli di Sparta, la quale trova confronti anche a Taranto. La pertinenza del culto ad Afrodite giustifica inoltre pratiche cultuali complementari, come attestano ad esempio le iscrizioni vascolari con dediche a Gaia, divinità ctonia connessa alla fertilità del mondo della natura e degli uomini, il cui culto assume anche a Sparta un notevole rilievo. Alla luce dei dati raccolti sinora la parte esplorata comprende, oltre al cd. sacello o oikos A, individuato da Lo Porto durante le indagini di metà anni Settanta del secolo scorso, altri tre edifici a pianta quadrangolare in blocchi regolari di carparo, strutture di grandezze diverse ma con la medesima funzione, che è possibile identificare come vani destinati al banchetto o hestiatoria. Il quadro emerso rimanda dunque a una realtà complessa di notevole importanza, la quale si sviluppa e diversifica nei culti e nei rituali nel corso di ben cinque secoli, di pari passo con le vicende storiche, politiche e sociali della vicina Taranto, alla quale il santuario doveva essere senza dubbio collegato. 2. L intervento sull acropoli Dopo le quattro campagne di scavo consecutive condotte nel santuario della sorgente a partire dal 2007, nell ottobre del 2011 le indagini si sono concentrate sul sito dell acropoli che, dopo l intervento di Felice Gino Lo Porto nel 1959 e due saggi, rimasti pressoché inediti, nel 1979 e del 1980, da più di cinquant anni non riceveva un attenzione scientifica adeguata. La modesta emergenza rocciosa, posta a 25 m circa sul livello del mare, si trova in posizione centrale tra le due baie di Porto Saturo e Porto Perone e ricade all interno del Parco archeologico di Saturo. Intervenendo in un area oggetto di precedenti esplorazioni, è stato necessario innanzitutto operare un accurata ricognizione della situazione esistente, in modo da raccordarsi allo scavo Lo Porto e chiarirne, per quanto possibile, le dinamiche. Nel terrazzo a ovest della sommità dell altura sono stati riconosciuti i limiti del saggio condotto nel 1959, senza procedere al suo svuotamento ma verificando piuttosto l affidabilità dell unica planimetria edita nella pubblicazione del Particolare attenzione è stata posta all area immediatamente a ridosso dell unico filare di blocchi conservato, pertinente a un sacello in opera quadrata, nel punto in cui era stato individuato un deposito votivo di VII sec. a.c. Qui l intervento Lo Porto, mirando evidentemente al recupero completo dei materiali, aveva asportato integralmente la stratigrafia, scavando fino a un livello inferiore al piano di posa dei blocchi, che potrebbero essere stati addirittura rimossi e riposizionati. A nord e a est della muratura in conci, inoltre, sono state individuate trincee praticate nel banco argilloso naturale; quelle orientate con il sacello sono attribuibili allo spoglio di cavi di fondazione i cui blocchi originari devono essere stati asportati in età post-antica. Al loro interno, infatti, sono stati rinvenuti frammenti litici di rilavorazione e un rocchio di colonna scanalata in calcare stuccato, di piccole dimensioni, attribuibile a un monumento a naiskos. A ovest della struttura in blocchi è stata individuato e correttamente collocato in pianta l affioramento della grotticella-cucina dell età del Ferro scoperta nel 1959, sulla quale si è deciso di non operare in questa campagna. Nonostante le estese esplorazioni precedenti, comunque, è stato CeC 2012: Contextualising early Colonisation Pagina 2

3 possibile riconoscere settori non scavati che conservano ancora intatti lembi di piani di calpestio, anche con residui cinerosi, posti a quote diverse. Tra questi, merita attenzione un fondo di capanna dell età del Ferro, addossata verso est al banco roccioso, che la trincea di approfondimento Lo Porto aveva quasi completamente tagliato, senza riconoscerla. A sud della struttura in blocchi e in allineamento con essa, infine, in parte già individuata in uno dei saggi condotti nel , è stata riconosciuta e studiata una struttura in elementi litici irregolari, compromessa dall esposizione agli agenti atmosferici che ne ha comportato certamente un deterioramento. Si tratta di una sorta di muro di contenimento, che poggia sul banco argilloso a contatto con materiali di VII sec. a.c. Il secondo settore in cui si è intervenuti corrisponde alla sommità dell altura, di forma grosso modo triangolare, in un area profondamente