Giustizia & Lavoro Il commento alle principali sentenze giurislavoristiche
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- Federico Di Pietro
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1 Giustizia & Lavoro Il commento alle principali sentenze giurislavoristiche N Lavoratrice madre: diritto alla conservazione del posto Annullato il licenziamento motivato dal rifiuto di riprendere servizio presso una differente unità produttiva Categoria: Previdenza e lavoro Sottocategoria: Vertenze A cura di Paola Mauro È illegittimo il licenziamento della neomamma che ha rifiutato di riprendere servizio in un unità produttiva diversa, quando il suo vecchio posto è stato assegnato a un nuovo assunto, con contratto a tempo indeterminato, durante il periodo di assenza per maternità e di successiva fruizione (su richiesta del datore di lavoro) delle ferie arretrate. È quanto emerge da una recente sentenza della Sezione Lavoro della Cassazione. Premessa È illegittimo il licenziamento della neomamma che ha rifiutato di riprendere servizio in un unità produttiva diversa, quando il suo vecchio posto è stato assegnato a un nuovo assunto, con contratto a tempo indeterminato, durante il periodo di assenza per maternità e di successiva fruizione (su richiesta del datore di lavoro) delle ferie arretrate. È quanto emerge dalla sentenza n del 6/02/2017 della Sezione Lavoro della Cassazione. INQUADRAMENTO NORMATIVO Tutela della maternità e paternità La sentenza in esame affronta la questione della legittimità del licenziamento intimato alla lavoratrice divenuta madre. 1
2 Al riguardo, occorre fare riferimento alle disposizioni del D.Lgs. n. 151 del 2001 che reca disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità - e, in particolare, agli articoli 54 e 56. La prima delle due disposizioni appena menzionate contempla il divieto di licenziamento, prevendendo al contempo i casi in cui esso non opera. La seconda norma sancisce il diritto della lavoratrice alla conservazione del posto. Diritto alla conservazione del posto Precisamente il comma 1 dell articolo 56 sancisce il diritto della lavoratrice, divenuta madre, salvo espressa rinuncia, di rientrare nella stessa unità produttiva ove era occupata all'inizio del periodo di gravidanza o in altra ubicata nel medesimo Comune, e di permanervi fino al compimento di un anno di età del bambino. Le lavoratrici neomamme hanno altresì diritto di essere adibite alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti, nonché di beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro, previsti dai contratti collettivi oppure in via legislativa o regolamentare, che sarebbero loro spettati durante l'assenza. Divieto di licenziamento L articolo 54 del D.Lgs. n. 151 del 2001, come detto, regola il licenziamento e, per quanto qui rileva, prevede il divieto di licenziare le lavoratrici dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi d interdizione dal lavoro normativamente previsti, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino. Durante il periodo nel quale opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice non può essere sospesa dal lavoro, salvo il caso che sia sospesa l'attività dell'azienda o del reparto cui essa è addetta, sempreché il reparto stesso abbia autonomia funzionale. La lavoratrice non può altresì essere collocata in mobilità a seguito di licenziamento collettivo, salva l'ipotesi di collocamento in mobilità a seguito della cessazione dell'attività dell'azienda. Casi di inoperatività del divieto Il divieto di licenziamento non si applica nel caso: a) di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro; b) di cessazione dell'attività dell'azienda cui essa è addetta; c) di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata 2
3 assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine; d) di esito negativo della prova. IL CASO Ebbene, nel caso che si occupa, la Corte d appello di Firenze ha dichiarato illegittimo, con gli effetti di cui all'articolo 18 della L. n. 300 del 1970 (nella formulazione vigente ratione temporis), il licenziamento intimato a una lavoratrice che ha rifiutato di riprendere il servizio presso una nuova sede. La donna, impiegata di I livello del CCNL del commercio, con mansioni di responsabile di un punto vendita nel capoluogo toscano, è stata trasferita a Milano, dopo l'assenza per maternità (sino all'aprile 2010) e la successiva fruizione (su richiesta della società) delle ferie arretrate (da aprile a dicembre 2010). La Corte territoriale ha ritenuto che il trasferimento, in realtà, fosse finalizzato all'espulsione in ragione della condizione di maternità, posto che la società, quando ancora la lavoratrice era in astensione facoltativa, aveva assunto un altra persona come responsabile del punto vendita di Firenze, con la qualifica d impiegato di II livello e con contratto a tempo indeterminato, così