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1 EDUCAZIONE MOTORIA E DISABILITÀ PROF. PAOLO RUSSO

2 Indice 1 HANDICAP: PROBLEMI GENERALI HANDICAP ED EDUCAZIONE MOTORIA di 10

3 1 Handicap: problemi generali. Con il termine inglese handicap indichiamo la menomazione di una o più funzioni fisiche e/o psichiche il cui sviluppo e la cui utilizzazione risultano limitati. Il concetto di handicap si riferisce a una gamma molto ampia e differenziata di disagi, per cui, a seconda delle funzioni compromesse, si parla di handicappati sensoriali nel caso di soggetti che presentano menomazioni agli organi di senso, motori per i soggetti compromessi nella locomozione e mentali in riferimento ai soggetti caratterizzati da ritardo intellettivo o da gravi disturbi della personalità. (Per le considerazioni che faremo di seguito, nel linguaggio pubblico o in quello della burocrazia ministeriale i termini handicap e handicappato sono stati sostituiti da altri termini, quali: disabilità ; portatori di handicap ; disabili ; diversamente abili. Queste innovazioni terminologiche sono espressione di un mutato atteggiamento nei confronti della persona con disabilità ed un nuovo approccio scientifico e pedagogico ai problemi dell educazione dei soggetti disabili. Per motivi pratici, in questo testo continuo ad usare i termini handicap e handicappato). Solitamente l handicappato compensa la limitazione della funzione compromessa con lo sviluppo di altre funzioni che risultano potenziate rispetto alla media. La corrente filosofica della Fenomenologia, con Marleau-Ponty, interpreta questo potenziamento come una prova che il corpo non va considerato soltanto come organismo, ma prima di tutto come risposta al mondo. Questo rilievo fenomenologico ha indotto a considerare l handicap in relazione non solo ai fattori biologico-costituzionali, ma soprattutto all interazione, sempre presente, fra questi e le componenti ambientali. Infatti, anche nelle forme di handicap aventi una chiara origine fisiologica, gli influssi psicologici, affettivi e sociali rivestono un ruolo di fondamentale importanza nel determinare, oltre che lo sviluppo globale dell individuo, il suo specifico modo di vivere il proprio handicap. Risulta così evidente che l emarginazione sociale del soggetto segnato da handicap, in quanto diverso e scarsamente produttivo, impedisce allo stesso il recupero di alcune capacità compromesse o compensatorie, costringendolo a identificarsi con le proprie limitazioni. Questa constatazione di fatto è alla base dell attuale atteggiamento socio-educativo nei confronti delle persone con handicap e delle politiche sociali ed educative: ad esempio per quanto riguarda l educazione scolastica, questa si fonda, oggi, sul principio e sul metodo dell integrazione, che in Italia ha avuto un assetto molto avanzato e soddisfacente (certamente sul piano teorico e 3 di 10