danneggiata dall installazione di un bunker costruito prima della seconda guerra mondiale. La pulitura accurata dell intera superficie, costituita da roccia affiorante quasi del tutto priva di stratigrafia conservata, ha rivelato una serie di incassi per elementi pertinenti a fasi diverse. Buche per pali circolari di circa cm di diametro sono riferibili probabilmente alla frequentazione protostorica, come mostrano i frammenti erratici di ceramica di impasto tipica delle fasi del bronzo e del ferro, anche se non è stato possibile ricostruire, in base alla disposizione, il perimetro e la natura delle strutture di riferimento. Per la fase greca del sito, la scoperta più rilevante in questo settore è costituita da un taglio nel banco roccioso per l alloggiamento di una struttura in blocchi. Questa traccia va associata probabilmente alla struttura in blocchi descritta in precedenza e scoperta nel saggio Lo Porto; l allineamento e l omogeneità di orientamento e dimensioni permettono di riscostruire un unico edificio rettangolare, sviluppato in direzione ovest-est. Sembra trattarsi, quindi, di un sacello di circa 8 x 4 m, fondato su quote e piani diversi, a ovest più in basso e su terra, a est più in alto e sul piano di roccia, aperto in maniera canonica verso est, sulla sommità dell altura. Sempre nel punto più alto, ma verso il declivio orientale, nello scavo sono emerse altre due strutture, la cui funzione resta incerta; si tratta di una costruzione circolare, tagliata in parte dal bunker, e di una sorta di piattaforma litica, poco distante in direzione sud, delimitata da due setti di contenimento in pietre a secco. Grazie al rinvenimento di un kantharos di tipo acheo a fondo rosso e sovraddipintura in bianco e di un aryballos del corinzio antico deposti nello strato su cui poggia tale platea litica, è possibile datare la struttura verso la fine del VII sec. a.c. Per la costruzione circolare, il cui diametro ricostruibile è di ca. 5 m, per il momento non è stato possibile invece precisare stratigraficamente la cronologia, ma non è escluso che i due elementi possano essere stati parte di un unico sistema. La novità più significativa per la conoscenza delle fasi iniziali del santuario greco è venuta dal terzo settore di scavo, in corrispondenza del declivio meridionale dell acropoli. Qui, su un terrazzo posto 2 m più in basso rispetto alla parte sommitale, una fascia di terreno larga circa 1,80 m ha restituito un ricco deposito votivo. Non si tratta di una stipe nel senso più tradizionale del termine, quanto piuttosto di una stratificazione di materiali votivi, formatasi non per accumulo progressivo ma per deposizione intenzionale in un'unica soluzione. Il deposito era ricoperto da uno strato di argilla ocra, sostenuto lungo il limite meridionale da un allineamento irregolare di pietre, e aveva in media uno spessore di 30 cm, meno consistente nei punti in cui poggiava direttamente su roccia. Il nucleo di materiale quantitativamente più rilevante è costituito dalla ceramica, per la maggior parte estremamente frammentaria, associata a coroplastica e metalli, in proporzioni nettamente inferiori. I reperti sono attualmente in corso di studio, per cui se ne può fornire solo una presentazione preliminare. La ceramica di importazione è rappresentata soprattutto da reperti tipologicamente attribuibili al protocorinzio e al corinzio transizionale e antico. Le forme prevalenti sono pissidi circolari, oinochoai a corpo conico, aryballoi, alabastra e soprattutto coppe. Parte è di produzione corinzia, parte invece appartiene a fabbriche coloniali; sono presenti, inoltre, frammenti di coppe ad uccelli di importazione e di kantharoi di tipo acheo. Allo stato attuale il profilo cronologico sembra comprendere integralmente il VII sec. a.c. La data del seppellimento dei materiali, quindi, dovrebbe cadere intorno al 600 a.c., in un momento vicino all obliterazione del deposito delimitato da lastre CeC 2012: Contextualising early Colonisation Pagina 3