provvedendo, di fatto, a una sostituzione. Non è stato di ostacolo alla declaratoria di nullità del licenziamento il rilievo dell azienda secondo cui il nuovo assunto, un mese prima del previsto rientro dalla maternità della ricorrente, era stato incaricato della gestione contestuale anche dei punti vendita di Pisa e Siena. Per i giudici di secondo grado, anche la neomamma avrebbe potuto ricoprire detto incarico, in ragione della professionalità acquisita. Pertanto, la Corte territoriale ha ritenuto giustificato, ai sensi dell'articolo 1460 del codice civile, il rifiuto della lavoratrice, madre di un figlio in tenera età, di prendere servizio presso il punto vendita di Milano. ILIL VEDETTO DELLA SUPREMA CORTE Gli Ermellini, a prescindere dai profili d improcedibilità costituiti dalla mancata riproduzione e allegazione del CCNL, nonché di altri documenti richiamati dalla società ricorrente, hanno ritenuto corretta la ratio decidendi della sentenza impugnata. Ciò, a dispetto delle tesi della società secondo cui la Corte d appello avrebbe dovuto ritenere la legittimità del trasferimento e quindi del licenziamento conseguentemente intimato, anche in ragione della ristrutturazione 3
4 organizzativa operata sin dal 2009, ossia in epoca ampiamente precedente al trasferimento in contestazione, nel cui contesto si poneva e trovava ragion d'essere l assunzione di un altro lavoratore. I Supremi giudici, escludendo vizi dell apparato argomentativo della sentenza di secondo grado, ritengono che la Corte territoriale abbia giustamente valorizzato il disegno complessivo nel quale il provvedimento di trasferimento si è inserito, il quale ha tratto origine dall'assunzione a tempo indeterminato di un altro soggetto con un inquadramento professionale inferiore (II livello) rispetto a quello della lavoratrice assente per maternità (impiegata di I livello) per lo svolgimento di mansioni identiche. La società convenuta non ha fornito elementi idonei a confutare queste circostanze nella loro oggettività, che erano di per sé idonee secondo la Corte di merito a dimostrare che il trasferimento era stato determinato dalla volontà di estromettere la lavoratrice, il cui stato di madre di un bimbo in tenerissima età le rendeva impossibile un cambiamento significativo del luogo di lavoro. In tal senso, nella valutazione del giudice di merito non ha trovato rilievo il fatto che quando la lavoratrice è rientrata dalla maternità e dalle successive ferie arretrate (di cui aveva usufruito in unica soluzione su richiesta della società) il suo posto di lavoro non ci fosse effettivamente più, né che non ci fosse altro posto libero nella sede di Firenze, considerato che tale circostanza era frutto del disegno complessivo che era stato realizzato, finalizzato ad estromettere la lavoratrice in ragione della maternità, che aveva determinato un trasferimento quando ormai era decorso il periodo temporale della tutela relativa al luogo di lavoro, apprestata per la lavoratrice madre dall'art. 56 comma 1 del D. Lgs. n. 151 del I giudici, in sostanza, sembrano avere ritenuto giustificato il rifiuto opposto dalla lavoratrice madre alla disposizione datoriale di prestare attività in luogo differente, attesa l illegittimità del trasferimento perché inserito in un piano preordinato all elusione dell articolo 56, comma 1, del D.Lgs. n. 151/01. Conferma del verdetto impugnato Ebbene, ritenendo la sentenza impugnata scevra dai vizi indicati dalla società datrice di lavoro, la Suprema Corte ha disposto il rigetto del ricorso, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, unitamente al raddoppio del contributo unificato ai sensi dell'articolo 13, comma 1- quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n
5 Un caso simile a quello appena esaminato si trova trattato nella sentenza della Cassazione n /2016. La vicenda riguarda il licenziamento di una lavoratrice che, al termine del periodo di assenza per maternità, non si è presentata presso la differente sede dell azienda alla quale era stata assegnata. I supremi giudici hanno annullato con rinvio la sentenza d appello che ha giudicato l "assenza non giustificata" e quindi il licenziamento legittimo. (Nella fattispecie si è configurata la violazione dell'art. 56, commi 1 e 3, del D.Lgs. n. 151/01, non avendo la Corte di appello chiarito le ragioni per le quali l'assenza della lavoratrice presso la nuova unità produttiva, ove la società datrice di lavoro le aveva chiesto di presentarsi, dovesse considerarsi ingiustificata, a fronte del diritto della stessa lavoratrice, ai sensi della norma richiamata, a rientrare nell'unità produttiva ove era occupata all inizio del periodo di gravidanza, e altresì a fronte della volontà più volte manifestata dalla medesima di riprendere la propria attività lavorativa proprio presso quella unità). Decreto Legislativo 26/03/2001 n. 151 Art. 56 Diritto al rientro e alla conservazione del posto 1. Al termine dei periodi di divieto di lavoro previsti dal Capo II e III, le lavoratrici hanno diritto di conservare il posto di lavoro e, salvo che espressamente vi rinuncino, di rientrare nella stessa unità produttiva ove erano occupate all'inizio del periodo di gravidanza o in altra ubicata nel medesimo comune, e di permanervi fino al compimento di un anno di età del bambino; hanno altresì diritto di essere adibite alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti, nonché di beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro, previsti dai contratti collettivi ovvero in via legislativa o regolamentare, che sarebbero loro spettati durante l'assenza. 