4 legislativo); lo stesso principio si è affermato nel campo del lavoro e, in genere, in tutta la legislazione sociale, nel costume, nella mentalità e nella prassi sociale. Si tratta di una evoluzione importante e di un vero e proprio salto di civiltà, se pensiamo che fino agli anni Settanta del secolo scorso in Italia, ad esempio, l educazione degli handicappati avveniva in classi speciali, mentre la società cercava di nascondere l handicap e lo considerava in genere come irrecuperabile. Il salto di qualità, riguardo all handicap, è avvenuto anche nella scienza medica, che ha posto al centro della sua ricerca, non tanto e non solo la malattia, ma soprattutto la salute, come obiettivo e diritto di ogni persona. Di qui le innovazioni, anche formali, affermate dalla Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) a proposito dell handicap, elaborando una nuova classificazione internazionale denominata ICF (International Classification of Functioning, Disabiliy and Health) per descrivere e misurare la salute e le disabilità della popolazione. In questo modo ha superato il tradizionale concetto di handicap, inteso come svantaggio sociale derivante da una menomazione e dalle conseguenti limitazioni funzionali, sostituendolo con quello di situazione disabilitante. Quest ultima deriva sia dalle limitazioni funzionali di una singola persona (abilitatori intrinseci), ma anche dalle situazioni contestuali o ambientali (abilitatori estrinseci). Da ciò scaturisce il concetto che la situazione disabilitante si configura come un evento relazionale, il cui livello maggiore o minore di gravità dipenderà dalla rete di interventi e azioni che saranno sviluppate intorno ad esse. E importante tenere nella massima considerazione il fatto che questa impostazione è perfettamente consona con gli studi che hanno riguardato e riguardano varie discipline, e in particolare con gli studi sullo sviluppo e funzionamento del sistema nervoso centrale. Quest ultimo appare sempre più come una struttura fortemente integrata e interconnessa, secondo un concetto di rete, in cui la coscienza interviene come controllo anche in azioni motorie apparentemente effettuate sulla guida di circuiti ben identificati e utilizzati ripetitivamente. La coscienza, a sua volta, viene influenzata da afferenze neurovegetative propriocettive e sensoriali, in un gioco che permette di parlare di identità psicofisica ambientale, presupposto di un concetto non realmente distinto, ma solo concettualmente, che è il concetto di sé, della percezione solo in parte cosciente della propria personalità. Il concetto di persona come unità psicofisica ambientale rimanda al concetto di inclusività, dove le frontiere non sono chiuse ma aperte, disponibili all apertura, agli scambi, alle 4 di 10

5 contaminazioni, dove il problema non è quello di affrontare bisogni speciali, ma garantire scambio e dialogo tra entità diverse. Deriva da questi fondamenti scientifici un modo nuovo di approccio all handicap, approccio fondato sull impegno fiducioso a ri-abilitare (educare) ciascun soggetto (qualunque sia la sua disabilità) e sulla concezione di prevenzione per la salute in qualsiasi intervento di ri-abilitazione (di ri-educazione). Da questa nuova impostazione dell intervento educativo nei confronti dell handicappato risulta straordinariamente valorizzata l educazione motoria: il movimento rappresenta l approccio più efficace, la strada privilegiata per avviare la relazione educativa con il soggetto handicappato. 5 di 10

6 2 Handicap ed educazione motoria. L educazione si fonda sulla relazione, anzi possiamo dire che l educazione è relazione: senza relazione nessun processo educativo, nessun rapporto educativo è possibile. Ora, il corpo fa da tramite con il mondo circostante e l apparato sensoriale, segna il confine tra il mondo interno e il mondo esterno, in una assimilazione continua di nuove situazioni generate dalle risposte di adattamento. Si può dire che in un reciproco gioco speculare, ciò che è il fuori-universo, passa all interno attraverso le sensazioni che lo trasformano in percezione, in immagine-idea, e ciò che è dentro si concretizza all'esterno nell espressione-comportamento, nel gesto, segno, voce. L individualità corporea, intesa come storia di ciascuno, rappresenta l interazione costante e progressiva che ognuno di noi esprime attraverso il proprio comportamento a tutti i livelli; il vissuto si traduce fedelmente nel gesto, nel dialogo tonico e nella parola, e queste manifestazioni permettono di determinare il modo in cui l individuo si colloca nella realtà circostante attraverso la corporeità: espressione univoca di corpo e mente. Nei primi anni di vita la funzione tra corpo e psichismo è totale e l espressione motoria traduce scrupolosamente il modo in cui il bambino abita il proprio corpo e vive il rapporto con l altro. È dunque il riconoscimento del corpo come proprio, il punto di partenza da cui tutto il resto acquista significato per l individuo e determina una sua esistenza specifica e un modo di essere unico: qualunque cosa il bambino tocca, odora, vede, ascolta, manipola, fin dal primo istante in cui è capace di percepire i toccamenti, costituisce un contributo allo sviluppo della sua personalità. Come abbiamo visto prima, qualunque forma di handicap è riconducibile ad un non funzionamento o uso totale o parziale di uno o più sensi e ciò determina una disturbata comunicazione con sé e con gli altri. Questo continuo lavoro di aggiustamento non è, infatti, possibile per tutti quei soggetti che vivono una condizione di difficoltà; spesso lavorando con questi bambini si può constatare il disagio o l incapacità ad eseguire dei gesti elementari come alcuni movimenti delle dita o il camminare seguendo un ritmo, o ancora, il grave impaccio che hanno nel riprodurre, senza errori, alcune percezioni uditive o visive. Si comprende allora quanto sia necessaria un educazione motoria che recuperi - per quanto sia possibile - certe abilità neuro-percettive-motorie che stanno alla base di tutti gli apprendimenti. Il corpo sperimenta di continuo, arricchendosi sempre di nuove esperienze, come si è detto, in una 6 di 10