4 litiche scoperto da Lo Porto nel 1959 a ovest del sacello in blocchi. Alla luce di questo dati, si può pensare che l area abbia conosciuto un rinnovamento in senso più monumentale tra fine VII e inizi VI secolo, con la costruzione dell edificio a oikos e forse di altre strutture. La coroplastica comprende poche statuette sub-dedaliche femminili, una testina maschile realizzata a mano, con tracce di colore rosso, forse applicazione di un vaso, e un pinax, che si distingue per la qualità e l eccezionale stato di conservazione. La tavoletta votiva, dotata di un foro per la sospensione, è decorata da una scena con due personaggi, maschile a sinistra e femminile a destra, che è possibile identificare con Teseo e Arianna per la presenza del fuso che occupa lo spazio tra i due e forse di un gomitolo che la donna stringe nella mano destra. Di un esemplare tratto dalla stessa matrice, appartenente a una collezione privata di Bonn ma con indicazione di provenienza tarantina, aveva dato notizia per la prima volta E. Langlotz nel Lo schema iconografico, con valore chiaramente erotico, dell uomo che sfiora il mento della donna ha un confronto stringente nella scena dipinta su una brocca da una sepoltura di Afrati (Arkades), a Creta. Stilisticamente i caratteri ricadrebbero nel medio/tardo-dedalico con una datazione tra il 650 e il a.c. I contatti con la tradizione cretese sono dunque evidenti, anche se si discute se il modello sia arrivato a Taranto direttamente da Creta o se abbia invece subìto prima una rielaborazione in ambito peloponnesiaco. Tra i metalli, si segnalano una punta di lancia, una fibula a quattro spirali e uno spillone in argento e oro, quest ultimo non proveniente dal deposito ma dalla pulizia superficiale dell area. Il fondo di una pisside corinzia ha restituito infine un iscrizione in dialetto dorico con menzione delle Muse (databile entro la fine del VII sec. a.c.)., in corso di studio, come le altre, da parte di Giulio Vallarino. All interno del deposito, frammisti al terreno, sono stati raccolti anche frammenti di impasto e di ceramica matt-painted SLG (Salento Late Geometric) II, cronologicamente precedenti al materiale di importazione e di produzione coloniale, che costituiscono un residuo di formazione dello strato. Questo, a sua volta, obliterava un livello inferiore, immediatamente a sud del deposito, che ha restituito parte di un altro piano di frequentazione di una capanna del SLG II, con due contenitori ceramici integri ancora in situ, rinvenimento che documenta chiaramente la sequenza insediativa nell area. 3. Elementi per una sintesi della documentazione archeologica A differenza di quanto riteneva Lo Porto, i materiali matt-painted sono presenti anche nei livelli di frequentazione successivi alla fine dell VIII sec. a.c., dove appaiono, però, come materiale fluitato. Anche nel caso del deposito votivo, infatti, se ne è potuto riconoscere un nucleo che risulta pertinente a una fase precedente a quella del materiale votivo di tipo greco. Questo conferma che la rigida ricostruzione stratigrafica proposta da Lo Porto, con una successione a compartimenti stagni tra gli strati con ceramica japigia e quelli con ceramica greca, deve essere articolata diversamente, come la stessa planimetria dell area di scavo del 1959 non presenta un esatta corrispondenza con quanto emerso nell esplorazione condotta sinora. Lo scavo, comunque, sta delineando una successione di fasi abbastanza ben definita. Nell esplorazione condotta sembrano per il momento mancare elementi chiaramente attribuibili al geometrico locale delle fasi più antiche; non si può escludere, quindi, un progressivo abbandono o una sensibile riduzione del villaggio dell età del Bronzo. Solo sull acropoli, per il momento, si possono documentare chiare tracce di una ripresa insediativa nella seconda metà dell VIII sec. a.c., con un sistema di capanne sub-circolari esteso sino ai primi livelli dei pendii a ovest e a sud dell altura. Questo abitato sembra conoscere un abbandono radicale verso la fine dell VIII sec. a.c.: come nella grotticella-cucina trovata da Lo Porto, anche nei casi che iniziano ad emergere si riscontra un interruzione che prevede l abbandono della ceramica in situ, all interno delle strutture. Su questi livelli non si sovrappone alcuna frequentazione di tipo abitativo e l intera area sembra essere stata destinata ad altre funzioni. Sistemazioni con riporti di tufina sabbiosa sterile, analoghi a quelli descritti da Lo Porto, sono stati rinvenuti anche nello scavo del 2011 e spesso si pongono in CeC 2012: Contextualising early Colonisation Pagina 4