2. La disposizione di cui al comma, si applica anche al lavoratore al rientro al lavoro dopo la fruizione del congedo di paternità. 3. Negli altri casi di congedo, di permesso o di riposo disciplinati dal presente testo unico, la lavoratrice e il lavoratore hanno diritto alla conservazione del posto di lavoro e, salvo che espressamente vi rinuncino, al rientro nella stessa unità produttiva ove erano occupati al momento della richiesta, o in altra ubicata nel medesimo comune; hanno altresì diritto di essere adibiti alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti. 4. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche in caso di adozione e di affidamento. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano 5
6 fino a un anno dall'ingresso del minore nel nucleo familiare. 4-bis. L'inosservanza delle disposizioni contenute nel presente articolo è punita con la sanzione amministrativa di cui all'articolo 54, comma 8. Non è ammesso il pagamento in misura ridotta di cui all'articolo 16, della legge 24 novembre 1981, n Decreto legislativo 26/03/2001 n. 151 Art. 54 Divieto di licenziamento 1. Le lavoratrici non possono essere licenziate dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro previsti dal Capo III, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino. 2. Il divieto di licenziamento opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza, e la lavoratrice, licenziata nel corso del periodo in cui opera il divieto, è tenuta a presentare al datore di lavoro idonea certificazione dalla quale risulti l'esistenza all'epoca del licenziamento, delle condizioni che lo vietavano. 3. Il divieto di licenziamento non si applica nel caso: a) di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro; b) di cessazione dell'attività dell'azienda cui essa è addetta; c) di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine; d) di esito negativo della prova; resta fermo il divieto di discriminazione di cui all'articolo 4 della legge 10 aprile 1991, n. 125, e successive modificazioni. 4. Durante il periodo nel quale opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice non può essere sospesa dal lavoro, salvo il caso che sia sospesa l'attività dell'azienda o del reparto cui essa è addetta, sempreché il reparto stesso abbia autonomia funzionale. La lavoratrice non può altresì essere collocata in mobilità a seguito di licenziamento collettivo ai sensi della legge 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni, salva l'ipotesi di collocamento in mobilità a seguito della cessazione dell'attività dell'azienda di cui al comma 3, lettera b). 5. Il licenziamento intimato alla lavoratrice in violazione delle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3, è nullo. 6. È altresì nullo il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore. 6
7 7. In caso di fruizione del congedo di paternità, di cui all'articolo 28, il divieto di licenziamento si applica anche al padre lavoratore per la durata del congedo stesso e si estende fino al compimento di un anno di età del bambino. Si applicano le disposizioni del presente articolo, commi 3, 4 e L'inosservanza delle disposizioni contenute nel presente articolo è punita con la sanzione amministrativa da euro a euro Non è ammesso il pagamento in misura ridotta di cui all'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n Le disposizioni del presente articolo si applicano anche in caso di adozione e di affidamento. Il divieto di licenziamento si applica fino ad un anno dall'ingresso del minore nel nucleo familiare. In caso di adozione internazionale, il divieto opera dal momento della comunicazione della proposta di incontro con il minore adottando, ai sensi dell'articolo 31, terzo comma, lettera d), della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, ovvero della comunicazione dell'invito a recarsi all'estero per ricevere la proposta di abbinamento. Riferimenti normativi e giurisprudenziali Decreto Legislativo 26/03/2001 n. 151, Artt. 56 e 54; Legge 20/05/1970 n. 300 Statuto dei lavoratori; Cass., Sez. Lav., Sent. n del 2017; Cass., Sez. Lav., Sent. n del Riproduzione riservata - 7
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