7 concordanza tra realtà esterna e quella interiore che si evolve in diretto rapporto con i livelli di maturazionedei centri nervosi superiori. È bene ricordare infatti che lo sviluppo del bambino è strettamente legato al livello di maturazione nervosa (mielinizzazione progressiva delle fibre nervose) e soggetto a due leggi fondamentali. La prima, detta cefalo-caudale, evidenzia che i progressi nelle strutture e nelle funzioni hanno inizio dal capo, per estendersi poi al tronco ed infine agli arti inferiori; vediamo del resto, che i neonati riescono a muovere e controllare il capo prima del tronco, i movimenti degli occhi prima delle spalle e queste prima delle estremità. La seconda legge, detta próssimo-distale, mostra che lo sviluppo procede seguendo l asse longitudinale del corpo, dalla parte prossimale alla parte distale, e cioè che l uso controllato delle dita è preceduto da quello globale delle mani, le quali sono controllate solo dopo le braccia, ecc. Queste conoscenze sono utili in quanto ci permettono di poter dare una successione organica a qualunque intervento rieducativo o riabilitativo: sarebbe poco proficuo insistere con esercizi di motricità fine per un corretto uso dello strumento tracciante, se prima non si fosse favorito una coordinazione motoria del braccio e della spalla. Nel processo evolutivo, come in quello di apprendimento, entrano in gioco alcune attività che, pur essendo sempre compresenti, hanno, in determinati momenti, prevalenza una sull altra; è il caso della percezione, dell analisi e della rappresentazione. Il bambino passa dall esperienza percettivo-globale all analisi operativo-concreta del tutto e delle parti, per arrivare alla rappresentazione mentale; queste tre fasi di strutturazione dello schema corporeo possono essere indicate cronologicamente: - Corpo vissuto da 0 a 3anni - Corpo percepito da 3 a 6 anni - Corpo rappresentato da 6 a 12/14 anni. Come si può vedere, alla scuola primaria ( prima denominata elementare ) spetta il compito di favorire la strutturazione della fase del corpo rappresentato, ma deve verificare ancora prima se vi è stato il raggiungimento della maturazione funzionale delle fasi precedenti. Già alla fine della scuola dell infanzia (già detta materna ) e nei primi anni di scuola primaria - periodo definito come seconda infanzia - si assiste ad un progressivo funzionamento di zone nervose finora inattive; le acquisizioni motorie, neuro-motorie e percettivo-motorie, si effettuano ad un ritmo sempre più rapido e permettono una presa di coscienza del proprio corpo, un affermazione della dominanza laterale, dell orientamento in rapporto a se stessi e una maggiore capacità di adattarsi e 7 di 10