5 una collocazione intermedia tra i livelli dell età del Ferro e quelli successivi. Questi, meglio conservati sui declivi e molto erosi verso la sommità mostrano un radicale cambiamento nella cultura materiale, che documenta una significativa sequenza di ceramiche di produzione greca, importata e coloniale. L intera altura sembra aver avuto una destinazione di tipo cultuale, come mostrano i materiali raccolti nelle due stipi rinvenute, quella del 1959 e quella emersa nel Verso la fine del VII e il primo decennio del VI sec. a.c. si pone mano a un riordino dell area sacra all aperto con la deposizione delle due stipi e la costruzione del sacello in opera quadrata, che indica un processo di monumentalizzazione dell area, in stretto riferimento a quanto avviene in molti altri siti coloniali. La frequentazione del santuario prosegue nel tempo, almeno sino al III sec. a.c., anche se con una partecipazione più modesta dal punto di vista qualitativo e quantitativo e le indicazioni materiali ed epigrafiche di un culto di Atena, già note, mostrano la vitalità della frequentazione sacra. È necessario pensare, quindi, come è già stato proposto, che sin dall inizio l altura sia stata dedicata ad Atena, in un caso associata alla venerazione delle Muse, mostrando un collegamento attestato anche nel caso dell acropoli di Sparta, secondo un processo di reduplicazione già messo in evidenza dalla bibliografia specifica sulle forme cultuali della colonia tarantina. Mancano elementi per riconoscere una persistenza del villaggio iapigio nel corso del VII sec. a.c., mentre non si può escludere che una fase di contatti tra importatori di merci greche e culture locali possano essere stati all origine della stessa ripresa dell insediamento nella seconda metà dell VIII secolo, in una fase anteriore alla riorganizzazione dell area, che sembra manifestare i segni di un occupazione radicale e definitiva, con un abbandono forse improvviso dell insediamento, a giudicare dagli oggetti rinvenuti all interno dei contesti originari. Per quanto riguarda, poi, il materiale di VII secolo rinvenuto nello scavo e in particolare nella stipe, è necessario sottolineare che sembra appartenere in maniera omogenea alla sfera sacra/votiva: i vasi protocorinzi, contenitori per oli, profumi, cosmetici e altri materiali deperibili, in particolare l iterazione delle forme come pissidi e oinochoai coniche, le dediche, i vasi potori rimandano a un campionario del tutto omogeneo a quello restituito dai depositi votivi del santuario sul Timpone della Motta di Francavilla. L associazione con la coroplastica, tipico esempio di ex-voto par destination, accresce in maniera significativa il carattere sacro delle operazioni effettuate sull acropoli di Saturo nel corso del VII sec. a.c. Non si tratta di occasionali visitatori, ma dei segni di una estesa trasformazione delle strutture insediative: a un abitato succede un santuario all aperto, mentre progressivamente anche altre zone più lontane dai due porti iniziano a conoscere una frequentazione sempre più intensa, come mostra il santuario della sorgente, per il quale si dispone di materiale votivo per il momento risalente solo alla seconda metà del VII sec. a.c. Le difficoltà di scavo, in questo caso, non hanno ancora permesso di raggiungere i livelli stratigrafici corrispondenti alle fasi di passaggio tra l VIII e il VII secolo e ad oggi non è possibile neanche disporre di informazioni circa un eventuale frequentazione iapigia del sito. Lo sviluppo dell insediamento indigeno nella seconda metà dell VIII secolo risponde a un fenomeno più ampiamente diffuso nell area salentina e già riscontrato; è probabile che tale dinamica di incremento demografico e produttivo, con la nascita di nuovi abitati o la ripresa di vecchi insediamenti debba essere letta anche in rapporto al rinnovarsi delle forme di contatto tra la Puglia meridionale e l Egeo, con un intensificarsi delle frequentazioni costiere collegato allo stabilimento della comunità pitecusana. A una fase di contatto, ancora da definire in maniera adeguata nel caso del villaggio in esame, succede una radicale trasformazione dell abitato e un abbandono del sistema precedente connesso alla riconversione della cultura materiale, dal VII secolo comprendente solo ceramica greca, e delle funzioni svolte, che mostrano i caratteri di un luogo di culto che raggiunge il suo aspetto più monumentale solo nel passaggio tra VII e VI sec. a.c. CeC 2012: Contextualising early Colonisation Pagina 5

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