8 interagire con l ambiente. Di fatto l evoluzione motoria del bambino condiziona gli apprendimenti e, anche se nell osservazione di soggetti ritardati o disadattati non sempre è stato possibile stabilire delle relazioni di causa ed effetto tra l insufficienza delle funzioni motorie e le turbe o le deficienze psicologiche, le correlazioni fra motricità e psichismo sono assai frequenti. Quale, dunque, l attività motoria che la scuola può proporre per tendere verso quello sviluppo armonioso e completo della personalità che è obiettivo presente in tutte le premesse ai programmi? Prima di tutto è necessario porsi il problema educativo in termini di sviluppo delle possibilità dell individuo, della persona unitariamente intesa e non divisa tra corpo e mente; un atteggiamento, questo, che permetterà di cogliere gli stretti rapporti che intercorrono tra gli apprendimenti nelle varie aree educative (ad esempio del legame esistente tra le capacità psicomotorie e l apprendimento della lettura, scrittura, calcolo) e, contemporaneamente, prendere atto del grado dello sviluppo funzionale maturato dal bambino. L acquisizione dei contenuti e lo sviluppo funzionale sono infatti aspetti complementari dell azione educativa; in ogni bambino vi è un nucleo di possibilità funzionali, sia legate all ereditarietà, sia dovute all ambiente, che renderà l individuo più o meno capace di assimilare i vari insegnamenti scolastici. Per favorire questo sviluppo funzionale, possiamo proporre un attività che troviamo fondamentale nello sviluppo ontogenetico della persona: il gioco. Nel gioco vi è la manifestazione, il rafforzamento e lo sviluppo delle funzioni dell individuo che cresce e che raggiunge una condizione di sempre maggiore autonomia e indipendenza.il gioco costituisce un ottimo punto di partenza per osservare e valutare il comportamento di un bambino sotto l aspetto motorio, affettivo, cognitivo e sociale; è la prima forma di proposta operativa che l adulto dovrebbe presentare, dato che ognuno ricerca il successo e la soddisfazione in ciò che fa e desidera una gratificazione attraverso il raggiungimento di un buon risultato. Tutto questo permette anche di conservare una dimensione affettiva che non è possibile trascurare. Sappiamo ormai come turbe affettivo-relazionali inducano allo strutturarsi di turbe funzionali che possono costituire sia l origine che la conseguenza di un deficit. Pertanto ogni rieducazione strumentale che si indirizza specificatamente al sintomo e mira a sopprimerlo mediante un apprendimento più o meno dissimulato, non fa che aumentare le tensioni interne, diminuendo sempre più la sicurezza affettiva, quella affettività che è motore, ma che può essere anche il freno, dell intelligenza. 8 di 10

9 Davanti al bambino disabile, davanti al bambino con difficoltà o con atipia nello sviluppo dobbiamo svincolarci da certi schemi di intervento psicomotorio, che tendevano ad una rieducazione su base sintomatica; occorre considerare che tutte le situazioni proposte saranno vissute dal bambino con un coinvolgimento anche sul piano emozionale ed affettivo, il quale farà sì che si producano o meno gli effetti auspicati. Non basta, per fare un esempio, mobilizzare la muscolatura volontaria per eseguire un atto pensato - ciò mette in movimento il sistema corticale occorre mobilitare il sistema ipotalamico per ottenere un eco emozionale che permetterà di trasformare il movimento meccanico della psicomotricità tradizionale, in un vissuto psicomotorio, dove il piacere al movimento, alla comunicazione non verbale, al fare, favorirà ampia possibilità di riuscita in tutte le aree educative, perché sarà l intera personalità a modificarsi e non solo una parte dell individuo. Un vissuto emozionale che possiamo proporre al bambino attraverso un attività di gioco, a livello di situazioni spontanee, nelle quali il bambino proverà il piacere di vivere il proprio corpo in relazione con il mondo, lo spazio, gli oggetti, gli altri. Ciò non vuol dire che dobbiamo fermarci a questo livello iniziale, ma da questa struttura di rapporto il fanciullo può e deve evolvere, con l aiuto dell adulto, verso piaceri sempre più astratti e sempre più intellettualizzati. La prima cosa da ricercare - senza la quale tutto il lavoro successivo non avrebbe senso - è la presa di coscienza globale del proprio corpo e dei rapporti che esso assume con lo spazio circostante. Purtroppo questa fase, tanto delicata quanto fondamentale, spesso non viene considerata in tutta la sua importanza, forse perché si tende a non dare valore a cose semplici come lo strisciare, il rotolare, il camminare in posizione quadrupidica, ecc., che, invece, sono determinanti. Attraverso le varie posizioni del corpo (seduto, in piedi, sdraiato, ecc.) si aiuterà il bambino a prendere coscienza delle relazioni spazio-temporali, promuovendo un processo di coscientizzazione delle sensazioni derivanti dalla possibilità di equilibrarsi e di spostarsi - con movimenti globali o segmentari - acquistando nozioni di distanza, di orientamento e di tempo. Non va dimenticato, tuttavia, che non vi può essere interiorizzazione e quindi un acquisizione a livello più elevato, se non c è la disponibilità ad apprendere da parte della persona implicata. Nell educazione motoria, non dovrebbe esistere un eseguire bene in assoluto: quindi ogni bambino - normodotato o disturbato - impegnato nella esecuzione di movimenti, potrà esprimersi come meglio riesce, ugualmente apprezzato, senza per forza raggiungere uno standard prefissato e uguale per tutti. C è da fare un salto? Ognuno salterà secondo le proprie capacità, non importa quanto alto o quanto lungo. Cosi, contrariamente a quanto accade, spesso, per le attività sportive, verrà data la certezza di far bene e questa gratificazione diventerà motivazione intrinseca a 9 di 10

10 continuare con interesse. In questo modo sarà possibile favorire, per ogni esperienza motoria, una presa di coscienza - in rapporto all età e alle capacità del bambino di come è avvenuto un certo movimento, di cosa è successo al nostro corpo durante uno spostamento o durante un salto e del perché la respirazione si modifica a seconda di quello che stiamo facendo, oltre alle sensazioni avute strisciando, correndo o stando abbracciati l uno all altro, e tante altre ancora. Nella pratica educativa quotidiana con i bambini disturbati o in difficoltà spesso si è agito - e si agisce - in maniera contraria a quanto fino ad ora detto; infatti, prima ancora di conoscere i contenuti che il bambino andrà ad affrontare nel rapporto duale con l adulto-educatore fuori del gruppo-classe, si può constatare che l intervento educativo agisce come duplice rottura: rottura con se stesso, in quanto il bambino è riconfermato - isolandolo - in una incapacità a fare e impossibilità di essere e, rottura con gli altri, dai quali deve essere portato via per essere rieducato. Questa necessità di mantenere il bambino che vive una condizione di svantaggio almeno all interno di un gruppo, anche se poco numeroso, è fondamentale; l educazione motoria è socializzante di per sé, si esplica stando con gli altri e solo sovvertendone la natura le si può togliere questa precipua caratteristica. Il movimento si sviluppa, come qualsiasi altra funzione della personalità,in rapporto continuo con l ambiente, attraverso comportamenti modificati dall esperienza, ma questo è possibile solo se si rispettano alcune condizioni e non si pone il disabile, il diverso in situazioni che lo rendono ancora più diverso. Per tutto questo l educazione motoria esige da parte della istituzione-scuola una coerenza educativa e obiettivi generali in cui i vari momenti dell apprendimento non comportino assolutamente delle separazioni, fra l affettività e l intelligenza, tra il vissuto fantasmatico e il pensiero-preoperatorio e operatorio e dove le attività, i luoghi, i momenti e i tempi della vita del bambino siano strutturati attraverso il passaggio armonioso dalla sua vita affettiva al suo sviluppo cognitivo ed al suo situarsi progressivo a livello della realtà. Solo favorendo certe condizioni si avranno per tutti, ma per i bambini disabili in particolare, maggiori possibilità di riuscita e di concreta integrazione. 10 di 10

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